La sala comune era buia e puzzava di chiuso. Spesse tende di broccato con rose e balene ricamate in filo d’argento soffocavano il sole pomeridiano. I sacchettini di sostanze aromatiche floreali cuciti nelle poltrone non bastavano a mascherare l’odore di muffa; qui il marciume e le muffe erano talmente dilaganti che non sembrava trattarsi di decomposizione, bensì di una progressione naturale, come se l’intero albergo si stesse lentamente trasformando in una metamorfosi che lo avrebbe portato dal regno dell’artificiale a quello della vita organica.
— Non ho alcuna intenzione di vederlo — insistette il burocrate. — Mandatelo via. Dove sono i miei vestiti?
Mamma Le Marie appoggiò le sue mani morbide, fresche e screziate di macchie marroncine sul petto del burocrate, costringendolo a tornare a sdraiarsi sul divano, cosa che il burocrate fece più per imbarazzo che per mancanza di forze. — Ormai sta arrivando da un momento all’altro. Non ci potete fare nulla. State tranquillo, per favore.
— Non gli darò un centesimo. — Il burocrate si sentiva debole e irritabile, oltre che stranamente colpevole, come se la sera precedente avesse fatto qualche gesto di cui avrebbe dovuto vergognarsi. Il soffitto di intonaco macchiato di umidità nuotava davanti ai suoi occhi, ogni piccola crepa e imperfezione sembrava agitarsi come ciuffi d’alghe in balìa delle correnti. Chiuse gli occhi per un istante, e sentì un’ondata di nausea. Il suo stomaco era completamente sottosopra.
— Non ce n’è bisogno. — Le Marie contrasse la mascella, come una tartaruga che tenta di sorridere. — Il dottor Orphelin vi visiterà gratuitamente, come favore personale nei miei confronti.
Nel corridoio, il coroner a forma di bara ronzava sommessamente fra sé. Un angolo era illuminato di luce bianca, sacra, pura. Il burocrate scostò lo sguardo, ma scoprì che prima o poi ritornava inevitabilmente a focalizzarsi su quell’essere nefasto. Due agenti della polizia nazionale dall’aria annoiatissima erano appoggiati a una parete; con le braccia conserte davanti al petto, guardavano la televisione nella stanza accanto. “Chi era il padre?” sbottò Ahab. “Credo di avere tutto il diritto di saperlo!”
— Non credo di essere diventato tanto credulone da consultare un dottore — protestò il burocrate con dignità. — Se ho bisogno di assistenza medica, mi farò sottoporre all’esame da un apparecchio qualificato, o alla peggio da un umano con gli accrescimenti biomedici del caso. Sia ben chiaro che non ho nessuna intenzione di tracannare qualche pozione di acqua stagnante fermentata per seguire le indicazioni di un ciarlatano semi illetterato.
— Siate ragionevole. Il diagnostico più vicino si trova a Green Hill, mentre il dottor Orphelin è…
— Sono qui.
Il dottore si fermò nell’ingresso, come se stesse posando per un’olografia commemorativa. Èra un uomo piuttosto asciutto, e indossava una giacca blu di taglio militare con due lunghe file di bottoni dorati. La striscia bianca e consunta del tappeto lo portò fino a una vecchia tuta stagna che era stata appoggiata contro un armadio a mo’ di oggetto ornamentale. Il dottore appoggiò la sua valigia nera a terra accanto al divano. Le sue mani erano affollate di tatuaggi.
— Siete stato drogato — disse il dottore con tono vivace — e un diagnostico non vi servirebbe proprio a nulla. Le proprietà mediche delle nostre piante locali non sono nemmeno contenute nella sua banca dati. E perché mai dovrebbero esserlo, del resto? Le sostanze sintetiche possono fare qualsiasi cosa al pari delle piante, e in più possono essere sintetizzate sul posto. Tuttavia, se desiderate sapere che cosa vi è accaduto, non dovete rivolgervi a un ripugnante apparecchio, bensì a una persona come me che ha trascorso anni interi a studiare suddette piante. — Il suo volto era magro e ascetico, con zigomi alti e occhi gelidi. — Ora vi esaminerò. Non è necessario che prestiate ascolto a ciò che dirò, tuttavia insisto affinché cooperiate.
Il burocrate si sentì sciocco. — Oh, va bene.
— Grazie. — Orphelin fece un cenno a Mamma Le Marie. — Potete uscire.
La donna assunse un’espressione dapprima stupita, poi offesa. Sollevò il mento e uscì dalla stanza con passo rigido. “Perché non dici a tuo zio chi è il padre?” disse qualcuno. Venne in risposta la voce lamentosa di una giovane donna. “Perché non c’è nessun padre!” A quel punto la voce venne soffocata dalla porta che si chiudeva.
Orphelin sollevò le palpebre del burocrate, illuminò le sue orecchie con una piletta portabile, prese un campione di saliva dalla sua bocca con un bastoncino diagnostico. — Siete un po’ sovrappeso — commentò. Se desiderate, posso insegnarvi come bilanciare cibi veri e cibi fatati in una dieta speciale. — Il burocrate mantenne lo sguardo fisso su un motivo di rose di seta e non disse nulla.
Infine, l’esame volse al termine. — Hum. Be’, non vi sorprenderà di certo sapere che avete ingerito qualche varietà di neurotossina. Vi sono diverse possibilità. Avete avuto allucinazioni o illusioni?
— Qual è la differenza?
— Un’illusione è un’interpretazione alterata o errata di dati sensoriali ben definiti, mentre avere un’allucinazione significa vedere cose che non esistono nella realtà. Ditemi che cosa avete visto ieri sera. — Sollevò una mano. — Solo i punti salienti, vi prego. Non ho né il tempo né la pazienza necessaria per ascoltare tutta la storia.
Il burocrate gli raccontò delle donne nude che si bagnavano nel fiume.
— Allucinazioni. Credevate che fossero vere?
Il burocrate rifletté. — No. Però mi hanno spaventato lo stesso.
Orphelin si produsse in un piccolo sorriso. — Non sareste certo il primo uomo che ha paura delle donne. Oh, state tranquillo, era solo una battuta. E che altro avete visto?
— Ho fatto una lunga chiacchierata con uno spettro dalla faccia di volpe. Ma quello era vero.
Il dottore lo fissò con espressione perplessa. — Davvero?
— Oh, sì. Ne sono abbastanza sicuro. Mi ha persino riportato in albergo, dopo.
Un’altra ondata di nausea si fece sentire, e la stanza assunse una nuova chiarezza e vividità. Il burocrate vedeva ogni singolo filo della fibra del tappeto, e la stoffa consunta del divano era più che mai viva e dettagliata. Si sentì accaldato, e il dito tatuatogli da Undine sembrava voler addirittura bruciare.
Qualcuno bussò alla porta.
— Si? — rispose il burocrate.
Chu infilò la testa. — Scusatemi, ma l’autopsia è stata completata e abbiamo bisogno che ci firmi il rapporto.
— Entrate, prego — disse Orphelin. — E mi serve anche qualcun altro. — Chu rivolse un’occhiata al burocrate, che scrollò le spalle. L’ufficiale di collegamento scomparve nuovamente nel corridoio, dove parlò con una delle guardie. Quello più alto scosse il capo. — Aspettate un attimo — disse. Un attimo dopo, tornò tenendo per mano Mintouchian. Più che un uomo sembrava un cane, con il volto gonfio e roseo e gli occhi tristi e iniettati di sangue.
— In questo caso vi è più di quanto non avessi immaginato. — Il dottore allargò le braccia. — Prendetemi i polsi e teneteli con forza. — Chu gli prese un braccio, Mintouchian l’altro. — Tirate! Non siamo qui per tenerci le mani.
I due ubbidirono, e il dottore si lasciò andare in avanti, lasciando cadere il mento sul petto. Chu e Mintouchian fecero una certa fatica a tenerlo su.
Improvvisamente, la testa di Orphelin scattò in posizione eretta, il suo volto completamente trasformato. I suoi occhi erano sgranati, incredibilmente bianchi, e tremolavano. Schiuse le labbra, e un terzo occhio apparve nella sua bocca.
— Krishna! — annaspò Mintouchian. I tre occhi lo fissarono, poi si scostarono. Terrorizzato, il burocrate fissò quel gelido terzo occhio.
Orphelin lo fissò a sua volta, senza batter ciglio. Quel lugubre triplo sguardo si infilò come una lama nel cranio del burocrate. Per un lungo istante, nessuno fiatò.
Poi la testa del dottore ricadde nuovamente sul suo petto.
— Va bene — disse quindi con tono calmo. — Ora mi potete mollare. — I due ubbidirono. — Avete mai preso in considerazione l’addestramento spirituale? — domandò.
Il burocrate si sentiva come se fosse appena uscito da un sogno. Ora ciò che aveva appena visto gli sembrava impossibile. — Scusate?
— Innanzitutto, l’entità con la quale avete parlato non era affatto uno spettro, per quanto attraente vi possa apparire questa ipotesi. L’ultimo spettro morì in cattività nell’anno minore 143 del primo grande anno dopo l’atterraggio. Ciò che avete visto non era altro che l’incarnazione di uno dei loro spiriti. Quello che chiamiamo la Volpe. Si tratta di una forza naturale molto importante, per quanto poco affidabile in alcuni suoi aspetti, e viene generalmente considerata di buon auspicio.
— Io ho parlato con un essere vivente e solido. Non si trattava né di un fantasma né di un’allucinazione. — Ora la stanza era viva; ogni filo di tessuto ondulava spinto da correnti invisibili e sul soffitto ballava una luce maculata.
— Forse — speculò Mintouchian — avete parlato con un uomo in maschera.
Il senso di nausea rendeva piuttosto nervoso il burocrate. — Balle. Che cosa ci farebbe un uomo mascherato da volpe nel mezzo della foresta di notte?
Chu si massaggiò i baffetti. — Può darsi che aspettasse te. Penso che dovremmo senz’altro prendere in considerazione la possibilità che facesse parte dell’elaborato gioco che Gregorian sta giocando con noi.
Il dottore assunse un’espressione esterrefatta. — Gregorian?
— Ho studiato fuoripianeta — disse Orphelin quando gli altri se ne furono andati. — Molti anni fa. Presi il diploma nei Mondi di Mezzo. — Rivolgeva le spalle al burocrate, e non aveva aperto bocca prima di assicurarsi che la porta fosse ben chiusa. — Ho passato sei fra gli anni peggiori della mia vita nell’Estensione di Laputa. La gente che concede i trasferimenti non tiene mai conto di che cosa significhi passare da un livello di tecnologia soppresso artificialmente a uno dei mondi galleggianti.
— E questo che cosa c’entra con Gregorian?
Orphelin si guardò attorno alla ricerca di una seggiola, quindi si accomodò con aria stanca. Il suo volto era grigio e teso. — Fu lì che conobbi Gregorian.
— Allora eravate amici? — Ogniqualvolta il burocrate fissava troppo a lungo il volto di Orphelin, vedeva la carne del dottore che scompariva, strato su strato, finché non si ritrovava a fissare un teschio sorridente. L’unico modo che aveva per cancellare quella visione era di scostare regolarmente lo sguardo.
— No, certo che no. — Il dottore rivolse un’occhiata assente a un crocifisso incorniciato tutto impolverato che occupava una parete assieme a una serie di vecchie stampe color seppia. Teneva le mani unite, appoggiate alle ginocchia. — Lo odiai a prima vista. Ci incontrammo nelle sale dei duelli del Palazzo dell’Arcano. Il suicidio era di fatto illegale, ma le autorità chiudevano un occhio… in fondo era sempre un buon campo di addestramento per chi voleva raggiungere posizioni di potere. Lui aveva una schiera di ammiratori che gli prestavano ascolto mentre parlava di teorie di controllo e degli effetti biologici delle armi caotiche protettive. Era un giovanotto brillante, carismatico e sicuro di sé. Aveva una pessima reputazione. La sua pelle era molto chiara e indossava quei gioielli fuorimondo che andavano di moda allora; pietre di sangue incastonate nelle dita e bande d’argento attorno ai polsi con le vene che passano attraverso canali di cristallo.
— Si — disse il burocrate — ricordo quella moda. Piuttosto costosa, se non ricordo male.
Orphelin scrollò le spalle. — La cosa che mi offendeva più di tutte era la sua popolarità. Io ero un fenomenologista materiale, e di conseguenza la mia educazione era controllatissima; non potevo portarla fuori dalle classi. Gregorian invece poteva parlare liberamente di ciò che stava imparando. Il mio status all’interno dei circoli studenteschi era dovuto esclusivamente al fatto che avessi studiato con una pharmacienne prima di recarmi a Laputa. Oh, certo, per loro non ero altro che una scimmietta addestrata. Vestivo tutto di nero, con teschi di topo-sale e feticci piumati appesi agli orli del mio abito. Giocavo al suicidio non tanto per il prestigio della vittoria quanto per sfiorare la morte con i polpastrelli; lo choc morboso era molto più comune di quanto non si lasciasse intendere. Io lasciavo credere, per quanto in maniera oscura, che le mie vittorie dipendessero dai miei poteri occulti. E quel Gregorian scoppiò a ridere non appena mi vide! Avete mai giocato al suicidio?
Il burocrate ebbe un attimo di esitazione. — Una volta… quando ero giovane.
— Allora non c’è bisogno che vi dica che si tratta di un gioco truccato. Chiunque sia abbastanza idiota da giocare seguendo le regole non può far altro che perdere. Io ero diventato maestro nei metodi standard per barare; inserire fonti di dati aggiuntive, ritrasmettere il segnale dell’avversario attraverso un circuito di ritardo calibrato sul millisecondo, eccetera. La solita roba, insomma. Grazie a questo, avevo una buona reputazione come guerriero mentale. Ciò nonostante, Gregorian mi batté tre volte di fila. Io avevo un’amante ai tempi, una puttanella del Cerchio Interno con quei lineamenti aristocratici quasi astratti ottenuti attraverso tre generazioni di rielaborazione genetica intensiva. Gregorian mi umiliò pubblicamente davanti a lei, a suo padre e a quei pochi amici che avevo.
— Avete conosciuto il padre di Gregorian? Che tipo era?
— Non ne ho idea. Venne cancellato dai registri prima che lasciassimo le sale. Suo padre era un personaggio importante che non poteva permettersi di essere coinvolto nei giochi. Ricordo solo che era li.
“Un anno dopo tornai a casa al Tidewater con Gregorian al mio fianco. Condividemmo una stanza presso l’albergo dei miei genitori come se fossimo vecchi amici. In quel periodo la nostra antipatia era sbocciata in odio puro. Ci accordammo per un duello fra stregoni; tre domande a testa, il vincitore prende tutto.
“Andammo in cerca della radice di mandragora in una notte umida e senza stelle. Scavammo presso il cimitero dei mendicanti, dove non ci avrebbe disturbato nessuno. Gregorian si rialzò per primo, con le mani tutte imbrattate di fango. ’L’ho trovata’, disse. Ruppe in due la radice e me la mise sotto il naso. La mandragora ha un odore molto caratteristico. Solo quando ebbi ingoiato la mia metà, vedendo quel suo strano sorriso, mi venne in mente che poteva essersi spalmato le mani di essenza di mandragora, rifilandomi una radice di mezzouomo, che è molto simile anche come effetto ma che può essere annullata con un semplice antidoto. Troppo tardi. Ormai dovevo fidarmi di lui. Attendemmo che gli alberi bruciassero di verde e il vento parlasse. Iniziamo, dissi.
“Gregorian balzò in piedi e si incamminò fra gli scheletri con le braccia allargate, facendo suonare le ossa. Naturalmente, gli scheletri non erano molto ben tenuti. La vernice era sbiadita e molte ossa cadute a terra si spezzavano sotto i nostri piedi. Sentii le forze della morte che le attraversavano e penetravano sotto la mia pelle, rendendomi più impavido che mai. Mi sentivo forte, rafforzato dalla morte. Voltati e affrontami, lo sfidai. O hai forse paura?
“Si voltò, e con mio grande orrore scoprii che aveva assunto le fattezze del Corvo. La sua testa era enorme e nera; becco nero, piume nere, occhi luminosi color ossidiana. Alla base del suo becco spuntavano quelle piumette simili a peli, e gli stretti canali delle narici si aprivano a metà del becco. Non avevo mai visto invocare uno spirito prima di allora. Quella era la tua prima domanda, disse Gregorian con la voce rauca del Corvo. No, non ho affatto paura.
“Diedi per scontato che si trattasse di un’illusione, di un effetto della mandragora. Con un impeto di rabbia, feci un passo avanti e gli afferrai le braccia. Le piccole morti fluivano in lui e combattevano sotto la sua pelle, facendo contorcere i suoi muscoli in piccoli spasmi. Strinsi forte. Dovete sapere che in quell’epoca ero piuttosto forte, e che la mia presa avrebbe dovuto arrestare il flusso del sangue, lasciandogli le braccia paralizzate. Le forze della morte avrebbero dovuto ucciderlo. Ma invece Gregorian mi scrollò di dosso senza alcuno sforzo, scoppiando in una risata.”
’Non puoi battere il Corvo con i tuoi stupidi trucchetti.’
“’Come fai a sapere che vedevo il Corvo?’ domandai. In quel momento provai l’orrore che si prova quando ci si rende conto che si è completamente fuori dal gioco.
“’Questa era la tua seconda domanda.’ Il Corvo toccò un cranio nudo con il becco, facendo oscillare lo scheletro. ’Io so tutto di te. Ho un informatore che mi dice tutto. La Bestia Nera.’
“’Chi è la Bestia Nera?’ urlai.
“’E questa è la tua terza domanda.’ Il Corvo infilò il becco in un’orbita del cranio, tirandone fuori un bocconcino di carne. ’Ho già risposto a due domande, e ora tocca a me. Innanzitutto dimmi, che cosa significa quando dico che Miranda è nera?’
“Ero molto arrabbiato per il modo in cui mi aveva estorto le domande, ma lo scopo del duello è proprio quello di mettere alla prova la propria volontà contro quella dell’avversario; in fondo si era svolto regolarmente. ’Un centimetro più in giù’, dissi, ’il globo del mondo non è che un uovo di oscurità. La luce delle stelle non lo può toccare, e solo Prospero, Ariel e Caliban se lo contendono fra loro. Il mistero è così vicino. Dovete sapere che questo era tutto catechismo, roba da ragazzini, il che mi fece riprendere il mio ottimismo. Allo stesso modo, la mente sotto il cranio è nera. Il mago capisce questo e combatte per ottenere la sua influenza.’
“Il Corvo arruffò le piume, quindi aprì il becco per sputare fuori qualche frammento immondo. ’Quella linguaccia nera! Che cosa sono le costellazioni nere?’
“’Sono forme foggiate dagli spazi vuoti fra le costellazioni luminose. Coloro che non sono iniziati non possono vederle e non credono nella loro esistenza, ma una volta individuate non possono essere dimenticate. Si tratta di misteri emblematici che chiunque può padroneggiare, solo che ben pochi si rendono conto della loro esistenza.’
“Il Corvo frugò fra i denti dello scheletro con il suo becco accuminato. ’Ti offrirei un cagnotto, disse, ma ce n’è appena a sufficienza per me. Un’ultima domanda. Chi è la Bestia Nera?’
“’Cosa vuoi dire?’ sbottai con rabbia. ’Ti ho posto quella stessa domanda, e tu non hai voluto rispondere. Io non credo affatto nella tua Bestia Nera.’
“A quel punto, il Corvo sollevò il capo e cacciò un grido di trionfo. I suoi occhietti erano come delle stelle scure e malvage. Mostrò il pollice e l’indice allargati e disse: ’Tu sei lungo così, da eretto. La tua amante era coinvolta con il Comitato per la Liberazione dell’Informazione ed è riuscita a evitare lo scandalo solo grazie ai soldi di sua madre. Sospetti che lei ti sia infedele perché non dice nulla a proposito delle tue infedeltà nei suoi confronti. Hai bagnato il tuo letto a lungo quando eri un adolescente, e sei diventato apprendista della tua pharmacienne dopo che lei ha curato il tuo problema di ritenzione. La Bestia Nera mi ha raccontato tutto di te. Tu ti fidi della Bestia Nera, ma fai molto male. La Bestia Nera non è amica tua, è solo amica mia.’
“Con questo, si incamminò. Io gli gridai dietro che il duello non era finito, che non vi era stato un vincitore. Ma ormai se ne era andato. Dissi ai miei genitori che era stato chiamato in servizio.”
Il dottor Orphelin emise un sospiro. — Da allora in avanti, Gregorian scomparve dalla mia vita. Forse si trasferì in un’altra estensione. Tuttavia, non riuscivo a togliermi dalla testa la sua domanda. Chi era la Bestia Nera? Quale amico fasullo aveva rivelato a Gregorian tutti i miei segreti? Un mattino mi svegliai e trovai il disegno di un corvo in volo appeso alla parete. Svegliai la mia amante e glielo indicai. “Che cos’è quella roba?” le domandai.
“’Il disegno di un uccello’ disse lei.
“’Che cosa significa?’
“’È solo un disegno’ disse. ’Non hai mai avuto nulla da obiettare in proposito.’ Mi appoggiò una mano sul braccio, ma io la spazzai via. ’Ieri non c’era’ obiettai. Lei ci rimase male e iniziò a piangere. ’Sei tu la Bestia Nera?’ le domandai. ’Sei tu o no?’
“Non riuscivo a leggere il suo viso. Quel piano complesso le cui geometrie avevo seguito per ore intere con le mani, con la lingua e con gli occhi era diventata una maschera per me. Che cosa si celava dietro alla sua maschera insincera? Le tesi le trappole più svariate. Le posi domande improvvise. La accusai di cose impossibili.
“Alla fine mi lasciò.
“Ma la Bestia Nera rimase con me. Venni espulso da Laputa per i duelli, e quando tornai a casa trovai un corvo nero impagliato sul tavolo da pranzo. Un uccello grande, sorridente, con le ali spiegate. Nessuna persona dotata di un minimo di buonsenso avrebbe messo una cosa del genere dove la gente mangia. ’Che cosa significa?’ domandai. Mia madre pensò che stessi scherzando. ’Chi ha messo qui questa cosa?’ insistetti. Mia madre balbettò con tono colpevole, e io rovesciai il tavolo urlando. ’Come hai potuto farmi questo?’
“Mio padre disse che avevo esagerato e che dovevo scusarmi, e io gli diedi del vecchio arteriosclerotico. Litigammo, e gli aprii la testa. Dovette andare fino a Port Deposit per farsi curare. Andò a finire che mi diseredarono, e in più mi fecero causa per togliermi il patrimonio. Fui costretto a adottare un nuovo nome.
“Chi era la Bestia Nera? Oramai ero letteralmente ossessionato. Avevo perso la mia famiglia, e iniziavo a rinunciare anche alle mie amicizie. Meglio vivere solitali che con un traditore alle spalle. Ciò nonostante, la Bestia Nera continuava a farsi beffe di me. Mi svegliavo, e mi ritrovavo il petto ricoperto di piume nere. Oppure ricevevo una lettera da Gregorian nella quale vi erano scritte cose che nessuno poteva sapere. Facevo brutti sogni, con sconosciuti che raccontavano storie traumatiche della mia infanzia o segreti dei miei affari privati.
“Stavo impazzendo.
“Così, un bel giorno mi ritrovai completamente isolato, privo di ambizioni e con la vita spezzata in due. Vivevo da solo in una capanna vicino alle saline. Anche lì, la Bestia Nera continuava a ossessionarmi. Tornavo a casa dopo aver raccolto erbe nel bosco e trovavo la parola ’corvo’ scarabocchiata sopra il mio letto. Sentivo le grida dei corvi nel cuore della notte. Venivo seguito da risate di scherno ovunque andassi. Alla fine arrivai a prendere in considerazione il suicidio pur di liberarmi da quella terribile ossessione. Presi in mano il coltello e lo puntai sul mio cuore.
“Mentre stavo per infilarlo, la porta si aprì. Doveva essere chiusa a chiave, ma si aprì lo stesso. Era Gregorian. Sorrise davanti alla mia paura, un sorriso tutto denti e malvagità, e disse: ’Arrenditi’.
“Mi inchinai davanti a lui. Mi portò al Palazzo dell’Arcano, in una sala a forma di stella con un soffitto a volta dove si uniscono cinque grandi travi di legno. Il soffitto dietro alle travi era dipinto di blu e tempestato di stelle dorate. In quella sala copiò tutte le mie conoscenze sulle erbe (era l’unica mia conoscenza che riteneva valida) e tagliò fuori gran parte delle mie emozioni, lasciandomi poco più di una grigia capacità con la quale non potevo fare altro che rimpiangere quanto era accaduto. Così, non essendo più un rivale valido per lui, potei porgli la domanda, la domanda che mi aveva rovinato la vita: chi è la Bestia Nera?
“Si protese in avanti e mi sussurrò in un orecchio.
“’La Bestia Nera sei tu’, mi disse.”
Con improvvisa energia, Orphelin si aliò in piedi e chiuse con uno scatto la sua valigetta. — La mia diagnosi è questa; vi hanno somministrato tre gocce di tintura di radice d’angelo. Si tratta di un potente allucinogeno che apre la mente alle influenze spirituali nel culmine del suo effetto, ma che non lascia seri effetti secondari. Ora avete solo un po’ di carenza vitaminica. Dite a Mamma Le Marie di cucinarvi un piatto di patate dolci, e tornerete nuovo.
— Un attimo! Volete lasciarmi intendere che Gregorian ha estorto informazioni al vostro agente nel Palazzo dell’Arcano? — Era una cosa molto rara, ma il burocrate sapeva che era già accaduto. — È stata la penale che avete dovuto pagare per aver perso con lui a suicidio?
— Voi naturalmente credete questo — disse Orphelin. — Conosco quelli come voi. Vi sono stati chiusi gli occhi molto tempo fa. — Aprì la porta, rendendo udibili le grida provenienti dalla stanza dalla parte opposta del corridoio.
Mamma Le Marie era di spalle davanti alla porta e fissava lo schermo nella stanza accanto, dove una donna piena di lividi era riversa sul pavimento, svenuta. Una porta si aprì, ed entrò una figura. Mamma Le Marie spalancò la bocca. — Ecco un personaggio che non avrei mai immaginato mostrassero.
— Vuoi dire la sirena?
— No, no, il fuorimondo. Guarda, Miriam ha avuto un aborto e lui è arrivato troppo tardi. Però ha messo il bambino in biostasi, e ora lo sta portando al Mondo Superiore per guarirlo. Ora vivrà per sempre. Puoi scommettere che il fuorimondo farà fare al suo bastardino quel trattamento a raggi.
— Sciocchezze. L’immortalità? È una cosa che non esiste proprio.
— Quaggiù non esiste di sicuro.
Il burocrate provò un brivido di orrore. “Quella donna ci crede” pensò. “Tutti loro ci credono. Credono che esista effettivamente una forma di tecnologia che permetta la vita eterna, e sono convinti che venga loro negata”.
Orphelin estrasse un opuscolo dalla tasca della sua giacca. — Vi consiglio di leggervi questo e di pensare seriamente alle sue implicazioni.
Il burocrate accettò il libretto e lesse il titolo. L’Antiuomo. Curioso. Lo aprì su una pagina a caso e lesse: “Tutte le affezioni e i legami dell’anima possono essere ridotti in due termini, avversione e desiderio, oppure odio e amore. Eppure l’odio stesso viene ridotto a amore, e di conseguenza l’unico legame della volontà rimane l’Eros”. Strano. Passò alla pagina dei riconoscimenti: A. Gregorian.
Con un impeto di rabbia, appallottolò l’opuscolo. — Gregorian vi ha mandato! Perché? Che cosa vuole da me?
— Forse voi non ci crederete — disse Orphelin — ma da quel giorno non ho mai più rivisto Gregorian. Eppure mi ritrovo sempre a lavorare per lui. Dovete sapere che un mago non manda messaggi, un mago orchestra la realtà. Non mi piace affatto essere costretto a far parte dei suoi giochini, e non posso dirvi che cosa vuole perché non lo so. Una cosa però la so; anche voi avete la vostra Bestia Nera. Una delle due persone che erano qui prima, quelle che mi hanno tenuto, vi ha somministrato quella droga ieri notte.
— Perché mai dovrei credervi?
— Il suicidio è un gioco stupido, non è vero? — disse Orphelin. — Credevo di essere molto bravo a quel gioco, ma Gregorian era più bravo di me.
Con questo, se ne andò.
Mamma Le Marie lo seguì con lo sguardo mentre usciva. Alle sue spalle, il burocrate vide l’apparecchio per l’autopsia. La macchina aveva finito di analizzare il braccio di Undine e ora taceva. Il sole si era spostato, lasciandolo nell’ombra.
— Ditemi — disse Mamma Le Marie. — Il mio… il dottore vi ha trattato bene?
Il burocrate colse l’esitazione e pensò alla scissione di Orphelin con i suoi genitori, al suo cambio di nome, al fatto che fòsse figlio di albergatori. Si rese conto che avrebbe dovuto dirle di sì, che suo figlio gli era stato di grande aiuto. Ma non ci riusciva.
Dopo un po’, la donna se ne andò.
Uno degli agenti della polizia nazionale si avvicinò e gli mise in mano un foglietto di carta. — I risultati dell’autopsia — disse. — Una donna, di mezza età, in ottima salute, tatuata. Annegata quasi esattamente un giorno fa. Vi sembra plausibile?
Il burocrate annuì lentamente.
— Bene. — L’agente si infilò un anello con sigillo, quindi si strinsero le mani. Il burocrate restituì il foglietto. Un altro agente iniziò a portare via l’apparecchio, e il burocrate si rese conto che non avrebbe mai più rivisto Undine in vita sua.
Chiuse gli occhi e sentì il sapore della sua bocca, lo choc elettrico che aveva provato quando le sue labbra avevano toccato quelle di lei per la prima volta. Quell’istante sarebbe rimasto con lui per sempre. Gregorian aveva piazzato i suoi ami, e ora il mago se ne stava a distanza e giocava con i suoi fili sottili come capelli, tirando il burocrate prima di qua e poi di là. Orphelin aveva parlato della sala delle stelle. Doveva averlo fatto per conto di Gregorian.
Il burocrate conosceva molto bene quella sala, poiché era una delle tre persone che ne possedevano le chiavi.
Abbassò lo sguardo verso l’opuscolo appallottolato nelle sue mani, e con un impeto di rabbia lo strappò in due e lo buttò per terra.
Fuori vi era un certo trambusto, grida di paura e di stupore. Il vecchio Le Marie apparve sulle scale. — Cos’è? — domandò con tono lamentoso. — Non se n’è ancora andato? — Un paio di clienti misero la testa fuori dalle loro porte, ma non uscirono. Nessuno uscì dalla stanza del televisore. Incuriosito, il burocrate diede un’occhiata dentro e vide Mintouchian che dormiva sul divano. A parte lui, la stanza era completamente deserta, un vuoto squillante nel cuore della casa.
Mamma Le Marie aprì la porta d’ingresso e rimase a bocca aperta. L’aria fresca e la luce del sole invasero l’atrio. Avvolgendosi la coperta attorno alle spalle, il burocrate rivolse il suo sguardo stanco oltre la spalla della donna.
Una creatura metallica simile a un insetto passeggiava con aria baldanzosa per la strada su tre gambe lunghe e sottili.
Era la sua valigetta.
Così com’era, inclinata su un angolo, la valigetta assomigliava proprio a un ragno gigante. Lontana dagli ambienti dello spazio profondo, saturi di apparecchiature e macchinali, ricordava una mostruosità vera e propria, un visitatore alieno proveniente da qualche universo demoniaco. La gente si allontanava impaurita al suo passaggio. In tutta tranquillità, la valigetta si avvicinò all’albergo. Si arrampicò per gli scalini, quindi ritrasse le gambe e si posò ai piedi del burocrate.
— Capo — disse — è stata una gran fatica tornare qui da te.
Il burocrate si chinò per raccoglierla. Percepì un movimento accanto a lui, e si voltò per trovarsi di fronte a tre uomini con telecamere e apparecchi di trasmissione sulle spalle.
— Signore! — disse uno dei tre. — Possiamo rivolgervi qualche domanda?