5. Cani fra le rose

I fiori di cera erano tutti accesi, globi di luce rossa, blu, gialla e bianca che oscillavano sopra le vie sulle loro stringhe. La musica era forte e frenetica, come un campo magnetico in cui gli avventori vorticavano e mulinavano catturati dalle linee di forza invisibili per poi schizzarne fuori fra le risate. Fra le fantasie vi erano anche costumi meno pretenziosi, più rappresentativi che interpretativi; angeli con sorrisi carnali, pagliacci e diavoli con barbette e forconi. Un satiro incespicava goffamente su un paio di trampoli, agitando i suoi flauti di Pan per mantenersi in equilibrio.

Il burocrate trovò Chu dietro il palco che tampinava un giovane spaccone locale dal volto paonazzo. Gli si buttava addosso, appoggiandogli casualmente una mano sul sedere, e gli strappò di mano un bicchiere di carta. — Non hai più bisogno di quella roba — gli disse. — Possiamo occupare molto meglio il nostro… — Il burocrate si allontanò senza farsi notare.

Si lasciò trascinare dalla folla giù per la via principale di una Rose Hall completamente trasformata, passando accanto a palchi sovraccarichi di ballerini, giostre e spettacolini erotici. Facendosi strada attraverso un gruppo di surrogati, che non essendo fisicamente presenti erano stati emarginati da un lato, si piazzò per un certo tempo a guardare la sfilata delle fantasie. Era appiccicato a un palco assieme a un turbolento gruppo di soldati che fischiavano, ululavano e acclamavano i modelli da loro preferiti. L’evento però era un po’ troppo esoterico per i suoi gusti extraplanetari, così si lasciò nuovamente trascinare fra gli odori di cinghiale arrostito, di sidro fermentato e di un’altra dozzina di cibi incredibili.

I bimbi si materializzavano fra i suoi piedi e scomparivano nel nulla fra le risa.

Qualcuno lo chiamò per nome, e il burocrate si voltò per guardare in faccia la Morte. Attraverso le orbite vuote del teschio si intravedeva una lucina azzurra lampeggiante, e il burocrate notò subito le costole metalliche dietro il mantello. La Morte gli porse un bicchiere di birra.

— E voi chi siete? — domandò sorridendo.

La Morte lo prese per il gomito e lo allontanò dal rumoroso centro delle celebrazioni. — Oh, lasciatemi i miei misteri. In fondo siamo in pieno giubileo. — Il mantello nero e consunto indossato dalla Morte aveva un odore stantìo; evidentemente il venditore di costumi si era approfittato dei sensi limitati del suo cliente. — In ogni caso, mi puoi considerare un amico.

Giunsero fino a un ponticello che attraversava il torrente che demarcava i confini del paese. Qui la luce era fioca, e gli edifici ammassati erano silenziosi e bui in maniera quasi opprimente. — Hai già individuato Gregorian? — domandò il surrogato.

— Ditemi chi diavolo siete — domandò il burocrate senza più sorridere.

— No, certo che non lo hai individuato. — La Morte rivolse lo sguardo da un lato con aria distratta. — Scusami, qualcuno mi sta… No, non ho il tempo per… Va bene, lascialo lì dov’è. Ascolta, temo di non avere più tempo. Basta che tu dica a Gregorian, quando lo trovi, che qualcuno che conosce… il suo sponsor. Ditegli che il suo vecchio sponsor è disposto a riassumerlo, se è disposto a rinunciare a questa sua follia. Hai capito bene? Anche tu vuoi questo, non è vero?

— Forse no. Perché non mi dici chi sei e che cosa vuoi realmente, così magari possiamo lavorarci assieme.

— No, no. — La Morte scosse il capo. — L’ho buttata lì così, e probabilmente non funzionerà nemmeno. Ma se hai dei problemi nel trattare con lui, questo è un argomento che potrai sfruttare. Dico sul serio, lui sa che la mia parola è buona. — La Morte si voltò e iniziò ad allontanarsi.

— Un attimo — la bloccò il burocrate. — Chi sei tu?

— Mi dispiace.

— Sei suo padre?

La Morte si voltò nuovamente e lo fissò. Per un lunghissimo istante, non disse nulla. — Mi dispiace — disse infine. — Ora devo proprio andare. — Il surrogato oscillò come se stesse per cadere, poi i giroscopi bloccanti si azionarono e la sagoma rimase impietrita, come una statua.

Il burocrate toccò il cranio metallico. Era completamente inerte; il ronzio pressoché subliminale tipico dell’unità attivata era assolutamente assente. Si incamminò lentamente, girandosi di tanto in tanto, ma il surrogato rimase impietrito dov’era.

Una volta rientrato nella mischia, si scolò la sua birra speziata e prese una frittella coperta di zucchero da un ragazzotto ubriaco che agitò il suo denaro al vento. — Pagato! — urlò. Sopra il baracchino vi era una bandiera con la scritta: COOPERATIVA DI PRODOTTI DEL TIDEWATER, PRODOTTI ANIMALI E DERIVATI. Sollevò il pasticcino in un brindisi, quindi si diresse nuovamente verso il corso principale, sentendosi distante e un pelino malinconico. Tutta quella gente felice…

La folla mulinava attorno a lui, cangiante e sempre uguale come onde che si abbattono sul bagnasciuga, infinitamente affascinanti per quanto l’occhio colga e non riesca a comprendere. Volti contorti da risate troppo accentuate e maniacali, pelli troppo colorate e imperlate di sudore… Che cosa ci faccio io qui? Il burocrate si pose questa domanda. Per stanotte, non riuscirò a combinare nulla. Quell’allegria forzata lo deprimeva.

La serata procedeva. I bambini erano scomparsi nel nulla, e gli adulti rimasti erano sempre più chiassosi e ubriachi. Succhiandosi lo zucchero a velo dalle dita, il burocrate capitò nel bel mezzo di una rissa. Due ubriachi stavano spintonando un surrogato, appiattendogli le costole e strappandogli via gli arti uno per uno. L’automa si dimenò sul terreno, protestando ad alta voce mentre gli strappavano via l’ultimo arto, poi il contatto venne staccato. Evidentemente l’operatore aveva deciso di rinunciare definitivamente alla serata. Il burocrate passò accanto agli spettatori ridenti e proseguì lungo il corso.

A un certo punto vide tra la folla una donna con indosso una fantasia verde e blu, Spirito delle Acque, magari, oppure Cielo e Mare, con piume smeraldine che svolazzavano dal cappello. Il suo costume era tagliato molto basso, tanto che doveva tenere in mano il bordo della gonna stellata per impedire che si trascinasse al suolo. La folla si apriva davanti a lei come acqua, separata da un’aura di bellezza quasi tangibile. La donna gli si avvicinò e lo guardò dritto in faccia. I suoi occhi erano di un verde luminoso, abbagliante come l’anima di una foresta. A poca distanza, una cantastorie cantava che il cuore era come un uccellino che cerca un nido. La donna verde venne spinta accanto a lui, come una sirena apparsa dal mare.

Il burocrate fece automaticamente un passo indietro per lasciare passare quella visione. Lei invece si fermò e lo sfiorò con una mano guantata di cuoio verde. — Tu — disse, e in quel momento i suoi occhi verdi e i suoi denti smaglianti sembrarono volerlo squartare. — Ti voglio.

Gli cinse la vita con un braccio e lo trascinò via.

Giunti ai margini della festa, la donna si fermò per cogliere un fiore di cera da una stringa cadente. La prese fra le due mani a coppa, quindi si chinò sul torrente che scorreva accanto e lo depositò sull’acqua. Altri fiori ballavano e giravano su se stessi sul pelo dell’acqua, vorticando lentamente come in un ballo ufficiale.

Mentre si chinava sulla sfera di luce, il burocrate notò che sopra i guanti le braccia della donna erano ricoperte di stelle, triangoli, serpenti, occhi e altri tatuaggi gnostici di dubbio significato.


Il suo nome, disse, era Undine. Percorsero la via del Caseificio, superarono le ultime case e si trovarono in una foresta di rose. I rampicanti spinosi e fioriti erano ovunque; si aggrappavano alle colonne degli alberi soffocati dalla loro profusione, tappezzavano il terreno, esplodevano in cespugli screziati di macchie sanguigne grandi come colline intere. L’aria era appesantita dal loro profumo, che risultava quasi nauseante. — Avrei fatto meglio a potarle un po’, almeno qui — disse la donna mentre si chinavano per passare sotto a un arco di piccoli fiori color rosa pallido. — Solo che siamo talmente vicini alle maree del giubileo che non ne vale la pena.

— Questi fiori sono nativi del luogo? — domandò il burocrate, esterrefatto dalla quantità di rose che aveva attorno a sé. Ovunque si voltasse, vedeva fiori.

— Oh no, questi sono fiori selvatici terrestri. La donna che le fece portare aveva una piccola industria, e le piantò solo sul ciglio della strada, semplicemente perché le piacevano. Solo che qui le rose non hanno nemici naturali, quindi sono semplicemente esplose. Questo roseto si estende per chilometri tutt’attorno. Sul Piedmont rappresenterebbero un problema; qui invece verranno semplicemente spazzate via dalle maree.

Camminarono ancora un poco in silenzio. — Tu sei una strega — disse improvvisamente il burocrate.

— Oh, l’hai notato? — Il sorriso divertito di Undine bruciava l’aria notturna accanto al suo volto. La punta della sua lingua sfiorò l’orecchio del burocrate, seguì dolcemente la linea curva dell’orbita fino al suo centro scuro, quindi si ritirò. — Quando ho sentito dire che stavi cercando Gregorian, ho deciso di darti un’occhiata. Io ho studiato con Gregorian quando ero bambina. Mi puoi chiedere tutto quel che vuoi su di lui. — Giunsero a una radura, al centro della quale vi era una piccola capanna. — Eccoci arrivati.

— Mi dirai dove si trova Gregorian?

— Non è questo ciò che ti interessa. — Di nuovo quel sorriso, quegli occhi verdi e penetranti. — Non al momento, almeno.


— Questo vestito avrà almeno mille asole — disse mentre apriva goffamente bottone dopo bottone. Sotto il morbido collo di Undine iniziò ad aprirsi uno spiraglio di carne bianca; si allargò, scese sempre più in basso. I polpastrelli del burocrate sfiorarono il candore di quella pelle, facendola rabbrividire per un istante. Un fiore di cera bruciava solitario sul comodino sotto un’olografia di Krisna danzante. La fiamma baluginava in continuazione, proiettando tiepide ombre all’interno della capanna. — Ecco. Questo è l’ultimo.

La strega si voltò, si portò le mani alle spalle e abbassò il vestito. Apparvero due grossi seni, appena un pelino maturi, adornati da capezzoli color albicocca. Lasciò che la stoffa scivolasse lentamente giù, rivelando uno stomaco morbido e pieno, con un ombelico che nuotava nell’oscurità della penombra. Fece capolino un ciuffo di pelo, e Undine si mise a ridere, tenendo il vestito in mano in modo che fosse visibile solo la parte superiore della vagina.

— Oh, il cuore è come un uccellino — cantò con voce dolcissima, facendo oscillare le anche con la musica — che si posa sulla tua mano.

Quella donna era una trappola, il burocrate lo aveva già percepito. Gregorian aveva piazzato i suoi ami appena sotto la sua pelle, e se lui l’avesse baciata, quegli ami sarebbero penetrati nella sua, infilandosi in profondità in un modo inestricabile, permettendo al mago di giocarselo come fosse un pesce, lasciandolo correre per poi riavvolgere il filo, stancandolo fino al punto in cui non avrebbe più avuto la forza di reagire e si sarebbe lasciato spofondare fino al fondale della sua vita, morendo.

— E se tu non lo afferri… — Stava aspettando.

Avrebbe fatto meglio ad andarsene, ora. Avrebbe fatto bene a voltarsi e a uscire da quel luogo.

Invece allungò una mano verso il volto della strega e lo sfiorò con espressione meravigliata. Le labbra di lei si rivolsero verso le sue, avvinghiandosi in un bacio profondo. Il costume cadde al suolo con un fruscio. Le mani di lei si infilarono sotto la sua giacca, aprendogli i bottoni della camicia. — Non essere così delicato — disse.

Piombarono sul letto, e lei lo infilò dentro di sé. Era già umida e spalancata, calda, morbida e scivolosa. Entrò in contatto con il suo ventre bianco e soffice, poi con le punte dei suoi seni. Aveva appena superato la sua migliore età, ed era come congelata nell’istante prima della lunga scivolata verso la vecchiaia. Anche per questo, il burocrate la trovava particolarmente stimqlante. Non sarà mai più così bella, pensò, così matura e ricca di linfa. La strega gli avvolse le gambe attorno alla vita e iniziò a farlo oscillare come una nave in mare, delicatamente dapprincipio, poi sempre più veloce, come se stesse montando una tempesta.

Undine, pensò il burocrate senza alcun motivo. Ysolt, Esme, Theodora… Le donne da queste parti hanno nomi come fiori secchi, o foglie autunnali.

Una ventata fece oscillare selvaggiamente il fuoco di cera, spedendo la luce ai quattro angoli per poi diffonderla nuovamente. Undine lo baciò con furia sul volto, sul collo e sugli occhi. Con il letto che scricchiolava sotto di loro, presero a rotolare, sotto, sopra, sotto, sopra e di nuovo sotto, finché il burocrate non riuscì più a capire chi era sopra e chi era sotto, dove iniziava il suo corpo e dove finiva quello di lei, di chi fosse quale corpo. Poi, infine, divenne l’oceano stesso, facendogli perdere ogni cognizione di sé, lasciandolo annegare nel nulla.

— Ancora — disse.

— Temo che tu mi abbia scambiato per qualcun altro — rispose il burocrate con tono affettuoso. — Qualcuno decisamente più giovane di me. Se sei disposta a aspettare una ventina di minuti, sarò più che felice di riprovarci.

La strega si alzò a sedere, facendo oscillare leggermente i suoi magnifici seni. Deboli raggi della luce di Caliban penetravano dalla finestra, sfiorando i loro corpi. La candela si era consumata da tempo. — Vuoi dire che non conosci il metodo attraverso il quale un uomo può avere un orgasmo dopo l’altro senza mai eiaculare?

Il burocrate scoppiò a ridere. — No.

— Le ragazze non andranno certo pazze per te se devi fermarti per mezz’ora ogni volta che vieni — disse la donna con tono di scherno. Poi divenne improvvisamente seria. — Ti insegnerò. — Prese in mano il suo membro, spingendolo su e giù, divertita dalla sua mollezza. — Dopo i venti minuti che hai vantato. Nel frattempo, ti mostrerò qualcosa di interessante.

Prese la coperta e la usò a mo’ di saio per coprirsi le spalle. Nella luce fioca della notte era un costume alquanto strano, con le maniche che toccavano terra e il retro che non le arrivava nemmeno alle gambe, mettendo in mostra due pallide mezze lune. Completamente nudo, il burocrate la seguì fino alla radura dietro alla capanna. — Guarda — disse la strega.

Una luce colorata di rosa, di azzurro e di bianco aleggiava sopra il terreno. I cespugli di rosa erano intrisi di una luminosità color pastello, come se fossero già annegati nelle profondità dell’oceano. Il terreno era stato scavato di recente, smosso e rigirato, e ora era intriso di un pallido fuoco luminoso. — Cos’è? — domandò il burocrate con tono meravigliato.

— Idrobatteri. Posseggono una biofosforescenza naturale. Si trovano ovunque nel terreno, qui nel Tidewater, ma di solito solo in tracce, in piccoli quantitativi. Sono molto utili nelle arti spirituali. Ora presta attenzione, perché ti sto per spiegare un piccolo mistero.

— Ti ascolto — disse il burocrate, non capendo dove volesse arrivare.

— L’unico modo per forzare una fioritura del genere è seppellendo un animale sottoterra. Quando il corpo inizia a decomporsi, gli idrobatteri si cibano dei prodotti della decomposizione. Ho passato l’ultima settimana avvelenando cani e seppellendoli qui.

— Tu hai ucciso cani? — domandò con tono disgustato.

— Una cosa rapida. Che cosa credi che accadrà loro, quando verrà la marea? I cani sono come le rose, non hanno capacità di adattamento. Così, la gente della società umana ha organizzato la Settimana del Controllo Canino, e mi hanno pagato a cadavere. Nessuno è disposto a portarsi un branco di randagi al Piedmont. — Fece un cenno con la mano. — C’è una pala appoggiata alla capanna.

Il burocrate prese la pala. Nel giro di un mese, quella terra si sarebbe trovata sott’acqua. Immaginò i pesci che nuotavano nelle case mentre i cani galleggiavano con le bocche spalancate, incastrati a testa in giù in grovigli di cespugli di rose. Avrebbero dovuto marcire completamente, prima che i signori affamati delle maree accettassero le loro carcasse. Seguendo le indicazioni della strega, spalò i punti più luminosi del terreno, scaricando la terra luminescente in un vecchio secchio arrugginito mezzo pieno d’acqua. La terra precipitava sul fondo, mentre luminosi turbini di fosforescenza rimanevano sul pelo dell’acqua. Undine raccolse la melma luminosa dalla superficie dell’acqua con un raschietto di legno e la depositò in una larga padella. — Quando l’acqua evapora, rimane una polvere che è ricchissima di idrobatteri — disse. — Poi va lavorata ancora, ma questa è la forma più concentrata, e così com’è me la posso portare al Piedmont. Adesso è diffusissima da queste parti, ma lassù non se ne trova proprio.

— Raccontami di Gregorian — disse il burocate.

— Gregorian è l’unico uomo assolutamente malvagio che abbia mai conosciuto — disse Undine. La sua espressione divenne improvvisamente fredda, dura e rigida come le pianure rocciose di Caliban. — È più furbo di te, più forte di te, più bello di te e molto più determinato. Ha ricevuto un’educazione extraplanetaria almeno pari alla tua, è maestro in arti occulte nelle quali tu nemmeno credi. Sei un pazzo a sfidarlo. Sei già un uomo morto e non lo sai nemmeno.

— Lui certamente vorrebbe che lo credessi.

— Gli uomini sono tutti degli sciocchi — disse Undine. Ora la sua voce era di nuovo pacata, la sua espressione sprezzante. — Lo hai mai notato? Se fossi io nella tua posizione, farei in modo di ammalarmi, o di sviluppare degli scrupoli morali sulla natura della tua missione. Magari comprometterei parzialmente la mia carriera, ma almeno mi risparmierei l’imbarazzo.

— Quando lo hai conosciuto? — Il burocrate scaricò un’altra badilata di terra nel secchio, facendo salire in superficie turbini selvaggi di fosforescenza.

— È stato l’anno in cui ho fatto la fantasma. Ero una trovatella. Madame Capaspe mi comprò l’anno che sanguinai per la prima volta; mi trovava promettente. Ero un esserino già timido e spettrale di per sé, e lei mi impose subito la disciplina dell’invisibilità come parte del mio addestramento. Stavo sempre nell’ombra e non parlavo mai. Dormivo in orari strani e in luoghi strani. Quando avevo fame, mi infilavo in case di sconosciuti e rubavo il cibo dalle loro tavole e dalle loro dispense. Se mi vedevano, Madame mi picchiava. Ma dopo il primo mese, non venni più vista da nessuno.

— Un trattamento un po’ crudele.

— Tu non sei in una posizione che ti permetta di giudicare. Il mattino in cui madame inciampò su Gregorian, stavo guardando la scena dal cuore di un cespuglio a ombrello ornamentale. Ci inciampò letteralmente sopra, poiché Gregorian stava dormendo davanti alla sua porta d’ingresso. Seppi in seguito che era talmente ansioso di diventare apprendista di madame che aveva camminato per due giorni senza soste e senza cibo, tanto che svenne per la fatica una volta giunto a destinazione. Che imbecille! Lei gli diede un calcione che lo rispedì in strada, e credo che gli ruppe anche una costola. Io mi arrampicai sul tetto della baracca degli attrezzi da giardiniere e osservai mentre lo mandava via a spintoni. Veloce come un pensiero, scivolai a terra, rubai una rapa dal giardino per fare colazione e scomparvi, pensando che non avrei mai più rivisto quel giovanotto straccione.

“Ma invece il giorno dopo era ancora lì. Lei lo mandava via, lui tornava. Ogni mattino la stessa storia. Durante il giorno Gregorian si dava da fare per procurarsi da mangiare. Non so se rubasse, lavorasse o vendesse il suo corpo, poiché sebbene fossi ormai in grado di camminare nel centro di Rose Hall in pieno giorno senza farmi vedere, non ero abbastanza interessata da arrivare fino al punto di seguirlo. Comunque sia, ogni mattina lui era lì, davanti alla porta di madame.

“Dopo una settimana, la mia maestra cambiò tattica. Quando lo trovava sull’uscio, gli tirava qualche monetina. Quelle monete di ceramica che si usavano allora, piccoli dischetti verdi, blu e arancioni. Ora si usa solo l’argento. Lo trattava come un mendicante. Si, perché devi sapere che lui era molto fiero, e nonostante fosse vestito di stracci sudici, quegli stracci erano orlati di pizzo, e quindi Madame capì che proveniva da una famiglia dell’alta borghesia. Lui però acchiappava le monete a mezz’aria e se le ingoiava con aria vanitosa. Madame faceva finta di non notarlo. Io osservavo questo duello fra la schiena rigida di lei e il sorriso malvagio di lui da una finestra nell’attico del negozio del parrucchiere dalla parte opposta della strada.

“Qualche giorno dopo, sentii un odore terribile vicino alla porta d’ingresso, e scoprii che Gregorian aveva preso a cacare dietro ai cespugli che circondavano la casa. C’era un mucchio di escrementi puzzolenti, pieni delle monete di ceramica che lei gli tirava. A quel punto, Madame non poté fare a meno di prenderlo con sé.”

— Perché?

— Perché aveva lo spirito dello stregone. Possedeva quella forza di volontà infrangibile e irremovibie necessaria per l’applicazione delle arti spirituali, e inoltre aveva un istinto innato per l’imprevisto. Madame non poteva ignorarlo, allo stesso modo in cui un pittore non può ignorare un bambino che visualizza in maniera perfetta. Un dono simile viene dato una sola volta a ogni generazione.

“Lo mise alla prova. Conosci l’appareccio usato per fornire l’esperienza del cibo ai surrogati?”

— Il nutritore via cavo? Sì, lo conosco molto bene.

— Lei ne aveva uno montato in una scatola. Gliel’aveva sistemato un suo amante di fuorimondo. Era fatto in modo che lei potesse inserire la corrente nell’induttore nervoso. Puoi immaginare la sensazione che si provava infilando la mano nel campo?

— Un dolore atroce.

— A dir poco. — Undine si produsse in un sorriso malinconico, e dietro a quel sorriso il burocrate poté vedere il fantasma di una scolaretta. — Ricordo perfettamente quella scatola. Un oggetto normalissimo, con un buco da una parte e un reostato sopra, calibrato da uno a sette. Se chiudo gli occhi, lo posso vedere perfettamente, con le sue dita sul comando e quel maledetto ratto d’acqua appollaiato sulla sua spalla. Mi disse che se toglievo la mano dal buco prima che lei me lo dicesse, mi avrebbe ucciso. Fu il momento più terrorizzante di tutta la mia vita. Persino Gregorian, per quanto ingegnoso fosse, non arrivò mai a tanto.

Undine raccolse altra poltiglia luminosa dal pelo dell’acqua. La sua voce era dolce e reminescente. — Quando spostò la manopola dallo zero, mi sentii come se un animale avesse affondato i denti nella mia carne. Poi lentamente, oh, con una lentezza da vera e propria tortura, salì a livello uno, e allora iniziai a provare un dolore lancinante. Che agonia fui costretta a soffrire! Quando arrivò al tre stavo urlando, e al quattro ero ormai cieca per il dolore. Al cinque strappai via la mano, ormai decisa a morire piuttosto che subire quel dolore infernale.

“Lei invece mi abbracciò con forza, mi disse che non aveva mai visto nessuno arrivare a quel livello e che un giorno o l’altro sarei diventata più famosa di lei.”

Per un lungo istante, la strega rimase in silenzio.

— Quando Madame fece finalmente entrare Gregorian in casa sua, io mi infilai dentro da una finestra sul retro. Silenziosa come uno spettro, passai da un’ombra all’altra, senza lasciarmi alle spalle nemmeno l’eco di un passo. Lasciai la porta socchiusa, con uno spiraglio di un dito che mi permettesse di guardare dall’oscurità alla luce, quindi mi ritirai in un armadio. Attraverso una fessura nell’armadio, potevo vedere i loro riflessi distanti nello specchio del caminetto. Gregorian era sparuto, sporco e aveva i piedi nudi. Mi ricordo che pensai a quanto fosse insignificante paragonato alla figura altera e aristocratica di madame Campaspe.

“Madame lo fece sedere accanto al caminetto. Udii un mormorio di voci mentre gli spiegava le regole del gioco. Infine, madame sollevò il telo merlettato che ricopriva la scatola e lui, presuntuoso come un corvo, vi infilò la mano.

“Quando Madame toccò il comando, vidi il suo volto contrarsi, in maniera involontaria e automatica. Lo vidi impallidire, lo vidi tremare man mano che il dolore aumentava. Il suo sguardo rimase sempre fisso su di lei.

“Madame lo portò su fino, al settimo livello. Il suo corpo era rigido, le sue dita contratte in uno spasmo, ma la sua testa era sempre eretta e spietata. Non aveva battuto un ciglio, letteralmente. Credo che da allora anche Madame iniziò a temerlo. Era lì seduto nei suoi stracci, con gli occhi che bruciavano come lanterne.

“Io ero talmente immobile che non mi batteva nemmeno il cuore. Ero assolutamente ferma… eppure, chissà come, Gregorian sapeva della mia presenza. Sollevò la testa, guardò nello specchio, mi vide e sorrise. Un sorriso terribile, un sorriso da teschio, ma pur sempre un sorriso. E in quel momento mi resi conto che, per quanto ci potesse provare, madame Campaspe non sarebbe mai riuscita a spezzarlo.”


— Ho finito. — Ricoprì la padella con un telo e il burocrate la seguì di nuovo dentro, osservando le due lune crescenti che gli facevano l’occhiolino una dopo l’altra da sotto la coperta.

— A che cosa serve? — le domandò quando furono nuovamente seduti sul letto, uno davanti all’altra con le gambe incrociate. La vagina di lei era un’ombra scura all’interno del cerchio protettivo delle sue gambe. — La polvere che ottieni dai cani.

— La mischiamo all’inchiostro e la iniettiamo sottopelle. — Fece girare una mano davanti al suo volto; nell’ombra era incolore, priva di segni. — Ogni disegno rappresenta un rituale che la donna di potere può mettere in atto, ogni rituale rappresenta un frammento di conoscenza, e tutta la conoscenza applicata in maniera corretta rappresenta il controllo. — Improvvisamente, uno dei tatuaggi sulla sua mano si illuminò di luce propria. Si trattava di un piccolo pesce, visibile attraverso la pelle. — Accendere e spegnere i tatuaggi con la propria volontà è un segno di quel controllo. — I tatuaggi si accesero uno per uno; una piramide, un avvoltoio, una corona di uccelli. Le stelle si accesero, trasformandosi in novae sottocutanee, dando fuoco a serpenti, lune e simboli alchemici. — La microflora di Miranda è pressoché incompatibile con la biologia terrestre. Iniettata sottopelle, ottiene il nutrimento necessario per sopravvivere ma non può proliferare. Rimangono lì, affamati e comatosi, finché non li risveglio. — Ora tutti i suoi tatuaggi erano accesi. Le si arrampicavano su per le braccia, giungendo quasi fino alle spalle.

— Come fai?

— Oh, è una delle prime cose che si imparano. Basta innalzare la temperatura del proprio corpo. Guarda. — Gli prese una mano. — Non ci vuole quasi nulla. Concentrati sui tuoi polpastrelli, pensando di renderli più caldi. Pensa a cose calde. Cerca di far fluire il calore. — Attese un attimo. — Ebbene?

I polpastrelli gli formicolavano. — Non ne sono sicuro.

— Pensi che si tratti semplicemente di forza di suggestione. — Una piccola stella apparve sulla punta del dito della strega, aleggiò davanti ai suoi occhi. — Questo è il primo segno che ho ricevuto. Fai diventare caldo il tuo dito, mi disse la dea, e il mio dito si illuminò di luce. Ero esterrefatta. Ebbi l’impressione che la mia vita avesse preso una grande svolta, che nulla sarebbe stato uguale a prima. — Lo stava toccando con dolcezza, su una gamba. Le sue dita scivolavano lentamente verso l’alto, veloci verso il basso, accarezzando, accarezzando.

— Quale dea?

— Quando qualcuno ti insegna qualcosa di valore spirituale, tu non apprendi da un essere umano; la persona diventa parte della divinità, diventa tutt’uno con il dio. Perciò, quando madame Capaspe insegnava a me e a Gregorian, per noi lei era la dea. — La sua mano salì ulteriormente, accarezzandogli il pene, che nel frattempo era diventato di nuovo duro ed eretto, quasi senza che lui se ne accorgesse. — Ma bene! Adesso sarò io la tua dea. — Si sdraiò sulla schiena con le gambe spalancate e lo tirò a sé.

— Voglio parlare di Gregorian — disse il burocrate con tono poco convinto. Ora lo aveva preso con entrambe le mani, e lo stava facendo scivolare nelle sue tiepide profondità.

— Non vedo per quale motivo non possiamo fare entrambe le cose. — Lo strinse forte e lo fece rotolare, finché non si ritrovò seduta sopra di lui. — Il rituale che stai per imparare dalla dea, il modo per controllare l’eiaculazione, è noto come il verme ouroboros, in onore del grande serpente della Terra che si morde la coda in eterno e per questo si completa; un sistema perfetto a circuito chiuso, come non ne esistono nel mondo materiale, nemmeno nelle vostre città di metallo galleggianti. — Si mosse su e giù sopra di lui, aggraziata come un cigno alla luce della luna. Il burocrate allungò le mani per accarezzarle i seni. — Porta benefici fisici che si estendono al di là di quanto potrà essere evidente ed è un’ottima introduzione ai misteri tantrici. Che cosa volevi sapere esattamente su Gregorian?

Le mani del burocrate scivolarono lungo il corpo della strega, toccando dapprima con dolcezza le punte rosee dei suoi capezzoli per poi afferrarla mentre scendeva su di lui; capezzoli, seni, stomaco, mento. — Voglio sapere dove si trova.

— Sarà da qualche parte giù lungo il fiume, immagino. La gente dice che ha un posto stabile a Ararat, ma chi può dirlo? Non credo che abbia bisogno di un luogo fisso, perché non permette mai a nessuno di trovarlo.

— E la gente che lo paga per essere trasformata in esseri del mare?

— Non sono loro che lo trovano, è lui che trova loro. In fondo il tipo di persona che cerca non è molto comune, non trovi? Qualcuno che sia ansioso di rimanere nel Tidewater, disposto a trasformarsi in una forma inumana pur di rimanerci, fiducioso nelle pubblicità di Gregorian e abbastanza ricco da pagare i suoi prezzi. Sono certa che avrà stilato una lista di boccaloni già da tempo.

— Quando lo hai visto per l’ultima volta?

— Oh, molti anni fa. — I denti di lei giocavano con il lobo del suo orecchio, il suo fiato era tiepido sulla sua guancia. — Quando si decise a lasciare Madame, si diresse verso l’oceano, ma non arrivò più lontano della stazione per eliostati numero 17. Lì deve aver incontrato qualcuno, e poi si sentì dire che fosse di fuoripianeta. Ti piace così? — Gli passò le unghie lungo i fianchi, accarezzandolo.

— Sì.

— Bene. — Portò le mani alla base della sua spina dorsale, puntò le unghie e tirò su di colpo, con forza. Il burocrate si inarcò involontariamente, inspirando aria. — Anche questo ti piace, e ti sorprende anche, non è vero? Questo l’ho imparato da Gregorian; si trasformò in dio e mi insegnò quanto sono vicini fra loro il piacere e il dolore. — Emise una risata. — Ma non mi sembra il caso di fare più di una lezione a serata… Esci fuori e sdraiati, ti voglio mostrare una cosa.

Lo fece spostare da un lato, gli sollevò con dolcezza un ginocchio, quindi abbassò la testa fra le sue gambe. Con fare giocoso baciò la punta del suo pene, passò la lingua per tutta la sua lunghezza, gli accarezzò i testicoli con le labbra.

— Questo punto morbido a metà fra lo scroto e l’ano. — Solleticò il punto in questione con la lingua. — Lo senti?

— Sì.

— Bene. Ora porta qui la tua mano sinistra… no, da dietro. Così va bene. Ora premi sul punto che ti ho appena indicato con il medio e l’indice. Un po’ più forte. Così. — Si rialzò sulle ginocchia. — Ora inspira profondamente come faccio io, non con i polmoni, ma con l’addome. — Dimostrò come fare, e il burocrate sorrise davanti alla bellezza solenne dei suoi seni nella pallida luce lunare. Con fare dolce ma deciso, allontanò la sua mano. — Ora tocca a te. Alzati a sedere e inspira profondamente, lentamente.

Il burocrate ubbidì.

— Dalla pancia.

Ritentò.

— Così va bene. — La strega appoggiò le mani alle sue spalle e lo tirò a sé. — Questa volta voglio che tu presti attenzione al tuo corpo. Quando senti che stai per eiaculare, non quando hai già iniziato ma prima, porta una mano dietro e spingi su quel punto nel modo che ti ho mostrato, inspirando contemporaneamente in maniera lenta e profonda. Dovrebbe durare circa quattro secondi. — Fece oscillare la mano avanti e indietro quattro volte, contando i battiti. — Così. Puoi rallentare se vuoi, ma non fermarti, okay?

— Se lo dici tu… — disse il burocrate con tono poco convinto.

La punta del suo membro la toccava appena. Undine lo tenne fermo e scivolò avanti, sistemandocisi sopra. — Ahhh — disse. — Pensi che sia fin troppo facile, eh? Pensi che se una cosa del genere fosse così efficace come dico, tua madre te ne avrebbe parlato, eh? Be’, che tu lo creda o no non ha assolutamente importanza. Se farai come ti dico, potrai rimandare l’eiaculazione all’infinito.

La strinse forte, sdraiandosi sotto di lei. — Credo…

— Non farlo.


Il burocrate eseguì l’esercizio in maniera fedele, ascoltando il suo corpo e arrestando l’eiaculazione ogni volta che la sentiva arrivare. La luna oscillava pazzamente alla finestra. Poi accadde qualcosa di sconvolgente. Poco dopo una delle sue quasi-eiaculazioni, provò un orgasmo. La sensazione gli rese tutto il corpo, tanto che cacciò un grido, stringendo Undine con tutta la forza che aveva, e sentì il piccolo sapore di Dio che lo attraversava. Poi l’orgasmo terminò, e si rese conto che non era venuto. Il suo membro era ancora eretto e si sentiva stranamente lucido, incredibilmente sveglio e attento.

— Cos’è stato? — domandò con tono esterrefatto.

— Ora capisci — disse Undine. — L’orgasmo non è solo uno spruzzo di liquido salato. — Si stava muovendo sopra di lui come una nave nella calma dopo la tempesta, i suoi occhi socchiusi, la sua bocca mezza aperta. Si leccò le labbra e sorrise in maniera quasi di scherno. I suoi capelli e i suoi seni erano intrisi di sudore. — È da un po’ che non mi parli di Gregorian. Hai forse esaurito le domande?

— Temo che sia accaduto l’opposto. — Giocherellò con un seno, tracciando cerchi col dito attorno all’areola, stringendo con delicatezza il capezzolo fra il pollice e l’indice. — Le mie domande si moltiplicano a ogni risposta. Non capisco per quale motivo la tua maestra maltrattasse Gregorian a quel modo, perché tentasse di spezzarlo con il dolore fisico. Mi sembra un metodo alquanto controproduttivo.

— Con Gregorian andò effettivamente così — acconsentì. — Ma se avesse funzionato… Non penso di poterti spiegare la cosa, visto che non sei mai passato attraverso un’esperienza del genere. Dovrai prendere per buona la mia parola. Quando la dea vuole la tua vita, la prima cosa che deve fare è spezzare il tuo piccolo mondo, per costringerti a entrare nell’universo più vasto. La mente è pigra; sta bene così com’è, e l’unico modo per spingerla alla realtà è attraverso la paura e il dolore.

“Tuttavia, ciò non viene mai fatto con malvagità, ma sempre con amore. Alla fine della prova, Madame mi abbracciò. Credevo che mi odiasse, credevo che sarei morta da lì a poco, e lei invece mi abbracciò. Non posso descriverti la sensazione che provai in quell’abbraccio. Molto più intensa di qualsiasi cosa che abbiamo fatto assieme stanotte. Meglio di qualsiasi cosa che avessi mai provato in vita mia. Piangevo. Mi sentivo avvolta nell’amore, e sapevo che avrei fatto qualsiasi cosa per esserne degna. In quell’istante sarei stata più che disposta a morire per quella donna.”

— Ma questo con Gregorian non accadde.

— No. — Fece oscillare lentamente il suo corpo da destra a sinistra, muovendolo dentro di lei. — Non riuscì mai a spezzare Gregorian. Ci provò molte volte, solo che ogni tentativo fallito lo rendeva più forte e più selvaggio. E proprio per questo che Gregorian ti ucciderà. — Rotolò improvvisamente, portandolo sopra di lei. Per un secondo, il burocrate temette che le avrebbe fatto del male con il suo peso. — Be’ — disse — nel frattempo, ho i miei modi per usarti.

Il burocrate ebbe altri quattro orgasmi prima di venire, e quando finalmente venne provò una sensazione di un’intensità mai provata in precedenza.

Più che addormentarsi, svenne.

Quando si risvegliò, Undine era andata via. Con aria intontita, si guardò attorno; i mobili erano tutti lì, assieme a qualche oggetto scompagnato. La veste era per terra, un po’ logora e triste; diverse delle lunghe piume che la adornavano erano rotte. La stanza era pervasa da un senso di abbandono, di vuoto; non vi era più alcun tocco personale. Il burocrate si vestì e uscì.

Era mattina tardi. Prospero era già alto nel cielo, e il paese era deserto. Le porte erano aperte. I resti delle fantasie della sera precedente erano dappertutto, abbandonati sulla strada come gusci di cicala. Il burocrate si incamminò verso il centro di Rose Hall. Il cervello gli si stava schiarendo lentamente, e aveva voglia di cantare. Il corpo gli doleva, ma in maniera piacevole. Sentiva il pene rosso e infiammato. Non aveva bisogno di altro che di una buona colazione per tornare ad affrontare il mondo.

Chu era in piedi accanto a un camion sul cui paraurti anteriore campeggiava la scritta: IL NUOVO RE seguita da: IL TEATRO DELLE MARIONETTE DI MINTOUCHIAN E ILLUSARIUM DEL PARADISO E DELL’INFERNO, DELLE DIECI MILIONI DI CITTÀ E DEGLI UNDICI MONDI scritto in sette colori abbaglianti lungo la fiancata. Il burocrate ricordò di averlo visto la sera precedente, con gli sportelli aperti e uno spettacolino di marionette in piena azione. Chu parlava con un ometto grasso e sudato con un paio di baffetti meticolosamente curati. Arshag Mintouchian in persona, evidentemente. — Passata una bella notte? — domandò, poi scoppiò improvvisamente a ridere.

Il burocrate la fissò con espressione perplessa. Poi anche Mintouchian scoppiò a ridere.

— Che cavolo avete da ridere? — domandò il burocrate con tono offeso.

— La tua mano — disse Chu. — Oh, si vede che hai passato una notte memorabile! — Ripartirono tutti e due, trascinati da impeti di riso incontrollati.

Il burocrate si guardò la mano. Vi era un tatuaggio appena fatto, un serpente che girava attorno al dito medio della sua mano sinistra per ben tre volte, prima di mordersi la coda.

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