CAPITOLO SECONDO

Miles rimase qualche istante con la testa appoggiata sul fresco tessuto della giacca dell’uniforme di Elli, poi lei si spostò, tendendo le braccia verso di lui. Che volesse abbracciarlo? Se lo faceva, decise Miles, lui l’avrebbe attirata a sé e baciata, senza pensarci due volte. E poi accadesse quello che voleva…

Alle loro spalle, la porta dell’ufficio di Galeni si aprì con un sibilo ed essi si staccarono di colpo. Con un brusco movimento della testa dai corti capelli neri Elli si mise in posizione di riposo, mentre Miles rimase in piedi dove era, imprecando tra sé per l’inopportuna interruzione.

Ancora prima di voltarsi udì e riconobbe quella voce strascicata e familiare.

«… Brillante, certo, ma eccessivo e frenetico. Si ha sempre l’impressione che stia per dar fuori da matti. Quando poi comincia a parlare troppo in fretta, è meglio stare in guardia. Oh, sì, è proprio lui…»

«Ivan» sussurrò Miles chiudendo gli occhi. «Quale peccato ho commesso verso di te, o Dio, perché Tu mi infligga Ivan… qui…»

Visto che Dio non lo degnò di una risposta, Miles si voltò con un sorriso tirato. Elli aveva piegato la testa di lato, e ascoltava con espressione attenta e corrucciata.

Galeni era tornato, portandosi dietro un tenente giovane e alto. Nonostante tutta la sua indolenza, Ivan Vorpatril doveva ovviamente essersi mantenuto in perfetta forma, perché il suo fisico faceva risaltare magnificamente l’uniforme. Il volto aperto e cordiale, dai lineamenti regolari, era incorniciato da capelli neri e ondulati tagliati alla moda patrizia. Miles non poté fare a meno di lanciare un’occhiata verso Elli, per spiare di nascosto la sua reazione. Con il suo portamento e la sua statura, Elli aveva la tendenza a far apparire sciatti tutti quelli che le stavano accanto, ma Ivan non correva certo questo rischio.

«Salve. Miles» lo salutò Ivan. «Cosa ci fai, qui?»

«Potrei farti la stessa domanda» rispose Miles.

«Sono secondo assistente dell’addetto militare. Mi hanno assegnato qui perché mi faccia un’educazione e una cultura, immagino. Sai com’è, la Terra…»

«Oh» esclamò Galeni sollevando lievemente un angolo della bocca, «dunque è questa la ragione. Me la ero sempre chiesta.»

Ivan fece un sorriso imbarazzato. «E com’è la vita tra gli irregolari, di questi tempi?» chiese a Miles. «Continui ancora con quella mascherata dell’ammiraglio Naismith?»

«Per il rotto della cuffia» rispose Miles. «Adesso i dendarii sono con me, sono in orbita» aggiunse sollevando un dito verso i soffitto, «e mordono il freno.»

Galeni aveva l’espressione di chi ha succhiato un limone. «Ma sono tutti a conoscenza di questa operazione segreta tranne me? Lei, Vorpatril… so benissimo che il suo livello di sicurezza non è più alto del mio!»

«Ci siamo incontrati in precedenza» rispose Ivan con una scrollata di spalle. «In famiglia si sapeva.»

«Maledetta rete di potere dei Vor» borbottò Galeni.

«Oh» esclamò Elli nel tono di chi ha appena fatto una scoperta, «questo è tuo cugino Ivan! Mi ero sempre chiesta che aspetto avesse.»

Ivan, che non aveva fatto che lanciarle occhiatine di ammirazione da quando era entrato, tese la schiena come un cane da punta e con un sorriso smagliante si chinò a baciarle la mano. «Incantato di conoscerla, milady. I dendarii devono essere migliorati, se lei è un buon esempio. Il miglior esempio, senz’altro.»

Elli rientrò in possesso della propria mano. «Ci siamo già incontrati.»

«No di certo, non avrei dimenticato il suo viso.»

«Non avevo questo viso. "Una lesta che sembra una cipolla" fu la sua definizione, se ben ricordo» puntualizzò con un lampo negli occhi. «Poiché in quella circostanza ero bendata, non avevo idea di quanto fosse brutta la protesi di plastopelle… finché non me lo ha detto lei. Miles non vi aveva mai fatto cenno.»

Il sorriso di Ivan si era un po’ afflosciato. «Ah, la signora ustionata dal plasma.»

Con un sorrisetto affettato, Miles si avvicinò a Elli, che lo prese a braccetto con atteggiamento possessivo, rivolgendo ad Ivan un freddo sorriso da samurai.

Cercando di accusare dignitosamente il colpo, Ivan si voltò verso il capitano Galeni.

«Poiché vi conoscete, tenente Vorkosigan, ho assegnato al qui presente tenente Vorpatril il compito di farle da guida in questa ambasciata, e di spiegarle quali saranno i suoi doveri» disse Galeni. «Vor o non Vor, fintanto che è sul libro paga dell’Imperatore, può anche darsi da fare. Mi auguro che arrivino al più presto delle chiarificazioni sulla sua posizione.»

«Mi auguro che anche le paghe dei dendarii arrivino con altrettanta celerità» disse Miles.

«La sua … guardia del corpo mercenaria può tornare al suo posto. Se per qualche ragione avrà bisogno di lasciare l’ambasciata, le assegnerò uno dei miei uomini.»

«Sissignore» sospirò Miles. «Ma devo comunque essere in grado di mettermi in contatto con i dendarii, per i casi di emergenza.»

«Farò in modo che il comandante Quinn abbia un comunicatore schermato, prima di andarsene. Anzi» toccò la consolle di comunicazione e disse: «Sergente Barth?»

«Sì, signore?» rispose una voce.

«Ha pronto quel comunicatore?»

«Ho appena finito di codificarlo, signore.»

«Molto bene. Lo porti nel mio ufficio.»

Dopo pochi istanti apparve Barth, ancora in abiti civili. Galeni scortò Elli alla porta. «Il sergente Barth la accompagnerà fuori dai confini dell’ambasciata, comandante Quinn.» Elli gettò un’occhiata a Miles, che le fece un rassicurante cenno di saluto.

«Cosa devo dire ai dendarii?» chiese Elli.

«Digli… digli che i fondi sono in arrivo» rispose Miles, mentre le porte si chiudevano con un sibilo, nascondendola.

Galeni ritornò alla consolle, su cui lampeggiava una spia per richiamare la sua attenzione. «Vorpatril, il suo primo compito sarà di far togliere a suo cugino quel… costume e di trovargli un’uniforme regolamentare.»

Per caso l’ammiraglio Naismith la innervosisce… anche solo un pochino, signore? pensò irritato Miles. «L’uniforme dendarii è reale quanto la sua, signore.»

Dall’altra parte della scrivania lampeggiante, Galeni gli rivolse un’occhiataccia. «Non saprei, sinceramente, tenente. Mio padre poteva permettersi di comperarmi solo dei soldatini giocattolo, quando ero un ragazzo. Potete andare, tutti e due.»

Inferocito, Miles attese che le porte si fossero richiuse alle loro spalle prima di strapparsi di dosso la giacca grigio-bianca e di gettarla sul pavimento del corridoio. «Costume! Soldatini giocattolo! Credo che ucciderò quel figlio di puttana komarrano!»

«Ohhh» esclamò Ivan, «quanto siamo suscettibili oggi.»

«Ma hai sentito cosa ha detto?»

«Già… ma Galeni è un tipo a posto, anche se forse un tantino attaccato al regolamento. Ci sono almeno una dozzina di eserciti mercenari con le divise più stravaganti che si aggirano in tutti gli angoli della distorsione e molti di loro sono al limite della legalità. Come fa ad essere sicuro che i tuoi dendarii non sono dei semplici dirottatori?»

Miles raccolse la sua giacca, la scosse e la ripiegò su un braccio con molta cura. «Huh.»

«Forza» disse Ivan, «ti porto giù in magazzino e ti trovo qualcosa di un colore che corrisponda di più ai suoi gusti.»

«Pensi che abbiano qualcosa della mia taglia?»

«Laggiù disegnano una mappa laser del tuo corpo e poi, sotto controllo del computer, voilà, la tua uniforme perfetta, proprio come esce dal laboratorio di quel pirata di sarto da cui ti servi. Qui siamo sulla Terra, ragazzo.»

«Sono dieci anni che quel sarto di Barrayar mi confeziona i vestiti. Conosce qualche trucchetto in più del computer… Be’, immagino che dovrò accontentarmi. Il computer dell’ambasciata è in grado di confezionare anche abiti civili?»

«Se hai dei gusti conservatori» rispose Ivan con una smorfia. «Se invece vuoi qualcosa per far restare a bocca aperta le ragazze del posto, devi rivolgerti da un’altra parte.»

«Con Galeni come istitutrice, ho la sensazione che non avrò molte possibilità di rivolgermi da un’altra parte» sospirò Miles. «Mi adatterò.»


Miles osservò la manica color verde bosco della sua uniforme d’ordinanza barrayarana, aggiustò il polsino e sollevò il mento, per sistemare al meglio il colletto alto e rigido. Aveva quasi dimenticato quanto fosse scomodo quel maledetto colletto, per lui che aveva il collo corto: sul davanti, il rettangolo rosso dei gradi di tenente pareva quasi perforargli la guancia, mentre sul dietro gli si impigliava nei capelli troppo lunghi. L’osso del piede sinistro che si era rotto su Dagoola continuava a fargli male, anche dopo essere stato rotto una seconda volta, raddrizzato e trattato con elettro-stimolante.

Tuttavia in quell’uniforme verde si sentiva a casa, era di nuovo il vero se stesso. Forse era arrivato il momento di prendersi una vacanza dal ruolo di ammiraglio Naismith e da tutte le sue interminabili responsabilità, di ricordare i problemi molto più banali del giovane tenente Vorkosigan, il cui solo compito adesso era di imparare le procedure di un piccolo ufficio e di sopportare Ivan Vorpatril. I dendarii non avevano bisogno che lui stesse lì a tenergli la manina per cose tanto normali come riparazioni e rifornimenti e lui non avrebbe potuto orchestrare in modo più sicuro e discreto la scomparsa dell’ammiraglio Naismith.

Il regno di Ivan Vorpatril era una minuscola stanza priva di finestre all’interno dell’ambasciata e il suo compito era quello di inserire centinaia di dischi-dati in un computer protetto che li avrebbe trasformati in rapporti settimanali sulla situazione terrestre che sarebbero poi stati inviati al Capo Illyan e al comando su Barrayar. Dove, immaginava Miles, sarebbero stati confrontati tramite computer con altre centinaia di rapporti simili che avrebbero consentito a Barrayar di avere una visione dell’universo. Miles sperava con tutto se stesso che Ivan non sommasse chilowatt e megawatt nella stessa colonna.

«Fino ad ora la gran parte dei dati non sono che statistiche pubbliche» gli stava spiegando il cugino, seduto alla consolle e con l’aria di sentirsi perfettamente a proprio agio nell’uniforme verde. «Spostamenti della popolazione, cifre sulla produzione agricola e industriale, bilanci militari delle varie divisioni politiche, quelli pubblicati. Il computer li mette insieme in un dozzina di modi diversi e quando qualcosa non quadra, si mette a lampeggiare. Ma dal momento che tutte le fonti primarie hanno i computer, questo non avviene molto spesso… tutte le bugie vengono sotterrate molto prima di arrivare a noi, dice Galeni. Per Barrayar, la cosa più importante sono le registrazioni dei movimenti di astronavi dentro e fuori lo spazio locale terrestre.»

«E a questo punto arriviamo alla parte più interessante, il vero lavoro spionistico. Ci sono parecchie centinaia di persone qui sulla Terra di cui questa ambasciata cerca di seguire i movimenti, per una ragione o per l’altra, per una questione di sicurezza. Uno dei gruppi più numerosi è quello dei ribelli komarrani che sono espatriati.» Mosse una mano e una dozzina di volti comparvero uno dopo l’altro sulla videopiastra.

«Davvero?» chiese Miles, che cominciava ad interessarsi, suo malgrado. «Forse Galeni ha contatti segreti con loro, o cose simili? È per questo che mi hanno assegnato qui? Doppio agente, triplo agente…»

«Scommetto che a Illyan piacerebbe» rispose Ivan. «Per quello che ne so, loro considerano Galeni una specie di appestato, uno spregevole collaborazionista con gli oppressori imperialisti e via di seguito.»

«Ma di certo dopo tanto tempo e ad una distanza così grande, non possono costituire un vero pericolo per Barrayar. Sono solo dei rifugiati…»

«Alcuni però sono i rifugiati furbi, quelli che hanno portato fuori il loro denaro prima del tracollo; sono sospettati di essere coinvolti nel finanziamento della Rivolta durante la Reggenza… adesso però sono parecchio più poveri, quasi tutti. E stanno invecchiando. Un’altra mezza generazione, se la politica di integrazione di tuo padre avrà successo e avranno perso del tutto il loro peso, dice il capitano Galeni.»

Ivan prese un altro dischetto. «E adesso arriviamo alle vere patate bollenti, che consistono nel tenersi aggiornati su quello che fanno le altre ambasciate, come quella dei cetagandani.»

«Spero che si trovi dall’altra parte del pianeta» esclamò Miles con fervore.

«Niente affatto: la maggior parte delle ambasciate e dei consolati galattici sono concentrati qui a Londra, il che rende molto più comoda e conveniente la sorveglianza tra di loro.»

«Oh Dio» gemette Miles, «non dirmi che sono dall’altra parte della strada o qualcosa del genere.»

«Quasi» rispose Ivan con un sorrisetto. «L’ambasciata cetagandana si trova a circa due chilometri da qui. Noi andiamo spesso ai loro party e loro vengono ai nostri, per fare pratica di falsità e giocare il giochino "io-so-che-tu-sai-che-io-so".»

Un tantino affannato, Miles si sedette. «Oh merda!»

«Che ti prende, amico?»

«Quella gente sta cercando di uccidermi.»

«Ma figuriamoci, così scoppierebbe una guerra e adesso siamo in pace… più o meno, lo hai dimenticato?»

«Be’, comunque stanno cercando di uccidere l’ammiraglio Naismith.»

«Che è scomparso ieri.»

«Già, ma una delle ragioni per cui tutto questo imbroglio dei dendarii ha retto per tanto tempo è la distanza: l’ammiraglio Naismith e il tenente Vorkosigan compaiono sempre a non meno di cento anni luce l’uno dall’altro. Non siamo mai rimasti intrappolati sullo stesso pianeta insieme e di certo mai nella stessa città.»

«Ma finché lasci la tua uniforme dendarii nel mio armadio, chi può collegarvi?»

«Ivan, quanti gobbi alti un metro e cinquanta, con i capelli neri e gli occhi grigi ci possono essere su questo maledetto pianeta? Credi forse che si possa inciampare in un nano storpio ad ogni angolo?»

«Su un pianeta di nove miliardi di persone» replicò Ivan, «ci deve essere almeno sei di ogni cosa. Calmati!» Si interruppe. «Sai, è la prima volta che ti sento usare quella parola.»

«Quale parola?»

«Gobbo. E non lo sei affatto, lo sai» terminò gettandogli un’occhiata affettuosa e preoccupata.

Miles strinse i pugni e poi li riaprì con un gesto brusco. «Torniamo ai cetagandani. Se hanno anche loro un tuo omologo che fa la stessa cosa…»

«L’ho conosciuto» ammise Ivan. «Si chiama ghemtenente Tabor.»

«Allora sapranno che i dendarii sono qui e sapranno anche che l’ammiraglio Naismith è stato visto. Probabilmente avranno l’elenco di tutti gli ordini che abbiamo fatto attraverso la rete di comunicazione, o lo avranno quanto prima, quando penseranno di verificare. Controllano i nostri movimenti.»

«Può anche darsi che li stiano controllando» ribatté Ivan in tono ragionevole, «ma non possono ricevere ordini superiori più in fretta di quanto possiamo riceverli noi. E poi sono a corto di personale. Il nostro personale di sicurezza è quattro volte il loro, per via dei komarrani. Voglio dire, saremo anche sulla Terra, ma si tratta sempre di un’ambasciata secondaria, e questo vale molto più per loro che per noi. Non temere» esclamò raddrizzando la schiena e mettendo un braccio di traverso sul petto, «il cugino Ivan ti proteggerà.»

«Com’è rassicurante» mormorò Miles.

Ivan fece una smorfia a quel commento sarcastico e si rimise al lavoro.

La giornata si trascinò lentissima in quella stanza silenziosa dove non accadeva mai nulla e Miles scoprì che la sua claustrofobia poteva raggiungere picchi impensati. Prese lezioni da Ivan e negli intervalli misurò il pavimento da parete a parete.

«Potresti metterci la metà del tempo» fece notare al cugino.

«Ma allora avrei finito subito dopo pranzo» ribatté questi, «e a quel punto non avrei proprio più niente da fare.»

«Sono sicuro che Galeni riuscirebbe a trovare qualcosa.»

«È proprio quello che temo» rispose Ivan. «Tra poco finisce l’orario e poi andremo a un party.»

«No, poi tu vai al party; io me ne vado nella mia stanza, secondo gli ordini. E forse potrò finalmente recuperare il sonno arretrato.»

«È così che si fa, bisogna tenersi su il morale» disse Ivan. «Se vuoi, possiamo allenarci insieme nella palestra dell’ambasciata. Non hai per niente un bell’aspetto, sai? Sei pallido e… pallido.»

E vecchio, pensò Miles, è quella la parola che non hai voluto dire. Guardò il riflesso distorto del suo viso su una piastra cromata della consolle: Proprio malconcio, eh?

«Un po’ di esercizio ti farà bene» proseguì Ivan battendosi una mano sul petto.

«Non ne dubito» mormorò Miles.


Presto le giornate assunsero un ritmo costante e ordinato. Miles e Ivan dividevano la stanza e tutte le mattine si svegliavano, facevano un po’ di ginnastica in palestra, poi una doccia, la colazione e infine si recavano al lavoro nella stanzetta di raccolta dati. Miles arrivò al punto di chiedersi se gli sarebbe mai stato permesso di rivedere il meraviglioso sole della Terra. Dopo tre giorni, sostituì Ivan nel compito dell’inserimento dei dati, terminandolo per l’ora di pranzo, e riuscendo così a ricavarsi qualche ora per leggere e studiare. Divorò le informazioni sull’ambasciata e le procedure di sicurezza, sulla storia della Terra, e sulle notizie della galassia. Nel tardo pomeriggio si sottoponeva ad un’altra sessione di esercizi in palestra con il cugino e le sere in cui questi non usciva, vedevano insieme i video-drammi. Quando invece Ivan aveva qualche impegno Miles divorava le guide turistiche di tutti quei luoghi interessanti che non gli era concesso di visitare.

Tutti i giorni, utilizzando il comunicatore schermato, Elli gli faceva un rapporto sullo stato della flotta Dendarii ancora in orbita e Miles ritirandosi in disparte ad ascoltare si scoprì ogni volta più desideroso di ascoltare quella voce dall’esterno. I rapporti erano molto stringati e subito dopo si mettevano a parlare di piccole sciocchezze. Per Miles era sempre più difficile troncare la comunicazione ed Elli non era mai la prima a farlo. Si ritrovò a fantasticare sulla possibilità di corteggiarla nella sua vera identità: ma chissà se un comandante avrebbe accettato un appuntamento da un misero tenente? E poi, le sarebbe piaciuto Lord Vorkosigan? E ancora: Galeni gli avrebbe mai dato il permesso di lasciare l’ambasciata per scoprirlo?


Dieci giorni di vita regolare, esercizi ginnici e sonno gli avevano fatto male, decise Miles: il suo livello di energia era al massimo: al massimo, ma immobilizzato e imbottigliato nella parte di Lord Vorkosigan, mentre l’elenco di incombenze dell’ammiraglio Naismith aumentava, aumentava, aumentava…

«La smetti di agitarti, Miles?» si lamentò Ivan. «Siediti, prendi un gran respiro, trattienilo per cinque minuti. Puoi riuscirci, se ci provi.»

Miles fece un altro giro della stanza del computer e poi si lasciò cadere su di una seggiola. «Perché Galeni non mi ha ancora mandato a chiamare? Il corriere del QG di Settore è arrivato un’ora fa!»

«Ma dai a quell’uomo il tempo di andare al bagno e di bersi una tazza di caffè. Dai a Galeni il tempo di leggere i suoi rapporti. Siamo in tempo di pace, tutti hanno tempo da sprecare a scrivere rapporti e sarebbero molto seccati se nessuno li leggesse.»

«Questo è il guaio di voi truppe appoggiate dal governo» disse Miles, «siete viziati. Venite pagati per non fare la guerra.»

«Non c’era una volta una flotta mercenaria che faceva proprio questo? Appariva nell’orbita di un pianeta e si faceva pagare… per non fare la guerra. Funzionava, no? Semplicemente, tu non sei un comandante mercenario abbastanza creativo, Miles.»

«Già, era la Flotta LaVarr. Le cose hanno funzionato alla perfezione fino a quando la marina di Tau Ceti non li ha sorpresi e allora LaVarr venne mandato nella camera di disintegrazione.»

«I tau cetani non avevano nessun senso dell’umorismo.»

«Nessuno» convenne Miles. «E neppure mio padre.»

«Hai proprio ragione. Bene…»

La consolle di comunicazione lampeggiò e Ivan dovette schivare Miles che si tuffò per premere il bottone. «Si, signore?» rispose senza fiato.

«Venga nel mio ufficio, tenente Vorkosigan» disse Galeni, il cui volto era più impenetrabile che mai.

«Sissignore. Grazie, signore.» Miles interruppe la comunicazione e schizzò verso la porta. «I miei diciotto milioni di marchi, finalmente!»

«O quello, o ti ha trovato un lavoro in magazzino» fu l’arguto commento di Ivan. «Magari dovrai fare l’inventario di tutti i pesci rossi che ci sono nella fontana del giardino del salone dei ricevimenti.»

«Ma certo, Ivan.»

«Ehi, ma è un compito importante, una sfida: non stanno mai fermi, lo sai.»

«E tu come fai a saperlo?» Miles si interruppe, mentre un lampo malizioso gli brillava negli occhi. «Ivan, davvero ti ha fatto fare una cosa simile?»

«C’era in ballo il sospetto di una falla nella sicurezza. È una lunga storia» rispose Ivan.

«Ci scommetto. Me la racconti dopo. Vado.»


Miles trovò il capitano Galeni che fissava con aria dubbiosa il display sulla sua consolle di comunicazione, come se fosse ancora in codice.

«Signore?»

«Hm.» Galeni si appoggiò allo schienale. «Bene, tenente Vorkosigan, sono arrivati i suoi ordini dal QG di Settore.»

«E allora?»

Galeni strinse le labbra. «E allora confermano la sua temporanea assegnazione al mio personale. Ufficialmente e pubblicamente. Ora può presentarsi all’economato del mio dipartimento e ritirare la sua paga di tenente per questi ultimi dieci giorni. In quanto al resto dei suoi ordini, sono gli stessi di Vorpatril… anzi, potrebbero essere la fotocopia di quegli ordini solo con il nome cambiato. Lei dovrà assistermi come richiesto, tenersi a disposizione dell’ambasciatore e di sua moglie per compiti di scorta e se le avanzerà tempo, trarre vantaggio dalle opportunità culturali che solo la Terra può offrire e che si addicono al suo status di ufficiale imperiale e Lord Vor.»

«Che cosa? Ci dev’essere uno sbaglio! E cosa diavolo sono i compiti di scorta?» Sembra una roba da ragazze squillo!

Un leggero sorriso increspò un angolo della bocca di Galeni. «In massima parte si tratta di presenziare in uniforme di gala ai ricevimenti ufficiali dell’ambasciata, comportandosi da Vor a beneficio dei nativi. C’è un numero sorprendente di persone che prova una strana attrazione per gli aristocratici, anche per quelli di un altro pianeta.» Il suo tono lasciava intendere che lui considerava davvero "strana" quell’attrazione. «Mangerà, berrà, ballerà forse…» e qui il suo tono si fece dubbioso «e in generale si comporterà in modo squisitamente educato con tutti coloro che l’ambasciatore desidera… uh… impressionare. Qualche volta le verrà chiesto di ricordare e poi di riferire delle conversazioni. Vorpatril è un maestro in questo e devo ammettere che la cosa mi ha sorpreso. Potrà spiegarle lui tutti i particolari.»

Non ho bisogno di prendere lezioni di buone maniere da Ivan pensò Miles. E poi i Vor sono una casta militare, non aristocratica. Ma cosa diavolo era passato per la testa a quelli del QG? Quella era una cosa troppo ottusa anche per la loro mentalità.

Però, se non avevano nulla in programma per i dendarii in quel momento, perché non approfittare di quell’opportunità per far acquistare al figlio del Conte Vorkosigan qualche strato in più di vernice diplomatica? Tutti sapevano che senza dubbio era destinato al massimi livelli del Servizio… e di certo non poteva avere esperienze meno varie e diversificate di quelle di Ivan. Non si trattava del contenuto di quegli ordini, era solo la mancanza di separazione dal suo altro personaggio che era così… inaspettata.

Eppure… riferire conversazioni. Che quello fosse il prologo a qualche speciale compito spionistico? Forse in seguito; e magari erano già in viaggio tutti i dettagli che avrebbero chiarito la cosa.

Non voleva pensare nel modo più assoluto alla possibilità che il QG avesse finalmente deciso che era giunto il momento di chiudere definitivamente e per sempre le operazioni segrete dei dendarii.

«Be’…» disse in tono imbronciato, «va bene…»

«Sono molto contento che trovi gli ordini di suo gradimento, tenente» mormorò Galeni.

Miles arrossì e strinse le labbra. Se solo avesse potuto essere sicuro che i dendarii erano a posto, tutto il resto non avrebbe avuto importanza. «E i miei diciotto milioni di marchi, signore?» chiese, facendo attenzione a mantenere un tono dimesso, questa volta.

Galeni tamburellò con le dita sulla scrivania. «Con il corriere non è arrivato nessun ordine di credito, tenete. Né alcun accenno a un tale ordine.»

«Che cosa!?» strillò Miles. «Ma deve esserci!» Fu sul punto di tuffarsi sulla scrivania per guardare lui stesso lo schermo, ma si trattenne appena in tempo. «Avevo calcolato dieci giorni per tutti…» Il suo cervello cominciò a fornirgli numeri non richiesti: carburante, tariffe del cantiere orbitale, rifornimenti medici, dentistici, chirurgici, le scorte di ordinanza quasi esaurite, le paghe, la liquidità, i margini, i rinnovi… «Maledizione! Ci siamo svenati per Barrayar! Non possono… ci deve essere un errore.»

Galeni allargò le braccia in un gesto impotente. «Senza dubbio, ma è un errore che non è in mio potere rimediare.»

«Inoltri un’altra richiesta… signore!»

«Oh, lo farò.»

«Meglio ancora: mandi me come corriere. Se riuscissi a parlare di persona con il QG…»

«Hmm.» Galeni si sfregò le labbra. «È un’idea allettante… no, meglio di no. I suoi ordini, almeno, sono chiari. I suoi dendarii dovranno semplicemente rassegnarsi ad attendere il prossimo corriere. Se le cose stanno come dice lei» l’enfasi su quelle tre parole non sfuggì a Miles, «sono certo che si risolverà tutto per il meglio.»

Miles attese per un interminabile minuto, ma Galeni non aggiunse altro. «Sissignore.» Salutò ed uscì. Dieci giorni… altri dieci giorni… come minimo… potevano aspettare altri dieci giorni, ma sperava che per allora i cervelloni del QG avessero ridato ossigeno al loro cervello collettivo.


L’ospite femminile di rango più alto al ricevimento di quel pomeriggio era l’ambasciatore di Tau Ceti. Era una donna snella, di età indefinibile, con un viso dalla struttura ossea affascinante e occhi acuti e penetranti. Miles sospettava che la sua conversazione fosse già di per se stessa istruttiva, sottile, politica e brillante. Ma ohimè, poiché era già stata monopolizzata dall’ambasciatore barrayarano in persona, Miles dubitava che avrebbe avuto la possibilità di scoprirlo.

La matrona che gli era stata assegnata doveva il suo rango al marito, che era il Lord Mayor di Londra e che in quel momento si stava intrattenendo con la moglie dell’ambasciatore. La moglie del sindaco sembrava in grado di chiacchierare senza sosta, soprattutto degli abiti indossati dagli altri ospiti. Un cameriere dal portamento militaresco (tutti i camerieri umani dell’ambasciata erano uomini del dipartimento di Galeni), che reggeva un vassoio dorato, gli offrì un bicchiere di vino di colore paglierino e Miles lo prese, grato. Sì, due o tre di quelli e con la sua bassa tolleranza all’alcol sarebbe riuscito a sopportare anche la moglie del sindaco. Non era proprio per sottrarsi a occasioni sociali come quella che lui aveva sudato sette camicie, nonostante i suoi handicap fisici, per entrare nel Servizio Imperiale? Certo, più di tre bicchieri e si sarebbe ritrovato lungo e disteso sul pavimento di maiolica, con un sorriso ebete sul volto, profondamente addormentato e nei guai fino al collo al risveglio. Bevve un lungo sorso e quasi soffocò. Succo di mela… Maledetto Galeni, era davvero scrupoloso. Una rapida occhiata in giro gli confermò che la sua non era la stessa bibita servita agli altri ospiti. Passandosi un dito sull’alto colletto della giacca dell’uniforme, Miles fece un sorrisetto tirato.

«C’è qualcosa che non va nel suo vino, Lord Vorkosigan?» chiese preoccupata la matrona.

«Il vitigno è un tantino… giovane» mormorò Miles. «Suggerirò all’ambasciatore di tenere quest’annata ancora un po’ nelle cantine.» Ad esempio fino a quando me ne andrò da questo pianeta…

Il salone principale di ricevimento era un ambiente con il soffitto a volta, in vetro, molto elegante in cui ci si aspettava di sentire un’eco mostruosa ma che era invece stranamente silenzioso nonostante tutte le persone che le nicchie e i vari piani potevano contenere. Smorzatori di rumore nascosti da qualche parte, pensò Miles… e sarebbe stato pronto a scommettere che se uno avesse saputo in che punto mettersi, avrebbe trovato anche delle zone mute, impenetrabili a orecchie indiscrete sia umane che elettroniche. Prese mentalmente nota, per il futuro, del punto in cui si trovavano l’ambasciatore barrayarano e l’ambasciatrice di Tau Ceti; sì, persino i movimenti delle loro labbra sembravano sfocati e come indefinibili. C’era un trattato sui diritti di passaggio nello spazio locale di Tau Ceti che sarebbe scaduto tra non molto.

Miles e la sua compagna si avviarono verso il centro architettonico della sala, la fontana con lo stagno. Si trattava di una scultura gocciolante e fresca, circondata da muschio e felci in tinta. Nelle acque ombreggiate si muovevano misteriose forme rosso dorate.

Miles si irrigidì di colpo e poi si costrinse a rilassarsi, mentre un giovane nell’uniforme nera cetagandana e il viso dipinto con i segni gialli e neri del ghemtenente si avvicinava a loro, sorridente e attento. Si scambiarono un cenno guardingo.

«Benvenuto sulla Terra, Lord Vorkosigan» mormorò il cetagandano. «È qui in visita ufficiale o per un viaggio educativo e di piacere?»

«Entrambe le cose, in realtà» rispose Miles scrollando le spalle. «Sono stato assegnato a questa ambasciata per la mia, ah… istruzione. Lei però è avvantaggiato, signore.» Non era vero, in effetti; sia i due cetagandani in uniforme che i due in borghese, più tre individui sospettati di essere segretamente al soldo dell’Impero gli erano stati indicati sin dall’inizio del ricevimento.

«Ghemtenente Tabor, addetto militare dell’ambasciata cetagandana» si presentò educatamente e di nuovo si scambiarono un rigido cenno del capo. «Conta di fermarsi molto, milord?»

«Non credo. E lei?»

«Ho intrapreso l’arte del bonsai, per hobby. Si dice che i giapponesi dell’antichità lavorassero su un singolo albero anche per cento anni. O forse era solo una loro impressione.»

Miles sospettò che l’altro stesse facendo dello spirito, ma il volto di Tabor era così serio che era difficile esserne sicuri. Forse temeva di screpolare le sue belle strisce di pittura.

Uno scroscio di risa, dolce come il trillare di campanellini, attirò la loro attenzione verso l’estremità della fontana. Ivan Vorpatril, appoggiato alla ringhiera cromata, chinava la testa scura verso la sua bionda compagna. La donna indossava un abito rosa salmone e argento, che pareva fluttuare anche mentre stava ferma, come in quel momento; la massa di capelli biondi, spettinati ad arte, le ricadeva su una spalla candida e le unghie rosa emettevano bagliori argentati ogni volta che muoveva le mani.

Tabor emise un fioco sibilo, si chinò galantemente sulla mano della matrona e si allontanò. Miles lo rivide all’altra estremità della fontana, che cercava di accostarsi ad Ivan… ma chissà come, fu certo che il cetagandano non si fosse accostato per estorcergli segreti militari. Non c’era da stupirsi se il suo interesse per Miles era stato solo superficiale. Ma la caccia di Tabor alla bionda fu interrotta da un gesto del suo ambasciatore e il ghemtenente fu costretto a seguire i suoi dignitari che se ne andavano.

«Che giovane simpatico, Lord Vorpatril» chiocciò la matrona. «Noi tutti qui lo apprezziamo molto. La moglie dell’ambasciatore mi ha detto che siete parenti, vero?» Piegò la testa di lato, in un gesto interrogativo.

«Siamo cugini, in un certo senso» rispose Miles. «E… chi è la giovane donna che è con lui?»

«Quella è mia figlia, Sylveth» rispose orgogliosa la matrona.

La figlia, naturalmente. L’ambasciatore e la moglie erano sottili e acuti conoscitori delle sfumature barrayarane di rango. Miles, che apparteneva al ramo principale della famiglia, oltre ad essere il figlio del Primo Ministro Conte Vorkosigan, superava Ivan nella scala sociale, se non in quella militare… il che significava, che lui, Miles, era condannato. Gli sarebbero state affibbiate sempre le matrone dei VIP, mentre Ivan si sarebbe spupazzato tutte le figlie…

«Una bella coppia» commentò a denti stretti.

«Vero? E siete cugini in che senso, Lord Vorkosigan?»

«Eh? Oh, sì, io e Ivan: le nostre nonne erano sorelle. Mia nonna era la figlia maggiore del Principe Xav Vorbarra e la nonna di Ivan la minore.»

«Due principesse? Che cosa romantica!»

Ivan accarezzò per un attimo l’idea di raccontarle nei particolari in che modo sua nonna, il fratello di lei e a maggior parte dei loro figli fossero stati trasformati in polpette durante il regno del terrore dell’Imperatore Yuri il Folle, ma lasciò perdere. No, la moglie del sindaco l’avrebbe vista solo come una storia bizzarra, da brivido… o peggio ancora, romantica. Miles non credeva che sarebbe riuscita ad afferrare fino in fondo la stupidità e la violenza delle azioni di Yuri, le cui conseguenze avevano plasmato la storia di Barrayar fino al presente.

«Lord Vorpatril possiede un castello?» chiese maliziosa la matrona.

«Oh, no. Sua madre, mia Zia Vorpatril» che socialmente è un barracuda che ti mangerebbe in un solo boccone «possiede un delizioso appartamento nella capitale di Vorbarr Sultana.» Tacque e poi riprese: «Avevamo un castello, ma è andato bruciato alla fine dell’Era dell’Isolamento.»

«Un castello in rovina: è quasi altrettanto romantico.»

«Terribilmente pittoresco» le assicurò Miles.

Qualcuno aveva lasciato sulla ringhiera della fontana un piatto con degli antipasti avanzati. Miles prese un salatino e lo sbriciolò per dare da mangiare ai pesci rossi, che vennero a galla ad afferrare le briciole con un sottile risucchio.

Uno però rifiutò quell’esca, continuando a restarsene nascosto sul fondo. Era interessante vedere un pesce rosso che non mangiava… ehi, ecco la soluzione al problema dell’inventario dei pesci rossi di Ivan. Forse quello testardo era un diabolico costrutto cetagandano, le cui fredde scaglie brillavano come oro rosso, perché erano d’oro.

Miles avrebbe potuto afferrarlo con una mossa felina, poi calpestarlo sotto i piedi e l’oggetto avrebbe emesso uno scricchiolio metallico e uno sfrigolio elettrico… allora Miles lo avrebbe sollevato in aria con un gesto di trionfo… «Ah, grazie alla mia astuzia e ai miei riflessi ho catturato la spia che c’era tra voi!»

Ma se la sua ipotesi fosse stata sbagliata… ah! lo squish sotto le suole, la matrona che si ritraeva inorridita e il figlio del primo ministro barrayarano avrebbe di colpo acquistato la nomea di un giovane con seri problemi emotivi… Immaginò se stesso rivolgersi con voce gracchiante alla terrorizzata matrona, mentre le interiora del pesce schizzavano sul pavimento: «Ah ah! Dovrebbe vedere cosa faccio ai gattini!»

Alla fine anche il grosso pesce rosso venne a galla e afferrò la sua briciola con uno schizzo che bagnò gli stivali immacolati di Miles. Grazie, pesce. Mi hai salvato da un considerevole imbarazzo, pensò Miles. Naturalmente, se gli artigiani cetagandani erano davvero bravi, potevano progettare un pesce meccanico che mangiava sul serio e magari lasciava anche un po’ di escrementi…

La moglie del sindaco gli aveva appena rivolto un’altra domanda insidiosa su Ivan, che Miles, assorto com’era, non colse affatto. «Sì, è un vero peccato quella sua malattia» affermò in tono soave e stava per lanciarsi in un maligno resoconto sul patrimonio genetico di Ivan, retaggio di matrimoni tra consanguinei, esposizione alle zone radioattiva rimaste dopo la Prima Guerra Cetagandana, l’eredità di Yuri il Folle, quando all’improvviso il comunicatore schermato che aveva in tasca suonò.

«La prego di scusarmi, signora, mi chiamano.» Che Dio ti benedica, Elli, pensò mentre si allontanava dalla matrona e cercava un angolo tranquillo per rispondere. Nessun cetagandano in vista. Trovò una nicchia libera al secondo piano, circondata da piante verdi e rispose.

«Sì, comandate Quinn?»

«Miles, grazie a Dio» rispose la voce affannata di Elli. «Sembra che ci sia un Problema, laggiù, e tu sei l’ufficiale dendarii più vicino.»

«Che genere di problema?» Non gli piacevano i problemi con la maiuscola e Elli non era certo portata a farsi prendere dal panico. Sentì lo stomaco contrarsi.

«Non sono riuscita ad ottenere particolari sicuri, ma sembra che quattro o cinque nostri soldati in licenza a Londra si siano barricati in un negozio con un ostaggio e rifiutino di arrendersi alla polizia. Sono armati.»

«I nostri o la polizia?»

«Tutti e due, purtroppo. Il comandante della polizia con cui ho parlato sembrava pronto a spiccicare sangue dappertutto e molto presto.»

«Di male in peggio. Ma che diamine credi che stiano facendo?»

«Che io sia dannata se lo so. In questo momento sono in orbita, sto per scendere, ma ci vorranno dai quarantacinque minuti a un’ora prima che sia sul posto. Tung è ancora più lontano: dal Brasile gli ci vogliono due ore di volo suborbitale. Tu però potresti essere lì in dieci minuti. Ecco, codifico l’indirizzo nel tuo comunicatore.»

«Chi ha permesso ai nostri ragazzi di portare armi dendarii fuori dalla nave?»

«È una bella domanda, ma temo che per la risposta dovremo aspettare gli accertamenti post-mortem… per così dire» aggiunse cupa. «Pensi che troverai il posto?»

Miles guardò l’indirizzo apparso sul display. «Credo di sì. Ci vediamo là.» Speriamo…

«Bene. Quinn chiude.» Il canale si interruppe.

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