L’ambasciatore li fece entrare nell’ufficio di Galeni, che era chiuso a chiave. Sua eccellenza, che riusciva a mascherare il proprio nervosismo meglio di Ivan, si limitò a commentare: «Fatemi sapere cosa scoprirete, tenente Vorpatril. Particolarmente apprezzate sarebbero indicazioni certe sulla necessità o meno di avvertire le autorità locali.» Dunque anche l’ambasciatore, che conosceva Duv Galeni da due anni pensava a più di una possibilità. Un uomo complesso quel loro capitano scomparso!
Ivan si sedette alla consolle e fece scorrere i programmi, alla ricerca di appunti recenti, mentre Miles girava per la stanza cercando… cosa? Un messaggio scritto col sangue sulla parete all’altezza della sua rotula? Fibre vegetali aliene sul tappeto? Un atto di trasferimento scritto su carta profumata? Una qualunque o tutte queste cose sarebbero state preferibili al nulla totale che invece trovò.
«Qui non c’è nulla, solo le solite cose» disse Ivan alzando le mani al cielo.
«Togliti.» Miles agitò lo schienale della poltrona girevole per scostare il massiccio cugino e scivolò al suo posto. «Ho una bruciante curiosità riguardo alle finanze personali del capitano Galeni e questa è un’occasione d’oro per controllare.»
«Miles» si intromise Ivan trepidante, «non ti sembra di essere un tantino, uhm, invadente?»
«Hai l’istinto di un vero gentiluomo, Ivan» disse Miles, tutto assorto a infiltrarsi nei file protetti. «Come sei riuscito ad entrare nella Sicurezza?»
«Non lo so» rispose Ivan. «Io volevo un imbarco su una nave.»
«Non è quello che vogliamo tutti? Ah!» esclamò Miles mentre l’oloschermo cominciava a snocciolare dati. «Adoro queste carte di Credito Universali della Terra.»
«Ma cosa ti aspetti di trovare sul conto di credito di Galeni, per amor del cielo?»
«Be’, prima di tutto» mormorò Miles battendo tasti, «controlliamo i totali degli ultimi mesi e scopriamo se le uscite superano le entrate.»
Ci volle solo un istante per scoprirlo. Miles corrugò la fronte, deluso. Le entrate e le uscite erano bilanciate, anzi c’era anche un leggero surplus a fine mese nelle entrate, dovuto ad un modesto conto di risparmio personale. E purtroppo tutto questo non provava nulla, né in un senso né nell’altro. Se Galeni si trovava in qualche serio guaio finanziario, aveva il cervello e anche le conoscenze necessarie per non lasciare in giro prove.
Miles cominciò a scorrere l’elenco degli acquisti.
«E adesso cosa stai cercando?» chiese Ivan impaziente.
«Vizi segreti.»
«E come?»
«Facile… o almeno, lo sarebbe, se… confronta ad esempio gli estratti conto di Galeni con i tuoi, per un periodo di tre mesi.» Miles divise lo schermo e chiamò l’estratto conto del cugino.
«E perché il confronto non lo fai con il tuo?» chiese Ivan offeso.
Miles fece un sorriso di virtuosa scientificità. «Sono qui da troppo poco per costituire una base di confronto valida. Tu sei un parametro di controllo migliore. Per esempio… bene, bene, guarda un po’ qui… una camicia da notte di pizzo? Che sorpresa. Lo sai, vero, che non è affatto regolamentare?»
«Non sono affari tuoi» rispose Ivan imbarazzato.
«Appunto. E tu non hai una sorella, e direi che non è il genere di indumento per tua madre. O c’è una ragazza nella tua vita, oppure ti piace travestirti.»
«Noterai che non è della mia taglia» ribatté Ivan con dignità.
«Sì, direi che ti andrebbe un po’ corta. Quindi è una ragazza dal fisico da silfide, che tu conosci molto bene, dato che ti permetti di regalarle un indumento così intimo. Guarda quante cose ho già scoperto sul tuo conto da un unico acquisto. Dimmi, è per caso Sylveth?»
«Non stavi controllando Galeni?» gli ricordò Ivan.
«Sì. Dunque, che genere di regali compra Galeni?» Fece scorrere lo schermo e finì in fretta: non c’era molto da vedere.
«Vino» gli segnalò Ivan. «Birra.»
Miles fece un controllo incrociato. «Circa un terzo di quello che tu consumi nello stesso periodo. Però compra libri-disco in un rapporto di trentacinque a… solo due, Ivan?»
Ivan si schiarì la gola, a disagio.
«Niente ragazze» disse Miles con un sospiro, «e neppure ragazzi, direi, eh? Cosa ne pensi tu che hai lavorato con lui per un anno?»
«Umm! Ho conosciuto un paio di tipi del genere, nel Servizio» disse Ivan, «ma… trovano sempre il modo di fartelo capire. No, Galeni, no, non lo credo neppure io.»
Miles osservò il profilo regolare del cugino: sì, probabilmente a questo punto della sua vita Ivan si era preso delle licenze con entrambi i sessi. Un’altra possibilità da cancellare. «Quell’uomo è forse un monaco?» mormorò Miles. «Un androide no di certo, a giudicare dalla musica, dai libri e dalla birra, ma… tremendamente sfuggente.»
Con un gesto irritato chiuse il file e poi dopo un istante di riflessione chiamò lo stato di servizio di Galeni. «Uhu. be’, questo è insolito. Lo sapevi che il capitano Galeni ha preso una laurea in storia ancor prima di entrare nel Servizio Imperiale?»
«Come? No, non me ne ha mai fatto parola…» Ivan si sporse oltre la spalla di Miles, mentre finalmente la curiosità prendeva il sopravvento sull’istinto da gentiluomo.
«Una laurea con lode in Storia Moderna e Scienze Politiche dell’Università Imperiale di Vorbarr Sultana. Santo Dio, guarda queste date. All’età di ventisei anni, il dottor Duv Galeni ha rinunciato ad una cattedra al College di Belgravia su Barrayar, per tornare all’Accademia del Servizio Imperiale, con un gruppo di diciottenni. Per il salario di un cadetto.» Certo non è il comportamento di un uomo affamato di denaro.
«Uhu» commentò Ivan, «doveva frequentare l’ultimo anno quando siamo entrati noi, ed è uscito solo due anni prima. Ed è già capitano!»
«Deve essere stato uno dei primi komarrani a cui è stato permesso di entrare nell’esercito, poche settimane dopo l’editto. E da allora si è dato un gran da fare per ottenere la promozione. Addestramento supplementare, lingue, analisi delle informazioni, una nomina al Quartier Generale Imperiale… e poi questo ambito incarico sulla Terra. Duvie è il nostro coccolo, è chiaro.» Non era difficile per Miles capire il perché: ufficiale brillante, colto, democratico, Galeni era l’esempio lampante del successo del Nuovo Ordine. Un Esempio… Miles sapeva molto bene cosa significava essere un Esempio. Trasse un respiro, lungo, profondo, che fischiò con un sibilo freddo attraverso i denti.
«Cosa c’è?» chiese Ivan.
«Sto cominciando ad avere paura.»
«E perché?»
«Perché tutta questa faccenda sta assumendo una sottile coloritura politica. E chiunque non entri in allarme quando le vicende barrayarane cominciano ad assumere una coloritura politica non ha studiato… la storia.» Pronunciò l’ultima parola facendo sibilare la S e si accasciò nella sedia. Dopo un momento richiamò il file e si rimise a cercare.
«Tombola!»
«Eh?»
«File protetto» disse Miles. «Nessuno con un grado inferiore a Ufficiale dello Stato Maggiore Imperiale può accedervi.»
«Quindi noi siamo esclusi.»
«Non necessariamente.»
«Miles…» gemette Ivan.
«Ancora non ho intenzione di fare niente di illegale» lo rassicurò Miles. «Vai a chiamare l’ambasciatore.»
Appena arrivò, l’ambasciatore prese una sedia e si sistemò vicino a Miles. «Sì, ho un codice d’acceso d’emergenza che può aggirare la protezione» ammise dopo le insistenze di Miles. «L’emergenza a cui si pensava era però nell’ordine dello scoppio di una guerra.»
Miles si mordicchiò il dito. «Sono due anni che il capitano Galeni è con lei: che impressione ha ricavato di lui?»
«Come ufficiale o come uomo?»
«Tutte e due le cose, signore.»
«Molto coscienzioso sul lavoro. Una insolita preparazione culturale…»
«Quindi lei ne era al corrente?»
«Naturale, questo ha favorito la sua scelta per il trasferimento sulla Terra. È sempre stato a suo agio negli avvenimenti mondani, un conversatore brillante. L’ufficiale che lo ha preceduto in questo incarico era un uomo della Sicurezza di vecchia scuola. Competente ma monotono. Direi quasi… ehm! … scontroso. Galeni assolve gli stessi compiti, ma con più scioltezza e discrezione. Una sicurezza discreta, ma efficiente, è una sicurezza invisibile e una sicurezza invisibile non disturba i diplomatici miei ospiti e il mio lavoro è facilitato. E questo modo di gestire le cose è doppiamente produttivo per l’attività di… ehm… raccolta delle informazioni. Come suo superiore non posso che lodare il suo comportamento.»
«E quali sono le sue pecche come uomo?»
«"Pecche" è forse un termine inadeguato, tenente Vorkosigan. Galeni è piuttosto… freddo. In generale trovo la cosa riposante. Noto però che finita una conversazione, lui ne sa molto più di te di quanto tu ne sappia di lui.»
«Ah.» Un modo molto diplomatico di mettere le cose. E, rifletté Miles ripensando ai suoi scontri verbali con l’ufficiale scomparso, dritto al bersaglio.
L’ambasciatore corrugò la fronte. «Lei crede, tenente Vorkosigan, che in quel file ci possa essere qualche indizio sulla sua scomparsa?»
«Altrove non c’è nulla» rispose Miles scrollando le spalle sconsolato.
«Sono riluttante…» l’ambasciatore si interruppe, con lo sguardo fisso sulle restrizioni di accesso che lampeggiavano sullo schermo.
«Potremmo aspettare ancora un po’» si intromise Ivan. «E se avesse semplicemente trovato un’amichetta? Se ti preoccupavi tanto da arrivare a fare anche l’altra ipotesi, dovresti esserne felice per lui. Non sarebbe molto contento, se tornando dalla sua prima notte ruggente dopo anni, scoprisse che gli abbiamo messo sottosopra il file protetto.»
Miles riconobbe il tono cantilenante di quando Ivan giocava a fare il tardo, l’avvocato del diavolo, lo stratagemma a cui ricorreva una mente acuta ma pigra per far fare agli altri il suo lavoro. Va bene, Ivan.
«Quando passi le notti fuori, non lasci detto dove vai e quando ritornerai?» gli chiese Miles.
«Be’, sì.»
«E non ritorni forse all’ora prevista?»
«Be’, mi è capitato di addormentarmi un paio di volte» ammise Ivan.
«E cosa è successo in quei casi?»
«Mi hanno rintracciato. "Buon giorno, tenente Vorpatril, questo è il servizio sveglia".» L’accento puntiglioso e sardonico di Galeni trasparì senza ombra di dubbio dall’imitazione di Ivan; doveva essere una citazione vera.
«E secondo te Galeni è il tipo che stabilisce una regola per i suoi subordinati e un’altra per sé?»
«No» esclamarono all’unisono Ivan e l’ambasciatore, che si scambiarono poi un’occhiata.
Miles trasse un profondo respiro, sollevò il mento e indicò l’olovideo. «Apra il file.»
L’ambasciatore strinse le labbra ed eseguì.
«Che mi venga un colpo» sussurrò Ivan dopo aver fatto scorrere lo schermo per qualche minuto. Miles riprese il controllo della tastiera e si mise a leggere a velocità doppia. Finalmente la storia completa della famiglia di Galeni.
Il suo nome vero era David Galen. Quei Galen, i proprietari della Magazzini Orbitali di Trasferimento Galen, una tra le più importanti famiglie dell’oligarchia che aveva governato Komarr, che avevano esercitato il controllo sui loro importantissimi corridoi di transito come avevano fatto nell’antichità i baroni borseggiatori sul fiume Reno. Erano state le distorsioni galattiche ad arricchire Komarr; dal potere e dalla ricchezza che da esse fluivano erano nate le città gioiello coperte da cupole, e non dal sudore e dalla fatica per aver coltivato il suolo sterile e povero del pianeta.
A Miles sembrò di riudire la voce di suo padre mentre raccontava le fasi che avevano fatto della conquista di Komarr il manuale di guerra dell’ammiraglio Vorkosigan. Una popolazione ridotta, concentrata in città dal clima controllato; niente spazio per una guerriglia, nessun luogo in cui ritirarsi e riorganizzarsi. Nessun alleato; non abbiamo dovuto fare altro che annunciare che avremmo portato dal venticinque al quindici per cento la loro percentuale sulla merce che passava attraverso il loro corridoio, e i vicini che avrebbero dovuto sostenerli ci sono caduti tra le mani. Si sono persino rifiutati di prendere le armi per combattere, fino a quando i mercenari che avevano assoldato capirono cosa avevano di fronte e fuggirono…
Naturalmente le ragioni di quella conquista, la causa principe di cui nessuno parlava mai, risiedeva nel peccato commesso dai padri della generazione precedente, che si erano fatti corrompere dai cetagandani per permettere il passaggio della loro flotta di invasione per la conquista facile e veloce di Barrayar, pianeta povero, scoperto da poco e ancora semi-feudale. Ma non era stato né facile, né veloce e neppure una conquista: dopo vent’anni e fiumi di sangue, le navi cetagandane erano tornate da dove erano venute, attraversando lo spazio "neutrale" di Komarr.
Forse i barrayarani erano arretrati, ma non si poteva certo dire che non imparassero in fretta. Negli uomini appartenenti alla generazione del nonno di Miles, che giunsero al potere sotto la dura scuola dell’occupazione cetagandana, crebbe ossessiva la determinazione di impedire che un’occupazione simile si ripetesse. Era poi toccato alla generazione del padre di Miles tramutare in fatti quell’ossessione, tramite il controllo definitivo e assoluto del corridoio di transito komarrano verso Barrayar.
Lo scopo dichiarato della flotta di invasione barrayarana, con la sua rapidità e le accurate sottigliezze strategiche, era quello di impadronirsi della consolidata e fiorente economia komarrana lasciandola intatta e riducendo al minimo i danni. Conquista, non vendetta, per la gloria dell’Imperatore. Il Comandante della Flotta Imperiale Barrayarana, l’Ammiraglio Lord Aral Vorkosigan, lo aveva spiegato chiaramente e a più riprese… o così credeva.
L’oligarchia komarrana, arrendevole e docile, venne convinta a conformarsi a quella linea, facilitando in tutti i modi possibili la resa. Vennero fatte delle promesse, fornite delle garanzie; una vita da sudditi e una proprietà anche ridimensionata erano pur sempre vita e proprietà, a cui si aggiungeva la speranza di una ripresa futura. La miglior rivincita possibile era il recupero del benessere.
Poi venne il Massacro di Solstizio.
Un subordinato troppo solerte, ruggì l’ammiraglio Lord Vorkosigan. Ordini segreti, gridarono le famiglie sopravvissute dei duecento consiglieri komarrani fucilati in una palestra dalle forze della Sicurezza Barrayarana. La verità, o quanto meno la certezza, era sepolta con le vittime, e lo stesso Miles era sicuro che neppure uno storico fosse in grado di farla resuscitare. Solo l’ammiraglio Vorkosigan e il comandante delle sicurezza sapevano la verità e sotto accusa c’era la parola dell’ammiraglio stesso. Il comandante della sicurezza morì senza essere stato processato, per mano dello stesso furibondo ammiraglio Vorkosigan. Esecuzione giusta, o assassinio per impedirgli di parlare, scegliete voi, a seconda dei vostri preconcetti.
In termini assoluti, comunque, Miles non era incline a prendersela poi tanto per il Massacro di Solstizio. In fin dei conti le atomiche cetagandane avevano raso al suolo la città di Vorkosigan Vashnoi, uccidendo non centinaia, ma migliaia di persone e non c’erano state manifestazioni violente per le strade contro quell’atto. Ma era stato proprio il Massacro di Solstizio ad eccitare l’opinione pubblica e a sollevarla; ed era stato Vorkosigan a meritarsi il soprannome di "Macellaio", con la M maiuscola e la parola di un Vorkosigan ad essere infangata. E tutte quelle circostanze trasformavano quell’avvenimento in un frammento molto personale di storia antica.
Trent’anni prima; Miles non era ancora nato. David Galen compiva quattro anni proprio nel giorno in cui sua zia, il Consigliere komarrano Rebecca Galen veniva fucilata in quella palestra sotto la cupola della città di Solstizio.
Il Comando Supremo Barrayarano aveva discusso da ogni punto di vista e senza peli sulla lingua la questione dell’ammissione del ventiseienne Duv Galeni nel Servizio Imperiale.
«… non me la sento di raccomandare l’ammissione» scrisse il capo della Sicurezza Imperiale Illyan in una nota privata indirizzata al Primo Ministro Conte Aral Vorkosigan. «Ho il sospetto che sia solo il senso di colpa a farti essere indulgente nei suoi confronti. E il senso di colpa è un lusso che non ti puoi permettere. Se stai covando il desiderio segreto di farti sparare nella schiena, ti prego, avvertimi con almeno ventiquattr’ore di anticipo, in modo che possa dare corso alle mie dimissioni. Simon.»
La nota di risposta era vergata con gli scarabocchi a zampe di gallina di chi ha le dita troppo grandi per qualunque penna, una calligrafia che Miles conosceva fin troppo bene. «… colpa? Forse. Ho fatto una ricognizione in quella palestra prima che il sangue avesse avuto il tempo di rapprendersi. Sembrava uno stagno. Ci sono particolari che si incidono per sempre nella memoria, ma ricordo in particolare Rebecca Galen per il modo in cui le hanno sparato. È stata uno dei pochi a morire guardando in faccia i suoi assassini. Dubito molto che la mia schiena correrà mai pericoli da parte di "Duv Galeni".
«E il coinvolgimento di suo padre nella Resistenza mi preoccupa ancor meno. Non è stato solo per noi che il ragazzo ha mutato il suo nome nella forma barrayarana.
«Ma se riusciremo a guadagnarci la lealtà di uno come lui, sarà la realizzazione di quello che ho sempre avuto in mente per Komarr. Con una generazione di ritardo, è vero, e dopo una lunga e sanguinosa deviazione, ma (visto che sei proprio tu a tirare in ballo questi termini teologici) una specie di redenzione. È naturale che abbia ambizioni politiche, ma mi permetto di pensare che siano più complesse e più costruttive del semplice assassinio.
«Rimettilo in quella lista, Simon e questa volta lasciacelo. Questa faccenda mi sfinisce e non voglio che si trascini oltre. Dagli la possibilità di correre e di darci una prova di sé, se riesce.»
La firma era il solito scarabocchio affrettato.
Dopo di ciò, il cadetto Galeni divenne la preoccupazione di ufficiali di rango molto più basso nella gerarchia imperiale, e il suo curriculum si trasformò in quello pubblico a cui anche Miles aveva avuto accesso prima.
«Il guaio di tutto questo» commentò Miles interrompendo il silenzio pesante che era sceso nella stanza durante l’ultima mezz’ora, «per quanto affascinante sia, non restringe le possibilità, anzi, le moltiplica, dannazione!»
Senza escludere, rifletté, neppure la sua teoria di appropriazione indebita e diserzione: in quelle note non vi era nulla che la smentisse, anzi la rendeva ancor più dolorosa se si fosse dimostrata vera. E il tentato assassinio allo spazioporto assumeva nuove e sinistre implicazioni.
«Potrebbe anche essere vittima di qualche normalissimo incidente» intervenne Vorpatril.
L’ambasciatore grugnì e si alzò in piedi. «Molto ambiguo; avevano ragione a negare l’accesso. Simili dettagli potrebbero pregiudicare la carriera di un uomo. Credo, tenente Vorpatril, che le chiederò di procedere e presentare una denuncia per scomparsa alle autorità locali. Riprotegga quel file, Vorkosigan.» Ivan seguì l’ambasciatore.
Prima di spegnere la consolle, Miles diede una scorsa ai documenti che riguardavano quell’indiretto riferimento al padre di Galeni. Dopo l’uccisione della sorella nel Massacro di Solstizio, Galen padre era diventato un attivista del movimento clandestino e tutte le sostanze rimaste a quella famiglia un tempo orgogliosa, dopo la conquista barrayarana si prosciugarono completamente all’epoca della violenta rivolta successa sei anni dopo. Secondo alcuni vecchi rapporti della Sicurezza Barrayarana, una parte di quelle ricchezze si era trasformata in rifornimenti, armi e denaro per l’esercito terrorista; e in seguito in bustarelle per visti d’uscita e passaggi fuori dal pianeta per i superstiti. Ma nessun passaggio fuori da Komarr per il padre di Galeni: l’uomo era saltato in aria con una delle sue bombe durante l’ultimo futile attacco al QG della Sicurezza Barrayarana. Insieme a lui, anche il fratello maggiore di Galeni.
Per essere sicuro, Miles fece un controllo incrociato e con suo grande sollievo, nei rapporti della Sicurezza dell’ambasciata, scoprì che non c’erano altri Galeni o loro parenti tra i profughi terrestri.
Certo, Galeni aveva avuto tutto il tempo, e la possibilità, di correggere i rapporti, in quei due anni.
Miles si massaggiò la fronte dolente. Galeni aveva quindici anni quando gli ultimi sussulti della Rivolta si erano spenti o erano stati soffocati. Troppo giovane, sperava Miles, per esservi stato coinvolto attivamente. E anche se vi era stato coinvolto, Simon Illyan lo aveva saputo e aveva comunque deciso di passarci sopra. Decise che quello era un capitolo chiuso, e spense la consolle.
Miles lasciò che fosse Ivan a tenere tutti i contatti con la polizia locale, anche se la storiella del clone che ormai circolava liberamente, lo metteva in parte al riparo dall’eventualità di incontrare le stesse persone mentre rivestiva i panni delle sue due identità, ma non era comunque il caso di rischiare. Senza dubbio la polizia sarebbe stata più all’erta e più sospettosa e non era certo intenzione di Miles trasformarsi in un criminale a due teste.
La polizia comunque sembrava prendere molto sul serio la scomparsa dell’addetto militare, fino al punto di accogliere la richiesta dell’ambasciatore di non divulgare la notizia alla stampa. Aveva gli uomini e le attrezzature per sbrigare tutto il lavoro di routine, come ad esempio controllare l’identità delle parti di corpo umano inspiegabilmente trovate nei bidoni dei rifiuti e via dicendo. Per quello che lo riguardava, invece, Miles si autonominò investigatore ufficiale per le ricerche all’interno dell’ambasciata. Ivan, diventato a quel punto l’addetto anziano, si ritrovò di colpo con tutto il lavoro di Galeni sulle spalle; e senza un briciolo di compassione, Miles glielo lasciò fare.
Passarono ventiquattr’ore che Miles trascorse quasi sempre alla consolle, spulciando i rapporti dell’ambasciata sui profughi komarrani. Sfortunatamente però, la quantità di informazioni ammassate dall’ambasciata era enorme e se mai c’era qualcosa di significativo era sepolto e mimetizzato sotto tonnellate di particolari irrilevanti. Era un lavoro troppo grande per un uomo solo.
Alle due del mattino, Miles cedette, chiamò Elli Quinn e scaricò tutta la faccenda sul Reparto Informazioni della flotta dendarii.
Scaricò è proprio la parola giusta: montagne di dati trasferiti via frequenza riservata dai computer dell’ambasciata alla Triumph in orbita. A Galeni sarebbero venute le convulsioni. Al diavolo Galeni; in fondo era colpa sua, perché era scomparso. Miles inoltre si guardò bene dal comunicarlo ad Ivan. La sua giustificazione legale se si fosse arrivati ad un confronto, era che i Dendarii erano "de facto" reparti militari barrayarani e di conseguenza si trattava di un trasferimento interno all’esercito imperiale. In linea tecnica. Miles aveva incluso anche tutti i file personali di Galeni. In questo caso, avrebbe potuto sostenere legalmente che l’accesso in codice serviva solo a proteggere lo stesso Galeni dai pregiudizi dei patrioti barrayarani, e i dendarii non erano barrayarani. O l’una o l’altra delle due giustificazioni doveva funzionare.
«Di’ ai nostri agenti che trovare Galeni è un contratto» disse Miles a Elli. «Fa parte del progetto di reperimento fondi della flotta. Però ci pagano solo se gli portiamo l’uomo. E potrebbe proprio essere così, adesso che ci penso.»
Sprofondò nel sonno con la speranza che il suo subconscio riuscisse ad elaborare la cosa durante quello che restava della notte, ma si svegliò sfinito e svuotato come quando era andato a dormire. Allora affidò a Barth e a un paio di altri sottufficiali l’incarico di ricontrollare i movimenti del corriere, che era l’altro possibile anello debole della catena e in quanto a lui, rimase in attesa di una chiamata della polizia, seduto immobile come un sasso in una stanza buia, tamburellando con un piede sul pavimento, con la sensazione che la testa stesse per saltargli via da un momento all’altro, mentre la sua immaginazione tesseva scenari sempre più bizzarri e improbabili di una possibile spiegazione.
Il terzo giorno Elli Quinn lo chiamò.
Miles collegò il canale riservato all’olovideo, ansioso di rivedere il volto della donna, sul quale aleggiava un’espressione alquanto strana.
«Ho pensato che avrebbe potuto interessarti» disse col tono del gatto che faceva le fusa. «Il capitano Thorne è stato appena contattato con l’offerta di un contratto affascinante per i dendarii.»
«Ha anche un prezzo affascinante?» si informò Miles, mentre le rotelle del suo cervello stridevano nel tentativo di riportare alla mente i problemi dell’ammiraglio Naismith, che erano stati dimenticati e sepolti dalle tensioni di quegli ultimi due giorni di incertezza.
«Centomila dollari betani. In contanti, non rintracciabili.»
«Cent…» erano quasi mezzo milione di marchi imperiali. «Pensavo di essere stato chiaro: niente di illegale, questa volta, abbiamo già abbastanza guai così.»
«In che categoria rientra un rapimento?» ribatté lei ridacchiando.
«Assolutamente no!»
«Oh, sono sicura che farai un’eccezione in questo caso» dichiarò sicura, con molto brio.
«Elli…» ruggì lui.
Elli riuscì a controllare la sua allegria con un lungo respiro, ma la luce maliziosa rimase nel suo sguardo. «Ma Miles… i nostri misteriosi e facoltosissimi datori di lavoro vogliono assoldare l’ammiraglio Naismith per rapire Lord Miles Vorkosigan dall’ambasciata barrayarana.»
«Deve essere una trappola» sbottò Ivan nervoso mentre guidava il veicolo terrestre affittato da Elli attraverso i livelli della città. A mezzanotte l’illuminazione era di poco peggiore che di giorno, anche se a tratti le ombre dei loro volti si spostavano al passaggio delle luci all’esterno del tettuccio a bolla.
Il grigio dell’uniforme da sergente dendarii che indossava si addiceva ad Ivan non meno del verde di quella barrayarana, notò cupo Miles; Sta di fatto che quell’uomo stava bene in uniforme, in qualunque uniforme. Elli, seduta a fianco di Miles, sembrava la sua gemella al femminile; il corpo snello disteso con falsa nonchalance, il braccio appoggiato in un gesto protettivo sullo schienale del sedile sopra la testa di Miles. Ma aveva ripreso a mangiarsi le unghie, osservò Miles. Seduto tra i due, con indosso l’uniforme verde di Lord Vorkosigan, Miles si sentiva come una foglia di crescione appassito tra due fette di pane ammuffito. Era troppo stanco per quel genere di feste a tarda sera.
«Certo che è una trappola» disse Miles. «Chi l’ha tesa e perché è proprio quello che vogliamo scoprire. E anche quanto sanno. Hanno progettato tutto perché credono che l’ammiraglio Naismith e Lord Vorkosigan siano due persone diverse… o perché non lo sanno? E in questo caso, verranno compromessi i collegamenti segreti di Barrayar con i Mercenari Dendarii in vista di operazioni future?»
Lo sguardo di Elli incontrò il suo. Appunto. E se il trucchetto di Naismith era finito, che futuro avevano loro due?
«O forse» disse Ivan, nel tentativo di dare il suo contributo, «non c’è nessuna relazione. Magari si tratta solo di criminali del posto in cerca di un bel riscatto. O qualcosa di ancor più tortuoso, come ad esempio i cetagandani che cercano di mettere nei guai Naismith con l’ambasciata barrayarana, sperando che noi si riesca ad aver più fortuna di loro nel far fuori la spia. O magari…»
«Magari sei tu il genio malefico dietro tutto questo, Ivan» suggerì Miles in tono affabile, «che cerchi di liberarti la strada verso il comando in modo da avere l’ambasciata tutta per te.»
Elli lo guardò di sottecchi per accertarsi che stesse scherzando, mentre Ivan si limitava a fare un sorrisetto agro. «Oh, come mi piace quest’idea.»
«L’unica cosa che sappiamo con certezza è che non si tratta di un tentativo di assassinio cetagandano» sospirò Miles.
«Vorrei poterne essere sicura come sembri esserlo tu» mormorò Elli. Era la sera del quarto giorno dalla scomparsa di Galeni. Le trentasei ore trascorse da quando era stata fatta ai dendarii quella strana offerta le avevano dato il tempo di pensare e l’attrattiva iniziale si era spenta mentre al contrario Miles la trovava sempre più eccitante per le possibilità che offriva.
«Segui la mia logica» le disse. «I casi sono due: o i cetagandani continuano a credere che si tratti di due diverse persone oppure no. Loro vogliono uccidere l’ammiraglio Naismith, non il figlio del primo ministro di Barrayar. L’uccisione di Lord Vorkosigan potrebbe dare inizio ad un’altra guerra sanguinosa. E infatti sapremo che la mia copertura è saltata il giorno in cui smetteranno di cercare di eliminare Naismith… e cominceranno invece a fare pubblicamente un gran can-can sulle operazioni dei dendarii contro di loro, cosa molto imbarazzante. Ma per nulla al mondo si perderebbero quell’opportunità diplomatica, soprattutto in questo momento, con la questione del trattato sui diritti di passaggio attraverso Tau-Ceti. Potrebbero mandare in fumo i nostri commerci galattici con una sola mossa.»
«E proprio come primo passo di quel piano, potrebbero tentare il collegamento tra i due» disse Ivan, riflettendo ad alta voce.
«Non ho detto che non sono stati i cetagandani» rispose Miles in tono tranquillo, «ho solo detto che se sono loro, questo non è un assassinio.»
Elli gemette.
Miles gettò un’occhiata all’orologio. «È l’ora dell’ultimo controllo.»
Elli attivò il comunicatore da polso. «Sei sempre lassù, Bel?»
La voce da contralto del capitano Thorne rispose dal velivolo che li seguiva carico di truppe dendarii. «Vi seguo a vista.»
«Molto bene, resta in quella posizione. Tu ci guardi le spalle dall’alto e noi guardiamo davanti. Questo sarà l’ultimo contatto a voce, prima del segnale di scendere.»
«Aspetteremo. Bel chiude.»
Miles si sfregò nervosamente la nuca e Quinn, notando quel gesto, commentò: «Non mi riempie di gioia l’idea di far scattare la trappola lasciando che ti prendano.»
«Non ho nessuna intenzione di lasciare che mi prendano. Il momento in cui scoprono le carte, Bel scende e saremo noi a prendere loro. Ma se non danno l’impressione di volermi far fuori subito, potremmo venire a sapere parecchio lasciandoli portare avanti un poco il loro piano. Alla luce della… ah… situazione all’ambasciata, potrebbe valere la pena di correre il rischio.»
Lei scosse la testa in muta disapprovazione.
I minuti seguenti trascorsero in silenzio. Miles stava ripassando mentalmente tutti gli eventuali sviluppi che avevano preso in considerazione per gli eventi di quella sera, quando si fermarono davanti a una fila di antiche case a tre piani che si affacciavano su una strada a mezza luna. Gli edifici erano bui e silenziosi, vuoti, come se stessero aspettando la demolizione o la ristrutturazione.
Ehi guardò i numeri civici sulle porte e aprì il tettuccio. Miles scivolò fuori e rimase in piedi accanto a lei, mentre Ivan, rimasto in macchina, leggeva i sensori. «Non c’è nessuno» riferì.
«Cosa? Non è possibile» disse Elli.
«Forse siamo in anticipo.»
«Balle» disse Elli. «Come dice sempre Miles, segui la mia logica, Quelli che vogliono rapire Lord Vorkosigan ci hanno dato appuntamento a questo indirizzo solo all’ultimo minuto. Perché? In modo che non potessimo venirci prima per controllarlo. Dovevano preparare tutto e aspettare.» Si sporse all’interno della macchina guardando al di sopra della spalla di Ivan, che sollevò le mani in alto, in segno di resa, mentre Elli rieffettuava il controllo con i sensori. «Avevi ragione» ammise alla fine, «ma c’è qualcosa che non mi torna.»
Era la sfortunata coincidenza di un atto di vandalismo, la rottura dei due lampioni proprio in quel punto? Miles scrutò nel buio. «Non mi piace» mormorò Elli. «Non ti legherò le mani.»
«E riuscirai a tenermi buono da sola?»
«Sei drogato fino alla punta dei capelli.»
Con una scrollata di spalle, Miles aprì la bocca, lasciando penzolare la mascella, mentre gli occhi assumevano un’espressione vacua e guardavano in due direzioni diverse. Quando Elli lo prese per il braccio, guidandolo su per i gradini, la seguì con passo malfermo e strascicato. «La porta è aperta» disse Elli, dopo averla spinta. L’uscio si aprì con uno scricchiolio, rivelando l’interno buio.
Con una certa riluttanza, il comandante Quinn rinfoderò lo storditore e sganciò la torcia elettrica dalla cintura, accendendola. Si trovavano in un ingresso: a sinistra una scala malconcia, ai lati della quale due archi conducevano nelle stanze anteriori, vuote e sporche. Con un sospiro, oltrepassò la soglia e chiamò a bassa voce. «Non c’è nessuno?» Silenzio. Entrarono nella stanza di sinistra, illuminando ogni angolo con la torcia.
«Non siamo in anticipo» mormorò, «non siamo in ritardo, l’indirizzo è giusto… dove sono?»
Miles non poteva risponderle senza uscire dalla messinscena. Elli lo lasciò andare, passò la torcia nella mano sinistra ed estrasse di nuovo lo storditore. «Non c’è pericolo che tu vada lontano, pieno come sei» decise, come se stesse parlando tra sé. «Vado a dare un’occhiata in giro.»
Una delle palpebre di Miles tremolò per segnalare che aveva capito; mentre Elli controllava se c’erano microfoni nascosti e sensori, era meglio che lui recitasse fino in fondo la parte di Lord Vorkosigan drogato. Dopo un attimo di esitazione, Quinn si diresse su per le scale… portandosi dietro la torcia, accidenti.
Miles era ancora intento ad ascoltare il rapido e debole scricchiolio dei passi di lei al piano di sopra, quando una mano si posò sulla sua bocca e il raggio di uno storditore al minimo gli sfiorò la nuca.
Si contorse, scalciando, cercando di mordere, di gridare e il suo assalitore emise un sibilo di dolore, rafforzando la presa. Erano in due: gli immobilizzarono le braccia dietro la schiena e gli infilarono un bavaglio in bocca prima che lui riuscisse a chiudere i denti sulla mano. Il bavaglio era impregnato di una droga dolciastra, penetrante, che gli fece dilatare le narici, gli bloccò le corde vocali e gli diede la sensazione di avere perso contatto con il proprio corpo, come se questo si fosse trasferito ad un indirizzo diverso. Poi comparve una luce fioca.
Due uomini robusti, uno giovane e l’altro più vecchio, vestiti con abiti terrestri, si mossero nell’ombra, i contorni del corpo vagamente sfocati. Schermi anti-sensori, maledizione! Ed anche molto, molto efficaci, se erano riusciti ad ingannare l’equipaggiamento dendarii. Miles individuò le scatole di comando legate alla vita, che erano grandi dieci volte meno del modello più recente in dotazione alla flotta. Batterie così minuscole… e anche nuove, a giudicare dall’aspetto. L’ambasciata barrayarana sarebbe stata costretta ad aggiornare le apparecchiature di sicurezza… Storse gli occhi per un attimo, nel tentativo di leggere il nome del fabbricante… e vide il terzo uomo.
Oh, il terzo. Ecco, è successo fu il pensiero sconnesso di Miles, in preda al panico: ho oltrepassato il confine. Il terzo uomo era lui.
L’altro Miles, impeccabile nell’uniforme verde barrayarana, fece un passo avanti e fissò a lungo, con uno sguardo strano, intenso, il suo volto che i due uomini tenevano sollevato. Poi cominciò a svuotare le tasche di Miles: storditore… documento di riconoscimento… mezzo pacchetto di caramelline alla menta… alla vista delle caramelle corrugò la fronte, perplesso, ma poi, con una scrollata di spalle, si mise in tasca anche quelle. Infine indicò la cintura di Miles.
Il pugnale del nonno era stato dato a Miles per espressa volontà testamentaria. Quella lama, vecchia di trecento anni, era ancora flessibile come gomma e affilata come vetro: nel manico ingioiellato era nascosto il sigillo dei Vorkosigan. Glielo tolsero da sotto la giacca e l’altro Miles lo agganciò su una spalla e riabbottonò la tunica. Da ultimo, slacciò la cintura dello schermo anti-sensore e la allacciò attorno alla vita di Miles.
Lo squadrò da capo a piedi per l’ultima volta e nei suoi occhi Miles vide brillare una luce intensa di terrore eccitato. Aveva già visto quello sguardo, sul suo volto, riflesso nella parete di metallo della metropolitana.
No.
Lo aveva visto sul volto del suo alter ego riflesso nella parete di metallo della metropolitana.
Quella sera il suo sosia doveva essersi trovato a pochi passi da lui, alle sue spalle, con l’uniforme sbagliata, quella verde, mentre Miles indossava il grigio dei dendarii.
Be’, questa volta sembra proprio che ce l’abbiano fatta…
«Perfetto» ringhiò l’altro Miles, la cui voce giunse soffocata ma chiara senza lo schermo. «Non c’è bisogno di stordire la donna, non sospetterà di niente. Ve l’avevo detto che avrebbe funzionato.» Trasse un respiro, sollevò il mento e rivolse a Miles un sorriso ironico.
Piccolo impostore, marionetta, me la pagherai, pensò Miles in preda alla furia.
Be’, comunque io sono sempre stato il peggior nemico di me stesso.
Lo scambio aveva richiesto solo pochi secondi. Miles venne fatto uscire dalla porta posteriore e con uno sforzo eroico, mentre oltrepassava la soglia, riuscì a battere la testa contro uno stipite, nel tentativo di attirare l’attenzione di compagni.
«Cos’era quel rumore?» chiese subito Elli dal piano di sopra.
«Sono stato io» rispose prontamente il suo sosia. «Ho dato una controllatina: nemmeno qui sotto c’è nessuno. È andata buca.»
«Tu credi?» disse Elli mentre scendeva le scale. «Potremmo aspettare ancora un po’.»
Poi il suo comunicatore da polso trillò. «Elli?» disse la voce di Ivan. «Ho registrato uno strano segnale sui sensori, un minuto fa.»
Il cuore di Miles fece un balzo.
«Ricontrolla» ordinò il sosia in tono freddo.
«Niente, adesso.»
«E niente nemmeno qui. Temo che qualcosa li abbia spaventati e abbiano mandato a monte l’operazione. Richiama il perimetro difensivo e riportami all’ambasciata, comandante Quinn.»
«Così presto? Sei sicuro?»
«Sì, adesso: è un ordine.»
«Il capo sei tu. Accidenti, però» commentò con rimpianto, «ci avevo fatto la bocca a quei centomila dollari betani.»
Il rumore ritmico dei loro passi riecheggiò nel corridoio e poi scomparve quando la porta venne richiusa. Il rumore del motore svanì in lontananza. Buio e il silenzio interrotto solo dai respiri.
Miles venne trascinato fuori dalla porta, che dava in un vicoletto, e spinto sul sedile posteriore di una macchina in attesa. I due rapitori lo fecero sedere in mezzo a loro, mentre un terzo si metteva alla guida. I pensieri di Miles giravano in tondo, mentre lui lottava per non perdere conoscenza. Maledetti sensori… tecnologia vecchia di cinque anni, proveniente alla zona dell’orlo, il che significava dieci anni di ritardo rispetto alla Terra (adesso avrebbero dovuto ingoiare il rospo e smantellare da capo a piedi tutto il sistema di sensori della flotta… se lui fosse vissuto abbastanza per ordinarlo). I sensori un corno, non era colpa dei sensori. Al mitico unicorno non si dava forse la caccia con gli specchi, perché il vanitoso animale si rimirasse mentre i suoi assassini lo circondavano per colpirlo? Lì intorno, da qualche parte, doveva esserci una vergine…
Si trovavano in uno dei distretti più antichi della città. Il veicolo seguiva un percorso tortuoso, forse per confonderlo o semplicemente perché quella era una scorciatoia. Dopo circa un quarto d’ora entrarono in un parcheggio sotterraneo, piccolo, chiaramente privato, in cui c’era spazio per poche macchine. Il veicolo si fermò con un sibilo.
Lo fecero entrare in un tunnel di risalita e si fermarono al primo livello, entrando in un corridoio. Uno dei rapitori gli tolse gli stivali e la cintura con lo schermo anti-sensori. L’effetto dello storditore stava cominciando a svanire; si sentiva le gambe di gomma, piene di prurito e di formicolii, ma almeno erano in grado di sorreggerlo. Gli slegarono i polsi e Miles cercò goffamente di riattivare la circolazione. Poi gli tolsero il bavaglio e lui emise un gracidìo inarticolato.
Aprirono una porta e lo spinsero in una stanza priva di finestre; poi l’uscio si richiuse alle sue spalle con uno scatto simile alle ganasce di una trappola che scattava. Miles barcollò, ma riuscì a restare in piedi, con le gambe leggermente divaricate.
Una lampada di sicurezza sigillata contro il soffitto illuminava la stanzetta il cui unico mobilio erano due stretti banconi contro le pareti. A sinistra un’apertura senza porta conduceva in un minuscolo bagno, anch’esso senza finestre.
Su una delle panche, con il volto girato verso la parete, era raggomitolato un uomo, che indossava dei pantaloni verdi, una maglietta color crema e le calze. Con movimenti rigidi e cauti, l’uomo si girò e si mise a sedere, sollevando un braccio in alto in un gesto automatico, come per schermare gli occhi arrossati dalla luce troppo intensa, mentre con l’altro si appoggiava alla panca, per sostenersi. Capelli scuri scarmigliati, il volto scurito dalla barba di quattro giorni. Il colletto della maglietta era aperto, lasciando vedere un collo stranamente vulnerabile, in contrasto con l’effetto da armatura prodotto normalmente dal colletto alto e rigido dell’uniforme barrayarana. Il volto era solcato da rughe.
L’impeccabile capitano Galeni, piuttosto malconcio, però.