CAPITOLO UNDICESIMO

Si svegliò in un letto di ospedale, ambiente sgradevole, ma purtroppo familiare. Fuori dalla finestra, in lontananza, le torri di Vorbarr Sultana, la capitale di Barrayar, emanavano uno strano scintillio verde nell’oscurità. Quindi si trovava al Mil-Imp allora, l’ospedale Militare Imperiale, in una stanza disadorna nello stesso stile severo di quelle che aveva conosciuto da bambino, quando non faceva che entrare e uscire dai laboratori clinici e dalla chirurgia per le sue dolorose terapie, tanto che il Mil-Imp era diventato per lui quasi una seconda casa.

Entrò un medico sulla sessantina, con i capelli grigi, il volto pallido solcato da rughe, il corpo appesantito dall’età. Sulla targhetta c’era scritto Dr. Galen e mentre camminava, nella tasca del camice le siringhe ipodermiche sbattevano tra loro.

«Ah, sei sveglio» esclamò contento il dottore. «Questa volta non ci scapperai via di nuovo, vero?»

«Scappare?» Era collegato a tubicini, fleboclisi e fili di sensori, gli sembrava difficile poter andare da qualche parte.

«Catatonia, il mondo delle nuvole, dei sogni. Per farla breve, pazzia. D’altra parte, immagino che tu non possa che andare là, no? È il male di famiglia, ce l’avete nel sangue.»

Nelle orecchie, Miles udì i suoi globuli rossi che si sussurravano l’un l’altro migliaia di segreti militari, piroettando ubriachi in una danza campestre con le molecole di penta-rapido che sventolavano verso di lui i gruppi di ossidrili come sottovesti di pizzo. Sbatté le palpebre e quell’immagine svanì.

Galen frugò nella tasca con una mano e il suo viso cambiò espressione. «Ahi!» strillò, ritraendo di scatto la mano e scrollando via una siringa. «Questo stupido pidocchietto ha punto me» esclamò succhiandosi il pollice. Guardò il pavimento dove la giovane siringa ipodermica si aggirava incerta e confusa sulle sue zampette di metallo e la schiacciò sotto un piede. Con un flebile squittio, la siringa morì.

«Questi episodi di instabilità mentale non sono insoliti in un criocadavere rianimato, naturalmente. Lo supererai» lo rassicurò il dottor Galen.

«Ero morto?»

«Ammazzato, sulla Terra. Sei rimasto un anno in animazione sospesa.»

Per quanto fosse strano, Miles ricordava perfettamente quella parte: sdraiato in una bara di vetro, come la principessa delle favole vittima di un crudele incantesimo, mentre figure spettrali scivolavano silenziose al di là dei pannelli congelati.

«E mi avete resuscitato?»

«Oh, no: sei andato a male… il peggior caso di ustioni da gelo mai visto.»

«Oh» Miles tacque, sconcertato e poi aggiunse con voce flebile, «Allora sono ancora morto? Posso avere i cavalli, al mio funerale, come il Nonno?»

«No, no, no, naturalmente no» starnazzò il dottor Galen sollecito come una chioccia, «non puoi morire, i tuoi genitori non lo permetterebbero mai. Abbiamo trapiantato il tuo cervello in un corpo di ricambio. Fortunatamente ce n’era uno a portata di mano. Aveva già un proprietario, ma non era quasi mai stato usato. Congratulazioni, sei di nuovo vergine. Sono stato in gamba ad avere già pronto il tuo clone, vero?»

«Il mio clo… mio fratello? Mark?» Miles balzò a sedere di colpo, staccando tutti i tubicini, tirò fuori il vassoio dal comodino e girandolo, si guardò in quella superficie di metallo lucido: una linea di grossi punti di sutura neri gli correva lungo la fronte. Si guardò le mani, voltandole inorridito. «Mio Dio, sono dentro un cadavere.»

«Se io sono qui, cosa ne avete fatto di Mark?» chiese a Galen. «Dove avete messo il cervello che stava in questa testa?»

Galen indicò accanto al letto.

Sul comodino c’era un grosso vaso di vetro, dentro il quale, come un fungo attaccato al gambo, galleggiava un cervello gommoso, morto e maligno, immerso in un liquido di conservazione denso e verdastro.

«No!» gridò Miles. «No, no, no!» Scese a fatica dal letto e afferrò il vaso; il liquido traboccò e gli bagnò le mani. Corse in corridoio, a piedi nudi, con le falde del camice da ospedale che svolazzavano dietro di lui. Ci dovevano essere dei corpi di ricambio, lì, quello era il Mil-Imp. E di colpo gli venne in mente dove ne aveva lasciato uno.

Si precipitò dentro una porta e si ritrovò nella sua navetta da combattimento che orbitava attorno a Dagoola IV. Il portello era spalancato e scardinato e fuori ribollivano nuvole nere striate da lampi gialli. La navetta sobbalzava e uomini e donne, feriti e coperti di fango, con uniformi da combattimento dendarii bruciacchiate e strappate, scivolavano, urlavano e imprecavano. Trascinandosi con passo incerto, sempre tenendo stretto il vaso, Miles uscì dal portello.

Per un po’ galleggiò e per un po’ cadde. Un donna precipitò accanto a lui, urlando e agitando le mani, ma Miles non poteva afferrarla, non poteva mollare il vaso. La donna si schiantò al suolo.

Miles atterrò in piedi, con le ginocchia che tremavano e per poco non fece cadere il vaso. Il fango era spesso, nero e gli arrivava alle ginocchia.

La testa e il corpo del tenente Murka giacevano dove lui li aveva lasciati sul campo di battaglia. Con mani fredde e tremanti, Miles estrasse il cervello dal vaso e cercò di infilare il midollo allungato nel buco aperto nel collo dal fucile al plasma, ma questo rifiutava caparbiamente di entrare.

«Tanto non ha lo stesso una faccia» commentò in tono critico la testa del tenente Murka, pochi passi più in là. «Sarà brutto come il peccato, se andrà in giro con quell’affare che sporge dal mio corpo.»

«Sta zitto, tu non hai diritto di voto, sei morto» sbraitò Miles. Il cervello viscido gli scivolò tra le dita e finì nel fango. Miles lo raccattò e cercò goffamente di togliere quella mota nera strofinandola con la manica dell’uniforme da ammiraglio dendarii, ma il tessuto ruvido graffiò le circonvoluzioni del cervello di Mark, danneggiandolo. Senza farsi vedere, rimise a posto il tessuto cerebrale, sperando che nessuno se ne accorgesse e tentò di nuovo di infilare il midollo allungato nel collo.


Miles aprì gli occhi di colpo, con il fiato corto. Tremava ed era sudato da capo a piedi. La lampada brillava impietosa e immutata dal soffitto della cella, la panca era dura e fredda contro la sua schiena. «Oh, Dio, grazie» esalò con un filo di voce.

In piedi accanto a lui, con un’espressione preoccupata in volto, c’era Galeni, che si appoggiava alla parete per sostenersi. «Si sente bene?»

Miles deglutì e trasse un profondo respiro. «Se svegliarsi in questo posto è un sollievo, allora ho fatto proprio un brutto sogno.»

Con una mano accarezzò la panca solida e fredda, mentre con l’altra si toccava la fronte: non c’erano punti di sutura, anche se la sensazione era quella che qualche interno del primo anno avesse fatto pratica di chirurgia con la sua testa. Sbatté le palpebre, chiuse gli occhi, li riaprì e con un sforzo si sollevò su un gomito. Aveva la mano sinistra gonfia e dolorante. «Cosa è successo?»

«È stato un pareggio. Una delle guardie e io ci siamo storditi a vicenda, ma sfortunatamente restava ancora l’altra. Mi sono svegliato circa un’ora fa, l’ho preso a carica massima. Non so quanto tempo sia passato.»

«Troppo. Però valeva la pena provare. Maledizione.» Si trattenne appena in tempo dal battere il pugno sulla panca per la frustrazione. «C’ero così vicino, lo avevo quasi.»

«La guardia? A me sembrava che fosse il contrario.»

«No, il mio clone. Mio fratello. O quello che è.» Gli tornarono in mente le immagini del sogno e rabbrividì. «Un tipo ombroso. Credo che abbia paura di finire in un vaso.»

«Eh?»

«Ohi!» Cercò di mettersi a sedere, ma la carica dello storditore gli aveva lasciato una sensazione di nausea, e i muscoli delle braccia e delle gambe si contraevano a scatti. Galeni, in condizioni non certo migliori delle sue, si trascinò di nuovo sulla sua panca.

Qualche tempo dopo, la porta si aprì. Il pranzo, pensò Miles.

«Fuori, tutti i due» disse la guardia indicando con lo storditore. Alle sue spalle, ma fuori portata, una seconda guardia armata. A Miles non piacquero le espressioni sui loro volti: una era pallida e severa, l’altro sorrideva nervoso.

«Capitano Galeni» disse Miles con voce un po’ più stridula di quanto avrebbe voluto, «credo che sarebbe il momento buono per parlare a suo padre, adesso.»

Una vasta gamma di espressioni passò sul volto di Galeni: rabbia, ostinazione, ammirazione, dubbio.

«Da questa parte» disse una delle due guardie indicando con il fucile il tunnel di discesa. Scesero fino al garage.

«Lei lo può fare, io no» lo incitò Miles in un sussurro pressante.

Galeni emise un sibilo che era di frustrazione, acquiescenza, determinazione e mentre entravano nel garage, si rivolse di colpo alla più vicina delle guardie e sbottò di malavoglia: «Desidero parlare con mio padre.»

«Non può.»

«Credo che le convenga portarmi da lui.» La voce di Galeni era decisa e pericolosa.

«Non sta a me deciderlo: ci ha dato degli ordini e se n’è andato. Non è qui.»

«Chiamatelo.»

«Non mi ha detto dove andava» rispose la guardia con voce tesa e seccata. «E anche se lo avesse fatto, non lo chiamerei comunque. Mettetevi lì, vicino a quel velivolo.»

«Come avete intenzione di farci fuori?» chiese Miles all’improvviso. «Sono davvero curioso di saperlo. Fate conto che sia il mio ultimo desiderio.» Si avvicinò lentamente al velivolo, mentre con gli occhi cercava un posto, qualunque posto, in cui potersi riparare. Se fosse riuscito a girare intorno, a mettersi al riparo prima che sparassero…

«Dobbiamo stordirvi, portarvi in volo sulla costa meridionale e lasciarvi cadere in acqua» spiegò la guardia. «Se per caso i pesi si slegassero, e tornaste a riva, l’autopsia mostrerebbe solo che siete annegati.»

«Non proprio un sistema pratico» commentò Miles. «Però immagino che per voi sia il modo più facile.» Quegli uomini non erano degli assassini professionisti, Miles ne era certo. Però c’è una prima volta per tutto. Quel pilastro là in fondo non era abbastanza largo per bloccare una scarica di storditore.

Quei ferri e quegli strumenti sulla parete là in fondo presentavano delle possibilità… sentì le gambe tendersi spasmodiche…

«E così, finalmente, il Macellaio di Komarr ha quello che si merita» osservò in tono distaccato la guardia dall’aria solenne. «Indirettamente.» E sollevò lo storditore.

«Aspetta!» strillò Miles.

«E cosa?»

Miles era alla ricerca affannosa di un risposta, quando la porta del garage si spalancò.

«Me!» urlò Elli Quinn. «Fermi!»

Dietro di lei sciamò una pattuglia dendarii, e nell’attimo impiegato dalla guardia komarrana per spostare la mira, un tiratore scelto dendarii lo stese. La seconda guardia fu presa dal panico e si lanciò verso il tunnel di salita; un altro dendarii partì di corsa, lo atterrò da dietro, lo stese faccia a terra e lo ammanettò con le braccia dietro la schiena, il tutto in pochi secondi.

Elli si avvicinò a Miles e Galeni, togliendosi dall’orecchio un sensore sonico. «Per gli dèi, Miles, non riuscivo a credere che fosse la tua voce. Come ci sei riuscito?» Poi si accorse del suo aspetto trasandato e un’espressione perplessa e dubbiosa le comparve sul viso.

Miles le afferrò le mani e le baciò: forse un saluto militare sarebbe stato più adatto, ma l’adrenalina era ancora in circolo nel suo corpo e quel gesto gli veniva dal profondo del cuore. E inoltre non indossava l’uniforme. «Elli, sei un genio! Avrei dovuto saperlo che il clone non poteva ingannarti!»

Lei lo fissò esterrefatta ed esclamò con voce acuta: «Quale clone?»

«Cosa vuol dire, quale clone? È per questo che sei qui, no? Lui ha mandato tutto all’aria… e tu sei venuta a salvarmi… no?»

«Salvarti da cosa? Miles, una settimana fa mi hai ordinato di trovare il capitano Galeni, ricordi?»

«Oh» disse Miles, «sì, certo.»

«E noi lo abbiamo fatto. Siamo rimasti fuori da questo edificio tutta la notte, aspettando di avere un’identificazione positiva della sua impronta vocale, in modo da poter avvertire le autorità locali, che non apprezzano i falsi allarmi. Ma quello che finalmente è uscito dai sensori ci ha consigliato che forse era meglio non aspettare le autorità locali e così abbiamo corso il rischio… nonostante fossi perseguitata dalla visione di noi tutti arrestati in massa per violazione di domicilio, con scasso…»

Un sergente dendarii si avvicinò ed eseguì il saluto. «Maledizione, signore, come ha fatto?» e senza aspettare risposta, si allontanò brandendo un rilevatore.

«… solo per scoprire che ci avevi preceduti.»

«Be’, da un certo punto di vista… è così» Miles si massaggiò la fronte dolente. Galeni, immobile, si grattava le guance irsute, e osservava senza fare commenti… anche perché non era in grado di esprimersi ad un volume di voce accettabile.

«Ricordi tre o quattro notti fa, quando mi hai portato in quel posto per farmi rapire, ed entrare così in campo nemico per scoprire chi erano e cosa avevano in mente?»

«Sì…»

«Bene» Miles respirò a fondo, «ha funzionato. Congratulazioni: hai appena trasformato un disastro totale in un grosso colpo di spionaggio. Grazie, comandante Quinn. A proposito, il tizio che è uscito con te da quella casa vuota… non ero io.»

Elli spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca. Poi socchiuse gli occhi scuri, riflettendo furiosamente. «Figlio di puttana!» sibilò. «Ma, Miles… io credevo che la storia del clone te la fossi inventata tu di sana pianta!»

«Era quello che credevo anch’io. Immagino che abbia colto tutti di sorpresa.»

«C’era… lui è… un vero clone?»

«Così asserisce. Impronte digitali, retina, impronta vocale, tutto identico. Ma grazie a Dio c’è una differenza. Se tu fai una radiografia alle mie ossa, troverai un assortimento di vecchie fratture, tranne che nelle parti sintetiche delle gambe: lui invece non ne ha. O almeno questo è quanto afferma.» Miles si accarezzò la mano sinistra dolorante. «Credo che per il momento non mi taglierò la barba, non si sa mai.»

Poi si rivolse al capitano Galeni. «Come dobbiamo… come deve trattare questa faccenda la Sicurezza Imperiale, signore?» chiese in tono deferente. «Dobbiamo davvero chiamare le autorità locali?»

«Oh, adesso sono di nuovo "signore", eh?» mormorò Galeni. «Certo che chiameremo la polizia; non possiamo estradarli, ma adesso che hanno commesso un crimine qui sulla Terra, le autorità dell’Europol li metteranno in carcere per noi. E così sarà la fine di tutta questa scheggia radicale di sovversivi.»

Miles soffocò il suo istinto di urgenza e cercò di rendere fredda e impersonale la propria voce. «Ma un processo porterebbe alla luce tutta la storia del clone, fin nei più piccoli particolari. E da un punto divista della Sicurezza, questo attirerebbe su di me un sacco di sgradevole attenzione… compresa quella cetagandana, ne stia sicuro.»

«È troppo tardi per cercare di riparare ai danni.»

«Non ne sono così sicuro. Certo le voci si spargeranno, ma un certo numero di voci sufficientemente confuse potrebbero essere utili. Questi due» indicò le due guardie catturate, «sono pesci piccoli. Il mio clone sa molte più cose di loro ed è già tornato all’ambasciata, che da un punto di vista legale è suolo barrayarano. Che bisogno abbiamo di loro due? Ora che lei è di nuovo libero e che abbiamo il clone, tutto il complotto è saltato. Mettete sotto sorveglianza questo gruppo, come avete fatto con gli altri espatriati komarrani sulla Terra e non rappresenteranno più un pericolo.»

Galeni incontrò lo sguardo di Miles e poi lo distolse e sul suo profilo pallido si lesse chiaramente il corollario inespresso di quel discorso: e la sua carriera non verrà compromessa da uno scandalo pubblico. E non sarà costretto ad affrontare suo padre…

«Non… non saprei.»

«Io sì» affermò Miles sicuro e fece un cenno ad uno dei dendarii. «Sergente, porti di sopra un paio di tecnici e veda di spremere tutto quello che c’è nella consolle di comunicazione, compresi i file segreti e protetti. E mentre c’è, perlustri la casa alla ricerca di un paio di cinture con i congegni di schermatura anti-persona, dovrebbero essere qui. Li porti al commodoro Jesek e gli dica di rintracciare il costruttore. Non appena avrete finito, ce ne andremo.»

«Questo che è illegale» gli fece notare Elli.

«E cosa possono fare: andare a lamentarsi alla polizia? Non credo proprio. Ah… vuole lasciare qualche messaggio nella consolle di comunicazione, capitano?»

«No» rispose a bassa voce Galeni dopo qualche istante, «niente messaggi.»

«Bene.»

Un infermiere dendarii prestò le prime cure al dito fratturato di Miles e gli anestetizzò la mano. Il sergente tornò dopo meno di mezz’ora, con le cinture appese alla spalla e porse a Miles un dischetto. «È tutto suo, signore.»

«Grazie, sergente.»

Si inginocchiò accanto al komarrano cosciente e gli puntò uno storditore alla tempia.

«Cosa vuole fare?» gracchiò l’uomo.

Miles distese le labbra in un sorriso acido, e rispose: «Ma come? stordirti, naturalmente, portarti in volo sulla costa meridionale e lasciarti cadere in mare… che altro? Buona nanna.» Lo storditore ronzò e il prigioniero, con uno spasimo, si afflosciò. Il soldato dendarii gli tolse le manette e Miles lasciò i due komarrani sdraiati fianco a fianco sul pavimento del garage. Poi uscirono e chiusero a chiave le porte.

«E adesso all’ambasciata, a inchiodare quel piccolo bastardo» disse Elli Quinn in tono truce, selezionando l’itinerario di ritorno sulla mappa inserita nella consolle del veicolo a nolo. Il resto della pattuglia si dispose in formazione di copertura.

Miles e Galeni, che aveva l’aspetto esausto quasi quanto lui, si appoggiarono allo schienale.

«Bastardo?» sospirò Miles. «No, quella è proprio l’unica cosa che non è, temo.»

«Prima inchiodiamolo» intervenne Galeni, «e poi decideremo come chiamarlo.»

«Sono d’accordo» disse Miles.


«Come faremo ad entrare?» chiese Galeni mentre si avvicinavano all’ambasciata nella chiara luce del mattino.

«C’è un unico modo» rispose Miles: «per la porta principale, a passo di marcia. Fermati davanti all’ingresso, Elli.»

Poi lui e Galeni si scambiarono un’occhiata e fecero una smorfia. La crescita della barba di Miles era in arretrato rispetto a quella di Galeni (dopo tutto Galeni aveva quattro giorni di vantaggio), ma le sue labbra screpolate, le escoriazioni e il sangue rappreso sulla camicia pareggiavano i conti, a suo giudizio, e contribuivano a creare un’aspetto di generale degradazione. E poi Galeni aveva ritrovato gli stivali e la giacca dell’uniforme, e Miles no; probabilmente se li era portati via il clone. Non sapeva chi dei due puzzasse di più: Galeni era rimasto rinchiuso quattro giorni più di lui, ma Miles aveva sudato di più… non aveva comunque nessuna intenzione di chiedere ad Elli Quinn di annusarli e di fare una graduatoria. Dal tremito della bocca del capitano e dal modo in cui strizzava gli occhi, dedusse che anche Galeni cominciava ad avvertire la sua stessa reazione ritardata di sollievo: erano vivi, ed era un miracolo e una fonte di meraviglia.

Salirono le scale al passo, mentre Elli si accodava osservando interessata quell’esibizione.

La guardia all’ingresso eseguì il saluto automaticamente, mentre un’espressione di assoluto stupore gli si dipingeva in viso. «Capitano Galeni! È ritornato! E… ehm» gettò un’occhiata a Miles, aprì la bocca, la richiuse. «Anche lei, signore.»

Galeni restituì tranquillo il saluto «Faccia venire qui il tenente Vorpatril, per favore. Ma solo Vorpatril.»

«Sissignore.» La guardia parlò nel comunicatore da polso, senza mai distogliere lo sguardo; continuava a osservare Miles di sottecchi, chiaramente perplesso. «Ehm… lieto che sia tornato, signore.»

«Lieto di essere tornato, caporale.»

Un attimo dopo, Ivan schizzò fuori dal tunnel di risalita e attraversò di corsa il pavimento di marmo dell’ingresso.

«Mio Dio, signore! Dove è stato?» esclamò, afferrando Galeni per le spalle. Poi, con un attimo di ritardo, si ricompose ed eseguì il saluto.

«La mia assenza non è stata volontaria, glielo assicuro.» Il capitano si sfregò il lobo di un orecchio e si passò una mano sulla barba incolta, chiaramente commosso dall’entusiasmo di Ivan. «Come le spiegherò nei minimi particolari in seguito. Adesso… tenente Vorkosigan? Credo che sia arrivato di il momento di fare una sorpresina al suo… ehm, parente.»

Ivan gettò un’occhiata a Miles. «Ti hanno lasciato uscire, allora?» Poi lo guardò più da vicino e spalancò gli occhi. «Miles…»

Miles digrignò i denti e lo trascinò fuori portata d’orecchio dell’affascinato caporale. «Ti spiegheremo tutto quando arresteremo l’altro me. Dove sono, a proposito?»

Ivan storse le labbra, sgomento. «Miles… stai cercando di farmi uscire di senno o di prendermi in giro? Non è divertente…»

«Niente presa in giro e niente divertimento. L’individuo con cui hai diviso la camera in questi ultimi quattro giorni… non ero io. Io ho diviso la stanza con il capitano Galeni. Un gruppo rivoluzionario komarrano ha cercato di farti fesso, Ivan: l’impostore è il mio clone, che esiste davvero. Non dirmi che non ti sei mai accorto di niente!»

«Be’…» disse Ivan, mentre un’espressione imbarazzata gli compariva sul viso. «Mi eri sembrato un po’, be’… un po’ fuori fase, negli ultimi due giorni.»

Elli annuì con aria assorta, molto sensibile all’imbarazzo di Ivan.

«In che senso?» chiese Miles.

«Be’… ti ho visto fuori di testa, e ti ho visto depresso. Ma non ti ho mai visto… neutro.»

«Ecco perché te lo chiedo; e non hai mai sospettato niente? Era così bravo?»

«Oh, mi sono posto delle domande fin dalla prima sera!»

«E allora?» strillò Miles che aveva voglia di strapparsi i capelli.

«E allora ho deciso che non poteva essere. Dopo tutto, quella storia del clone l’avevi inventata tu stesso solo pochi giorni prima.»

«Ora avremo una dimostrazione dalla mia sorprendente chiaroveggenza. Dov’è lui?»

«Be’, è proprio per questo che sono rimasto tanto stupito di vederti.»

Galeni, che fino a quel momento aveva tenuto le braccia conserte, appoggiò una mano alla fronte, per sostenere la testa; Miles non riuscì a leggere il movimento delle labbra… forse stava contando fino a dieci. «Perché, Ivan?» chiese il capitano e attese.

«Mio Dio… non è già partito per Barrayar, vero?» intervenne agitato Miles. «In questo caso dobbiamo fermarlo…»

«No, no» disse Ivan. «Sono stati i locali. È per questo che qui siamo così sottosopra.»

«Dov’è lui?» ringhiò Miles afferrando il cugino per bavero della giacca con la mano sana.

«Calmati! È quello che sto cercando di dirti!» Guardò la mano di Miles, con le nocche tanto strette che erano diventate bianche. «Sì, sei proprio tu, eh? La polizia locale è arrivata qui un paio d’ore fa e ti ha arrestato… ha arrestato lui. Be’, non proprio arrestato, ma avevano un ordine di carcerazione, che ti impediva di lasciare Londra. Tu… lui era frenetico, perché questo significava che avresti perso la nave. Dovevi imbarcarti questa sera. Ti hanno notificato l’ordine di comparizione a testimoniare davanti al tribunale municipale, per accertare se esistevano prove sufficienti per un’accusa formale.»

«Accusa per cosa! Cosa stai blaterando, Ivan!»

«Be’, ecco, è per questo che la faccenda è complicata. Chissà come, gli è andato in corto il cervello e si sono messi in testa… sono venuti e hanno arrestato te, il tenente Vorkosigan, per sospetto concorso in tentato omicidio. Sei sospettato di aver ingaggiato quei due sicari che hanno cercato di assassinare l’ammiraglio Naismith allo spazioporto la settimana scorsa.»

Miles si mise a girare in tondo, pestando i piedi. «Ah. Ah. Arrrgh!»

«L’ambasciatore sta sfornando note di protesta a tutto spiano. Naturalmente, non abbiamo potuto spiegargli perché si sbagliavano.»

Miles afferrò Elli per il gomito. «Non lasciarti prendere dal panico.»

«Io non sono in preda al panico» gli fece notare la donna. «Sto guardando te che ti fai prendere dal panico… è molto più divertente.»

Miles si passò una mano sulla fronte. «Va bene, va bene. Partiamo dal presupposto che non tutto è perduto. Supponiamo che il ragazzo non si sia lasciato prendere dal panico, che non sia crollato. Ancora. Supponiamo che abbia inalberato tutta la sua arroganza aristocratica e gli abbia rifilato solo un mucchio di no comment. Dovrebbe riuscirgli a meraviglia, perché secondo lui è così che si comporta un Vor. Piccolo bastardo. Supponiamo che li tenga a bada.»

«Va bene, supponiamo» disse Ivan. «E allora?»

«Se ci sbrighiamo, possiamo salvare…»

«La tua reputazione?» chiese Ivan.

«Suo… fratello?» azzardò Galeni.

«I nostri fondoschiena?» disse Elli.

«L’ammiraglio Naismith» terminò Miles. «È lui quello in pericolo, adesso.» Incontrò lo sguardo di Elli e nei suoi occhi vide accendersi una luce preoccupata. «La parola chiave è Copertura,come in saltata… o, ma è solo una possibilità, assicurata per sempre.»

«Lei ed io» proseguì indicando Galeni, «dobbiamo darci una ripulita. Ci incontreremo qui tra un quarto d’ora. Ivan, porta un panino… due panini. Verrai con noi come scorta.» Ivan era molto dotato per quella parte. «Elli, tu guiderai la macchina.»

«Guidarla dove?» chiese Quinn.

«Al tribunale. Andiamo a salvare quel povero e incompreso tenente Vorkosigan. Il quale, grato, verrà con noi, che lo voglia o no. Ivan, è meglio che tu porti anche una siringa con due dosi di tolizone, insieme a quei panini.»

«Frena un attimo, Miles» disse Vorpatril. «Se l’ambasciatore non è riuscito a farlo uscire, come ti aspetti che ci riusciamo noi?»

«Non noi: l’ammiraglio Naismith» disse Miles con un sorriso.


Il Tribunale di Londra era un edificio di cristallo nero vecchio di due secoli. Esempi di architettura simile svettavano qua a là in un distretto di stile ancor più antico, a testimonianza dei bombardamenti e degli incendi della Quinta Sommossa Civile. Sembrava che lì la ristrutturazione urbana fosse in attesa di altri disastri. Londra era sovraffollata, pareva un mosaico compresso di ère contrastanti, dove i londinesi si abbarbicavano testardi ai frammenti del loro passato; c’era persino un comitato che si proponeva di salvare gli orrendi resti in disfacimento degli edifici del tardo ventesimo secolo. Miles si chiese se tra mille anni anche Vorbarr Sultana, attualmente in folle espansione, avrebbe avuto lo stesso aspetto, o se invece avrebbe cancellato del tutto la sua storia nella corsa alla modernizzazione.

Nell’affollato atrio del Tribunale si fermò per aggiustarsi l’uniforme da ammiraglio dendarii. «Ho un aspetto rispettabile?» chiese a Quinn.

«La barba ti fa sembrare, uhm…»

Miles l’aveva solo spuntata in tutta fretta. «Distinto? Più vecchio?»

«Sofferente per i postumi di una sbronza?»

«Ah.»

Entrarono tutti e quattro nel tubo di salita e si diressero al novantasettesimo piano.

«Stanza W, cubicolo 19» li informò il pannello della reception dopo aver consultato gli archivi.

Nel cubicolo 19 trovarono un terminale riservato della Europol e un essere umano in carne ed ossa, un giovanotto dall’aria seria.

«Ah, investigatore Reed» lo salutò Elli con un sorriso gioioso mentre entravano, «ci rivediamo.»


L’investigatore Reed era solo. Miles si schiarì la gola per soffocare un inizio di panico.

«L’investigatore Reed ha l’incarico di far luce su quello spiacevole incidente allo spazioporto, signore» spiegò Elli, scambiando quella tossettina per una richiesta di presentazione e assumendo immediatamente un tono formale. «Ammiraglio Naismith, permetta che le presenti l’investigatore Reed.» Poi, rivolto a Miles: «Abbiamo avuto una lunga chiacchierata in occasione la mia ultima visita qui.»

«Capisco» disse Miles assumendo un’espressione educata e neutra.

Reed invece lo stava fissando a bocca spalancata. «Incredibile! Allora lei è davvero il clone di Vorkosigan!»

«Io preferisco pensare a lui come al mio fratello gemello» ribatté Miles, «con cui ho perso i contatti. In genere preferiamo tenerci il più possibile lontani l’uno dall’altro. Così gli ha parlato.»

«A lungo, ma non ha collaborato molto.» Reed spostò lo sguardo incerto da Miles e Elli ai due barrayarani in uniforme. «Un ostruzionista. Molto sgradevole, a dir la verità.»

«Lo immaginavo: lei gli ha pestato i piedi. È molto sensibile per quello che riguarda me, preferisce che non gli si rammenti della mia imbarazzante esistenza.»

«Ah, e perché?»

«Rivalità tra fratelli» temporeggiò Miles. «Nella carriera militare ho fatto più strada di lui. Lui lo considera un affronto, una macchia nei suoi successi più che commendevoli…» Dio, fa che qualcuno mi dia un’imbeccata… Lo sguardo di Reed si stava facendo molto attento.

«Venga al punto, ammiraglio Naismith, per favore» intervenne Galeni.

Grazie! «Certo. Investigatore Reed… non fingerò che vi sia amicizia tra me e il tenente Vorkosigan, ma come siete giunti alla fantasiosa conclusione che sia stato lui a organizzare quel tentativo di assassinio così mal riuscito nei miei riguardi?»

«Non si trattava di un caso facile. I due supposti killer» e gettò un’occhiata ad Elli, «erano una pista morta, quindi abbiamo dovuto seguire altri indizi.»

«Non Lise Vallerie, per caso? Ammetto di essere colpevole di averla leggermente fuorviata. Un tentativo di umorismo poco tempestivo, temo. È un difetto…»

«Che tutti noi dobbiamo sopportare» mormorò Elli.

«Ho trovato i suggerimenti della signorina Vallerie interessanti, ma non conclusivi» disse Reed. «In passato ho avuto modo di accertare che è una scrupolosa investigatrice, a tutti gli effetti! Inoltre non è ostacolata da certe regole procedurali che ostacolano il mio lavoro. E molto sollecita a fornire argomenti interessanti.»

«E su cosa sta indagando, attualmente?» si informò Miles.

Reed gli rivolse un’occhiata imperscrutabile. «Clonazione illegale. Forse potrebbe fornirle lei qualche indicazione.»

«Ah… temo che le mie esperienze siano arretrate di una ventina d’anni, per i vostri scopi.»

«Bene, comunque non è questo il punto. In questo caso si è trattato di un indizio molto obiettivo. Un velivolo è stato visto lasciare lo spazioporto al momento dell’attacco, e ha attraversato illegalmente lo spazio di controllo del traffico aereo. Lo abbiamo identificato come un velivolo dell’ambasciata barrayarana.»

Il sergente Barth. Galeni sembrava sul punto di sprizzare scintille, mentre Ivan aveva assunto quell’espressione vacua e leggermente ebete che tante volte gli era tornata utile per evitare accuse di responsabilità.

«Oh, quello» sbuffò Miles annoiato. «Quello non era altro che la solita, seccante sorveglianza che Barrayar mi impone sempre. In tutta franchezza, se c’è un’ambasciata che sospetterei di avere lo zampino in questa faccenda, è quella cetagandana. Una recente operazione dendarii nella loro aree di influenza (molto al di fuori della vostra giurisdizione) li ha seccati un tantino. Ma non era in mio potere provare una simile accusa, ed è per questo che sono stato ben contento di lasciare la faccenda nelle vostre mani.»

«Ah, quella fantastica operazione di salvataggio su Dagoola, ne ho sentito parlare. Un movente molto interessante.»

«Molto più interessante, a mio modo di vedere, di quella vecchia storia che ho confidato a Lise Vallerie. Questo chiarisce le contraddizioni?»

«Lei riceve qualcosa in cambio dall’ambasciata barrayarana per questa opera caritatevole, ammiraglio?»

«Per la mia buona azione quotidiana? No, le chiedo scusa, ma l’avevo avvertita a proposito del mio senso dell’umorismo. Diciamo che la ricompensa è sufficiente.»

«Nulla che potrebbe configurarsi come un’ostruzione alla giustizia, voglio sperare?» chiese Reed sollevando un sopracciglio.

«La vittima sono io, ricorda?» Miles si morse la lingua. «La mia ricompensa non ha nulla a che fare con il codice criminale di Londra, glielo assicuro. Nel frattempo, posso chiederle di affidare il povero tenete Vorkosigan alla custodia, ad esempio, del suo ufficiale comandante, il capitano Galeni?»

Il volto di Reed era una maschera sospettosa e attenta. Cosa c’è che non va, maledizione? Questo dovrebbe tenerlo buono…

Reed congiunse le mani, si appoggiò allo schienale e piegò la testa. «Il tenente Vorkosigan se n’è andato un’ora fa con un uomo che si è presentato come il capitano Galeni.»

«Aaah…» esclamò Miles. «Un uomo anziano, in abiti civili? Capelli grigi, corporatura pesante?»

«Sì…»

Miles prese fiato, continuando a sorridere. «Grazie, investigatore Reed. Non le sottrarremo più del tempo prezioso.»


Quando furono nell’atrio Ivan disse: «E adesso?»

«Credo che sia ora di tornare all’ambasciata» disse il capitano Galeni «e di spedire un rapporto completo al Quartier Generale.»

L’istinto impellente di confessarsi, eh? «No, no, non bisogna mai mandare rapporti intermedi» disse Miles. «Solo rapporti conclusivi. I rapporti intermedi tendono a generare ordini. E ricevuti quegli ordini, o si eseguono, o si deve sprecare un mucchio di tempo e di energia preziosa ad aggirarli, tempo ed energia che potrebbero esser usati per risolvere il problema.»

«Interessante filosofia di comando, devo tenerla a mente; lei la condivide, comandante Quinn?»

«Oh, sì.»

«Deve essere davvero affascinante lavorare per un’unità come i Mercenari Dendarii.»

«Senza alcun dubbio» rispose Quinn con un sorriso compiaciuto.

Загрузка...