CAPITOLO SESTO

Per pranzo Miles mangiò un panino e sorseggiò un caffè nella sua cabina mentre esaminava i rapporti sulla situazione della flotta dendarii. Le riparazioni della navetta d’attacco superstite della Triumph erano terminate ed approvate. Ed anche pagate, purtroppo, e ora il denaro era proprio finito. I lavori di ristrutturazione erano stati completati su tutte le navi della flotta, le licenze a terra consumate e finite, le pulizie terminate, tutto era lustro e lindo. Stava subentrando la noia. La noia e la bancarotta.

I cetagandani non avevano capito niente, fu l’amara riflessione di Miles. Non sarebbe stata la guerra a distruggere i dendarii, sarebbe stata la pace. Se i loro nemici fossero rimasti con le mani in mano ad attendere pazientemente, i dendarii, la sua creazione, sarebbe crollata per conto suo, senza bisogno di assistenza esterna.

Il cicalino della cabina trillò; benvenuta quell’interruzione a distrarlo dalla piega cupa che avevano preso i suoi pensieri! Attivò il comunicatore sulla scrivania. «Sì?»

«Sono Elli.»

«Entra» esclamò entusiasta azionando l’interruttore della serratura. «Sei tornata molto prima di quanto pensassi. Temevo che potessero trattenerti laggiù, come Danio. O peggio, con Danio.»

Mentre la porta si apriva con un sibilo, Miles fece ruotare la sua sedia e di colpo, la stanza gli parve più luminosa, anche se un misuratore di luce non avrebbe rilevato alcun aumento della luminosità. Elli gli rivolse un cenno di saluto e si appoggiò con un fianco alla scrivania. Sorrise, ma aveva gli occhi stanchi.

«Te l’avevo detto. In effetti si è parlato di trasformarmi in un ospite fisso, ma io sono stata dolce, ho collaborato, sono stata persino sussiegosa mentre cercavo di convincerli che non sono una minaccia omicida per la società e che potevano lasciarmi di nuovo circolare per strada, ma non avevo ottenuto molto fino a quando i loro computer, improvvisamente, hanno fatto centro: la scientifica ha identificato i due uomini che ho… eliminato allo spazioporto.»

Miles comprese la leggera esitazione alla ricerca del termine esatto. Un’altra persona avrebbe cercato un più blando eufemismo, (qualcosa come fatto scomparire oppure spazzato via), per giustificare le conseguenze delle proprie azioni. Ma non era lo stile di Elli Quinn.

«Interessante» commentò in tono di incoraggiamento, mantenendo la voce calma, priva di qualunque inflessione critica o giudizio. Se i fantasmi dei tuoi nemici si accontentassero di accompagnarti all’inferno… invece no, rimangono appollaiati alle tue spalle, per un tempo indefinito, in attesa di poter espletare quel servizio. Forse le tacche che Danio intagliava nel calcio della sua pistola non erano poi un’idea di così cattivo gusto: di certo era un peccato più grave dimenticare nel conto anche un solo nemico. «Dimmi di loro.»

«È saltato fuori che erano ben noti e ricercati dalla Europolizia. Erano… come posso esprimermi… manovalanza del sottobosco. Assassini professionisti. Locali.»

Miles trasalì. «Ma perché, cosa gli ho fatto?»

«Dubito che ti stessero dando la caccia di loro iniziativa. Quasi certamente sono stati assoldati da sconosciuti, anche se immagino che noi saremmo in grado di dare loro un nome.»

«Oh, no. L’ambasciata cetagandana adesso subappalta il mio assassinio? Però direi che ha un senso: Galeni mi ha detto che erano a corto di personale. Ma ti rendi conto…» si alzò e cominciò a passeggiare avanti e indietro, agitato, «questo significa che potrei essere attaccato di nuovo, da qualunque parte. Dovunque, in qualunque momento. Da sconosciuti che non avrei alcun motivo di sospettare.»

«Un incubo, per la sicurezza» convenne lei.

«Immagino che la polizia non sia stata in grado di rintracciare i mandanti?»

«Sarebbe stato troppo bello. O comunque non ancora. In effetti ho indirizzato la loro attenzione sui cetagandani come candidati per la parte del cateto "movente" nel triangolo metodo-movente-occasione.»

«Ottimo. E per l’altra parte del triangolo, quella che riguarda il metodo e l’occasione, non possiamo fare qualcosa anche noi?» rifletté Miles ad alta voce. «Il risultato del loro tentativo stanno a dimostrare che erano impreparati per quel compito.»

«Per come la vedo io, direi che la loro azione è andata fin troppo vicino a funzionare» gli fece notare lei. «Però secondo me, il fattore che li limita potrebbe essere l’occasione. Voglio dire, quando tu sei a terra, l’ammiraglio Naismith non si limita a darsi alla macchia, anche se sarebbe decisamente complicato scovare un singolo uomo tra nove miliardi di persone; no, cessa letteralmente di esistere dovunque, zac! Pare che quei tizi ronzassero già da qualche giorno intorno all’aeroporto, aspettandoti.»

«Certo.» La sua visita alla Terra era completamente rovinata. A quanto pareva, l’ammiraglio Naismith era diventato un pericolo per se stesso e per gli altri. La Terra era sovraffollata: cosa sarebbe successo se la prossima volta i suoi attentatori avessero fatto saltare in aria un intero vagone della metropolitana o un ristorante per raggiungere il loro bersaglio? Essere scortato all’inferno dalle anime dei nemici era una cosa, ma non ritrovarsi a fianco di una scolaresca delle medie.

«Oh, a proposito, mentre ero a terra ho visto il soldato Danio» aggiunse Elli, osservandosi un’unghia sbeccata. «Il processo si terrà tra un paio di giorni e mi ha chiesto di chiederti di essere presente.»

Miles imprecò sottovoce. «Ma certo! Un numero potenzialmente illimitato di perfetti sconosciuti sta cercando di farmi fuori e lui vuole che annunci un’apparizione in pubblico. Senza dubbio per dar loro la possibilità di far pratica di tiro al bersaglio.»

Con un sorrisetto, Elli si morsicò l’unghia per pareggiarla. «Vuole qualcuno che testimoni il suo buon stato di servizio e la sua buona condotta.»

«Testimoniare sulla sua buona condotta? Vorrei tanto sapere dove tiene nascosta la sua collezione di scalpi; la porterei in aula per mostrarla al giudice. La terapia per le sociopatologie è stata inventata proprio per tipi come lui. No, no. L’ultima persona di cui ha bisogno come testimone è proprio qualcuno che lo conosce bene.» Con un sospiro, Miles proseguì: «Mandaci il capitano Thorne. È un betano, dotato di un savoir faire cosmopolita, dovrebbe essere in grado di mentire in modo convincente sul banco dei testimoni.»

«Ottima scelta» applaudì Elli. «Era proprio ora che tu cominciassi a delegare una parte del tuo fardello.»

«Non faccio che delegare» obiettò lui. «Sono molto contento, ad esempio, di aver delegato te per la mia sicurezza personale.»

Lei sollevò una mano nell’aria, con una smorfia, come per accantonare quel complimento prima ancora che lo raggiungesse. Che le sue parole le avessero fatto male? «Sono stata lenta.»

«Sei stata veloce quanto bastava.» Si voltò per guardarla in viso, o quantomeno… la gola. Elli si era tolta la giacca per stare più comoda e la scollatura della maglietta nera incrociava la scapola in una sorta di scultura astratta, estetica. Il suo profumo, il suo profumo di donna, non un’essenza, si levava dalla pelle calda.

«Penso che avessi ragione tu» disse. «"Un funzionario non dovrebbe fare compere nel negozio della società…"»

Maledizione pensò Miles, a quando l’ho detto. Ma allora, l’avevo detto perché ero innamorato della moglie di Baz Jesek e non volevo che si sapesse… era meglio che non venisse fuori mai…

«… in effetti ti distrae dal tuo dovere. Allo spazioporto, ti guardavo venire verso di noi e per un paio di minuti, che sono stati anche i più critici, la sicurezza è stata proprio l’ultima cosa che avevo in mente.»

«E la prima qual era?» chiese Miles speranzoso, prima che il buon senso lo fermasse. Svegliati, ragazzo, nei prossimi trenta secondi potresti mandare a catafascio tutto il tuo futuro.

Il sorriso di Elli fu molto sofferto. «A dire la verità, mi stavo chiedendo cosa ne avessi fatto di quella stupida coperta di gatto» affermò in tono frivolo.

«L’ho lasciata all’ambasciata. Stavo per portartela…» cosa non avrebbe dato per poterla tirare fuori ora, e invitarla a distendersi con lui sopra quella pelliccia… «ma avevo altre cose per la testa. Non ti ho ancora parlato dell’ultima piega presa dalle nostre già intricate finanze. Ho il sospetto…» maledizione, di nuovo gli affari che si intrufolano in questo momento, che avrebbe potuto diventare personale. «Te ne parlerò in seguito. Adesso voglio parlarti di noi. Devo parlare di noi.»

Elli si ritrasse leggermente e Miles si corresse in fretta: «… e dei nostri compiti.» Elli fermò la sua ritirata. Miles le toccò il colletto dell’uniforme, lo girò e passò le dita sulla superficie liscia e fresca delle mostrine. Era nervoso come un collegiale. Ritirò la mano e la strinse contro il fianco, per controllarsi.

«Io… vedi, io ho un mucchio di doveri, come se ne avessi una dose doppia: ci sono i doveri dell’ammiraglio Naismith e ci sono quelli del tenete Vorkosigan. E poi ci sono anche quelli di Lord Vorkosigan. Una dose tripla, anzi.»

Le sopracciglia inarcate, le labbra sporte in fuori, lo sguardo vagamente interrogativo: con pazienza celestiale, Elli aspettava, sì, aspettava che lui si rendesse ridicolo, senza interferire, lasciandogli scegliere il modo e il tempo. E il modo stava diventando farraginoso.

«I doveri dell’ammiraglio Naismith li conosci, ma sono l’ultima delle mie preoccupazioni, davvero. L’ammiraglio Naismith è subordinato al tenente Vorkosigan, che esiste solo per servire la Sicurezza Imperiale Barrayarana, alla quale è stato assegnato dalla saggezza e dalla clemenza del suo Imperatore. Be’, dai consiglieri del suo Imperatore. In breve, mio padre, ma questa è una storia che conosci.»

Lei accennò di sì con la testa.

«Questa faccenda di non farsi coinvolgere a livello personale con qualcuno dello staff può andare bene per l’ammiraglio Naismith…»

«Mi sono chiesta spesso nelle ultime ore, se quell’incidente nel tunnel di discesa non fosse una… una specie di test» disse Elli, come riflettendo ad alta voce.

Miles ci mise un attimo a capire. «Ehi! No!» esclamò. «Che trucco meschino, basso e spregevole sarebbe stato… no, non era un test: era vero, verissimo.»

«Ah» commentò lei, ma non cercò affatto di rassicurarlo facendogli capire che gli credeva, magari con un abbraccio appassionato. Un abbraccio appassionato sarebbe proprio stato quello che gli ci voleva, in quel momento. Elli invece si limitò a guardarlo fisso, mantenendo una posa che assomigliava dolorosamente alla posizione di attenti.

«Però non devi dimenticare che l’ammiraglio Naismith non è reale. È un costrutto, che ho inventato io. E a pensarci adesso, è un costrutto con parecchie parti mancanti.»

«Oh, che sciocchezza, Miles» replicò sfiorandogli piano la guancia. «E questo cos’è, un ectoplasma?»

«Torniamo indietro, torniamo indietro e parliamo di Lord Vorkosigan» la interruppe disperato Miles. Poi, con uno sforzo, si schiarì la gola e ridiede alla propria voce l’accento barrayarano. «Lord Vorkosigan lo conosci appena.»

Udendolo cambiare accento, lei sorrise. «Ti ho sentito imitare il suo accento: è affascinante, anche se un tantino, uhm, assurdo.»

«Non sono io che imito il suo accento: è lui che imita il mio. Voglio dire… cioè, credo…» si interruppe, confuso. «Nel mio sangue e nelle mie ossa c’è Barrayar.»

Lei sollevò di nuovo le sopracciglia, in un gesto ironico mitigato però dalla volontà di capire. «In senso letterale, a quanto ricordo. Non pensavo che li avresti ringraziati per averti avvelenato ancor prima di venire al mondo.»

«Non ero io il bersaglio, era mio padre. Mia madre…» Considerando dove voleva andare a parare con quel discorso, forse era meglio se evitava di citare tutti i falliti tentativi di assassìnio di quegli ultimi venticinque anni. «Comunque, quel genere di cose non accadono quasi più.»

«E quello di oggi allo spazioporto cos’era? Un balletto da strada?»

«Non era un tentativo di assassinio barrayarano.»

«Questo non lo sai ancora» ribatté allegra.

Miles aprì la bocca per parlare e rimase lì, colpito da un nuovo a più tremendo attacco di paranoia. Galeni era un uomo sottile, se Miles non aveva sbagliato a giudicarlo. Il capitano Galeni poteva rientrare tra i sospettati, anzi, era logico: supponiamo che fosse davvero colpevole di appropriazione indebita e supponiamo che avesse capito i sospetti di Miles e supponiamo ancora che fosse riuscito a trovare un modo per tenersi il denaro senza perdere la carriera, eliminando il suo accusatore. Galeni, oltretutto, sapeva perfettamente quando Miles si sarebbe trovato allo spazioporto. Se l’ambasciata cetagandana poteva facilmente e rapidamente assoldare degli assassini prezzolati locali, altrettanto poteva fare quella barrayarana, e con altrettanta segretezza. «Anche di questo parleremo… in seguito» riuscì a dire.

«E perché non adesso?»

«PERCHÉ STO…» si interruppe, trasse un profondo respiro, e proseguì con voce più bassa e controllata «… sto cercando di dire un’altra cosa.»

«Allora parla» lo incoraggiò Elli dopo un breve silenzio.

«Um, sì, i doveri. Come nel tenente Vorkosigan sono racchiusi tutti i doveri dell’ammiraglio Naismith, più altri suoi personali, allo stesso modo in Lord Vorkosigan sono racchiusi tutti quelli del tenente Vorkosigan più altri suoi personali. I doveri politici sono diversi e superano i doveri militari di un tenente. E anche… ehm, i doveri di famiglia.» Aveva le mani sudate; senza dare nell’occhio se le asciugò sui pantaloni. Era ancor più difficile di quanto avesse pensato. Ma non più difficile, certamente, di quanto lo era stato riaffrontare il fuoco per chi aveva avuto il volto ustionato dal plasma.

«Fai di te un ritratto che sembra un diagramma di Venn: L’insieme di tutti gli insiemi che sono membri di se stessi… o qualcosa del genere.»

«È così che mi sento» ammise lui. «Ma in qualche modo devo cercare di non perderli mai di vista.»

«E che cosa racchiude Lord Vorkosigan?» chiese lei curiosa. «Quando ti guardi nello specchio uscendo dalla doccia, chi vedi? Saluti la tua immagine dicendo: "Salve, Lord Vorkosigan?"»

Io evito di guardarmi negli specchi… «No, semplicemente "Salve Miles". Solo Miles.»

«E cosa racchiude Miles?»

Lui si passò un dito sulla mano sinistra. «Questa pelle.»

«E questo è l’ultimo perimetro, quello più esterno?»

«Direi di sì.»

«Oh, dèi» mormorò Elli. «Mi sono innamorata di un uomo che crede di essere una cipolla.»

Miles non poté trattenere una risatina. Ma… "innamorata"? Una grande speranza gli invase il cuore. «Meglio di quella mia antenata che credeva di…» No, questa era meglio non tirarla fuori.

Ma la curiosità di Elli era insaziabile; in fondo era per questo che lui l’aveva assegnata al Servizio Segreto Dendarii, dove aveva riportato tanti successi. «Si dice che la quinta contessa Vorkosigan soffrisse di allucinazioni periodiche, durante le quali credeva di essere fatta di vetro.»

«E alla fine cosa le è successo?» chiese Elli, affascinata.

«Uno dei suoi amanti, seccato, l’ha mollata e lei si è rotta.»

«L’allucinazione era così reale?»

«No, lo era la torre di venti metri da cui cadde. Non so con precisione» rispose impaziente. «Io non ho responsabilità sui miei antenati un po’ balordi. Semmai è il contrario, anzi, è il contrario. Vedi, uno dei doveri non-militari di Lord Vorkosigan è quello di arrivare, prima o poi, con una Lady Vorkosigan. La futura undicesima Contessa Vorkosigan. Sai, è una cosa che ci si aspetta da un uomo che discende da una cultura rigorosamente patrilinea. Tu sai che i miei… problemi fisici» proseguì indicando con una mano il proprio corpo (gli sembrava di avere la gola piena di cotone, l’accento andava e veniva), «erano teratogeni, non genetici. Dovrei avere figli normali. E forse è stato proprio questo che mi ha salvato la vita, dato l’atteggiamento tradizionalmente impietoso dei barrayarani nei confronti delle mutazioni. Credo che mio nonno non se ne sia mai convinto del tutto; mi spiace che non sia vissuto abbastanza per vedere i miei figli, questo lo avrebbe senz’altro convinto…»

«Miles» lo interruppe gentilmente Elli.

«Sì?» rispose lui senza fiato.

«Stai blaterando: perché? Potrei ascoltarti per ore, ma diventi preoccupante quando cominci a parlare così a ruota libera, sempre più in fretta.»

«Sono nervoso» confessò lui, rivolgendole un sorriso abbagliante.

«Reazione ritardata per quello che è successo questa mattina?» Gli scivolò accanto, per confortarlo. «Posso capirlo.»

Miles le passò il braccio destro attorno alla vita. «No. Be’, forse sì, un po’. Ti piacerebbe essere la contessa Vorkosigan?»

Lei fece una smorfia. «Fatta di vetro? Non è il mio genere, grazie. Il titolo però richiama alla mente più il cuoio nero e le borchie d’argento.»

L’immagine mentale di Elli abbigliata in quel modo era così attraente, che gli ci volle mezzo minuto buono per ritornare al momento in cui il discorso aveva preso un’altra piega. «Mettiamola in un altro modo» disse alla fine: «Vuoi sposarmi?»

Questa volta il silenzio si protrasse molto di più.

«Io credevo che tu stessi lavorando per chiedermi di venire a letto con te» disse poi lei, «e ridevo. Del tuo fegato.»

«No» rispose Miles. «Quello sarebbe stato facile.»

«Non vuoi molto, vero? Solo sconvolgere e risistemare da capo a piedi il resto della mia vita.»

«È un bene che tu abbia capito anche questo. Non si tratta solo di un matrimonio, ma anche di un lavoro a tempo pieno.»

«Su Barrayar. A terra.»

«Sì. Be’, ci potrebbe essere qualche viaggio.»

Seguì un lungo silenzio, poi Elli disse: «Io sono nata nello spazio, sono cresciuta in una stazione di trasferimento; ho lavorato per gran parte della mia vita adulta su di un’astronave. Il tempo che ho passato con i piedi davvero nella polvere può essere contato in mesi.»

«Sarebbe di certo un cambiamento» ammise Miles riluttante.

«E cosa ne sarebbe del futuro ammiraglio Quinn, mercenaria?»

«Presumibilmente… spero… troverà il lavoro di lady Vorkosigan altrettanto interessante.»

«Lasciami indovinare. Il lavoro di lady Vorkosigan non comprende il comando di una nave spaziale.»

«Permettere una carriera del genere comporta rischi per la sicurezza che farebbero inorridire persino me. Mia madre ha rinunciato al comando di un’astronave, nell’Esplorazione Astronomica Betana, per andare su Barrayar.»

«Stai dicendo che sei alla ricerca di una ragazza che assomigli alla mamma?»

«Dovrà essere in gamba, pronta, una persona assolutamente determinata a sopravvivere» spiegò Miles infelice. «Meno di questo… sarebbe la strage degli innocenti. Per lei, forse, e magari anche per i nostri figli insieme a lei. Le guardie del corpo, come ben sai, più di tanto non possono fare.»

Si guardarono. Il respiro di Elli si trasformò in un fischio lungo e sommesso, e il sorriso di lei, così diverso dall’espressione angosciata degli occhi, lo ferì come un pugnale. Non volevo farti del male… la cosa migliore che posso offrirti non dovrebbe addolorarti… è forse troppo, troppo poco… troppo orribile?

«Oh, amore» sussurrò lei «tu non pensi.»

«Penso un mondo di cose di te.»

«Ed è per questo che vuoi relegarmi per il resto dei miei giorni su una… perdonami, arretrata palla di polvere, che è da poco uscita dal feudalesimo, che tratta le donne come merce di scambio, come bestiame, che mi impedirà di mettere a frutto le abilità militari che ho imparato negli ultimi dodici anni, dal far atterrare una navetta fino all’interrogatorio con le droghe… mi spiace, non sono un’antropologa, non sono una santa… non sono pazza.»

«Non devi rispondermi di no subito» disse Miles con voce contrita.

«Oh, sì, che devo» ribatté lei, «prima che guardarti ancora mi faccia tremare le ginocchia. O il cervello.»

E cosa posso rispondere a questa affermazione, si chiese Miles. Se mi amassi sul serio, saresti felice di dedicare tutta la tua vita e la tua storia per amor mio? Ma certo: immolarsi a una vita come quella che le propongo non sarebbe il suo sport preferito. E questo la rende forte, la sua forza fa sì che io la voglia e siamo daccapo. «Il problema allora è Barrayar.»

«Certo. Quale femmina umana sana di mente si trasferirebbe di sua spontanea volontà sul quel pianeta? Con l’eccezione di tua madre, naturalmente.»

«Mia madre è eccezionale. Ma… quando lei e Barrayar si scontrano, è Barrayar che cambia. L’ho visto. Tu potresti essere una forza di cambiamento, come lei.»

«Conosco i miei limiti» rispose Elli scuotendo la testa.

«Nessuno conosce i propri limiti finché non li ha superati.»

«È naturale che tu la pensi così. Ma che rapporto c’è tra te e Barrayar, poi? Hai lasciato che ti sbattessero da una parte all’altra come… non ho mai capito perché non ti sei impadronito dei Dendarii e te ne sei andato. Potresti far funzionare la flotta molto meglio di quanto ha fatto Oser, persino meglio di Tung. Potresti diventare imperatore di un pianeta tuo, prima della fine.»

«Con te al mio fianco?» ribatté con un sorriso strano. «Stai davvero suggerendomi di imbarcarmi nella conquista della galassia con cinquemila uomini?»

«Almeno non dovrei rinunciare al comando» rispose lei ridacchiando. «No, sul serio. Se sei tanto ossessionato dall’idea di essere un soldato professionista, a cosa ti serve Barrayar? Una flotta mercenaria vede dieci volte più combattimenti di un esercito terrestre. Una palla di polvere vede la guerra forse una volta in una generazione, se è fortunata…»

«O sfortunata» puntualizzò Miles.

«Una flotta mercenaria, invece, la insegue.»

«Questo dato statistico è stato notato anche dall’alto comando barrayarano ed è una delle ragioni principali per cui sono qui. Ho avuto più esperienza di combattimento io, anche se su piccola scala, in questi ultimi quattro anni, di quanta ne abbiano avuta la maggior parte degli ufficiali imperiali negli ultimi quattordici. Il nepotismo funziona in modi strani.» Le fece scorrere un dito lungo la guancia. «Adesso ho capito: sei innamorata dell’ammiraglio Naismith.»

«Naturale.»

«Non di Lord Vorkosigan.»

«Sono seccata con Lord Vorkosigan. Ha per te ben poca considerazione, amore.»

Lui lasciò passare quella doppia allusione. Dunque il golfo che li divideva era più profondo di quanto si fosse reso conto. Per lei, era Lord Vorkosigan a non essere reale. Allacciò le dita sulla sua nuca e respirò il suo respiro mentre lei diceva: «Perché ti fai rovinare e complicare la vita da Barrayar?»

«Queste sono le carte che mi hanno assegnato.»

«Ma chi? Questo non l’ho capito.»

«Poco importa: il fatto è, che per me è molto importante vincere con le carte che mi hanno dato. Quindi, così sia.»

«Il tuo funerale» sussurrò lei con la bocca sulla sua.

«Mmmm.»

Elli si ritrasse leggermente. «Posso ancora saltarti addosso? Con molta cautela, naturalmente. Non ce l’avrai con me perché ti ho rifiutato? Rifiutato Barrayar, cioè. Non te, non potrei mai rifiutare te…»

Mi ci sto abituando, quasi non me ne accorgo più… «Devo mettere il broncio?» chiese in tono scherzoso. «Perché non posso avere tutto, allora non prendo niente e me ne vado con aria offesa? Spero che mi sbatteresti in corridoio a testa in giù se fossi così stupido.»

Lei rise. Se riusciva ancora a farla ridere, allora le cose non andavano poi così male. Se era Naismith che voleva, allora sarebbe stato ben felice di darglielo. Mezza pagnotta per mezzo uomo. Senza smettere di baciarsi, si inclinarono verso il letto. Era facile con Quinn, era lei a renderlo facile.


Quando ripresero a parlare dopo aver fatto l’amore, parlarono di lavoro. Miles non ne fu sorpreso. Tra una carezza e l’altra che minacciarono di trasformarlo in liquido che dal letto traboccava in una pozza sul pavimento, ascoltò il resto del rapporto di Elli sulle scoperte e le attività della polizia di Londra. A sua volta, lui la mise al corrente degli avvenimenti all’ambasciata e della missione che aveva affidato a Elena Bothari-Jesek. E pensare che in tutti quegli anni aveva creduto che ci volesse una sala conferenze per tenere un briefing. Non c’erano dubbi, si era imbattuto in un universo insospettato di stile di comando alternativo. Il sibaritico prendeva il sopravvento sul cibernetico.

«Altri dieci giorni» si lamentò Miles con la faccia nel materasso, «prima del probabile ritorno di Elena da Tau Ceti. E niente ci garantisce che torni portando con sé il denaro che manca, soprattutto se la somma è già stata spedita una volta. E nel frattempo la flotta dendarii se ne resta oziosa in orbita. Lo sai cosa ci servirebbe?»

«Un contratto.»

«Maledettamente giusto. Non sarebbe la prima volta che accettiamo contratti tappabuchi anche se siamo in servizio permanente per la Sicurezza Imperiale Barrayarana. Loro non ci trovano niente da ridire, perché la cosa dà un po’ di respiro alle loro finanze. Dopo tutto, meno tasse sono costretti a spremere dai contadini, e meno lavoro hanno sul fronte interno. È veramente strano che non abbiano mai pensato di trasformare la flotta dendarii in una macchina per produrre entrate. Avrei già spedito in giro i nostri procacciatori di contratti settimane fa, se non fossimo bloccati in orbita attorno alla Terra finché non si chiarisce quel pasticcio all’ambasciata.»

«È un vero peccato che non possiamo far lavorare la flotta proprio qui sulla Terra» disse Elfi. «Purtroppo sembra che su tutto il pianeta sia scoppiata la pace.» Nel frattempo le sue mani scioglievano i muscoli delle sue caviglie, uno per uno e Miles si chiese se sarebbe riuscito a convincerla a fare lo stesso con i piedi. Dopo tutto, lui lo aveva fatto a lei, poco prima, anche se per scopi più nobili e diversi. Oh, meraviglioso, non doveva neppure cercare di persuaderla… agitò le dita, deliziato. Non aveva mai sospettato di avere delle dita dei piedi sensuali, finché lei non glielo aveva fatto notare. In effetti tutto il suo corpo si rivelava in grado di assorbire ogni minima carezza.

«C’è qualcosa che non funziona nei miei ragionamenti» decise. «Sto osservando qualcosa per il verso sbagliato. Vediamo un po’. La flotta dendarii non è legata all’ambasciata, mentre io sì. Potrei mandare via voi…»

Elli piagnucolò, un suono così strano emesso da lei, che Miles rischiò uno strappo muscolare per voltarsi di scatto a guardarla. «Era solo un’idea improvvisa, un po’ pazza» si scusò lui.

«Be’, non fermarti a quella.»

«E in ogni caso, proprio per il pasticcio all’ambasciata, non mi sembra saggio privarmi della copertura alle spalle. È… c’è qualcosa che non funziona, qui, il che significa che continuare a restarcene con le mani in mano in attesa che la situazione si risolva è da veri sciocchi. Bene. Un problema alla volta. I dendarii. Denaro. Lavori strani… ehi!»

«Ehi?»

«Chi dice che devo cercare un contratto per tutta la flotta insieme? Lavoro, impieghi diversi. Contante insperato. Dividi e conquista! Guardie di sicurezza, tecnici di computer, qualunque cosa chiunque sia in grado di inventarsi che generi un po’ di contante…»

«Rapine in banca?» si intromise Elli speranzosa e interessata.

«E dici che la polizia ti ha lasciato andare? Non lasciarti trasportare. Ma ho per le mani una forza lavoro di cinquemila persone con le specializzazioni più varie e più qualificate. E questa è di certo una risorsa che vale molto di più della stessa Triumph. Delegare! Mandiamoli in giro a succhiare un po’ di maledettissimo denaro!»

Seduta a gambe incrociate ai piedi del letto, Elli commentò infelice: «Ho lavorato un’ora per farti rilassare, e guarda qui! Ma che cosa sei, plasto-memoria? Tutto il tuo corpo si sta riannodando sotto i miei occhi… dove vai?»

«A mettere in atto le mie idee, dove altro?»

«La maggior parte della gente a questo punto, dorme…» Con uno sbadiglio lo aiutò a distinguere i pezzi di uniforme disseminati sul pavimento. Le due magliette erano intercambiabili. Quella di Elli si riconosceva solo per il debole sentore del suo profumo che ancora emanava… Miles fu tentato di non restituirgliela, ma poi rifletté che tenersi la biancheria della sua ragazza per annusarla non gli avrebbe fatto guadagnare molto punti nel campo del savoir-faire. L’accordo, anche se tacito, era chiaro: quella fase della loro relazione doveva interrompersi, con molta discrezione, sulla porta della camera da letto, se volevano confutare la fatua affermazione dell’ammiraglio Naismith.


Le prime battute delle riunioni dello stato maggiore dendarii, quando Miles arrivava con un nuovo contratto per la flotta, gli davano sempre la sensazione di vederci doppio. Lui era solo un’interfaccia, pienamente conscio delle due metà, che cercava di fare da specchio magico tra i dendarii e il loro vero datore di lavoro, l’Imperatore. Quella sgradevole sensazione di solito svaniva in fretta, perché lui si concentrava solo sulla missione in questione, rifocalizzando la sua personalità e a quel punto l’ammiraglio Naismith arrivava a prendere quasi del tutto il sopravvento. "Rilassato" non era il termine giusto per descrivere il suo stato alfa, vista la personalità trascinante di Naismith; quello che si avvicinava di più era forse "sciolto".

Per la prima volta era rimasto con i dendarii per ben cinque mesi filati e l’improvvisa ricomparsa del tenente Vorkosigan nella sua vita aveva avuto un effetto insolitamente dirompente in questa circostanza. Naturalmente in genere non erano le cose di parte barrayarana a mandarlo in tilt, perché aveva sempre contato sulla solidità di quella struttura di comando, l’assioma da cui fluivano tutte le azioni, lo standard su cui si misuravano i conseguenti successi o i fallimenti. Ma non questa volta.

Quella sera, nella sala riunioni della Triumph, davanti a tutti i capi dipartimento e ai capitani delle navi convocati in gran fretta, venne colto da un’improvvisa paralisi schizoide: che cosa doveva dire a quella gente? Okay, siete liberi di fare quello che volete, ragazzi…

«Per qualche tempo dovremo fare da soli» esordì l’ammiraglio Naismith, emergendo da quell’ignoto recesso della mente di Miles in cui abitava e prendendo il comando. La notizia, finalmente confermata pubblicamente, di qualche anomalia nel pagamento del contratto, provocò l’attesa reazione costernata; la cosa più sconcertante, però, fu la rapidità con cui si rasserenarono, rassicurati, quando lui, con voce severa e minacciosa, affermò che stava già indagando personalmente sulla cosa. Be’, almeno, dal punto di vista dei dendarii, quello giustificava tutto il tempo che aveva passato ad infilare dati in un computer nelle cantine dell’ambasciata di Barrayar. Giuro, pensò Miles, che riuscirei a vendergli anche i terreni radioattivi.

Ma una volta interpellati, quegli uomini scovarono un impressionante numero di idee su come trovare liquidità a breve termine. E Miles, profondamente sollevato, lasciò la cosa nelle loro mani. Dopo tutto, non si arrivava allo stato maggiore dei dendarii se si era stupidi. Il suo cervello per il momento era prosciugato. Sperava che fosse dovuto al fatto che i suoi circuiti inconsciamente continuavano a lavorare sulla metà barrayarana del problema e che non fosse invece un sintomo di demenza senile precoce.


Dormì da solo, e male, e si svegliò stanco e dolorante. Si occupò di alcune questioni di amministrazione interna e poi diede la sua approvazione alle sette idee meno strampalate per fare denaro che i suoi uomini avevano sviluppato durante la notte. Un ufficiale aveva persino scovato un contratto per guardie di sicurezza che avrebbe impegnato venti soldati, all’inaugurazione di un centro commerciale a… dove diavolo era Xian?

Miles si agghindò con la sua uniforme di gala (tunica di velluto grigio con mostrine d’argento sulla spalla, pantaloni con l’accecante striscia bianca lungo la cucitura esterna, gli stivali più lucidi) e accompagnò il tenente Bone alla banca. Elli Quinn lo scortò con due dendarii tra i più robusti, mentre un cordone invisibile di uomini in abiti civili armati anche di rilevatori, vigilava davanti e dietro di loro.

Alla banca l’ammiraglio Naismith, molto lustro ed educato per essere un uomo che non esisteva, firmò la cessione di discutibili diritti su una nave che non gli apparteneva ad un’organizzazione finanziaria che non se ne faceva nulla e che non ne aveva alcun bisogno. Come gli fece notare il tenente Bone, però, il denaro era vero. Invece di crollare un pezzo alla volta che sarebbe dovuto cominciare quel pomeriggio (secondo i calcoli del tenente Bone), avrebbero avuto un solo grande collasso in una data imprecisata del futuro. Urrà!!

Mentre si avvicinavano all’ambasciata barrayarana, congedò ad una ad una le guardie, finché non rimase solo Elli. Nel tunnel sotterraneo di servizio si fermarono davanti ad una porta con la scritta: PERICOLO: SOSTANZE TOSSICHE. INGRESSO CONSENTITO SOLO AL PERSONALE AUTORIZZATO.

«Siamo nel raggio degli analizzatori» l’avvertì Miles.

Elli si portò un dito alle labbra, riflettendo. «Però potresti entrare lì dentro e scoprire che sono arrivati ordini che ti richiamano su Barrayar e non ti rivedrei per un altro anno. O mai più.»

«Opporrei resistenza ad un…» cominciò Miles, ma lei gli posò un dito sulle labbra, per impedirgli di pronunciare ad alta voce le sciocchezze che stava pensando e per mandargli un bacio. «D’accordo» disse Miles con un sorriso. «Mi terrò in contatto, comandante Quinn.»

La schiena eretta, un cenno, la versione impressionista di un saluto militare ed Elli se ne andò. Miles sospirò e appoggiando il palmo della mano sulla serratura, aprì quella porta dalla scritta intimidatoria.

Dietro la seconda porta, e superata la consolle degli analizzatori a cui era seduta una guardia in uniforme, Miles trovò ad attenderlo Ivan Vorpatril, che si dondolava sulle punte dei piedi con un sorriso teso.

E cos’è successo adesso? Era di certo troppo, sperare che il cugino lo attendesse solo per salutarlo.

«Sono contento che tu sia di ritorno, Miles» disse Ivan. «Arrivi giusto in tempo.»

«Non volevo abusare troppo del privilegio, potrei averne bisogno un’altra volta. Anche se non è molto probabile che lo ottenga… mi ha molto stupito che Galeni non mi abbia fatto tornare a razzo all’ambasciata, chiudendomi dentro a chiave, dopo quel piccolo incidente di ieri allo spazioporto.»

«Già… però c’è una ragione per cui non lo ha fatto» rispose Ivan.

«Davvero?» disse Miles con voce neutra.

«Il capitano Galeni ha lasciato l’ambasciata circa mezz’ora dopo di te, ieri. Da allora non lo hanno più visto.»

Загрузка...