CAPITOLO QUARTO

Miles si fece la doccia, si mise un’uniforme pulita e un paio di stivali di ricambio; a quel punto le pillole avevano fatto effetto e tutti i dolori erano scomparsi. Ma quando si sorprese a fischiettare mentre si metteva il dopobarba e si aggiustava intorno al collo un fazzoletto di seta nero, piuttosto vistoso e assolutamente non regolamentare, decise che forse la prossima volta sarebbe stato il caso di dimezzare la dose: si sentiva troppo bene.

Era un vero peccato che nell’uniforme dendarii non fosse compreso anche un basco, da portare spavaldamente sulle ventitré. A pensarci bene, però, lui avrebbe potuto ordinare di aggiungercelo. Di sicuro Tung lo avrebbe approvato; secondo le sue teorie, infatti, un’uniforme elegante era di grande aiuto per il reclutamento e il morale. Ma Miles non era del tutto sicuro che con quel sistema non si sarebbero ritrovati con un mucchio di reclute, arruolate solo per fare una sfilata di moda. Al soldato Danio un basco non sarebbe certo spiaciuto… accantonò quel pensiero.

Elli Quinn, che lo attendeva paziente al corridoio di attracco numero sei della Triumph, si alzò in piedi con una mossa aggraziata e lo precedette nella navetta dicendo: «Sarà meglio che ci sbrighiamo. Per quando tempo credi che tuo cugino sarà in grado di coprirti, all’ambasciata?»

«Temo che la faccenda sia già una causa persa» disse Miles, sedendosi al posto del passeggero e allacciandosi la cintura, perché dopo aver letto le avvertenze sulla scatola di pillole a proposito della guida e dell’uso di macchinari, aveva deciso che era meglio che guidasse Elli. La piccola navetta si staccò dolcemente dal fianco dell’ammiraglia e si inserì nel corridoio di discesa previsto.

Miles si mise a riflettere morbosamente sull’accoglienza che avrebbe trovato al rientro all’ambasciata. Il minimo che poteva aspettarsi era di essere confinato nel suo alloggio, anche se poteva invocare delle circostanze attenuanti, per quello che valevano e lui non se la sentiva proprio di affrettarsi verso quella condanna. Era lì, sulla Terra, in una calda notte d’estate, in compagnia di una splendida ragazza ed erano solo (gettò un’occhiata all’orologio) le 23.00: la notte cominciava adesso e Londra e i suoi abitanti vivevano ventiquattr’ore su ventiquattro. A quel pensiero, chissà perché, il suo morale si risollevò inesplicabilmente.

Ma cosa potevano fare? Andare a bere qualcosa era fuori questione: con la sua strana fisiologia, Dio solo sapeva che effetto avrebbe potuto fargli l’alcol aggiunto alle pillole che aveva preso… di certo però non avrebbe migliorato la sua coordinazione. Uno spettacolo? Da un punto di vista della sicurezza avrebbe significato restare fermi a troppo a lungo in uno stesso posto; no, era meglio fare qualcosa che li tenesse in movimento.

Al diavolo i cetagandani: non aveva nessuna intenzione di diventare ostaggio della paura. L’ammiraglio Naismith avrebbe avuto la sua ultima avventura prima di venir riappeso nell’armadio. Le luci del porto lampeggiarono sotto di loro, ingrandendosi. Mentre rullavano verso il loro hangar (affitto 140 GSA federali al giorno) presidiato da una guardia dendarii, Miles sbottò: «Ehi, Elli, andiamo… andiamo a guardare le vetrine.»

E fu così che a mezzanotte si ritrovarono a passeggiare in uno dei centri commerciali più alla moda, dove non solo le merci della Terra ma quelle di tutta la galassia erano a disposizione di chi aveva il danaro per comprarle. I passanti poi avrebbero fatto la gioia di uno studioso delle ultime tendenze della moda. Quell’anno erano tornate le piume, notò Miles e anche la seta sintetica, la pelle e le pellicce, in un revival dei tessuti naturali primitivi del passato. E la Terra aveva un passato così vasto a cui attingere. La giovane donna con quell’abito… be’, azteco-vichingo, e il giovanotto in piume e stivaloni stile 24° secolo che le dava il braccio, quei due attiravano davvero l’attenzione. Forse, dopo tutto, un basco dendarii non sarebbe stato eccessivamente antiquato e poco professionale.

Elli però, notò Miles con rammarico, non pareva godersi quella passeggiata: osservava i passanti con l’occhio di chi andava a caccia di armi nascoste e di movimenti improvvisi. Ma ad un certo punto si fermò, attratta sua malgrado dall’insegna di un negozio: PELLICCE COLTIVATE: UNA DIVISIONE DELLA BIOINGEGNERISTICA GALACTECH. Miles la sospinse all’interno.

Il negozio era spazioso ed elegante, segno inequivocabile dei prezzi che doveva praticare. Mantelli di volpe rossa, tappeti di tigre bianca, giacche di leopardo estinto, borsette, stivali e cinture in sgargiante lucertola tau cetana, panciotti in pelle di macaco bianco e nero… un olovideo trasmetteva senza sosta un programma in cui si spiegava che tutti quei materiali non provenivano dal massacro di animali vivi, ma dalle provette e dalle vasche di crescita della divisione S R della GalacTech. Venivano offerte persino diciannove specie estinte nel colore naturale. E per la collezione autunno-inverno, terminava il programma, pelle di rinoceronte arcobaleno e volpe bianca a tre quarti, nei colori pastello. Elli affondò le mani fino al polso in qualcosa che pareva un’esplosione di gatto persiano albicocca.

«Perde il pelo?» chiese Miles divertito.

«Assolutamente no» affermò il commesso. «Le pellicce coltivate della GalacTech hanno la garanzia di non perdere il pelo, non sbiadire o scolorire. Oltre ad essere resistenti allo sporco.»

Un largo taglio di setosa pelliccia nera si insinuò tra le braccia di Elli. «E questo cos’è? Non è certo una giacca…»

«Ah, quello è un articolo che va molto di moda, al momento» esclamò il commesso. «Si tratta dell’ultima novità in fatto di sistemi di feed-back biomeccanici. La maggior parte delle pellicce che vedete non sono altro che normali pelli conciate, ma questa… questa è una pelliccia viva. Questo modello può servire da coperta, copriletto o copripoltrona. La R D ne lancerà diversi tipi sul mercato, il prossimo anno.»

«Una pelliccia viva?» esclamò Elli inarcando deliziata le sopracciglia e il commesso si alzò sulla punta dei piedi in un’inconscia imitazione di quel gesto… il viso di Elli faceva sempre quell’effetto su chi non la conosceva.

«Proprio una pelliccia viva» ripeté, «ma senza i difetti dell’animale vivo: non perde il pelo, non mangia e…» tossicchiò discretamente, «e non ha bisogno della cassettina.»

«Aspetti un attimo» intervenne Miles, «se è così, non può definirlo "vivo": da dove trae energia, se non dalla scomposizione chimica del cibo?»

«Una rete elettromagnetica a livello cellulare raccoglie passivamente l’energia dall’ambiente circostante: dalle onde portanti degli olovideo e così via. E una volta al mese, se vi sembra che stia scaricandosi, potete ricaricarlo mettendolo per qualche minuto nel forno a microonde, al minimo. Ma la ditta non è responsabile dei danni che lo stesso compratore causa mettendo per sbaglio il programmatore del forno al massimo.»

«Tutto questo continua a non renderlo vivo» obiettò Miles.

«Le assicuro che questa coperta è stata creata incrociando i geni delle migliori specie di felis domesticus. Il nostro assortimento comprende anche il persiano bianco e il siamese "chocolate-point", nei colori naturali; abbiamo anche campioni di colori diversi, da adattare all’arredamento, in tutte le misure, che procuriamo su ordinazione.»

«Hanno fatto questo ad un gatto?» Miles osservò incredulo Elli che prendeva in braccio quell’enorme pelliccia senz’ossa.

«Lo accarezzi» disse il commesso a Elli.

La ragazza accarezzò la pelliccia e rise. «Fa le fusa!»

«Certo e inoltre ha un orientamento termotassico programmabile… in altre parole, vi si rannicchia addosso!»

Elli si avvolse da capo a piedi in quella pelliccia nera, che formò uno strascico simile a quello di una regina e poi strofinò la guancia su quel pelo setoso e lucente. «E che cosa si inventeranno, la prossima volta? Oh, ti viene voglia di strofinartelo tutto sulla pelle.»

«Davvero?» mormorò Miles in tono dubbioso. Ma poi ai suoi occhi si presentò l’immagine della deliziosa pelle di Elli che si strusciava su quella stoffa ronfante. «Davvero?» disse di nuovo, ma in tono completamente diverso, scoprendo i denti in una smorfia sorridente. «Lo prendiamo» disse rivolto al commesso.

L’imbarazzo arrivò quando Miles tirò fuori la sua carta di credito e guardandola, si rese conto che non poteva usarla: era quella del tenente Vorkosigan, su cui era registrato il suo stipendio dell’ambasciata, che avrebbe potuto compromettere del tutto la sua copertura. Vedendolo esitare, Elli guardò al di sopra delle sue spalle e Miles inclinò la carta verso di lei, nascondendola nel palmo e i loro occhi si incontrarono.

«Ah, no… no» convenne Elli e prese il proprio portafoglio.

Avrei dovuto prima chiedere il prezzo, pensò Miles mentre uscivano dal negozio trascinandosi dietro quell’ingombrante fagotto nel suo elegante sacchetto di plastica color argento. Alla fine il commesso era riuscito a convincerli che non c’era bisogno di praticare buchi per l’aria nella confezione. Be’, Elli era rimasta incantata da quella pelliccia e non era certo il caso di perdere l’opportunità di accontentare Elli solo per imprudenza o orgoglio… e lui voleva accontentarla. Le avrebbe restituito i soldi in seguito.

Ma adesso dove potevano andare a provare il loro acquisto? Miles cercò di farsi venire un’idea mentre lasciavano il centro commerciale e si dirigevano verso la più vicina entrata della metropolitana. Non voleva ancora che la notte finisse. Non sapeva cosa voleva. No, sapeva perfettamente cosa voleva, solo non sapeva se poteva averla.

E sospettava che neppure Elli sapesse quanto si erano spinti lontano i suoi pensieri. Un interludio romantico era una cosa, ma il cambiamento di carriera che lui stava pensando di proporle (che bel modo di formulare la frase), avrebbe sconvolto la sua esistenza. Elli, nata nello spazio, che nei momenti di distrazione chiamava "mangiapolvere" tutti quelli che stavano a terra; Elli, che si era programmata una sua carriera; Elli, che camminava sulla terra con tutto l’ovvio disgusto di una sirena fuor d’acqua. Elli era un paese indipendente, Elli era un’isola… e lui era un’idiota e questa faccenda doveva risolversi prima o poi, o sarebbe scoppiato.

Lo spettacolo della famosa Luna della Terra, preferibilmente specchiata nell’acqua, avrebbe fatto al caso loro. Ma purtroppo in quel settore il vecchio fiume di Londra era stato incanalato sottoterra durante il boom edilizio del ventitreesimo secolo che aveva ricoperto con una cupola tutto ciò che non erano vertiginosi grattacieli spiraleggianti per preservare gli edifici storici. La quiete, qualche bel posticino tranquillo, non erano facili a trovarsi in una città di milioni di persone indaffarate.

La tomba è un posto tranquillo e riservato, ma nessuno, credo, ci ha mai fatto l’amore… I dolorosi flashback degli avvenimenti su Dagoola si erano diradati nelle ultime settimane, ma questo lo prese del tutto alla sprovvista mentre si trovava in un tunnel pubblico di discesa… Elli stava cadendo, strappata alla sua presa malsicura da un vortice maligno (un difetto di progettazione del sistema anti-gravità), per essere ingoiata dal buio…

«Miles, ehi!» esclamò Elli. «Lasciami andare il braccio! Ma cosa succede?»

«…cadendo» boccheggiò Miles.

«Ma certo che stiamo cadendo,» confermò Elli «questo è un tunnel di discesa. Ti senti bene? Fammi vedere le pupille.» Afferrò una maniglia e la tirò verso la parete del tunnel, fuori dalla zona centrale di traffico veloce. I londinesi nottambuli continuarono a svolazzare attorno a loro. L’inferno era stato modernizzato, decise Miles completamente frastornato, e questo era un fiume di anime perse che scendeva gorgogliando in una fognatura cosmica, in fretta, sempre più in fretta.

Erano le pupille degli occhi di Elli ad essere grandi e scure…

«Le pupille ti si dilatano o si restringono quando ti viene una di quelle tue imprevedibili reazioni ai medicinali?» gli chiese preoccupata, il volto a pochi centimetri dal suo.

«Cosa fanno in questo momento?»

«Pulsano.»

«Allora sto bene» riuscì a dire Miles. «Ormai il medico controlla due volte tutto quello che mi fa prendere. Però mi aveva detto che poteva lasciarmi un po’ confuso.» Non le aveva lasciato andare il braccio.

E di colpo, Miles si rese conto che nel tunnel la differenza di altezza era annullata: erano sospesi faccia a faccia, anche se gli stivali di Miles galleggiavano sopra le sue anche… non aveva neppure bisogno di cercare una cassa per salirci sopra, né tantomeno di farsi venire il torcicollo… e d’impulso, affondò le labbra su quelle di lei.

Ci fu un istante di terrore nella sua mente, come l’attimo in cui si era tuffato dalle rocce in trenta metri di acqua limpida color smeraldo, anche se sapeva che era gelata, dopo che si era arreso alla gravità, ma prima di rendersi conto pienamente delle conseguenze del suo gesto.

L’acqua era calda, calda… gli occhi di Elli divennero ancor più grandi, per la sorpresa. Miles esitò, perdendo così quel prezioso istante di follia e fece per scostarsi. Allora le labbra di Elli si aprirono e la mano di lei lo afferrò alla nuca. Era una donna atletica e quella presa pur non essendo regolamentare era però un efficace modo di immobilizzarlo. E questa era la prima volta che essere immobilizzato a tappeto voleva dire che aveva vinto. Divorò le sue labbra come un affamato, le baciò le guance, le palpebre, la fronte, il naso… dov’era finita quella bocca dolcissima? Ah, eccola qui…

Il pacchetto voluminoso che conteneva la pelliccia viva cominciò ad andarsene lentamente alla deriva, sbattendo contro le pareti del pozzo. Vennero urtati da una donna in discesa che li gratificò di un’occhiata severa e poi da un divertito adolescente che scendendo all’impazzata al centro del tunnel, fischiò verso di loro, facendo un gesto esplicito e tutt’altro che decente e in quel momento, il cercapersone nella tasca di Elli si svegliò.

Imbarazzati, recuperarono il pacco, presero la prima uscita che trovarono, e passando di corsa sotto un arco, raggiunsero una piattaforma della metropolitana. Si fermarono e si guardarono, scossi. In un unico istante di follia, si rese conto Miles, aveva mandato a carte e quarantotto tutto il delicato equilibrio del loro rapporto e adesso cos’erano? Ufficiale e subalterno? Un uomo e una donna? Amico e amica? Amante e amante? Poteva essere un errore fatale.

Ma avrebbe potuto essere fatale anche senza l’errore: la lezione di Dagoola aveva lasciato il segno. L’individuo dentro l’uniforme era qualcosa di più di un semplice soldato, l’uomo era molto più complesso del suo ruolo. Domani la morte avrebbe potuto prendersi non solo lui, ma anche lei e un universo di possibilità e non solo un ufficiale comandante, si sarebbe estinto. L’avrebbe baciata di nuovo… ma qui, maledizione, arrivava solo a quella gola di avorio…

Quella gola di avorio emise un suono frustrato e Elli aprì il canale di sicurezza del comunicatore, dicendo: «Che diamine…?»

«Comandante Quinn?» disse la voce di Ivan Vorpatril, distante ma chiara. «Miles è con lei?»

Una smorfia di frustrazione curvò le labbra di Miles: il tempismo di Ivan era sovrannaturale, come sempre.

«Sì, perché?» rispose Quinn.

«Bene, allora gli dica di riportare qui le sue chiappe. Sto tenendogli aperto un buco nella rete di Sicurezza, ma non so per quanto ancora potrò reggere. Che diavolo, non so per quanto ancora potrò restare sveglio.» Dal comunicatore giunse un lungo annaspare che Miles interpretò come uno sbadiglio.

«Mio Dio, non pensavo che potesse farlo davvero» mormorò, afferrando il comunicatore. «Ivan? Puoi davvero farmi rientrare senza che mi vedano?»

«Solo per altri quindici minuti. E per farlo ho dovuto contravvenire a tutti i regolamenti del manuale e oltre. Sono di servizio al posto di guardia del terzo livello sotterraneo, dove si incrociano le fognature e le condutture elettriche. Posso cancellare dalla registrazione video l’inquadratura del tuo ritorno, ma solo se arrivi prima del caporale Veli. Non ho niente in contrario a rischiare le chiappe per te, ma non ho nessuna intenzione di rischiarle a vuoto, hai capito?»

Elli stava studiando sullo schermo la coloratissima mappa della metropolitana. «Direi che puoi farcela al pelo.»

«Non servirebbe a niente…»

Lei lo afferrò per il gomito e lo sospinse verso la bolla di trasporto, mentre nei suoi occhi la luce ferrea del dovere si sostituiva alla tenerezza. «Abbiamo ancora dieci minuti da stare insieme durante il tragitto.»

Miles si sfregò il volto, mentre lei andava a vidimare i biglietti, cercando di riportare con la forza un po’ di razionalità nella sua mente. Sollevò lo sguardo e vide il suo volto sfocato riflesso in una parete a specchio, soffuso di frustrazione e paura. Chiuse gli occhi con forza e poi guardò ancora, spostandosi a fianco del pilastro che nascondeva in parte la parete. Molto sgradevole: per un attimo aveva visto la sua immagine con indosso l’uniforme barrayarana. Maledetti analgesici. Era forse il suo subconscio che stava cercando di dirgli qualcosa? Be’, probabilmente sarebbe stato davvero nei guai solo nel momento in cui l’elettroencefalogramma del suo cervello, preso mentre indossava le due diverse uniformi, avesse mostrato due tracciati differenti…

Riflettendoci bene, però, quell’idea non era per niente divertente.

Durante il tragitto tenne abbracciata Elli in preda a sensazioni molto più complicate del semplice desiderio sessuale. Si baciarono seduti nel vagone bolla, ma fu più una sofferenza che un piacere; e quando arrivarono a destinazione, Miles era nel peggior stato di eccitazione fisica che avesse mai sperimentato. Senza dubbio tutto il suo sangue aveva abbandonato il cervello per ingolfarsi all’inguine, trasformandolo in un idiota sopraffatto dalla lussuria e dall’ipossia.

Elli lo salutò sul marciapiede del distretto dell’ambasciata con un sussurro angosciato: «A più tardi…!» E fu solo dopo che la galleria della metropolitana l’ebbe ingoiata che Miles si rese conto che gli aveva lasciato il sacchetto, da cui usciva un ritmico vibrare.

«Che grazioso animaletto.» Miles sollevò il pacco con un sospiro e zoppicando, si avviò verso casa.


Il mattino seguente si svegliò con il cervello annebbiato, avvolto in una ronfante pelliccia nera.

«Un cosina molto amichevole, vero?» commentò Ivan.

Miles si districò dal pelo, sputacchiando. Il commesso aveva mentito: era ovvio che quella quasi bestia mangiava la gente, non le radiazioni; le avviluppava silenziosamente nottetempo e le ingoiava, come un’ameba… maledizione, lui l’aveva lasciato ai piedi del letto. Migliaia di bimbi, che scivolavano sotto le coperte per proteggersi dai mostri nascosti negli armadi, stavano per avere una brutta sorpresa. Quell’educato e colto commesso di pellicce era chiaramente un agent-provocatuer assassino cetagandano…

Con indosso solo la biancheria e lo spazzolino che spuntava in mezzo agli incisivi candidi, Ivan si chinò e passò la mano su quel pelo setoso e nero. La pelliccia si increspò, come se cercasse di sollevare la schiena per seguire le carezze. «È sorprendente» articolò Ivan facendo passare lo spazzolino da un lato all’altro delle guance non rasate. «Ti viene voglia di strofinartelo su tutta la pelle.»

Miles immaginò Ivan che si sdraiava pigramente su… «Accidenti» esclamò rabbrividendo. «Dov’è il caffè?»

«Da basso, dopo che ti sarai vestito per benino con l’uniforme regolamentare. Cerca almeno di avere l’aspetto di uno che è rimasto a letto da ieri pomeriggio.»

Miles sentì puzza di guai non appena Galeni lo fece chiamare perché si presentasse da solo nel suo ufficio, mezz’ora dopo l’inizio del loro turno di servizio.

«Buon giorno, tenente Vorkosigan» lo salutò Galeni con un sorriso affabile e falso, che era orribile quanto i suoi rari sorrisi sinceri erano accattivanti.

«Buon giorno, signore» rispose Miles cauto.

«Vedo che ha completamente superato il suo attacco osteo-infiammatorio.»

«Sissignore.»

«Prego, si sieda.»

«Grazie, signore.» Miles si sedette, guardingo: niente analgesici, quel mattino. Dopo l’avventura della notte precedente, coronata da quella sconvolgente allucinazione nel tunnel di discesa, li aveva buttati nel gabinetto, e si era fatto un appunto mentale per ricordarsi di dire al medico della flotta che c’era un’altra medicina che doveva cancellare dalla lista. Galeni corrugò le sopracciglia, come afferrato da un dubbio improvviso, poi il suo sguardo si posò sulla fasciatura alla mano destra di Miles. Questi si agitò sulla sedia, e cercando di non farsi notare, la nascose dietro la schiena. Galeni fece una smorfia acida e accese lo schermo olovideo.

«Questa mattina ho pescato per caso un servizio affascinante nel notiziario locale» disse, «e ho pensato che le avrebbe fatto piacere vederlo.»

Io penso che preferirei di gran lunga cadere morto e stecchito sul suo tappeto, signore. Miles sapeva esattamente di cosa si trattava. Maledizione, e lui che si era preoccupato solo della possibilità che lo vedessero i cetagandani!

L’introduzione della giornalista della rete Euronews era stata chiaramente registrata dopo, perché sullo sfondo, l’incendio nel negozio di vini era quasi spento, mentre quando comparve il primo piano del volto sporco e bruciacchiato dell’ammiraglio Naismith, le fiamme erano ancora alte. «… uno sfortunato malinteso» tossicchiò Miles nel suo accento betano. «… Vi assicuro che svolgeremo un’inchiesta approfondita…» Il campo lungo di lui che rotolava fuori dal negozio con la sfortunata impiegata era solo moderatamente spettacolare; era un peccato che non fosse successo di notte, allora sì che sarebbe stato spettacolare, con tanto di fiamme, scintille e fuochi d’artificio. L’ira e lo sconcerto del volto di Naismith sull’olovideo si riflettevano ora su quello di Galeni. Miles ebbe un guizzo di simpatia per il suo superiore: non doveva essere un piacere comandare dei subordinati che non si attenevano agli ordini e se ne venivano fuori con le imprese più idiote. Galeni non lo avrebbe apprezzato.

Finalmente il servizio terminò; Galeni spense il video, si adagiò contro lo schienale e fissò Miles con sguardo severo. «Allora?»

L’istinto avvertì Miles che non era il momento di fare i furbi. «Signore, il comandante Quinn mi ha chiamato ieri pomeriggio all’ambasciata avvertendomi dell’incidente, perché io ero l’ufficiale dendarii più vicino che potesse intervenire. E ha avuto ragione. La mia tempestiva comparsa sul luogo ha impedito che vi fossero dei feriti, se non addirittura dei morti. Devo chiedere scusa per essermi assentato senza permesso, ma non posso pentirmi di averlo fatto.»

«Chiedere scusa?» ronfò Galeni, controllando la rabbia. «Lei era fuori, era ANA, senza scorta, in flagrante violazione degli ordini. È chiaro che solo per una manciata di secondi sono stato privato del piacere di trasformare il mio rapporto al QG della Sicurezza in una richiesta diretta su dove spedire il suo corpo arrostito alla griglia! Ma la cosa più interessante è che lei sia riuscito a teletrasportarsi fuori e dentro l’ambasciata senza lasciare la benché minima traccia nelle registrazioni della sicurezza. E lei intende accantonare tutto con delle scuse? Temo che non basti, tenente.»

Miles si aggrappò all’unico appiglio che aveva. «Non ero senza guardia del corpo, signore: il comandante Quinn era presente. Non voglio accantonare nulla.»

«Allora può cominciare con lo spiegarmi in dettaglio come ha fatto ad attraversare la rete di sicurezza senza che nessuno si accorgesse di lei.» Galeni incrociò le braccia, inalberando un irato cipiglio.

«Io…» Era arrivato al bivio: confessare avrebbe messo in pace la sua anima, ma poteva tradire Ivan? «Sono uscito dalla porta principale, in mezzo ad un gruppo di ospiti che stava lasciando il ricevimento e poiché indossavo l’uniforme dendarii, la guardia ha immaginato che fossi uno di loro.»

«E per rientrare?»

Miles tacque. Galeni doveva conoscere tutti i fatti per poter rimettere insieme la rete di sicurezza, ma tra le altre cose Miles non sapeva assolutamente come Ivan si fosse beffato delle videocamere né tantomeno del caporale di guardia. Era crollato addormentato senza avere il tempo di chiedere i particolari.

«È inutile che cerchi di proteggere Vorpatril, tenente» gli fece notare Galeni. «La mia prossima vittima è lui.»

«Che cosa le fa pensare che sia coinvolto Ivan?» disse Miles, cercando di guadagnare tempo per pensare. No, avrebbe fatto meglio a pensare prima.

«Cerchi di essere serio, Vorkosigan» lo rimbeccò Galeni in tono disgustato.

Miles prese fiato. «Tutto quello che Ivan ha fatto, l’ha fatto per ordine mio. La responsabilità ricade completamente su di me. Se lei si dichiara d’accordo nel non accusarlo di niente, gli chiederò di di farle un rapporto completo su come è riuscito a creare un buco temporaneo nella rete di sicurezza.»

«Ah, davvero?» Le labbra di Galeni si tesero. «Le è passato per la mente che in questa catena di comando, il tenente Vorpatril è suo superiore in grado?»

«No, signore. Mi è sfuggito di mente.»

«E anche a lui, pare.»

«In un primo tempo la mia intenzione era quella di assentarmi solo il minimo indispensabile e l’ultima delle mie preoccupazioni era trovare il modo di rientrare. Quando le cose si sono protratte, mi è parso evidente che sarei dovuto tornare senza sotterfugi, ma erano ormai le due di notte e Ivan si era dato tanto da fare… mi sembrava di non dover sprecare l’occasione.»

«E inoltre» aggiunse Galeni sotto voce, «sembrava che potesse funzionare…»

Miles trattenne un sorriso. «Ivan è solo un complice innocente. Può accusare me di tutto quello che vuole, signore.»

«La ringrazio per il suo gentile permesso, tenente.»

Punto sul vivo, Miles scattò: «Maledizione, signore, cosa vuole da me? I dendarii sono truppe barrayarane tanto quanto chiunque altro indossi l’uniforme dell’Impero, anche se loro non lo sanno. E sono stati affidati a me. Non posso trascurare i loro bisogni immediati, neppure per recitare la parte del tenente Vorkosigan.»

Galeni inclinò all’indietro la sedia, sollevando le sopracciglia divertito. «Recitare la parte del tenente Vorkosigan? Chi crede di essere

«Io sono…» Afferrato da un improvviso capogiro, Miles si interruppe. Era come se stesse precipitando per un tunnel di caduta, tanto che per un istante non riuscì neppure a capire il senso della domanda. Il silenzio si prolungò.

Galeni intrecciò le mani sul tavolo e proseguì in tono più accomodante: «Ha un po’ perso l’orientamento, vero?»

«Io sono…» Miles aprì le mani in un gesto di resa. «Quando sono l’ammiraglio Naismith è mio dovere esserlo nel modo più totale. In genere non mi capita di dover passare in questo modo da un’identità all’altra.»

Galeni inclinò la testa di lato. «Ma l’ammiraglio Naismith non è reale, lo ha detto lei stesso.»

«Uh… è vero, signore, Naismith non è reale.» Miles inspirò a fondo. «Ma i suoi doveri lo sono. Dobbiamo pensare a un sistema più razionale che mi metta in grado di svolgerli.»

Sembrava che Galeni non si fosse reso conto che, per quanto accidentale, l’entrata di Miles nel suo effettivo aveva aumentato il numero non di una, bensì di cinquemila unità. Ma quando quell’idea si fosse fatta strada nella sua mente, avrebbe cercato di impicciarsi degli affari dei dendarii? Miles strinse i denti per impedirsi in tutti i modi di fargli presente quella possibilità, mentre un lampo improvviso… di gelosia? gli annebbiava la mente. Spero che Galeni continui a pensare che la Flotta dei dendarii è una faccenda che riguarda esclusivamente me…

«Uhm… sì, bene» disse Galeni massaggiandosi la fronte, «nel frattempo, quando il dovere dovesse chiamare ancora l’ammiraglio Naismith, lei verrà subito da me, tenente Vorkosigan.» Sospirò e proseguì: «Le ordinerei di restare nel suo alloggio, ma l’ambasciatore ha espressamente richiesto la sua presenza come accompagnatore oggi pomeriggio. Ma non dimentichi che avrei potuto deferirla con gravi accuse… come ad esempio disobbedienza agli ordini.»

«Ne sono… perfettamente consapevole… ehm, signore. E… Ivan?»

«In quanto ad Ivan, vedremo» Galeni scosse il capo, come se stesse appunto considerando il caso di Ivan. Miles non poteva biasimarlo.

«Sissignore.» disse Miles, decidendo che per il momento non poteva spingersi oltre.

«Può andare.»

Di bene in meglio, fu il sardonico pensiero di Miles mentre usciva dall’ufficio di Galeni: prima pensava che fossi solo un insubordinato, adesso pensa che io sia pazzo.

Qualunque sia la mia identità.


L’evento politico-mondano del pomeriggio era un ricevimento con pranzo in onore del Baba di Lairouba, in visita alla Terra. Il Baba, capo di stato ereditario del suo pianeta, aveva unito i doveri politici a quelli religiosi. Dopo aver concluso il pellegrinaggio alla Mecca, era venuto a Londra per prendere parte, come rappresentante del gruppo di pianeti del Braccio Occidentale di Orione, ai colloqui sui diritti di passaggio. Tau Ceti era il mozzo di quella distorsione, al quale Komarr si collegava attraverso due rotte: da qui l’interesse di Barrayar.

I doveri di Miles erano i soliti. In questo caso si trovò a far coppia con una delle quattro mogli del Baba e non era sicuro di poterla classificare come una orribile matrona… i brillanti occhi marroni e le mani lisce color cioccolata erano molto graziose, ma il resto del suo corpo era avvolto in metri e metri di seta color crema dal bordo ricamato in oro, che suggeriva una bellezza formosa, come quella di un seducente materasso.

In quanto al suo spirito, non ebbe modo di giudicarlo, perché la donna non parlava né inglese, né francese, né russo o greco, né nella versione barrayarana né in nessun altra e Miles non parlava né lairoubano né arabo. Tutto questo perché, sfortunatamente, la scatola dei microtraduttori era stata consegnata ad un indirizzo sbagliato dalla parte opposta di Londra, e così più della metà dei diplomatici presenti non era in grado di fare altro che fissare il suo vicino e sorridere. Per tutta la durata del pranzo, Miles e la signora si intesero sulle necessità più immediate a gesti: Vuole il sale, signora? e in un paio di occasioni lui la fece ridere. Ma senza sapere per cosa.

Circostanza ancor più sfortunata, prima che potessero venir cancellati i discorsi di rito ai brindisi, arrivarono degli altri microtraduttori, consegnati da un fattorino ansante. E così, a beneficio della stampa, si tennero tutti i discorsi di augurio nelle lingue più svariate. Poi il pranzo ebbe termine e la compagna di Miles venne raggiunta e portata via da altre due co-mogli, lasciandolo libero di andare raggiungere il gruppo dell’ambasciatore barrayarano. Mentre girava attorno ad un altissima colonna di alabastro che sorreggeva il soffitto a volta, si ritrovò faccia a faccia con la giornalista della rete Euronews.

«Mon Dieu, il piccolo ammiraglio» esclamò tutta allegra. «Cosa ci fa qui?»

Ignorando il grido angosciato del suo cervello, Miles assunse un’espressione educatamente perplessa. «Come dice, signora?»

«Ammiraglio Naismith o…» nei suoi occhi si accese una luce di interesse quando vide l’uniforme che indossava. «Si tratta forse di una missione segreta dei mercenari, ammiraglio?»

Passò un istante. Poi Miles spalancò gli occhi e lasciò che la sua mano si appoggiasse sull’esterno dei pantaloni della sua uniforme, alla ricerca di un’arma che non c’era. «Mio Dio» esclamò con voce soffocata dall’orrore (quello non era difficile imitarlo), «intende forse dire che l’ammiraglio Naismith è stato visto sulla Terra?»

La giornalista sollevò il mento e dischiuse le labbra in un sorrisetto incredulo. «Nel suo specchio, di certo.»

Si vedevano molto le strinature sulle sopracciglia? E la mano sinistra era ancora fasciata. Non è un’ustione, madame, pensò fuori di sé, me la sono tagliata facendomi la barba…

Di colpo si mise sull’attenti, facendo sbattere i tacchi dei lustri stivali e le rivolse un piccolo inchino formale. Poi, con un pesante e caricato accento barrayarano, disse: «C’è un errore, signora. Io sono Lord Miles Vorkosigan di Barrayar, tenente del Servizio Imperiale. Non che non aspiri al grado di cui mi ha gratificato, ma mi sembra un tantino prematuro.»

«Le sue ustioni sono guarite, signore?» proseguì lei imperterrita con il più dolce dei suoi sorrisi.

Miles inarcò le sopracciglia (No, non avrebbe dovuto metterle in mostra). «Naismith si è ustionato? Lo ha visto? Quando? Le spiace se ne parliamo? L’uomo a cui ha accennato riveste un interesse particolare per la Sicurezza Imperiale Barrayarana.»

Lei lo squadrò da capo a piedi. «Non mi meraviglio, visto che siete la stessa persona.»

«La prego, venga, venga da questa parte» E adesso come avrebbe fatto a cavarsela? La prese per un braccio e la condusse verso un angolino appartato. «Certo che siamo la stessa persona: l’ammiraglio Naismith dei Mercenari Dendarii è il mio…» gemello legittimo? No, questa non poteva proprio funzionare. Ma l’illuminazione non sorge piano come il sole, è piuttosto un lampo a ciel sereno: «… clone» terminò tranquillo.

«Che cosa?» La sua certezza si stava incrinando. Lo guardò con rinnovato interesse.

«Il mio clone» ripeté Miles con voce più ferma. «È una creazione straordinaria. Noi pensiamo, anche se non siamo mai stati in grado di averne conferma, che Naismith sia il risultato di un’azione cetagandana che doveva restare segreta e che invece gli è del tutto sfuggita dalle mani. E comunque la scienza medica cetagandana è assolutamente in grado di creare un clone. I particolari reali dei loro esperimenti genetici militari la farebbero inorridire.» Miles si interruppe: almeno quell’ultima affermazione era vera. «A proposito, lei chi è?»

«Lise Vallerie» rispose lei mostrandogli il tesserino-stampa. «Della rete Euronews.»

Il fatto stesso che avesse ritenuto di doversi presentare di nuovo, disse a Miles che aveva scelto la strada giusta. «Ah» esclamò ritraendosi di un passo, «la televisione. Non me ne ero reso conto. La prego di scusarmi, signora, ma non posso parlarle senza il permesso dei miei superiori.» E fece per voltarsi.

«No, aspetti… ah… Lord Vorkosigan, oh… non sarà mica parente di quel Vorkosigan, vero?»

Miles sollevò il mento, cercando di assumere un’aria severa. «È mio padre.»

«Oh» sussurrò lei nel tono di chi ha ricevuto l’illuminazione. «Questo spiega tutto.»

Infatti pensavo che sarebbe stato così, pensò Miles allegro. Poi fece ancora il gesto di andarsene e la giornalista gli si aggrappò come un edera. «No, la prego… se non sarà lei a darmi i particolari, stia pur certo che indagherò per conto mio.»

«Be’…» Miles si interruppe. «Dal nostro punto di vista è storia vecchia. Però immagino di poterle dare delle informazioni, dal momento che la cosa riguarda espressamente me. Ma quanto le dirò non dovrà essere divulgato al pubblico. Prima deve darmi la sua parola che non lo farà.»

«La parola di un Lord Vor barrayarano è sacra, vero?» rispose lei. «Io non rivelo mai le mie fonti.»

«Molto bene» disse Miles, fingendo di credere che avesse promesso, anche se in realtà le sue parole non avevano detto nulla di simile. Afferrò un paio di sedie e si sedettero lontani dai roboservi che stavano sparecchiando il tavolo del banchetto. Poi Miles si schiarì la gola e si lanciò.

«Il costrutto biologico che si fa chiamare ammiraglio Naismith è forse… l’uomo più pericoloso della galassia. Astuto, intrepido, sia il servizio segreto cetagandano che quello barrayarano hanno cercato di assassinarlo, in passato, ma senza successo. Lui si è costruito una base potente, con la Flotta dei Dendarii e ancora non sappiamo cosa intenda farne, anche se è certo che deve avere un piano.»

Vallerie si portò la mano alle labbra, con aria dubbiosa. «Mi è parso… molto gradevole, quando gli ho parlato. Date le circostanze, naturalmente, e di certo un uomo coraggioso.»

«Ah, proprio quella è la genialità e la meraviglia di quell’uomo» esclamò Miles e poi decise di abbassare un tantino il tono. «Il carisma. Di certo i cetagandani, se sono stati loro, intendevano farne qualcosa di straordinario. È un genio militare, sa?»

«Aspetti un attimo» lo interruppe. «Lei dice che è un clone vero, non una semplice copia esteriore? E allora deve essere ancor più giovane di lei.»

«Sì. La sua crescita e la sua istruzione sono state accelerate artificialmente, fino ai limiti consentiti dal processo, pare. Ma lei dove lo ha visto?»

«Qui a Londra» rispose e fu sul punto di aggiungere altro, ma si trattenne. «Ma lei dice che Barrayar sta cercando di ucciderlo?» Si scostò impercettibilmente. «Credo che sia meglio che glielo lasci rintracciare da solo.»

«No, adesso non più» rispose Miles con un risatina secca, «adesso non vogliamo ucciderlo, ma ci limitiamo a seguire le sue tracce. E negli ultimi tempi lo avevamo perso di vista, cosa che rende molto nervosi gli addetti alla mia sicurezza. È chiaro che all’inizio era stato creato per sostituirmi, per un complotto che aveva mio padre come bersaglio ultimo. Ma sette anni fa è sfuggito ai suoi creatori-secondini e ha cominciato a lavorare in proprio. Noi… Barrayar, intendo, adesso ne sappiamo troppo sul suo conto perché cerchi di nuovo di sostituirsi a me.»

«Però potrebbe farlo» disse lei osservandolo attentamente. «Potrebbe davvero.»

«Forse sì» rispose Miles con un sorriso cupo. «Ma se mai dovessimo trovarci insieme nella stessa stanza, si accorgerebbe che io sono più alto di almeno due centimetri. Ho avuto una crescita tardiva, dovuta alle cure di ormoni…» tutta quella panzana doveva finire in fretta… ma continuò a blaterare.

«Però i cetagandani stanno sempre cercando di ucciderlo. Fino ad ora questa è la prova migliore che abbiamo a conferma che Naismith sia una loro creazione. È chiaro che lui deve sapere molte cose che a noi sono oscure, e ci piacerebbe moltissimo averlo nelle nostre mani.» E le rivolse un invitante sorriso canino, orrendamente falso. La giornalista si ritrasse di qualche altro centimetro.

Miles strinse i pugni, furente. «La cosa più irritante di quell’uomo è la sua sfrontatezza. Avrebbe potuto almeno scegliersi un altro nome, e invece ostenta il mio. Forse ci si è abituato mentre lo addestravano a diventare la mia copia. Parla con accento betano e ha preso il cognome betano da signorina di mia madre, come si usa su Beta e lo sa perché?»

Già, perché, perché…

Lei scosse il capo e lo fissò affascinata e inorridita.

«Perché secondo la legge betana sui cloni, lui sarebbe legalmente ed effettivamente mio fratello, ecco perché! Sta tentando di conquistarsi una falsa legittimità e io non sono sicuro di sapere perché. Forse questo è indizio di una sua debolezza. Deve avere una debolezza, da qualche parte, una falla nell’armatura… a parte la pazzia ereditaria, naturalmente…» si interruppe ansimando. Sperando che la donna pensasse che fosse per la rabbia repressa e non per il terrore represso.

Grazie a Dio, l’ambasciatore gli stava facendo cenno dall’altra parte della stanza; lui e il gruppo barrayarano erano pronti ad andarsene. «La prego di scusarmi, signora» disse alzandosi, «devo andare. Ma, ah… se dovesse incontrare di nuovo Naismith, lo considererei un grande favore se si mettesse in contatto con me all’ambasciata barrayarana.»

Perché? chiesero silenziosamente le labbra di lei, mentre si alzava guardinga. Miles si chinò sulla sua mano, eseguì un perfetto dietro-front e si allontanò.

Dovette fare uno sforzo per non mettersi a correre giù dagli scalini del palais di Londra per raggiungere l’ambasciatore. Un genio, era un fottuto genio. Perché in tutti quegli anni non gli era mai venuta in mente quella storia come copertura? Il capo della Sicurezza Imperiale Illyan ne sarebbe rimasto estasiato. E forse perfino Galeni si sarebbe rallegrato un po’.

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