CAPITOLO TREDICESIMO

Quando Miles tornò nella sua stanza per indossare di nuovo l’uniforme da ammiraglio dendarii con cui era arrivato, circa una vita e mezza fa, Ivan lo seguì.

«Non volevo restare a vedere quello che succederà di sotto» spiegò. «Destang è lanciato in un’interminabile filippica e scommetto che terrà Galeni in piedi per tutta la notte, nel tentativo di farlo cadere in contraddizione.»

«Maledizione!» Miles appallottolò la giacca dell’uniforme verde e la lanciò contro una parete della stanza, ma questo non bastò a scaricare la sua frustrazione. Si sedette di peso su di un letto, si tolse gli stivali, li prese in mano, poi scosse il capo e li lasciò cadere, disgustato. «Mi brucia: Galeni merita una medaglia, non un fardello di colpa e di dolore. Be’… se non è riuscito Ser Galen a farlo cedere, immagino che non ci riuscirà neppure Destang. Ma non è giusto, non è giusto…» Rimuginò in silenzio per un attimo. «E sono stato io che ho messo in moto tutto. Maledizione!»

Elli gli porse l’uniforme grigia senza fare commenti, ma Ivan non ebbe lo stesso tatto.

«Be’, buon viaggio, Miles. Penserò a te, al sicuro lassù, mentre qui la squadra di Destang farà le pulizie di fino. Sospettosi come il demonio… non si fideranno nemmeno delle loro nonne. Ci toccherà a tutti: ci fregheranno, strizzeranno e ci appenderanno ad asciugare nel vento gelido della notte.» Si avvicinò al suo letto, guardandolo con nostalgia. «Non ha senso che vada a dormire: di sicuro prima di domani mattina mi avranno già chiamato per interrogarmi.» Si sedette con aria fosca.

All’improvviso, Miles fissò Ivan con aria intenta. «Huh. Già, ti troverai proprio al centro della zona calda, per i prossimi giorni, eh?»

Messo sul chi vive dal cambiamento di tono, Ivan lo guardò sospettoso. «Proprio. E allora?»

Miles scosse i pantaloni dell’uniforme e il suo comunicatore riservato cadde sul letto. «Supponiamo» disse mentre si infilava i pantaloni grigi dell’uniforme dendarii, «supponiamo che io mi ricordi di restituire il mio comunicatore, prima di andarmene. E supponiamo che Elli dimentichi di restituire il suo.» Sollevò una mano ed Elli smise di frugare nella giacca. «E supponiamo che tu te lo cacci in tasca, con l’intenzione di restituirlo al sergente Barth appena avrai anche l’altro.» Lanciò il comunicatore ad Ivan che lo afferrò al volo, automaticamente, ma subito lo allontanò da sé, tenendolo tra il pollice e l’indice, come se fosse qualche orribile verme che aveva trovato sotto un sasso.

«E supponiamo che io ricordi cosa mi è successo l’ultima volta che ti ho aiutato in segreto?» ribatté il cugino in tono aggressivo. «Quel piccolo colpo di mano per farti rientrare nell’ambasciata quella notte che hai cercato di incendiare Londra è ormai sul mio curriculum. I cani da caccia di Destang avranno le convulsioni non appena lo vedranno, alla luce delle presenti circostanze. Supponiamo che te lo cacci su per…» il suo sguardo si posò su Elli, «… per un orecchio, invece?»

Miles infilò la testa e le braccia nella maglietta nera e la tirò giù, emergendo con un sorriso sulle labbra e cominciò ad infilarsi gli stivali della divisa dendarii. «È solo una precauzione, magari non lo userò mai. È per avere una linea privata all’interno dell’ambasciata in caso di emergenza.»

«Non riesco ad immaginare una situazione di emergenza» ribatté Ivan con aria virtuosa, «nella quale un giovane e leale ufficiale non possa rivolgersi al suo comandante di settore della sicurezza.» Poi proseguì con voce severa: «E nemmeno Destang. Dimmi un po’, cosa stai covando in quella tua mente contorta, Cugino?»

Miles chiuse gli stivali e assunse un’aria seria. «Non lo so ancora… ma potrei ancora avere una possibilità di salvare… qualcosa da questo casino.»

«Pensavo che qualcosa lo avessimo salvato» commentò Elli che aveva ascoltato attentamente. «Abbiamo scoperto un traditore, chiuso una falla nella sicurezza, mandato a monte un rapimento, sventato un complotto pericoloso contro l’Impero di Barrayar. E siamo stati pagati. Cosa vuoi di più, in una settimana?»

«Be’, sarebbe tutto molto bello se fosse avvenuto di proposito e non per caso» rispose Miles.

Elli ed Ivan si scambiarono un’occhiata al di sopra della testa di Miles, mentre sui loro volto cominciava a dipingersi la stessa espressione di disagio. «Che altro vuoi salvare, Miles?» le fece eco Ivan.

Sempre continuando a fissare gli stivali, Miles corrugò la fronte. «Qualcosa; un futuro. Una seconda occasione. Una… possibilità.»

«È il clone, vero?» disse Ivan duro. «Hai perso il senno e ti sei lasciato ossessionare da quel maledetto clone.»

«Carne della mia carne, Ivan.» Miles voltò le mani e se le osservò. «Su certi pianeti lo chiamerebbero mio fratello. Su altri potrebbero persino chiamarlo mio figlio, dipende dalle leggi che regolano la clonazione.»

«Per una cellula! Su Barrayar, quando ti spara, lo chiamano il tuo nemico» disse Ivan. «Hai qualche problema con la memoria a breve termine? Quella gente ha appena cercato di farti fuori, solo ieri mattina!»

Miles sorrise, senza replicare.

«Sai» disse Elli prudente, «se decidessi di volere davvero un clone, potresti fartene fare uno. Senza… ehm… tutti i problemi di quello attuale. Hai triliardi di cellule…»

«Io non voglio un clone» disse Miles. Io voglio un fratello. «Ma pare che mi sia stato… assegnato questo.»

«Pensavo che fosse stato Ser Galen a comprare e pagare questo» si lamentò Elli. «L’unica cosa che i komarrani intendevano assegnarti era la morte. Per la legge del Gruppo Jackson, suo pianeta di origine, il clone appartiene senza ombra di dubbio a Galen.»

Briccone di Norfolk, non essere sfrontato, sussurrò a Miles la sua memoria, perché Dickon il tuo padrone, è comprato e venduto… «Persino su Barrayar» disse in tono pacato, «nessun essere umano può possederne un altro. Galen è andato lontano nella rincorsa del suo… principio di libertà.»

«In ogni caso» disse Ivan, «tu ormai sei fuori gioco, la palla è passata all’alto comando. Ho sentito i tuoi ordini di marcia.»

«Hai anche sentito Destang dire che intendeva uccidere il mio clone, se ci riusciva?»

«Già, e allora?» ribatté Ivan in tono testardo, un’ostinazione che nasceva dal panico. «Tanto a me non piaceva, era un piccolo serpente viscido.»

«Anche Destang è un maestro nell’arte del rapporto definitivo» disse Miles. «Anche se mi assentassi senza permesso in questo istante, non riuscirei fisicamente a tornare su Barrayar, per intercedere presso mio padre per la vita del clone, convincerlo ad appellarsi a Simon Illyan perché revochi l’ordine e tornare sulla Terra prima che fosse ucciso.»

Ivan era sconvolto. «Miles, ho sempre pensato che mi sarei sentito molto imbarazzato a chiedere allo zio Aral di favorirmi nella carriera, ma credevo che tu ti saresti lasciato pelare e bollire prima di andare a piangere da tuo padre per qualunque cosa! E vuoi cominciare scavalcando un commodoro? Nessun ufficiale comandante ti vorrebbe più dopo una cosa simile!»

«Certo, preferirei morire» rispose Miles con voce neutra, «però non posso chiedere ad un altro di morire per me. Ma comunque è irrilevante, non potrei farcela.»

«Grazie a Dio» esclamò Ivan, fissandolo sconvolto.

Se non riesco a convincere due dei miei migliori amici che ho ragione, allora forse ho torto.

O forse è una cosa che devo fare da solo.

«Voglio semplicemente tenere aperta una linea, Ivan» disse. «Non sto chiedendoti di fare niente…»

«Già…» fu il cupo commento di Ivan.

«Darei il comunicatore a Galeni, ma sarà di sicuro sotto stretta sorveglianza, lo scoprirebbero e la cosa apparirebbe… ambigua.»

«E invece con me va bene?» chiese Ivan in tono lamentoso.

«Puoi farlo.» Miles finì di allacciarsi la giacca, si alzò e tese la mano perché Ivan gli restituisse il comunicatore. «O non farlo.»

Ivan distolse lo sguardo e con un gesto sconsolato si mise il comunicatore nella tasca dei pantaloni. «Ci penserò.»

Miles chinò la testa in un gesto di ringraziamento.


Presero una navetta dendarii che stava per decollare dallo spazioporto di Londra per riportare in orbita il personale in libera uscita. In realtà, Elli aveva chiamato e aveva dato ordine che li aspettassero. Miles fu molto sollevato di non dover correre per prenderla e gli sarebbe piaciuto farsi una passeggiatina se la consapevolezza degli impellenti doveri dell’ammiraglio Naismith non gli avessero fatto automaticamente accelerare il passo.

Proprio mentre i motori si accendevano, un dendarii ritardatario attraversò di corsa gli ultimi metri che lo separavano dalla navetta e saltò sulla rampa di imbarco che già stava rientrando. Riconoscendo il ritardatario, il soldato che era di guardia al portello mise via il fucile e gli tese una mano per aiutarlo a salire, mentre la navetta rollava sulla pista.

Miles, Elli ed Elena Bothari-Jesek erano seduti in fondo; fermandosi a riprendere fiato, il soldato ultimo arrivato vide Miles, lo riconobbe ed eseguì il saluto.

«Ah, sergente Siembieda» disse Miles, restituendo il saluto. Ryann Siembieda era un coscienzioso tecnico del dipartimento ingegneria, incaricato della manutenzione e della riparazione delle armature da battaglia e dell’equipaggiamento leggero. «L’hanno scongelata!»

«Si, signore.»

«Mi hanno detto che la sua prognosi era favorevole.»

«Mi hanno buttato fuori dall’ospedale due settimane fa e sono stato in licenza. Anche lei, signore?» chiese Siembieda notando il sacchetto argentato ai piedi di Miles, che conteneva la pelliccia animata.

«Sì e no» rispose Miles, spingendo il sacchetto sotto il sedile con il tacco degli stivali. «In realtà, mentre lei si divertiva, io lavoravo e così ora abbiamo di nuovo un incarico. È stato un bene che lei si sia preso la licenza finché c’era tempo.»

«La Terra è stupenda» sospirò il sergente «ed è stata una sopresa risvegliarmi qui. Ha visitato il Parco dell’Unicorno? Io ci sono stato ieri.»

«Purtroppo non ho potuto vedere molto» rispose Miles con rammarico.

Siembieda tolse di tasca un olocubo e glielo porse. Il Parco dell’Unicorno e della Fauna Selvatica (una divisione della Bioingegneristica GalacTech), lo informò la guida, era stato creato sul terreno appartenente alla famosa proprietà storica di Wooton, nel Surrey. Sul video comparve un animale di un bianco luminoso che pareva un incrocio tra un cavallo e un cervo (e probabilmente lo era) che attraversò l’erba a grandi balzi e scomparve tra gli arbusti.

«Si può dare da mangiare ai leoni addomesticati» lo informò Siembieda.

Alla mente di Miles si presentò l’immagine di Ivan, con indosso una toga, che veniva buttato giù da un trasporto volante in mezzo a un branco grossi di felini affamati che seguivano eccitati il velivolo. Aveva letto troppa storia terrestre. «Che cosa mangiano?» chiese.

«Cubi di proteine, proprio come noi.»

«Ah» commentò Miles, cercando di non avere l’aria troppo delusa e restituì il cubo.

Ma il sergente non accennò ad andarsene. «Signore…» cominciò esitando.

«Sì?» rispose Miles in tono incoraggiante.

«Ho ripassato le mie procedure… mi hanno esaminato e dichiarato abile ai lavori leggeri… ma non riesco a ricordare assolutamente niente del giorno in cui mi hanno ucciso. I medici non mi hanno voluto dire nulla. E la cosa mi disturba un po’, signore.»

A giudicare dall’espressione strana e diffidente degli occhi castani di Siembieda, la cosa doveva disturbarlo parecchio, rifletté Miles. «Capisco. Be’, i medici avrebbero potuto dirle poco in ogni caso, dato che non erano presenti.»

«Ma lei sì, signore» disse Siembieda.

Certo, e se non ci fossi stato, non saresti morto tu al posto mio. «Ricorda il nostro arrivo su Mahata Solaris?»

«Sissignore, qualcosa, fino alla sera precedente. Ma tutto il giorno dopo, compresa la battaglia, non c’è più.»

«Ah, bene, non ci sono misteri. Il commodoro Jesek, io, lei e la sua squadra di tecnici abbiamo fatto visita ad un magazzino per un controllo di qualità dei nostri rifornimenti… c’era stato un problema con la prima spedizione…»

«Sì, questo me lo ricordo: celle d’energia danneggiate con perdita di radiazioni.»

«Esatto, molto bene. Era stato proprio lei ad individuare il difetto mentre le scaricava per inventariarle. Probabilmente un altro si sarebbe limitato ad immagazzinarle.»

«Non nella mia squadra» mormorò Siembieda.

«Siamo stati assaliti da una squadra cetagandana al magazzino. Non siamo riusciti a scoprire se c’era stata collusione, anche se abbiamo sospettato che ce ne fosse in alto loco, ma le autorità ci hanno revocato i permessi orbitali e ci hanno invitato ad abbandonare lo spazio di Mahata Solaris. Però può anche darsi che non avessero gradito la confusione creata dal nostro arrivo. Comunque è esplosa una granata gravitica, che ha fatto saltare per aria una parte del magazzino e lei è stato colpito al collo da un frammento di rimbalzo. È morto dissanguato in pochi secondi.» Incredibile la quantità di sangue persa da un uomo così magro, sparsa dappertutto sul pavimento durante il combattimento… mentre parlava, a Miles tornarono in mente la puzza di quel sangue, l’odore di bruciato, ma mantenne un tono di voce fermo e pacato. «Nel giro di un’ora l’avevamo trasportato sulla Triumph e congelato. Il medico era molto ottimista, perché non c’erano danni gravi ai tessuti.» Non come uno dei tecnici, che era stato fatto a brandelli nello stesso istante.

«Mi… mi chiedevo cosa avessi fatto. O non fatto.»

«Non ha avuto il tempo di fare praticamente nulla. È stata la nostra prima vittima.»

Un’espressione sollevata si disegnò sul volto di Siembieda; ma cosa passava per la testa di un morto che cammina? si chiese Miles. Quale fallimento personale poteva temere più della morte stessa?

«Se può esserle di consolazione» intervenne Elli, «quel genere di perdite di memoria è molto comune nelle vittime di traumi di ogni genere. Se chiede in giro, si accorgerà di non essere il solo.»

«Meglio allacciarsi le cinture» disse Miles, mentre la navetta si metteva in linea sulla pista per il decollo.

Siembieda fece un cenno del capo, molto più allegro e si affrettò a prendere un posto.

«Tu ricordi il tuo incidente» chiese Miles a Elli, «o hai un misericordioso vuoto?»

Senza accorgersene, Elli si portò una mano alla guancia. «Non ho mai perso conoscenza.»

La navetta balzò in avanti e in alto… doveva esserci il tenente Ptarmigan ai comandi, pensò Miles. Urla e fischi dalle prime file di passeggeri confermarono quel sospetto. Portò una mano sul pulsante del bracciolo che lo avrebbe messo in contatto con la cabina di pilotaggio ma poi ci ripensò: avrebbe fatto un cicchetto al tenente Ptarmigan solo se la navetta si fosse messa a volare a testa in giù. Fortunatamente per Ptarmigan, il velivolo si stabilizzò in posizione normale.

Miles si sporse per guardare fuori dal finestrino, e vide le luci brillanti della Grande Londra e dell’isola che si allontanavano sotto di loro; tra un attimo avrebbe intravisto la foce del fiume, con le grandi dighe e le chiuse che si stendevano per quaranta chilometri, rimodellando la linea costiera e tenendo a bada al mare e proteggendo i tesori storici e milioni di anime nel bacino del basso Tamigi. In lontananza, contro l’acqua color piombo, spiccava luminoso uno dei tanti lunghissimi ponti che attraversavano il canale della Manica. E così, per amore della loro tecnologia, gli uomini si erano organizzati come mai avevano fatto in nome dei loro principi. La politica del mare era insindacabile.

La navetta virò, guadagnando quota e concedendo a Miles un’ultima visione del grande labirinto di Londra che rimpiccioliva. Laggiù, da qualche parte, in quella città gigantesca, Mark e Galen si nascondevano, o fuggivano o complottavano, mentre la squadra dei servizi segreti di Destang passava al setaccio il vecchio nascondiglio di Galen e la rete telematica, cercando le loro tracce in una mortale partita a nascondino. Certamente Galen avrebbe avuto il buon senso di tenersi lontano dai suoi amici e dai suoi contatti; se avesse limitato le perdite e fosse fuggito adesso, aveva la possibilità di eludere per il resto della sua vita la vendetta barrayarana.

Ma se Galen voleva fuggire, perché era tornato indietro a riprendere Mark? A cosa poteva servirgli il clone, adesso? Era possibile che Galen avesse un vago senso di responsabilità paterna nei confronti della sua creazione? Ma chissà perché, Miles dubitava che fosse l’amore a legarli. Forse il clone poteva essere usato… come servo, come schiavo, come soldato? O magari poteva essere venduto… ai cetagandani, oppure a qualche laboratorio medico, o ad un circo?

O poteva essere venduto a Miles!

Ecco una proposta che persino il sospettosissimo Galen avrebbe accettato. Si poteva fargli credere che Miles voleva un corpo nuovo, libero dalla discrasia ossea che lo aveva perseguitato fin dalla nascita… che avrebbe pagato un prezzo altissimo per quello scopo spregevole… e così Miles sarebbe entrato in possesso di Mark e al tempo stesso avrebbe fornito a Galen una copertura e fondi sufficienti per finanziare la sua fuga, senza che si rendesse conto di essere oggetto di pietà per amore di suo figlio. Quell’idea aveva solo due difetti: primo, se non si metteva in contatto con Galen non poteva neppure fargli la proposta; e secondo, se Galen avesse accettato quel patto diabolico, Miles non era poi così sicuro di volerlo vedere sfuggire alla vendetta barrayarana. Curioso dilemma.


Rimettere piede sulla Triumph era come tornare a casa. Tutta la tensione che Miles non sapeva neppure di aver accumulato nei muscoli cominciò a sciogliersi non appena respirò la familiare aria riciclata e si lasciò sommergere dalle infinitesime vibrazioni e sussurri di quella nave funzionante e viva. Per la prima volta da Dagoola, tutto era ritornato in perfetto stato e Miles prese mentalmente nota di scoprire quale aggressivo sergente del reparto tecnico fosse responsabile di quel miracolo. Sarebbe stato bello tornare ad essere solo Naismith, con problemi semplici, definiti e privi di ambiguità che il QG poteva porre in chiaro linguaggio militare.

Diramò gli ordini: cancellare tutti gli ulteriori contratti sottoscritti dai singoli o da squadre di dendarii; tutto il personale attualmente a terra per lavoro o in licenza veniva richiamato a bordo con un preallarme di sei ore. Tutte le navi dovevano iniziare la sequenza di ventiquattr’ore dei controlli pre-lancio. Cercare il sergente Bone. Venne sommerso dalla sensazione gradevolmente megalomane di attirare ogni cosa verso un centro, che era lui, sensazione che però si raffreddò subito quando rammentò il problema insoluto che lo attendeva nella Divisione Investigativa.

Seguito da Quinn, Miles si recò a far visita alla Divisione Investigativa e trovò Bel Thorne alla consolle di comunicazione. Thorne apparteneva alla minoranza ermafrodita della Colonia Beta, sfortunati eredi di un progetto genetico di dubbio merito del secolo precedente, che a giudizio di Miles era stato il più sconsiderato degli esperimenti sconsiderati. La maggior parte degli uomini/donne restavano abbarbicati alla loro comoda sottocultura sulla tollerante Colonia Beta e il fatto che Thorne si fosse avventurato nella più vasta civiltà galattica dimostrava o un grande coraggio, o una noia mortale o, più probabilmente, se si conosceva Thorne, il cattivo gusto di voler mettere a disagio il prossimo. Il capitano Thorne si acconciava i capelli in uno stile deliberatamente ambiguo, ma indossava l’uniforme dendarii e i gradi duramente guadagnati con una determinazione che non lasciava adito a dubbi.

«Salve, Bel.» Miles prese un sedile e lo assicurò alle morse, mentre Thorne rispondeva con un amichevole mezzo saluto. «Fammi rivedere tutto quello che la squadra di sorveglianza ha trovato nella casa di Galen dopo che io e Quinn abbiamo liberato l’addetto militare barrayarano e lo abbiamo riportato alla sua ambasciata.» Quinn non batté ciglio mentre Miles recitava il suo pezzetto di storia revisionata.

Obbediente, Thorne azionò l’avanti veloce sulla prima mezzora della vicenda, ritornando alla velocità normale sul confuso farfugliare delle due infelici guardie komarrane che si risvegliavano. Poi si udì il trillo della consolle di comunicazione e il raggio video risintetizzò un’immagine di qualità piuttosto scadente di Galen in persona che con la sua voce lenta e priva di inflessioni chiedeva un rapporto sull’assassinio affidato alle due guardie. Quando invece venne a sapere del drammatico salvataggio, esclamò con tono quasi isterico: «Stupidi!» Una pausa e poi: «Non cercate di mettervi ancora in contatto con me.» La comunicazione si interruppe.

«Immagino che abbiate rintracciato il luogo di provenienza della chiamata» disse Miles.

«Una consolle pubblica ad una stazione della metropolitana» rispose Thorne. «Quando uno dei nostri ha raggiunto il posto, il raggio potenziale di ricerca si era allargato a circa cento chilometri. Un buona rete di metropolitana, quella.»

«Bene. E dopo di allora non è mai ritornato in quella casa?»

«All’apparenza ha abbandonato tutto. Direi che ha dei precedenti nell’eludere la sicurezza.»

«Era un esperto ancor prima che io nascessi» sospirò Miles. «E delle due guardie cosa mi dici?»

«Erano ancora nella casa quando sono arrivati i ragazzi della sorveglianza barrayarana a rilevarci; noi abbiamo fatto le valige e siamo tornati a casa. A proposito, i barrayarani ci hanno già pagato per quel servizietto?»

«Profumatamente.»

«Bene, avevo paura che rimandassero fino a quando non gli avevamo consegnato anche Van der Poole.»

«A proposito di Van der Poole… Galen» disse Miles, «per quello che lo riguarda, non… ah… lavoriamo più per l’ambasciata barrayarana. Hanno fatto arrivare una squadra dal loro QG di settore di Tau Ceti.»

«Ma continuiamo a lavorare?» chiese Thorne corrugando la fronte.

«Per il momento. Ma è meglio che tu passi parola alla nostra gente a terra: d’ora in avanti evitare tutti i contratti con i barrayarani.»

Thorne sollevò le sopracciglia. «E allora per chi stiamo lavorando?»

«Per me.»

«Non le sembra di rischiare un po’ troppo, in questo caso, signore?» chiese Thorne dopo un attimo di silenzio.

«Fin troppo, per l’efficienza del mio Dipartimento Investigativo» sospirò Miles. «E va bene. Questo caso ha preso una piega curiosa e inaspettatamente personale. Ti sei mai chiesto perché non parlo mai delle miei origini familiari e del mio passato?»

«Be’, un sacco di dendarii non lo fa. Signore.»

«Appunto. Io sono nato clone, Bel.»

Thorne mostrò appena un accenno di compassione. «Alcuni dei miei migliori amici sono cloni.»

«Forse avrei dovuto dire che sono stato creato clone. Nel laboratorio militare di una potenza galattica che deve restare sconosciuta. Fui creato per un complotto segreto che tramava la sostituzione del figlio di un uomo molto importante, un uomo chiave di un’altra potenza galattica… puoi immaginare tu stesso di chi si tratti, senza troppa fatica, ne sono sicuro. Ma sette anni fa ho declinato l’onore. Sono scappato e mi sono messo in proprio, creando i Mercenari Dendarii con… ehm, fondi materiali a portata di mano.»

«Un evento memorabile» commentò Thorne con un sorriso.

«Ed è a questo punto che entra in scena Galen. La potenza galattica abbandonò il suo piano e io pensai di essermi liberato del mio infelice passato. Ma erano stati, per così dire, duplicati parecchi cloni con diverse rifiniture mentali, per ottenere l’esatto duplicato fisico, prima che il laboratorio producesse me. Pensavo che fossero tutti morti da un pezzo, uccisi senza pietà e invece uno dei primi malriusciti tentativi era stato messo in animazione criogenica e chissà come è caduto nelle mani di Galen. Il mio unico fratello-clone sopravvissuto, Bel.» Miles strinse i pugni. «Schiavo di un fanatico. Io voglio salvarlo.» Aprì le mani in un gesto di supplica. «Riesci a capire perché?»

Thorne sbatté le palpebre. «Conoscendola… immagino di sì. Per lei è molto importante, signore?»

«Molto.»

Thorne raddrizzò leggermente la schiena. «Allora sarà fatto.»

«Grazie.» Miles esitò. «È meglio dotare di un rilevatore medico i comandanti delle nostre pattuglie a terra e che non se ne separino mai. Come sai, mi sono fatto sostituire le ossa delle gambe con altre sintetiche poco più di un anno fa: le sue invece sono ossa normali. Questo è il sistema più rapido per distinguerci.»

«Vi somigliate così tanto?» chiese Thorne.

«Siamo assolutamente identici, a quanto pare.»

«È vero» confermò Quinn. «Io ho visto l’altro.»

«Ah… capisco. Ci sono possibilità di confusione, signore.» Thorne lanciò un’occhiata a Quinn, che annuì cauta.

«Verissimo. Spero che l’uso dei rilevatori medici ci aiuterà a fare chiarezza. Procedete… avvertitemi immediatamente se ci sono degli sviluppi.»

«Bene, signore.»

Nel corridoio, Quinn commentò: «Una bella trovata.»

«Dovevo trovare un modo per informare i dendarii dell’esistenza di Mark» disse Miles con un sospiro. «Non posso permettergli di giocare ancora all’ammiraglio Naismith.»

«Mark?» disse Elli. «Chi è Mark, o posso indovinare? Miles Mark Due?»

«Lord Mark Pierre Vorkosigan» rispose Miles calmo (almeno, lui sperava di sembrare calmo). «Mio fratello.»

Elli, a cui non sfuggivano le implicazioni dinastiche dei clan barrayarani, aggrottò la fronte. «Allora ha ragione Ivan, Miles? Quel piccolo impostore ti ha ipnotizzato?»

«Non so» rispose Miles piano. «Se sono l’unico a considerarlo tale, allora forse, ma solo forse…»

Elli emise un suono incoraggiante.

E un pallido sorriso incurvò l’angolo della bocca di Miles. «Allora forse tutti sbagliano tranne me.»

Elli sbuffò.

«Davvero, non lo so» riprese Miles tornando serio. «In sette anni non ho mai abusato del potere dell’ammiraglio Naismith per scopi personali e non sono certo ansioso di contravvenire ora a quel principio. Be’, forse non riusciremo a scovarli e allora la cosa sarà irrilevante.»

«Pio desiderio» ribatté Elli in tono di disapprovazione. «Se non vuoi scovarli, allora forse è meglio che tu smetta di cercarli.»

«Che logica stringente.»

«E allora perché non la segui? E cosa intendi farne di loro una volta che li avrai presi?»

«Niente di più semplice. Voglio trovare Galen e il mio clone prima che lo faccia Destang e separarli. Dopodiché mi voglio assicurare che Destang non possa trovarli fino a quando non avrò avuto modo di inviare un rapporto privato a casa. Se garantirò per lui, credo che riuscirò ad ottenere che si cancelli l’ordine di ucciderlo, senza bisogno che risulti un mio coinvolgimento.»

«E Galen?» chiese Elli scettica. «Non è assolutamente possibile che tu ottenga un non luogo a procedere per lui.»

«Probabilmente no. Galen è… un problema che non ho ancora risolto.»

Miles tornò nella sua cabina e venne immediatamente raggiunto dall’economo.

Il tenente Bone si gettò sull’accredito di diciotto milioni di marchi con un sollievo e un’avidità molto poco militareschi. «Salvi!»

«Paghi tutti i sospesi» le disse Miles. «E riscatti subito la Triumph; dobbiamo poterci muovere in qualunque momento, senza essere costretti a farci accusare di furto dalla Marina del Sistema Solare. Ah… uhm, pensa di riuscire a creare una notarella di credito in fondi galattici, magari da un po’ di contante, tramite la quale non si possa in alcun modo risalire a noi?»

Un lampo di interesse si accese negli occhi della donna. «Una sfida interessante, signore. Questo ha per caso a che fare con il nostro prossimo contratto?»

«È una questione di Sicurezza, tenente» rispose Miles asciutto. «Non posso discuterne neppure con lei.»

«La Sicurezza» sbuffò lei, «riesce a nascondere molto meno di quanto creda alla ragioneria.»

«Allora forse dovrei unire i due dipartimenti. No?» Sorrise vedendo la sua espressione inorridita. «Be’, forse no.»

«E a chi va questa notarella?»

«Al portatore.»

Bone sollevò un sopracciglio. «Molto bene, signore. E per quanto?»

Miles esitò. «Mezzo milione di marchi, qualunque sia la cifra in moneta locale.»

«Mezzo milione di marchi» commentò lei caustica, «non è una "notarella".»

«Solo se si tratta di contanti.»

«Farò del mio meglio, signore.»

Uscito il tenete Bone, Miles rimase nella sua cabina a riflettere. L’impasse in cui si trovava era chiaro. Non poteva aspettarsi che Galen si mettesse in contatto se lui non avesse trovato, non solo un modo, ma soprattutto una ragione per controllare la situazione o coglierlo di sorpresa. Lasciare che fosse Galen a condurre il gioco poteva risultare fatale, e a Miles non andava affatto l’idea di brancolare nel buio in attesa che Galen lo cogliesse di sorpresa. Però una finta di qualunque genere per creare un’apertura poteva essere meglio che restare con le mani in mano, dato il tempo ristretto di cui disponeva. Scrollarsi di dosso il maledetto svantaggio difensivo, agire invece di reagire. Una lodevole risoluzione, se non fosse stato per il trascurabile particolare che finché Galen non veniva individuato, Miles non aveva nulla su cui agire. Frustrato e sfinito, se ne andò a letto.

Si svegliò da solo al buio circa dodici ore dopo, lesse l’ora sull’orologio luminoso alla parete e se ne restò sdraiato a godersi la lussuriosa sensazione di aver finalmente dormito a sufficienza. Il suo corpo avido e le membra pesanti come il piombo avevano appena cominciato a suggerirgli che forse non aveva dormito abbastanza, quando la consolle di comunicazione della sua cabina trillò. Salvato dal peccato di accidia, Miles barcollò giù dal letto e rispose.

Comparve il volto di uno degli ufficiali alle comunicazioni della Triumph. «Signore, c’è una chiamata riservata dall’ambasciata barrayarana di Londra. Chiedono di lei personalmente, criptato.»

Non poteva trattarsi di Ivan, pensò Miles: suo cugino avrebbe usato il comunicatore schermato. Doveva essere una comunicazione ufficiale. «Lo decripti e lo passi qui, allora.»

«Devo registrare?»

«Ah,… no.»

Possibile che fossero già arrivati dal QG i nuovi ordini per i dendarii? Miles imprecò tra sé: se fossero stati costretti a lasciare l’orbita prima che il Dipartimento Investigazioni dei Dendarii avesse trovato Mark e Galen…

Il volto cupo di Destang apparve sulla videopiastra.

«"Ammiraglio Naismith".» Miles udì chiaramente le virgolette che racchiudevano il suo nome. «Siamo soli?»

«Assolutamente, signore.»

Il volto di Destang si rilassò un poco. «Molto bene. Ho un ordine per lei… tenente Vorkosigan: resterà a bordo della sua nave, in orbita, fino a quando io personalmente la richiamerò e le darò altre disposizioni.»

«Perché, signore?» chiese Miles, anche se non faticava certo a indovinarlo.

«Per la mia tranquillità d’animo. Quando una semplice precauzione può prevenire anche la più piccola possibilità di incidente, è sciocco non prenderla. Mi capisce?»

«Perfettamente, signore.»

«Molto bene. Questo è tutto. Destang chiude.» Il volto del commodoro si dissolse nell’aria.

Miles imprecò ad alta voce, con tutto se stesso. La ’’precauzione" di Destang poteva solo significare che i suoi scagnozzi avevano già individuato Mark, prima dei dendarii di Miles… e stavano muovendosi per agire. Tra quanto? C’era ancora qualche possibilità…?

Si infilò i pantaloni grigi, appesi a portata di mano, prese il comunicatore schermato che era rimasto nella tasca, e lo accese. «Ivan?» chiamò a bassa voce. «Ci sei?»

«Miles?» Non era la voce di Ivan: era quella di Galeni.

«Capitano Galeni? Ha trovato l’altro comunicatore… ah, è solo?»

«Per il momento.» La voce di Galeni era asciutta e solo il suo tono lasciava intendere cosa ne pensasse della storia dei due comunicatori dimenticati e di chi l’aveva inventata. «Perché?»

«Come è venuto in possesso del comunicatore?»

«Me lo ha dato suo cugino, prima andare a svolgere un incarico.»

«Andato dove? Quale incarico?» Era stato incaricato anche Ivan nella caccia all’uomo di Destang? Se era così, sarebbe stato ben felice di farlo a pezzi per essersi disfatto dell’unico mezzo che Miles aveva per spiare gli eventi, proprio quando gli sarebbe servito di più… cretino di un idiota!… se solo…

«Sta scortando la moglie dell’ambasciatore all’Esposizione Botanica Mondiale e Mostra di Fiori Ornamentali all’Università di Agricoltura di Londra. La signora presenzia ogni anno, per dare lustro all’aristocrazia locale. Ma ha anche una passione personale per i fiori.»

«Nel bel mezzo di una crisi di sicurezza lei ha spedito Ivan ad una mostra floreale?» esclamò Miles alzando leggermente la voce.

«Non io» ribatté Galeni, «ma il commodoro Destang. Credo… ah, credo che ritenesse di poter tranquillamente fare a meno di Ivan. Suo cugino non lo manda in visibilio.»

«E lei?»

«Non lo mando in visibilio neppure io.»

«No, intendevo dire, cosa sta facendo, al momento? Prende parte direttamente a… all’operazione in corso?»

«Niente affatto.»

«Ah, questo è un sollievo. Temevo che… qualcuno… si fosse fatto venire la brillante idea di coinvolgerla per provare la sua lealtà o qualche altra castronata del genere.»

«Il commodoro Destang non è né un sadico, né uno stupido.» Galeni si interruppe. «Però è prudente. Sono stato confinato nel mio alloggio.»

«Quindi lei non ha accesso diretto all’operazione: non è al corrente di dove siano, a che punto siano arrivati e quando progettino di … fare la mossa.»

«Non di prima mano» rispose Galeni in tono volutamente neutro che non offriva né negava aiuto.

«Hm. Ha appena confinato anche me nei miei alloggi. Credo che ci sia stata una svolta e siano vicini alla soluzione.»

Seguì un breve silenzio. Poi le parole di Galeni giunsero come un sospiro: «Mi spiace…» gli si spezzò la voce. «È tutto così maledettamente inutile! La mano morta del passato continua a tirare i fili per riflesso galvanico, e noi poveri burattini balliamo… e nessuno ne ricava un profitto: né noi, né Komarr, nemmeno lui…»

«Se potesse mettersi in contatto con suo padre…» azzardò Miles.

«Sarebbe inutile: lui combatterà e continuerà a combattere.»

«Ma non ha più nulla, ora: ha sprecato la sua ultima possibilità. È un uomo vecchio, è stanco… potrebbe essere pronto a cambiare, a dire finalmente basta» ribatté Miles.

«Vorrei… no, non può arrendersi. Deve provare di avere ragione, anche a costo della vita stessa. Avere ragione lo redime dai suoi crimini. Aver fatto tutto quello che ha fatto ed avere torto… non potrebbe sopportarlo!»

«Capisco… bene, mi rimetterò in contatto con lei se avrò… qualcosa di utile da dirle. Non c’è ragione di restituire il comunicatore finché non li avrà entrambi, non crede?»

«Come crede.» Il tono di Galeni non si era propriamente riacceso di speranza.

Miles chiuse la comunicazione.

Chiamò Thorne, che non aveva progressi da riferire.

«Nel frattempo» gli disse Miles, «ho un’altra informazione, ma sfortunata: pare che la squadra di Barrayar abbia individuato il bersaglio nell’ultima ora, o giù di lì.»

«Ahah! Allora forse possiamo seguirli e farci portare da Galen.»

«Temo di no. Dobbiamo precederli, senza pestargli i piedi: la loro è una caccia mortale.»

«Armati e pericolosi, eh? Passerò parola.» Thorne fischiettò pensoso. «Il suo compagno di provetta è piuttosto popolare.»

Miles si lavò, si vestì, fece colazione e si preparò: coltello nello stivale, rilevatori, due storditori nelle fondine, ma nascosti, il comunicatore schermato, un vasto assortimento di attrezzi e gingilli che potevano passare i controlli di sicurezza dello spazioporto di Londra. Era molto lontano dalla tenuta completa da combattimento, purtroppo, anche se quando camminava ci mancava poco che la sua giacca emettesse rumore di ferraglia. Chiamò l’ufficiale d’ordinanza e si assicurò che una navetta con pilota facesse rifornimento e fosse pronta alla partenza. Poi attese, impaziente.

Cosa stava macchinando Galen? Se non stava semplicemente fuggendo … e il fatto che la squadra di sicurezza barrayarana gli fosse addosso indicava che era rimasto nei paraggi per qualche ragione… quale? Pura vendetta? O qualcosa di più arcano? L’analisi che Miles aveva fatto di lui era troppo semplice, troppo sottile… che cosa aveva tralasciato? Cosa restava nella vita a un uomo che doveva ad ogni costo aver ragione?

La consolle della sua cabina trillò e Miles elevò una confusa preghiera alle divinità: fate che sia un indizio, un colpo di fortuna, un appiglio qualsiasi…

Apparve il volto dell’ufficiale alle comunicazioni. «Signore, ho una chiamata che parte da una rete di comunicazione commerciale a terra: un uomo che rifiuta di identificarsi dice che vuole parlare con lei.»

Miles venne percorso da una scossa elettrica. «Cerchi di localizzare la chiamata e la passi al capitano Thorne alle investigazioni. Adesso me la passi qui.»

«Vuole l’immagine o solo l’audio?»

«Tutti e due.»

Il volto dell’ufficiale scomparve, sostituito da quello di un altro uomo, dando l’impressione che le due immagini si fossero sovrapposte.

«Vorkosigan?» disse Galen.

«E allora?» disse Miles.

«Non lo ripeterò.» Galen parlava a voce bassa e rapida. «Non me ne frega niente se sta registrando o rintracciando la chiamata: è irrilevante. Ci incontreremo tra settanta minuti esatti, al frangiflutti di marea del Tamigi, a metà strada tra la Torre Sei e Sette. Percorrerà la battigia fino al piccolo osservatorio. Da solo. Allora parleremo. Se non seguirà esattamente le mie condizioni, noi non ci saremo quando arriverà. E Ivan Vorpatril morirà alle 02.07.»

«Se voi siete in due, allora dobbiamo essere in due anche noi» ribatté Miles.

«La sua graziosa guardia del corpo? Molto bene: due.» Con un lampo il video si svuotò.

«No…»

Silenzio.

Miles si mise in contatto con Thorne. «Hai sentito tutto, Bel?.»

«Come no. Sembrava minaccioso. Chi è Ivan?»

«Una persona molto importante. Da dove veniva la chiamata?»

«Da una consolle di comunicazione pubblica, ad una stazione di coincidenza della metropolitana. Ho un uomo da quelle parti che può farcela in sei minuti. Sfortunatamente…»

«Lo so: sei minuti ci danno un raggio di ricerca di svariati milioni di persone. Faremo come dice lui… ma fino ad un certo punto. Metti una pattuglia di sorveglianza aerea sopra il frangiflutti di marea, prepara un piano di volo per la mia navetta, e che all’arrivo ci siano ad attenderla un autista, una macchina e una guardia dendarii. Di’ a Bone che voglio quella nota di credito adesso. Di’ a Quinn di prendere un paio di rilevatori medici e di trovarsi al corridoio del portello della navetta e resta in collegamento. Voglio controllare una cosa.»

Trasse un profondo respiro e accese il comunicatore schermato. «Galeni?»

Silenzio. «Sì?»

«È sempre confinato nel suo alloggio?»

«Sì.»

«Ho bisogno di un’informazione urgente: dov’è realmente Ivan?»

«Per quello che ne so, è sempre al…»

«Controlli, controlli in fretta.»

Seguì una pausa lunghissima, che Miles sfruttò per ricontrollare il suo equipaggiamento, trovare il tenente Bone e avviarsi verso il portello della navetta, dove trovò Quinn che lo attendeva piena di curiosità.

«Cosa sta succedendo?»

«Abbiamo lo spiraglio che cercavamo, in un certo senso. Galen vuole un incontro, ma…»

«Miles?» chiamò finalmente la voce di Galeni, piuttosto agitata.

«Eccomi.»

«Il soldato che avevamo mandato come autista e scorta ha chiamato circa dieci minuti fa. Ha sostituito Ivan nella scorta a milady mentre suo cugino andava alla toilette. Quando dopo venti minuti, Ivan non era ancora tornato, l’autista è andato a cercarlo. Ha perso circa mezzora, perché la mostra è grande e anche molto affollata oggi, prima di fare rapporto. Lei come lo sapeva?»

«Credo di aver agganciato la controparte. Riconosce lo stile di chi ha combinato l’affare?»

Galeni imprecò.

«Appunto. Ascolti: non mi importa come ci riesce, ma voglio che ci incontriamo tra cinquanta minuti al frangiflutti di marea del Tamigi, Sezione Sei. Si porti almeno uno storditore e cerchi di venire via senza mettere in allarme Destang. Abbiamo un appuntamento con suo padre e mio fratello.»

«Se lui ha Ivan…»

«Deve pure avere delle carte in mano, altrimenti non avrebbe chiesto di giocare. Abbiamo l’ultima possibilità per raddrizzare tutta la faccenda; non è una buona possibilità, è solo l’ultima che ci si presenta. È con me?»

Breve pausa. «Sì.» Il tono era deciso e definitivo.

«Ci vediamo là.»

Rimettendosi in tasca il comunicatore, Miles si rivolse ad Elli: «Muoviamoci, adesso.»

Attraversarono il portello della navetta e per una volta, Miles non sollevò obiezioni all’abitudine di Ptarmigan di effettuare tutti i voli a terra alla stessa velocità di un attacco in combattimento.

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