CAPITOLO QUINTO

Il giorno in cui il corriere tornò per la seconda volta dal QG, Miles si accampò nel corridoio fuori dall’ufficio del capitano Galeni. Dimostrando un grande autocontrollo, si astenne dal travolgere l’uomo sulla porta mentre usciva, lasciando che si allontanasse prima di tuffarsi dentro.

Davanti alla scrivania di Galeni si mise sull’attenti. «Signore?»

«Sì, sì, tenente, lo so» rispose il capitano in tono irritato, facendogli segno di aspettare, mentre videate di dati si succedevano sopra la sua videopiastra. Alla fine Galeni si appoggiò allo schienale corrugando la fronte…

«Signore?» sbottò di nuovo Miles in tono di urgenza.

Sempre con la fronte aggrottata, Galeni si alzò e gli fece cenno di sedersi al suo posto. «Guardi lei stesso.»

Miles fece scorrere i dati due volte. «Signore… non c’è niente, qui.»

«Me ne sono accorto.»

«Nessuna nota di credito… niente ordini… spiegazioni… niente di niente» esclamò Miles voltandosi verso di lui. «Nessun riferimento ai miei affari. Siamo rimasti qui ad aspettare venti giorni, dissanguandoci, per niente. In tutto questo tempo avremmo potuto andare su Tau Ceti e tornare indietro. Questa è una follia. È impossibile.»

Galeni appoggiò la mano aperta sul tavolo e si sporse in avanti con espressione pensosa, fissando la videopiastra silenziosa. «Impossibile, dice? No. Ho già visto altre volte ordini scomparire. Pasticci burocratici: dati importanti spediti all’indirizzo sbagliato; richieste urgenti messe da parte in attesa che qualcuno tornasse dalla licenza. Questo genere di cose succedono.»

«A me non succedono» borbottò Miles a denti stretti.

Galeni sollevò un sopracciglio. «Lei è un arrogante piccolo nobile Vor.» Si raddrizzò e proseguì: «Ma ho il sospetto che stia dicendo la verità: questo genere di cose non dovrebbero accadere a lei; a chiunque altro, sì, ma non a lei. Naturalmente» e sorrise, «c’è una prima volta per tutto.»

«Questa è la seconda volta» gli fece notare Miles, fissandolo con uno sguardo sospettoso, mentre le accuse più pazze gli bruciavano sulla punta della lingua. Che fosse quella l’idea che un borghese komarrano aveva di uno scherzo? Se gli ordini e la nota di credito non c’erano, qualcuno doveva averli intercettati… a meno che le richieste non fossero mai state inviate: aveva solo la parola di Galeni, per quello. Ma era inconcepibile che Galeni rischiasse la sua carriera solo per fare un dispetto ad un subordinato irritante. Anche se, Miles lo sapeva bene, la paga di un capitano barrayarano non era poi una gran cosa.

Neanche da paragonare con diciotto milioni di marchi.

Miles spalancò gli occhi e strinse i denti. Era però concepibile che un uomo povero, un uomo la cui famiglia aveva perso tutto, magari durante la conquista di Komarr, trovasse molto invitanti diciotto milioni di marchi. Non era questa l’impressione che gli aveva dato Galeni, ma, dopo tutto, cosa ne sapeva veramente Miles di quell’uomo? In quei venti giorni di convivenza, Galeni non aveva detto una sola parola della sua storia personale.

«E adesso cosa facciamo, signore?» sbottò rigido Miles.

«Rinvieremo le richieste» rispose Galeni allargando le braccia.

«Reinvieremo? Nient’altro?»

«Non posso tirare fuori diciotto milioni di marchi dalle mie tasche, tenente.»

Ah no? Be’, questo è da vedere… Doveva andarsene di lì, uscire dall’ambasciata e tornare dai dendarii, dove il suo esperto personale nella raccolta delle informazioni era stato lasciato a raccogliere polvere, mentre lui aveva sprecato venti giorni nella paralisi… Se davvero Galeni si era preso gioco di lui fino a quel punto, giurò Miles tra sé, non c’era buco abbastanza profondo in cui potesse nascondersi insieme ai suoi diciotto milioni di marchi rubati.

Galeni piegò la testa di lato, socchiudendo gli occhi con aria assente. «Per me è un mistero.» E sotto voce, tra sé, aggiunse, «e a me non piacciono i misteri.»

Sangue freddo, fegato… Miles fu costretto ad ammirare l’abilità d’attore dell’uomo, pari quasi alla sua. Ma se Galeni si era intascato i suoi soldi, perché non se n’era già andato da un pezzo? Che cosa stava ancora aspettando? Qualche segnale di cui Miles non era a conoscenza? Ma lo avrebbe scoperto… oh, se lo avrebbe scoperto! «Altri dieci giorni» sospirò. «Di nuovo.»

«Mi spiace, tenente» disse il capitano, sempre con quell’espressione assente.

E spiacente sarai… «Signore, ho bisogno di stare un giorno con i dendarii. Le incombenze dell’ammiraglio Naismith si stanno accumulando. Per prima cosa, grazie a questo ulteriore ritardo, adesso siamo costretti a chiedere un prestito temporaneo per poter coprire almeno le spese correnti. E devo occuparmene io.»

«A mio giudizio la sua sicurezza personale con i Dendarii è del tutto insufficiente, Vorkosigan.»

«E allora, se lo crede opportuno, mi dia qualche uomo dell’ambasciata. Sono comunque sicuro che la storia del clone ha allentato un po’ la pressione.»

«La storia del clone è stata un’idiozia» sbottò Galeni, risvegliandosi dalla sua apatia.

«Invece è stata un’idea brillante» ribatté Miles offeso per quella critica alla sua creazione. «Finalmente scinde del tutto Vorkosigan da Naismith, eliminando il più pericoloso dei punti deboli di tutta questa messinscena, la mia… unica e memorabile apparizione. Gli agenti segreti non dovrebbero fare apparizioni memorabili.»

«Che cosa le fa pensare che quella reporter non riferirà la sua storia ai cetagandani?»

«Ma per l’amor del cielo, siamo stati visti insieme all’olovideo, da milioni di persone! Saranno loro che si faranno vivi, in un modo o nell’altro, per farle delle domande.» Un leggera fitta di paura: ma di sicuro i cetagandani manderanno qualcuno per estorcerle delle informazioni senza darlo a vedere. Non ricorreranno ai metodi violenti ma poi cercheranno di liberarsi di lei.

«Se così stanno le cose perché diavolo ha scelto i cetagandani come padri putativi di Naismith? Se c’è una cosa che sapranno per certo è di non essere stati loro a crearlo.»

«Per una questione di verosimiglianza» spiegò Miles. «Se neppure noi sappiamo da dove viene realmente il clone, non si sorprenderanno di non averne sentito parlare neppure loro.»

«La sua logica ha qualche lampante pecca» ribatté Galeni. «Alla lunga potrà anche giovare alla sua messinscena, ma non aiuta me. Trovarmi con il cadavere dell’ammiraglio Naismith tra le braccia, sarebbe imbarazzante quanto avere quello di Lord Vorkosigan. Schizofrenico o meno, neppure lei può scindersi fino a questo punto.»

«Io non sono schizofrenico» ritorse Miles. «Magari affetto da manie depressive, questo sì» aggiunse dopo averci pensato.

«Conosci te stesso» sospirò il capitano con una smorfia.

«Ci proviamo, signore.»

Galeni tacque… o forse, saggiamente, decise di non rilevare quell’ultima affermazione. «Molto bene, tenente Vorkosigan» proseguì poi sbuffando, «le assegnerò il sergente Barth come ulteriore scorta di sicurezza. Ma voglio che lei mi faccia un rapporto ogni otto ore con il comunicatore schermato. Può avere le sue ventiquattr’ore di licenza.»

Miles, che stava già prendendo fiato per rispondere, ma si ritrovò senza parole. «Oh, grazie, signore» riuscì a dire. E perché diavolo Galeni aveva cambiato parere con tanta facilità? Avrebbe dato chissà cosa per sapere cosa si nascondeva in quel momento dietro quell’indecifrabile profilo romano.

Ma si ritirò in buon ordine, prima che il capitano potesse ripensarci.


I dendarii avevano scelto l’hangar più lontano tra quelli disponibili nello spazioporto di Londra per una questione di sicurezza e non di economia. E il fatto che la distanza lo rendesse anche il più a buon mercato non era altro che un gradevole e inaspettato beneficio secondario. L’hangar si trovava in fondo al campo, circondato solo da asfalto nudo e vuoto e niente avrebbe potuto tentare di avvicinarsi di nascosto senza essere visto. E se qualche sfortunata attività avesse avuto luogo lì intorno, rifletté Miles, nessun innocente passante occasionale avrebbe corso il rischio di esserne testimone. Si era trattato di una scelta logica.

Però era anche una passeggiata maledettamente lunga. Miles cercò di tenere un’andatura sostenuta, ma senza dare l’impressione di sgattaiolare come un ragnetto sul pavimento della cucina. Stava per caso diventando anche un po’ paranoico, oltre che schizofrenico e affetto da manie depressive? Il sergente Barth, che gli camminava accanto con aria infelice in abiti civili, avrebbe voluto scaricarlo al portello della navetta direttamente da una macchina blindata dell’ambasciata e solo con grande difficoltà Miles era riuscito a persuaderlo che sette anni di difficili e complicati sotterfugi se ne sarebbero andati in fumo se l’ammiraglio Naismith fosse stato visto scendere da un veicolo ufficiale barrayarano. Perché, ohimè, la buona visuale che si godeva dall’hangar era anche un’arma a doppio taglio. Niente poteva arrivare di straforo.

A meno che non fosse mimetizzato psicologicamente, certo. Ad esempio quel grosso veicolo a cuscino d’aria della manutenzione là sul fondo, che avanzava indaffarato: ce n’erano dappertutto e ben presto l’occhio si abituava ai loro passaggi irregolari. Se avesse dovuto sferrare un attacco, rifletté Miles, uno di quei veicoli sarebbe stato senz’altro la scelta più azzeccata. Era insospettabile, perfetto.

A meno che non sparasse per primo, nessun difensore dendarii se sparava a casaccio poteva essere certo di non colpire qualche innocuo e inerme impiegato dello spazioporto. Sarebbe stata una cosa terribilmente imbarazzante, un errore che poteva costare la carriera.

Il veicolo a cuscino d’aria cambiò percorso. Barth trasalì e Miles si irrigidì: quella assomigliava troppo ad una rotta di intercettazione. Però, maledizione, non c’erano sportelli o finestrini che si aprivano, nessun uomo armato che si sporgesse fuori a prendere la mira, nemmeno con una fionda. Ma per andare sul sicuro, sia Miles che Barth estrassero gli storditori d’ordinanza e Miles cercò di allontanarsi da Barth, mentre Barth cercò di metterglisi davanti: una confusione che durò un secondo prezioso.

E poi il veicolo, ora lanciato a piena velocità arrivò su di loro, sollevandosi in aria e nascondendo il luminoso sole del mattino. E il fondo liscio e piatto non offriva bersagli per uno storditore.

Alla fine, Miles seppe con certezza in che modo lo avrebbero ammazzato: doveva morire schiacciato.

Con uno strillo scattò a destra, cercando di allontanarsi. Il veicolo cadde come un enorme e mostruoso mattone quando il sistema anti-grav venne spento. Miles trovò la cosa un tantino eccessiva: non erano a conoscenza che le sue ossa potevano andare in frantumi anche solo con un carrello da supermercato? In quel modo invece, di lui non sarebbe rimasto altro che una rivoltante macchia appiccicaticcia sull’asfalto.

Si tuffò e rotolò su se stesso… e solo lo spostamento d’aria causato dal veicolo che precipitava lo salvò. Aprì gli occhi e scoprì di avere il paraurti del veicolo a cinque centimetri dal naso; allora si rimise in piedi, proprio mentre il camion si sollevava nuovamente in aria. Dov’era Barth?

Sul fianco luccicante del veicolo vide una scanalatura da cui spuntavano degli appigli: se si fosse trovato sul camion, invece che sotto… Miles lasciò cadere lo storditore che aveva nella mano destra e saltò, riuscendo in extremis ad afferrare uno degli appigli. Il veicolo sobbalzò di lato e cadde di nuovo, proprio nel punto in cui Miles si trovava un istante prima. Poi si risollevò e ricadde ancora con un tonfo irato, come un gigante isterico che cercasse di schiacciare un ragno con una pantofola. L’impatto sbalzò Miles dal suo precario appiglio ed egli cadde sull’asfalto, rotolando, nel tentativo di salvare le ossa. Lì non c’erano fessure nella pavimentazione in cui correre a nascondersi.

Una linea di luce si allargò sotto il veicolo che si risollevava e Miles cercò un grumo sanguinolento sull’asfalto, ma non ne vide… Barth? No, eccolo là, accovacciato poco lontano che strillava nel comunicatore da polso. Miles scattò in piedi e si mise a correre zigzagando. Il cuore gli batteva tanto forte che aveva l’impressione che il sangue stesse per schizzargli dalle orecchie. Per il sovraccarico di adrenalina e aveva il fiato mozzo nonostante dilatasse al massimo i polmoni. Cielo e asfalto rotearono attorno… aveva perso di vista la navetta… no, eccola là. Partì di corsa in quella direzione. Correre non era mai stato il suo sport preferito. E avevano avuto ragione quelli che l’avevano esonerato dall’addestramento ufficiali a causa del suo stato fisico. Emettendo un lungo stridio maligno, il veicolo avanzava nell’aria dietro di lui.

Il violento scoppio lo spedì a terra facendolo scivolare con la faccia sull’asfalto. Schegge di metallo, di vetro, di plastica fusa gli piovvero addosso e qualcosa lo colpì con un tonfo sordo sulla nuca. Si protesse la testa con le braccia e cercò di creare un buco nell’asfalto fondendolo col solo calore della paura. Con il sangue che gli martellava nelle orecchie, non udiva altro che un rumore continuo e ruggente.

Un altro millisecondo e sarebbe stato un bersaglio perfetto. Si girò di scatto su di un fianco e guardò in alto alla ricerca del veicolo pronto a piombare dal cielo. Ma non vide più nessun veicolo della manutenzione.

In compenso, però, un piccolo e scintillante velivolo nero scendeva velocemente, e illegalmente, attraverso lo spazio del controllo traffico aereo, facendo senza dubbio scattare tutti gli allarmi e le sirene dei computer di controllo dello spazioporto londinese. Be’ adesso non serviva più cercare di passare inosservato. Miles aveva riconosciuto il velivolo della forza di rincalzo della sicurezza barrayarana ancor prima di scorgere le uniformi verdi all’interno, in virtù del fatto che Barth era scattato immediatamente verso di esso. Però niente garantiva che i tre dendarii in uniforme grigia che stavano uscendo dalla sua navetta fossero giunti alla stessa conclusione. Miles balzò… a quattro zampe e quel movimento brusco, anche se interrotto, gli fece venire un capogiro. Al secondo tentativo comunque riuscì a mettersi in piedi.

Barth lo stava tirando per il gomito, cercando di trascinarlo verso il velivolo che atterrava. «Torniamo all’ambasciata, signore!» lo incitò.

Un dendarii in uniforme grigia si fermò imprecando a qualche metro di distanza, puntando il fucile al plasma contro Barth.

«Stai indietro, tu!» ringhiò.

Miles si frappose in fretta tra i due, mentre Barth portava la mano alla tasca della giacca. «Amici, amici!» esclamò, sollevando le mani a palmi in fuori verso i due contendenti. Il dendarii lo guardò, incerto e sospettoso, mentre con uno sforzo, Barth abbassava i pugni lungo i fianchi.

Elli Quinn, con il volto arrossato e spaventato, arrivò al piccolo trotto, brandendo un lanciarazzi con una mano sola, con il calcio infilato sotto l’ascella destra e un filo di fumo che usciva dalla canna larga cinque centimetri. Doveva aver sparato direttamente dal fianco.

Il sergente Barth lanciò uno sguardo furente all’arma. «C’è andata un po’ troppo vicino, non le sembra?» sbottò rivolto ad Elli. «Per poco non ci ha fatto saltare in aria assieme al bersaglio.» Era geloso, si rese conto Miles, perché lui un lanciarazzi non l’aveva avuto.

«È stato meglio di niente» rispose Elli con espressione offesa. «Certo è stato meglio di quanto avrebbe potuto fare lei, con quell’equipaggiamento che si è portato dietro lei!»

Miles sollevò la mano… e una fitta gli attraversò la spalla sinistra quando cercò di sollevare anche l’altro braccio. Si toccò la nuca e vide che la mano era bagnata di rosso. Una ferita che sanguinava come un maiale sgozzato, ma non pericolosa. Un’altra uniforme che si era rovinata.

«Sarebbe stato imbarazzante viaggiare in metropolitana con un’arma pesante, Elli» intervenne Miles in tono conciliante, «e non saremmo comunque riusciti a farla passare attraverso la sicurezza dell’aeroporto.» Tacque e osservò i resti fumanti del veicolo della manutenzione. «Nemmeno loro sono riusciti a far passare delle armi attraverso il controllo di sicurezza dello spazioporto, a quanto pare. Chiunque fossero.» E fece un cenno d’intesa al secondo dendarii, che capendo al volo, andò ad indagare.

«Venga via, signore!» lo incitò di nuovo Barth. «Lei è ferito. Arriverà la polizia e lei non dovrebbe trovarsi immischiato in questa cosa.»

Il tenente Lord Vorkosigan non dovrebbe trovarsi invischiato in questa faccenda, vorrai dire… e hai perfettamente ragione. «Ha ragione, sergente. Vada pure, faccia un giro lungo per tornare all’ambasciata e si assicuri che nessuno la segua.»

«Ma signore…»

«La mia sicurezza personale, che ha appena dimostrato la sua efficacia, la rileverà. Vada pure.»

«Il capitano Galeni si farà portare la mia testa su di un vassoio se…»

«Sergente, Simon Illyan in persona si farà portare la mia testa su di un vassoio se salta la mia copertura. Questo è un ordine: vada!»

Il nome del temuto capo della Sicurezza Imperiale non si poteva ignorare e così, pur indeciso e titubante, Barth si lasciò condurre da Miles verso il velivolo. Quando questo si alzò in volo, Miles tirò un sospiro di sollievo. Galeni lo avrebbe davvero rinchiuso per sempre in cantina se fosse tornato indietro ora.

La guardia dendarii, il volto cupo e leggermente verdognolo, tornò dalla sua ispezione al veicolo distrutto. «Due uomini, signore» lo informò. «Almeno, mi sembra che fossero maschi e che fossero in due, a giudicare dal numero di… uhm, parti che sono rimaste.»

Miles guardò Elli e sospirò. «Non è rimasto nessuno da interrogare, eh?»

Lei scrollò le spalle, come per scusarsi, ma senza sincerità. «Oh… ma tu sanguini…» e cominciò ad agitarsi intorno a lui.

Maledizione, se avesse avuto qualcuno da interrogare, Miles non avrebbe avuto nulla in contrario a caricarlo sulla navetta e a decollare, con o senza autorizzazione, per proseguire le sue indagini sulla Triumph, senza le pastoie legali che avrebbero certamente legato le mani alle autorità locali. Tanto gli ispettori della polizia londinese non potevano avercela con lui più di così. E a giudicare dai veicoli dei vigili del fuoco e della sicurezza dello spazioporto che stavano arrivando di gran carriera, avrebbe presto avuto di nuovo a che fare con loro.

La polizia londinese aveva in forza circa sessantamila effettivi, un esercito molto più nutrito, anche se meno armato, del suo. Forse avrebbe potuto metterli alle calcagna dei cetagandani o di chiunque c’era dietro quell’attentato.

«Chi erano quei tipi?» chiese la guardia dendarii, guardando nella direzione in cui si era allontanato il velivolo nero.

«Non ha importanza» rispose Miles. «Non sono mai stati qui e lei non li ha visti.»

«Sissignore.»

Adorava i dendarii, loro non lo contraddicevano mai. Si sottopose alle cure di Elli e cominciò a mettere insieme una storia per la polizia. Di sicuro lui e la polizia si sarebbero stufati l’uno dell’altro prima che la sua visita sulla Terra terminasse.

Ancora prima che gli uomini della scientifica riuscissero a mettere piede sulla pista, Miles si ritrovò di fronte Lise Vallerie. Avrebbe dovuto aspettarselo.

Visto che Lord Vorkosigan aveva fatto di tutto per riuscirle sgradevole, come ammiraglio Naismith invece fece ricorso a tutto il suo fascino, cercando disperatamente di ricordarsi cosa le avessero detto circa le sue due identità.

«Ammiraglio Naismith! I guai sembrano seguirla ovunque!» esordì lei.

«In questo caso pare proprio di sì» rispose affabile, sorridendole con tutta la calma che fu in grado di racimolare, date le circostanze. L’olocameramen non c’era; probabilmente la ragazza era alla ricerca di qualcosa di più di un’intervista improvvisata.

«Chi erano quegli uomini?»

«Un’ottima domanda, la cui risposta starà alla polizia londinese scoprire. La mia opinione personale è che fossero cetagandani, che volevano una rivincita per certe operazione dendarii… ah… non contro di loro, ma a sostegno di una delle loro vittime. Ma non citi questa mia affermazione, non ho prove. Potrebbero incriminarla per diffamazione o qualcosa del genere.»

«Non se si tratta di una citazione. Non pensa che fossero barrayarani?»

«Barrayarani! Cosa sa lei di Barrayar?» E subito fece in modo che la sorpresa lasciasse il posto al divertimento.

«Ho fatto indagini nel suo passato» rispose lei con un sorriso.

«Rivolgendosi ai barrayarani? Spero che non abbia creduto a tutto quello che dicono sul mio conto.»

«No, certo. Loro pensano che lei sia stato creato dai cetagandani e io ho cercato delle prove che convalidassero questa tesi tramite fonti private. Ho trovato un immigrato che lavorava in un laboratorio di clonazione. Purtroppo però la sua memoria si era persa parecchi particolari, perché quando fu licenziato lo costrinsero a sottoporsi ad un lavaggio del cervello. Ma quello che era in grado di ricordare è già di per sé strabiliante. La Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii è registrata nel Gruppo Jackson, vero?»

«Si tratta solo di un espediente legale, non c’è nessun altra relazione con il Gruppo, se è questo che vuole sapere. Ha fatto bene i compiti a casa, eh?» Miles storse il collo e vide Elli Quinn, accanto ad un veicolo della polizia poco distante, che gesticolava animatamente con un impassibile ispettore.

«Certo» rispose Vallerie. «Parò mi piacerebbe, con la sua collaborazione, approfondire un po’ l’argomento. Sarebbe di estremo interesse per gli spettatori.»

«Ah… ma i dendarii non sono in cerca di pubblicità, al contrario. La pubblicità potrebbe mettere in pericolo le nostre operazioni e i nostri agenti.»

«Allora un servizio su di lei. Niente di attuale, semplicemente come è arrivato a questo comando, chi l’ha clonato e perché… di chi è il clone lo so già. I suoi primi ricordi. Mi sembra di capire che è stato sottoposto ad una crescita accelerata e ad un addestramento ipnotico. Che effetto le ha fatto, e così via.»

«Era molto sgradevole» fu la secca risposta. Il servizio che gli aveva offerto lo tentava, se non fosse stato per il fatto che dopo che Galeni gli aveva tolto la pelle, Illyan lo avrebbe fatto impagliare come un trofeo. E poi Vallerie gli piaceva. Lanciarle qualche amo con false, ma utili, informazioni andava bene, ma un legame troppo stretto in quel momento (gettò un’occhiata in direzione della squadra della scientifica che stava facendo i rilevamenti sui resti del veicolo) poteva essere poco salutare per lei. «Ho un’idea migliore: perché non fa un servizio speciale sulla clonazione illegale dei cittadini?»

«È già stato fatto.»

«Ma queste pratiche continuano. A quanto pare non è stato fatto abbastanza.»

Lei non sembrava affatto attratta da quella prospettiva. «Se vorrà lavorare con me, ammiraglio, potrà avere voce in capitolo nel servizio, altrimenti… be’, lei fa notizia.»

«Mi spiace» rispose scuotendo la testa con riluttanza, «non posso.» La sua attenzione venne attratta dalla scena che si svolgeva vicino alla macchina della polizia. «Mi scusi» disse con aria distratta. La giornalista scrollò le spalle e andò in cerca delll’olocameraman, mentre Miles si allontanava.

Stavano portando via Elli.

«Non preoccuparti, Miles, sono già stata arrestata altre volte» cercò di rassicurarlo. «Non è niente di serio.»

«Il comandante Quinn è la mia guardia del corpo personale» protestò Miles rivolto al capitano di polizia, «ed era in servizio, mi sembra evidente. E lo è ancora. Mi serve!»

«Basta, Miles, calmati» gli sussurrò Elli. «O potrebbero finire con l’arrestare anche te.»

«Me! Io sono la vittima! Quei due mascalzoni hanno cercato di appiattirmi!»

«Be’, porteranno via anche loro, non appena i ragazzi della scientifica avranno riempito i sacchetti. Non puoi pretendere che le autorità prendano per buona la nostra parola senza fiatare. Ricostruiranno i fatti, controlleranno la nostra versione e poi mi rilasceranno.» Rivolse un sorriso al capitano di polizia, che si sciolse a vista d’occhio. «Anche i poliziotti sono esseri umani.»

Elli aveva ragione: se avesse fatto troppo chiasso, ai poliziotti poteva venire in mente di ordinare alla sua navetta di restare a terra… o peggio. Chissà se i dendarii sarebbero mai tornati in possesso di quel lanciarazzi, adesso confiscato come arma del delitto. Si chiese se l’arresto della sua guardia del corpo non fosse la prima fase di un complotto contro di lui. Chissà se il medico della flotta aveva qualche psicofarmaco in grado di curare la paranoia galoppante? Ma anche se lo aveva, probabilmente lui sarebbe stato allergico. Strinse i denti e trasse un lungo respiro, per calmarsi.

Una navetta a due posti stava uscendo dall’hangar dei dendarii. E adesso cos’era, quello? Miles gettò un’occhiata al proprio cronometro e si rese conto che aveva già perso cinque delle sue preziosissime ventiquattr’ore ciondolando in quello spazioporto. Avendo visto che ora fosse, seppe anche chi era arrivato, e imprecò in preda alla frustrazione. Elli si servì di quell’attimo di distrazione per sospingere il capitano di polizia verso l’auto, rivolgendo al tempo stesso un allegro cenno della mano a Miles, per rassicurarlo. La giornalista, grazie a Dio, era andata ad intervistare le autorità dello spazioporto.

Immacolata, lustra ed elegantissima nella sua migliore divisa di velluto grigio, il tenente Bone uscì dal veicolo e si avvicinò agli uomini che erano rimasti alla scaletta di imbarco dell’altra navetta. «Ammiraglio Naismith? È pronto per il nostro appuntamento, signore… oh» esclamò osservandolo.

Miles esibì uno smagliante sorriso dal volto escoriato e sporco, consapevole di avere i capelli impiastricciati di sangue rappreso, il colletto impregnato di sangue, la giacca macchiata e i pantaloni strappati alle ginocchia. «Lei comprerebbe una corazzata tascabile utilizzata da un comandante conciato in questo modo?» cinguettò.

«Non credo» sospirò Bone. «La banca con cui trattiamo è molto formale.»

«Niente senso dell’umorismo?»

«Non quando c’è di mezzo il denaro.»

«Giusto.» Si trattenne dal fare altre battute, perché sarebbero apparse come un riflesso nervoso involontario. Fece per passarsi una mano tra i capelli, trasalì e si limitò a sfiorare dolcemente la medicazione provvisoria che gli aveva fatto Elli. «E tutte le mie uniformi di ricambio sono in orbita… e non sono affatto ansioso di andarmene in giro per Londra senza Quinn al mio fianco. Non adesso, in ogni caso. E poi devo vedere il medico per questa spalla… c’è qualcosa che non va» (un dolore lancinante, se proprio si voleva scendere nei dettagli tecnici) «e ci sono nuovi dubbi, molto seri su dov’è finito il nostro trasferimento di credito.»

«Davvero?» disse Bone, cogliendo immediatamente il punto essenziale.

«Brutti sospetti, che devo controllare. Va bene» aggiunse poi arrendendosi all’inevitabile, «cancelli il mio appuntamento alla banca per oggi. E ne prenda un altro per domani, se è possibile.»

«Sissignore» Bone eseguì il saluto e si allontanò.

«Ah» la richiamò Miles, «non c’è bisogno che accenni alla ragione per cui sono stato trattenuto, eh?»

Bone sollevò un angolo della bocca. «Non me lo sognerei mai» lo rassicurò con fervore.


Sulla Triumph, che seguiva una stretta orbita attorno alla Terra, il medico rivelò una microscopica frattura alla scapola destra, diagnosi che non lo sorprese affatto. Il medico gli somministrò degli elettrostimolanti e immobilizzò il braccio in una scomodissima ingessatura di plastica, della quale Miles non fece che lamentarsi fino a quando il medico lo minacciò di ingessarlo da capo a piedi. Sgattaiolò dunque fuori dall’infermeria non appena ebbe finito di curargli la ferita alla nuca, prima che si lasciasse prendere la mano dall’idea.

Dopo essersi ripulito, Miles rintracciò il capitano Elena Bothari-Jesek, uno dei tre dendarii a conoscenza della sua vera identità; il terzo era il marito di lei e ingegnere capo della flotta, il commodoro Baz Jesek. Anzi, era probabile che Elena ne sapesse su Miles esattamente quanto ne sapeva lui stesso, perché lei era la figlia della sua ex-guardia del corpo ed erano cresciuti insieme.

Elena era diventata ufficiale della flotta dendarii per volere di Miles quando questi l’aveva creata, o se l’era trovata per le mani, o comunque si volesse descrivere l’inizio caotico di questa interminabile e complicatissima operazione segreta. Anzi, in realtà era stata nominata ufficiale, e lo era poi diventata effettivamente grazie al suo coraggio, alle fatiche e alla dedizione agli studi. Elena era un donna capace di concentrazione ineguagliabile e di fedeltà assoluta e Miles ne era fiero come se fosse stato lui ad inventarla. Gli altri sentimenti che provava verso di lei, riguardavano lui solo.

Quando entrò nel quadrato ufficiali, Elena accennò a un gesto che era una via di mezzo tra un saluto ufficiale e un cenno amichevole, accompagnato dal suo sorriso sobrio. Miles ricambiò il cenno e si accomodò in una sedia al suo tavolo. «Salve, Elena. Devo affidarti una missione di sicurezza.»

Il corpo snello e alto di lei era raggomitolato nella sedia e gli occhi scuri brillavano curiosi. I corti capelli neri incorniciavano il viso come un cappuccio, la pelle chiara, i tratti non belli ma aristocratici e fieri. Miles fissò le proprie mani tozze, appoggiate alla tavola, per evitare di perdersi in quelle fattezze sottili. Ancora. Sempre.

«Ah…» gettò un’occhiata intorno alla stanza e scorse lo sguardo interessato di due tecnici seduti ad un tavolo vicino. «Mi spiace, ragazzi, questo non è per voi.» Fece un gesto con il pollice e i due, raccolto il segnale e il loro caffè, uscirono dalla stanza con un sorriso.

«Che genere di missione di sicurezza?» chiese Elena, dando un morso al panino.

«Una missione che non deve venire a conoscenza di nessuno: né dei dendarii e nemmeno dell’ambasciata barrayarana qui sulla Terra. Soprattutto dell’ambasciata. Una missione di corriere. Voglio che tu prenoti un biglietto sul più veloce trasporto disponibile diretto a Tau Ceti e porti un messaggio del tenente Vorkosigan al Quartier Generale della Sicurezza di Settore della nostra ambasciata. Il mio ufficiale comandante barrayarano qui sulla Terra non ne sa nulla e io preferirei che restasse all’oscuro.»

«Non… non sono oltremodo ansiosa di ritrovarmi a trattare con lo stato maggiore barrayarano» rispose lei in tono conciliante dopo un istante di silenzio, fissandosi le mani.

«Lo so. Ma dal momento che la cosa riguarda la mia doppia identità, puoi andare solo tu, o Baz o Elli Quinn. La polizia di Londra ha arrestato Elli e non posso certamente mandare tuo marito. Qualche zelante ma confuso subordinato su Tau Ceti potrebbe cercare di arrestarlo.»

A quella frase, Elena sollevò lo sguardo. «Perché Barrayar non ha mai ritirato l’accusa di diserzione nei confronti di Baz?»

«Ci ho provato e ho persino pensato di essere riuscito a convincerli. Ma poi Simon Illyan ha avuto un rigurgito di severità e ha deciso di mantenere il mandato di cattura, e anche se non è mai stato eseguito effettivamente, gli dà un ulteriore appiglio su Baz in caso di… ehm… emergenza. E aggiunge un artistico tocco di veridicità alla copertura dendarii come forza del tutto indipendente. A mio giudizio Illyan ha sbagliato… anzi, gliel’ho detto e non ho fatto che ripeterglielo fino a quando lui non mi ha ordinato di tenere la bocca chiusa sull’argomento. Un giorno, quando gli ordini li darò io, quel mandato verrà ritirato.»

Lei aggrottò la fronte. «Potrebbe essere una lunga attesa, visto il ritmo delle tue promozioni… tenente.»

«Mio padre è molto sensibile alle accuse di nepotismo. Capitano.» Prese il dischetto sigillato che aveva continuato a rigirare in una mano e lo spinse attraverso il tavolo. «Voglio che tu lo consegni nella mani dell’addetto militare di Tau Ceti, il commodoro Destang. Non farglielo arrivare tramite qualcuno, perché tra gli altri sospetti che mi sono sorti, c’è anche quello che ci possa essere qualche anello debole nel canale di corrieri tra qui e Tau Ceti. Secondo me il problema sta da questa parte, ma se mi sbaglio… Dio, spero che non si tratti proprio di Destang.»

«Paranoico?» si informò lei sollecita.

«Ogni minuto di più. E il fatto di avere l’Imperatore Yuri il Folle tra i miei antenati peggiora le cose. Non faccio che domandarmi se non sto cominciando a soffrire della sua malattia. Si può essere paranoici al pensiero di soffrire di paranoia?»

«Se c’è qualcuno che può, quello sei tu» rispose lei con un dolce sorriso.

«Hm. Be’ questa particolare paranoia è un classico. Ho moderato i toni nel messaggio a Destang, ma forse è meglio che tu lo legga prima di imbarcarti. Dopo tutto, che idea ti puoi fare di un giovane ufficiale convinto che i suoi superiori vogliano metterlo fuori gioco?»

Elena piegò la testa di lato, inarcando le sopracciglia.

«Appunto» commentò Miles, battendo con un dito sul dischetto. «Lo scopo del tuo viaggio è di verificare l’ipotesi… solo una ipotesi, intendiamoci… che la ragione per cui diciotto milioni di marchi non sono ancora arrivati, è che sono scomparsi per strada. Magari nelle tasche del caro capitano Galeni. Non ci sono ancora prove schiaccianti, come ad esempio l’improvvisa e definitiva scomparsa di Galeni e si tratta quindi di accuse che un giovane e ambizioso ufficiale dovrebbe stare ben attento a non fare. Nel rapporto ho inserito quest’ipotesi insieme ad altre quattro, ma secondo me questa è la più verosimile, quella che più mi sta a cuore. Tu devi scoprire se il QG ha mai inviato quel denaro.»

«Non sembri uno infervorato, piuttosto mi sembri infelice.»

«Sì, be’, si tratta di certo della possibilità più caotica, sostenuta da una logica efficace.»

«E qual è l’aggancio?»

«Galeni è un komarrano.»

«E chi se ne cura? Ragione di più anzi per pensare che tu abbia ragione.»

Io me ne curo, pensò Miles scrollando il capo. Ma in fondo, cosa importava della politica interna barrayarana a Elena, che aveva giurato appassionatamente di non rimettere mai più piede sul suo odiato pianeta natale?

La donna scrollò le spalle, distese le gambe e si alzò, infilando in tasca il dischetto.

Miles non cercò di prenderle le mani, non fece il più piccolo movimento che avrebbe potuto metterli in imbarazzo entrambi. Era molto più difficile trovare vecchi amici che nuovi amanti.

Oh, mia vecchia amica, la più vecchia!

Ancora. Sempre.

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