CAPITOLO SETTIMO

La settimana dopo, mentre Cordelia faceva colazione con suo marito e il Conte Piotr in una saletta al pianterreno di Casa Vorkosigan, di fronte al giardino posteriore, Aral attirò l’attenzione del cameriere che li stava servendo.

— Per favore, avverti il tenente Koudelka che vorrei vederlo. Chiedigli di portare il programma di oggi e i documenti di cui abbiamo parlato.

— Uh, credo che lei non l’abbia ancora saputo, mio Lord — mormorò l’uomo.

— Saputo cosa? Siamo appena scesi.

— Il tenente Koudelka è in ospedale, questa mattina.

— In ospedale! Signore Iddio, perché non sono stato informato subito? Cos’è successo?

— Ci è stato detto che il capitano Illyan avrebbe presentato un rapporto completo, mio Lord. Il capoguardia… aspettava lui.

Rabbia e allarme si mescolavano sul volto di Vorkosigan. — Come sta? Non è un… effetto ritardato di quella granata sonica, no? Cosa gli è successo?

— È stato percosso, mio Lord — disse il cameriere, impassibile.

Vorkosigan si appoggiò indietro e fece un lungo respiro. Un muscolo si contrasse sulla sua mandibola. — Mandami qui il capoguardia — grugnì.

Il cameriere si dileguò, e Vorkosigan rimase lì a battere con impazienza un cucchiaino sul tavolo. Accorgendosi che Cordelia era scossa le rivolse quello che forse a lui sembrava un sorrisetto d’incoraggiamento. Anche il Conte Piotr era sbalordito.

— Chi può aver voluto fare del male a Kou? — domandò Cordelia. — È da vigliacchi aggredire un uomo che non può difendersi a dovere.

Vorkosigan scosse il capo. — Qualcuno che voleva un bersaglio facile, evidentemente. Scopriremo chi. Oh, se lo scopriremo.

Il capoguardia della Sicurezza Imperiale, elegante nella sua uniforme verde, apparve sulla porta ed eseguì il saluto militare. — Signore.

— Per sua futura informazione, e può dirlo agli altri, se ai membri del mio staff accade un incidente io voglio esserne informato subito. Sono stato chiaro?

— Sissignore. Era molto tardi quando la notizia è arrivata qui, signore. E poiché sapevamo che erano vivi entrambi, il capitano Illyan ha detto di lasciarla dormire, signore.

— Capisco. — Vorkosigan si passò una mano sul mento. — Entrambi?

— Il tenente Koudelka e il sergente Bothari, signore.

— Non si saranno battuti? — chiese Cordelia, ora allarmata più che mai.

— Sì. Oh, no… non uno contro l’altro, milady. Sono stati aggrediti.

Scuro in faccia Vorkosigan gli accennò di entrare. — Meglio che cominci dall’inizio.

— Sì, signore. Mmh. Il tenente Koudelka e il sergente Bothari sono usciti insieme, ieri sera. Non in uniforme. Sono andati nel quartiere dietro il vecchio caravanserraglio, la zona dove un tempo venivano a fermarsi le carovane.

— Mio Dio. E a fare cosa?

— Uh. — Il capoguardia gettò uno sguardo a Cordelia. — In cerca di… divertimento, credo, signore.

— Divertimento?

— Sì, signore. Il sergente Bothari va laggiù circa una volta al mese, nella sua giornata di libertà, quando il signor Conte è qui in città. Pare che si rechi in quel posto da anni.

— Al caravanserraglio? — domandò Piotr, incredulo.

— Mmh. — Il sottufficiale guardò il cameriere come in cerca di aiuto.

— Il sergente Bothari non ha molte pretese nella scelta dei suoi, uh, divertimenti, signore — disse il cameriere.

— Sembra proprio di no! — sbottò Piotr. Cordelia interrogò Vorkosigan con uno sguardo.

— È la zona più pericolosa della città — spiegò lui. — Io non ci metterei piede neppure sotto scorta, nelle ore notturne. E comunque indosserei l’uniforme, anche se senza i gradi… ma credo che Bothari sia praticamente cresciuto in quel quartiere. Immagino che lui lo veda con occhi diversi.

— Perché è un quartiere pericoloso?

— Perché è povero. Era il rione più popolaresco durante l’Era dell’Isolamento, e nessun piano edilizio l’ha ancora mai sfiorato. Poca acqua, niente elettricità, rifiuti dappertutto…

— Rifiuti umani, per lo più — precisò aspramente Piotr.

— Niente elettricità? — si meravigliò Cordelia. — E com’è collegato alla rete di comunicazioni?

— Non lo è, naturalmente — rispose Vorkosigan.

— Ma allora i bambini come seguono le lezioni scolastiche?

— Non le seguono.

Lei sbatté le palpebre. — Non capisco. Quando poi devono trovarsi un lavoro, come fanno?

— Qualcuno si arruola nel Servizio. Gli altri vivono di espedienti, quasi tutti. — Vorkosigan la guardò, a disagio. — Non avete miseria su Colonia Beta?

— Miseria? Be’, alcuni hanno meno denaro di altri, naturalmente. Ma… nessun terminale collegato alle reti d’informazione?

Vorkosigan si lasciò distrarre dal suo interrogatorio. — Non avere un terminale collegato a un banco dati è il più basso livello di vita che puoi immaginare? — domandò, stupito.

— Be’, almeno uno schermo televisivo! È il primo articolo della Costituzione Betana: «L’accesso alle informazioni dev’essere libero e disponibile per ogni cittadino.»

— Cordelia… quella gente ha a malapena accesso al cibo, a qualche capo di vestiario e a un tetto sulla testa. Non dispongono di cucine a gas o di servizi igienici, e vivono in case che è antieconomico perfino abbattere.

— Non hanno l’aria condizionata?

— Questo sì. D’estate, quando tolgono i giornali vecchi con cui tappano le fessure dei muri, hanno tutto il vento che vogliono. In inverno il riscaldamento è un problema, ovviamente.

— Lo credo. A questa latitudine è freddo anche nelle altre stagioni, di notte. E come chiamano l’assistenza pubblica quando sono malati o c’è un incidente?

— Quale assistenza pubblica? Se si ammalano, o qualche parente li cura oppure muoiono.

— E non è una gran perdita — borbottò Piotr. — Sono spazzatura.

— Voi non state scherzando! — Cordelia li guardò entrambi. — È una cosa terribile. Pensate a… a tutte le persone di valore che potete perdere in questo modo.

— Dubito che ne otterremmo molte, dal caravanserraglio — disse seccamente Piotr.

— Perché no? Hanno pur sempre la vostra stessa eredità genetica — affermò Cordelia, per cui la cosa era ovvia.

Il Conte s’irrigidì. — Mia cara ragazza! La verità è esattamente l’opposto! La mia famiglia è Vor da nove generazioni.

Cordelia inarcò le sopracciglia. — Come fa a saperlo, se fino a ottant’anni fa non avevate registrazioni genetiche?

Il capoguardia e il cameriere assistevano in rispettoso silenzio, ma non poterono fare a meno di guardare il vecchio Conte come se temessero di vederlo esplodere.

— Inoltre, — proseguì lei in tono ragionevole, — se è vero ciò che ho letto sulle molte «distrazioni» della classe Vor, i tre quarti degli abitanti di questo pianeta dovrebbero avere sangue nobile, al giorno d’oggi. Chi può sapere quali sono i suoi parenti da parte di padre?

Vorkosigan tormentava fra le dita il bordo del tovagliolo, con la stessa espressione fra cauta e allarmata del cameriere. Mormorò: — Cordelia… Cordelia, non puoi sedere al tavolo con me e mio padre e informarci che i nostri antenati erano dei bastardi. È un insulto mortale, qui.

E come dovrei dirvi le verità sgradite: stando in piedi? - Oh. Non ero al corrente di questo. Scusate. Be’, lasciamo stare. Koudelka e Bothari.

— Mmh, sì. — Vorkosigan si rivolse al sottufficiale. — Prosegua, per favore.

— Sì, signore. Be’, signore, mi è stato detto che stavano tornando, circa un’ora dopo la mezzanotte, quando sono stati fermati da una banda di scapestrati della zona. Evidentemente il tenente Koudelka era troppo ben vestito, e forse anche per il modo in cui cammina, con quel bastone… comunque sia, hanno attirato l’attenzione di questi individui. Non conosco i particolari, signore, ma fra costoro ci sono stati quattro morti, più tre ricoverati in ospedale, e forse anche qualche ferito fra quelli che sono riusciti a dileguarsi.

Vorkosigan emise un lieve fischio fra i denti. — Quali ferite hanno riportato Bothari e Koudelka?

— Sembra che… cioè, non ho ancora visto il rapporto ufficiale, signore. So solo quello che dicevano ieri sera.

— Sentiamo.

Il sottufficiale deglutì saliva. — Il sergente Bothari avrebbe un braccio rotto, alcune costole fratturate, delle escoriazioni e forse qualche lesione interna. Il tenente Koudelka ha entrambe le gambe fratturate, e… mmh, delle ustioni… — La sua voce si spense.

— Ustioni?

— Sembra che i loro aggressori avessero un paio di bastoni elettrici ad alto voltaggio, e che abbiano scoperto che potevano ottenere… uh, degli effetti peculiari stimolando i nervi prostetici del tenente. Dopo avergli rotto le gambe si sono divertiti per… un certo periodo di tempo a lavorare su di lui. È stato questo indugio che ha permesso agli uomini del capitano Illyan di coglierli sul fatto. Erano ancora tutti lì.

Cordelia allontanò il piatto e si strinse le braccia al petto, scossa da un tremito.

— Questo è ciò che dicevano questa notte, eh? Ho capito. Vada pure. Avverta il capitano Illyan che passi da me, appena arriva — disse Vorkosigan con voce cupa.

Il Conte Piotr sbuffò, sprezzante. — Sono spazzatura — ripeté. — Bisognerebbe stanarli coi lanciafiamme tutti quanti.

Vorkosigan sospirò. — Meglio non fomentare disordini con atti di ritorsione. È più facile cominciare una guerra che finirla.


Un’ora dopo Vorkosigan condusse Illyan in biblioteca per avere il suo rapporto. Cordelia li seguì e sedette davanti a loro.

— Sei sicura di voler ascoltare questi particolari? — le domandò il marito con calma.

Lei scrollò le spalle. — Sono miei amici. Preferisco sapere, invece che restare a farmi domande.

Il resoconto del capoguardia risultò abbastanza corrispondente al vero, ma Illyan, che aveva parlato con Bothari e con Koudelka all’Ospedale Militare Imperiale dov’erano ricoverati, descrisse in tutti i crudi dettagli le loro condizioni cliniche. Il suo volto rigido sembrava un po’ invecchiato, quel mattino.

— Il suo segretario, evidentemente, è stato colto dall’impulso di distrarsi un po’ con una prostituta — continuò. — Perché abbia scelto proprio Bothari come guida indigena, non lo capisco.

— Noi tre siamo i soli superstiti della Generale Vorkraft - rispose Vorkosigan. — Questo è un legame, suppongo. Inoltre, Koudelka e il sergente vanno piuttosto d’accordo. Forse perché lui risveglia in Bothari una specie di istinto paterno. È un ragazzo giovane, intelligente anche se immaturo, e per quelli della nostra generazione è facile vederlo come un figlio, più che un amico… ma questo non glielo dica. Lo metterebbe a disagio. Comunque, vorrei che fosse venuto a consigliarsi con me.

— Be’, Bothari ha fatto quello che poteva — proseguì Illyan. — Lo ha portato a nuotare nelle sole acque che conosce, in un posto dove dal suo punto di vista devono esserci evidentemente dei lati apprezzabili. È economico, non si perde troppo tempo, e nessuno fa domande. Inoltre è l’opposto dell’ambiente in cui lo aveva preso l’ammiraglio Vorrutyer a suo tempo. Nessuna sgradevole associazione mentale. A detta di Kou, la donna che Bothari frequenta d’abitudine è brutta almeno quanto lui. Sembra che gli piaccia perché durante l’intimità non emette alcun suono. Cosa significa questo per lui, penso che sia abbastanza chiaro.

«Una volta in quella casa, pare che Kou si sia preso a parole con uno dei gestori, e che abbiano dovuto separarli. Bothari dice che Kou aveva chiesto una ragazza giovane, e l’uomo gli ha portato una bambina di nove anni, fraintendendo i suoi gusti in modo offensivo per lui. Più tardi, quando Bothari aveva già fatto e finito, Kou era ancora al piano di sopra a chiacchierare con un’altra tenutaria della casa, che gli offriva una dopo l’altra un assortimento di femmine esperte in variazioni di alcune delle quali lui non aveva mai sentito parlare. Da ultimo, Kou non ne ha fatto nulla ed è sceso di nuovo nell’atrio, dove Bothari lo stava aspettando.

«Subito dopo i due uomini e questa tenutaria hanno avuto una discussione circa il pagamento, sulla base del fatto che la donna affermava di aver dedicato a Kou più tempo che a quattro clienti. Tutto questo non è nel rapporto ufficiale, sia chiaro. Kou le ha offerto un pagamento parziale, ma a quanto dice Bothari l’altro gestore si è intromesso nella discussione e gli animi sono tornati ad accendersi. C’è stato un certo disordine, ma alla fine Koudelka e Bothari hanno raggiunto la strada.

— La prima domanda che sorge spontanea — disse Vorkosigan, — è se siano stati aggrediti per ordine dei gestori di quel locale.

— A quanto mi è dato di sapere, no. Appena localizzata la casa l’ho fatta circondare e ho interrogato il gestore e la sua collega con il penta-rapido. Forse non avrei avuto neppure bisogno di drogarli, perché erano terrorizzati a morte. Quella gente è abituata alle guardie municipali del Conte Vorbohn, con le quali hanno collusioni o che li ricattano, o viceversa. Sotto penta-rapido hanno confessato una quantità di crimini più o meno rilevanti, nessuno dei quali era di qualche interesse per noi… fra parentesi, vuole che passi quei due alla polizia municipale?

— Mmh. Se sono innocenti dell’aggressione, limitiamoci a tenerli in pugno con ciò che sappiamo. Magari Bothari vorrà tornare là, un giorno o l’altro. Sanno per quale motivo sono stati interrogati?

— No, ovviamente! I miei uomini agiscono in modo pulito. Noi lavoriamo per raccogliere le informazioni, non per darle.

— Mi scusi, capitano. Avrei dovuto pensarci. Prosegua, prego.

— Bothari e Koudelka hanno lasciato la casa circa alla una del mattino, a piedi, ma nei vicoli intorno al caravanserraglio hanno imboccato una strada sbagliata. Il sergente si incolpa di questa sua distrazione. Entrambi dicono di aver notato movimenti furtivi nel buio per una decina di minuti prima dell’aggressione, cosicché pare che siano stati seguiti, e poi fatti innervosire e praticamente spinti in una stradicciola chiusa fra due alti muraglioni. Qui si sono trovati con sei individui davanti e altri sei alle spalle.

«Bothari ha estratto il suo storditore e sparato, abbattendo tre di loro prima che gli altri gli piombassero addosso. Qualcuno laggiù si è svegliato con la testa in brutte condizioni, stamattina. Kou aveva il suo bastone-spada, ma nient’altro.

«Bothari ha abbattuto un altro paio di avversari dopo aver perduto lo storditore, quindi l’arma è stata usata contro di lui, e mentre giaceva al suolo hanno cercato di ammazzarlo di botte. Fino a quel momento Koudelka aveva usato il bastone come un semplice bastone, ma per soccorrere Bothari ha deciso di sfoderare la lama. Ora dice che vorrebbe non averlo fatto, perché gli aggressori hanno cominciato a ringhiare: Un Vor! Un Vor! E allora le cose si sono messe davvero male.

«Ne ha colpiti due; poi uno di loro ha opposto alla spada un bastone elettrico e lo spasmo gli ha fatto perdere coscienza per qualche momento. I cinque rimasti in piedi gli sono balzati addosso e gli hanno spezzato le gambe, all’altezza dei ginocchi. Kou mi ha chiesto di dirvi che non è stato doloroso come si può credere. Dice che prima di farlo gli avevano messo fuori uso i nervi con quelle scosse elettriche, e che il suo corpo era privo di sensibilità. Non so se questo sia vero.

— È difficile dirlo, con Kou — annuì Vorkosigan. — Ha l’abitudine di nascondere il dolore. È quasi una seconda natura. Continui.

— Devo fare un passo indietro, ora. Il mio uomo assegnato alla protezione di Kou lo aveva seguito, pur tenendosi a distanza. Ma non aveva esperienza della zona, e non era vestito in modo adatto. Kou aveva due biglietti per uno spettacolo musicale, in centro, e fino alle dieci di sera tutti credevano che fosse là. Il mio uomo si è addentrato nel quartiere del vecchio caravanserraglio ed è svanito, presumibilmente dopo esser rimasto per un certo tempo fuori di questa casa in attesa che Kou e Bothari uscissero. Fino a questo momento non è ancora ricomparso. È stato ucciso? Rapito? Derubato e lasciato privo di sensi da qualche parte? O era un infiltrato, un doppio agente di qualcuno? Non lo sapremo finché non avremo ritrovato qualche traccia di lui.

«Tuttavia aveva l’ordine di fare rapporto via radio ogni ora. Il suo rapporto delle dieci di sera non è arrivato. Trenta minuti dopo è stato mandato fuori un altro uomo, dietro di lui. Ma quest’ultimo non sapeva dove andare a cercarlo. Dunque Kou è rimasto senza la sua scorta per almeno tre ore, cioè fino al momento in cui sono montati di turno gli uomini della sorveglianza notturna e il capoguardia ha giudicato molto allarmante questo fatto. Per la maggior parte di queste tre ore, comunque, Kou era insieme a Bothari nel vecchio edificio dove ha sede quel postribolo.

«Il capoguardia del turno di notte, che io ho elogiato, ha subito mandato una squadra nella zona e chiamato un nostro velivolo per avere un appoggio dall’aria. Così, quando uno di loro è finalmente arrivato sul luogo dell’aggressione, ha potuto avvertire l’aereo e una dozzina di miei uomini in borghese sono subito intervenuti contro i malviventi. Quel lavoro con i bastoni elettrici… è stato un brutto affare, ma non brutto quanto avrebbe potuto essere. Gli aggressori di Kou evidentemente mancavano di quella… uh, fantasia, diciamo, che un tipo come l’ammiraglio Vorrutyer avrebbe sfoggiato nella stessa situazione. O forse non hanno avuto il tempo di sbizzarrirsi davvero.

— Grazie al cielo — mormorò Vorkosigan. — E i morti?

— Due sono opera di Bothari, uccisi a mani nude. Un altro ha avuto il collo trapassato dalla spada di Kou. Il quarto, temo, è colpa mia. Il ragazzo ha avuto uno shock anafilattico, come reazione allergica al penta-rapido. L’abbiamo subito fatto portare all’OMI, ma non hanno potuto prenderlo in tempo. Questa mattina gli faranno l’autopsia, per stabilire se era un’allergia naturale oppure un impianto difensivo contro l’interrogatorio.

— E di questa banda cosa sappiamo?

— Sembra che sia una perfettamente legittima… se vogliamo usare la definizione del caravanserraglio, società di mutuo soccorso. A detta dei superstiti da noi catturati, queste brave persone avevano deciso di mettere le mani addosso a Kou, perché «camminava in un modo buffo». Chi appare debilitato, ha evidentemente il fascino della preda facile. Anche Bothari non camminava in linea retta, del resto, perché la sua amichetta l’aveva fatto bere. Nessuno di quelli presi da noi è un agente di qualcuno; in quanto ai morti, non so. Ho supervisionato personalmente all’interrogatorio e posso dire che le deposizioni ottenute sono valide. Erano tutti molto spaventati al pensiero di essersi tirati addosso la Sicurezza Imperiale.

— Mmh. C’è qualcos’altro? — domandò Vorkosigan.

Illyan alzò una mano per celare uno sbadiglio, e si scusò. — È stata una nottata faticosa. Il capoturno mi ha tirato giù dal letto poco dopo mezzanotte. No, penso che la situazione sia interamente chiarita… salvo forse per il motivo che ha spinto Kou a recarsi in quel posto. Su questo è rimasto nel vago, e quando ha visto che stavo girando intorno all’argomento mi ha chiesto di fargli portare un analgesico. Spero che adesso lei mi dica che sono paranoico e mi assicuri che ho torto. Sospettare di Kou è una cosa che mi farebbe dubitare di vivere ancora in un mondo normale — disse. E sbadigliò di nuovo.

— Che ha torto glielo assicuro io — disse Cordelia, — ma solo per quanto riguarda il dubbio d’essere paranoico. In quanto al resto del rapporto, le sono grata per la sua accuratezza.

Illyan annuì.

— Penso che Kou sia innamorato di una certa persona. È uno stato mentale che i vostri test non hanno rivelato, presumo, essendo tarati per evidenziare solo ciò che interessa la Sicurezza. Ma mi aspetto che l’accaduto lo lascerà piuttosto depresso e sconvolto per un po’ di tempo.

Vorkosigan accennò di sì col capo.

— Lei sa chi è questa persona? — chiese automaticamente Illyan.

— Sì, ma non credo che siano affari suoi. Specialmente se in seguito a questa faccenda la cosa dovesse finire.

Illyan scrollò le spalle e uscì per andare a recuperare il sonno perduto, o forse per continuare le ricerche dell’uomo assegnato alla protezione di Koudelka.


Il sergente Bothari fu di ritorno a Casa Vorkosigan, anche se non per prendere subito servizio, cinque giorni dopo, con il braccio fratturato chiuso in un’armatura di plastica. Non disse verbo sulla cruenta faccenda di cui era stato protagonista, e alle caute frasi con cui fu velatamente interrogato rispose con scrollate di spalle e qualche grugnito incomprensibile.

Droushnakovi non aveva fatto domande né commenti. Ma Cordelia l’aveva sorpresa più volte a guardare in silenzio i terminali della biblioteca e i collegamenti anti-intercettazioni con la Residenza Imperiale e gli uffici del Reggente, dove Koudelka soleva lavorare quando era in casa. Si chiedeva quali particolari di quella notte, e con quali deformazioni, fossero giunti agli orecchi della ragazza.

Fu solo dopo un mese che il tenente Koudelka tornò ai suoi doveri, in apparenza d’umore tranquillo e dimentico dell’accaduto. A suo modo, però, era parco d’informazioni quanto Bothari. Fare una domanda al sergente era parlare al muro. Farla a Koudelka era come lasciarsi portare via da un fiume: fra battute scherzose e aneddoti sulla sua degenza in ospedale, uno finiva per confondersi e si ritrovava a nuotare in un argomento così diverso che tornare a ciò di cui stavano parlando era impossibile. Cordelia reagiva alla sua reticenza con automatica buona grazia, dicendosi che quel desiderio di mettere una pietra sul passato era il modo migliore per uscirne. Ma in cuor suo sapeva che non era così facile.

L’umore di Cordelia non era al meglio. Continuava a ripensare all’attentato di sei settimane prima, e la sua immaginazione lavorava dolorosamente sull’agguato, sul pericolo, e sui fattori casuali che doveva ringraziare se Aral non le era stato portato via. Soltanto quando era insieme al marito si sentiva del tutto a suo agio, ma lui riusciva a dedicarle sempre meno tempo. Al Quartier Generale Imperiale c’era agitazione per qualche motivo; già quattro volte Vorkosigan aveva trascorso l’intera notte là in riunione, ed era partito senza di lei per un viaggio, un’ispezione militare, da cui aveva fatto ritorno con gli occhi cerchiati di stanchezza. Usciva e rientrava alle ore più diverse. Il flusso di informazioni e chiacchiere sugli avvenimenti politici, che un tempo le elargiva a pranzo o mentre si cambiavano per andare a letto, s’era disseccato in un silenzio inspiegabile, anche se mostrava di desiderarla e di volerla sentire al suo fianco non meno di prima.

Se gli fosse successo qualcosa, che ne sarebbe stato di lei? Una vedova, senza famiglia e amici, gravida di un bambino già oggetto di dinastiche bramosie e destinato a ereditare un retaggio di violenza. Le sarebbe convenuto lasciare il pianeta? E dove andare, se anche gliel’avessero permesso? Colonia Beta l’avrebbe mai lasciata tornare a casa sua?

Anche le piogge autunnali e il verde che indugiava opulento nei parchi cittadini avevano smesso di piacerle. Oh, una boccata della secca e rovente aria del deserto! E il familiare odore alcalino, e la piatta immensità di quelle distanze! Avrebbe mai saputo, suo figlio, cos’era veramente un deserto? L’orizzonte, in città, a volte sembrava levare sbarre di edifici e di piante per chiudere la sua libertà in ogni direzione. E nei giorni più uggiosi quelle sbarre si piegavano su di lei.

Un pomeriggio piovoso, rintanata in biblioteca, si accovacciò sul sofà dall’alto schienale per rileggere un vecchio libro preso dagli scaffali del Conte. Il volume era una reliquia dell’arte tipografica risalente all’Era dell’Isolamento. Era in lingua inglese ma stampato in una variante locale dell’alfabeto cirillico, coi quarantasei caratteri un tempo usati in tutte le lingue scritte di Barrayar. Ma quel giorno Cordelia si sentiva più apatica e meno interessata che mai. Spense la luce e si riposò gli occhi per qualche minuto. Fu con sollievo che vide il tenente Koudelka entrare e andare a sedersi, rigido e cauto in ogni mossa, alla console dei terminali, senza accorgersi di lei. Non dovrei disturbarlo. Ha del lavoro da fare, almeno lui, pensò, ma senza riabbassare lo sguardo sul libro aperto, vagamente confortata dalla sua compagnia.

Il giovanotto lavorò soltanto per un paio di minuti, poi spense l’apparecchio con un sospiro e si volse a guardare il caminetto con occhi assenti, sempre ignaro della sua presenza. Così, io non sono la sola che non riesce a concentrarsi. Forse è questa stagione così grigia; sembra che abbia un effetto deprimente…

Koudelka raccolse il suo bastone-spada e passò una mano sul liscio fodero di legno. Tenendolo fermo premette il pulsante d’apertura, poi sfilò la spada in silenzio, lentamente. La sollevò come per controllare la rifinitura della lama, che anche nella penombra della stanza sembrava brillare di luce propria, e la inclinò, forse meditando sull’abilità artigianale a cui doveva quella sua strana filigrana superficiale. Dopo qualche momento la girò verso di sé e la accostò al collo, appoggiandone il filo tagliente alla carne in corrispondenza della carotide destra. L’espressione del suo volto era distante, pensierosa, mentre assaporava il freddo contatto della lama come se fosse il bacio di un amante. All’improvviso le sue mani si strinsero con forza.

Il sussurro con cui il respiro si bloccò, appena l’accenno di un ansito, lo distolse da ciò che stava facendo. Girò la testa e solo allora s’accorse di lei. Strinse le labbra; un velo di rossore gli si diffuse sulle guance, e abbassò subito la spada. Sul collo gli era rimasta una linea bianca, sottile ma profonda, a un’estremità della quale comparve una goccia di sangue che scivolò giù di qualche centimetro.

— Io… non l’avevo vista, milady — disse, con voce rauca. — Non… non faccia caso a… cioè, a volte si fanno cose un po’ sciocche, sa com’è.

Si guardarono in silenzio. D’un tratto le parole eruppero dalle labbra di Cordelia quasi contro la sua volontà: — Odio questo posto! Ormai non c’è un momento della giornata in cui non abbia paura!

Si girò, nascondendo a mezzo il volto sulla spalliera del sofà, e poi, con suo orrore, cominciò a piangere. Smettila! Non davanti a Kou, non devi farti vedere così da lui. Quest’uomo ha fin troppi guai reali perché tu gli scarichi addosso i tuoi, immaginari. Ma non riuscì a fermare le lacrime.

Koudelka si alzò e venne verso il sofà, con aria preoccupata. Esitò qualche istante, quindi sedette accanto a lei.

— Senta… — cominciò. — Non pianga, milady. Non pensavo davvero ciò che stavo facendo, mi creda. — Le poggiò goffamente una mano su una spalla.

— Bugie! — singhiozzò lei. — Mi hai fatto una paura dannata. — D’impulso spostò il viso dal freddo rivestimento di seta del sofà alla stoffa verde, ruvida e calda, dell’uniforme di lui. S’accorse che il suo cedimento emotivo lo aveva scosso.

— Lei non può immaginare cosa significa — sussurrò Koudelka in tono aspro, duro. — Hanno pietà di me, sa? Anche lui. - Ebbe un cenno del capo in nessuna direzione particolare, come se Vorkosigan fosse lì attorno. — È mille volte peggio del disprezzo. E sarà sempre così. Sempre.

Lei scosse la testa, incapace di rispondere a quella verità.

— Anch’io odio questo posto — continuò lui. — Proprio come questo posto odia me. Perfino di più, a volte. Così, vede, lei non è la sola.

— Sono troppi quelli che vorrebbero ucciderlo — gemette lei, pur disprezzando la propria debolezza. — Anche molti che non lo conoscono neppure… uno di loro prima o poi ci riuscirà. Ormai non riesco a pensare ad altro. Sarà una bomba? Un veleno? Un raggio al plasma che brucerà il suo volto senza lasciare neppure due labbra che io possa baciare un’ultima volta?

L’attenzione di Koudelka si spostò dai suoi dolori a quelli di lei e la guardò, un po’ stupito, corrugando le sopracciglia.

— Oh, Kou — mormorò ancora Cordelia, sfiorandogli con un dito le mostrine sul petto dell’uniforme, senza vederle. — Anche se tutto ti fa soffrire, non fargli questo. Lui ti vuole bene… ti ama come un figlio, proprio come il figlio che un uomo come lui può volere. Quella lama… — Accennò col capo verso la spada, — la pianteresti nel suo cuore. Ogni giorno questo pianeta gli getta sulle spalle tutte le sue follie, e gli domanda giustizia per ciascuna di esse. Lui può farlo, se non nel segreto del suo cuore. Sa che deve agire freddamente, altrimenti finirebbe per rispondere alla pazzia con la pazzia, come tutti i suoi predecessori. E qui… — aggiunse, in un impeto di completa incoerenza, — è così umido, qui! Non sarà colpa mia se nostro figlio nascerà con le branchie!

Le braccia di lui la circondarono con dolcezza. — Lei ha… paura di questo? Di partorire qui? — le domandò, con intuizione inaspettata.

Faccia a faccia con le sue paure inespresse, Cordelia restò immobile qualche istante. — Io non ho fiducia nei vostri medici — ammise, con un tremito.

Lui ebbe un sorriso ironico. — Non posso biasimarla.

Cordelia riuscì a ridere brevemente e gli restituì l’abbraccio. Poi alzò una mano e gli asciugò la goccia di sangue dal collo. — Quando vuoi bene a qualcuno è come se la tua pelle coprisse due persone. Ogni dolore arriva in due cuori. E io ti voglio bene, Kou. Vorrei che tu mi permettessi di aiutarti.

— Terapia, Cordelia? — disse la voce di Vorkosigan in quel momento, fredda come una spruzzata di pioggia. Si girò, sorpresa, e lo vide a pochi passi da loro. — Sono certo che hai una grande… esperienza betana in materia, ma ti prego di lasciare queste incombenze a qualcun altro. Koudelka arrossì, lasciandola. — Signore… — cominciò, e tacque, stupito quanto Cordelia dell’ira gelida che c’era nel tono di lui. Vorkosigan lo guardò, ed entrambi chiusero la bocca.

Cordelia prese fiato per rispondere, ma riuscì ad emetterlo solo in un furioso: — Oh! — verso la schiena di lui mentre Vorkosigan si girava e usciva dalla biblioteca a passi rigidi.

Koudelka, ancora rosso in faccia, s’appoggiò la spada per tirarsi in piedi e la rinfoderò. — Milady, le domando perdono. — Le sue parole parvero prive di significato.

— Kou — disse Cordelia. — Tu sai che non intendeva quello che pensi. Ha parlato senza riflettere. Sono certa che non, non…

— Sì, capisco — disse lui senza guardarla. I suoi occhi erano duri e fissi. — È universalmente noto che io non rappresento un pericolo per gli uomini sposati, suppongo. Ma se ora lei vuole scusarmi, milady… ho del lavoro da fare. Arretrato.

— Oh! — Cordelia non sapeva se essere più furibonda con Vorkosigan, con Koudelka o con se stessa. Balzò in piedi e si avviò alla porta, lasciando dietro di sé una frase rabbiosa: — Dannazione a tutti i barrayarani senza cervello, e all’inferno!

Nell’atrio Droushnakovi apparve sulla sua strada, con un esitante: — Milady?

— E tu, razza di… di sciocca! — sbottò Cordelia, la cui rabbia si sfogava ormai in ogni direzione. — Perché non riesci a sistemare da sola i tuoi affari? Voi donne barrayarane aspettate che la vita vi sia portata davanti su un vassoio. Ma non è così semplice!

La ragazza fece un passo indietro, sbalordita. Cordelia ingoiò con uno sforzo la propria indignazione e chiese: — Da che parte è andato Aral?

— Io… di sopra, credo, milady.

Un po’ del suo antico umore battagliero le venne in soccorso. — Facendo le scale due gradini alla volta, per caso?

— Uh… tre, in effetti — rispose debolmente Drou.

— Suppongo che adesso dovrò parlare con lui. Maledizione — disse Cordelia passandosi una mano fra i capelli, e si chiese se sfogarsi sarebbe servito a qualcosa. — Figlio d’un cane! — ringhiò, senza sapere lei stessa fino a che punto il suo subconscio lo intendeva alla lettera. E pensare che non sono abituata a imprecare…

Lo seguì a passi svelti, salendo le scale con un’energia alimentata dall’ira. Quest’affare della gravidanza rallenta dannatamente una donna. Nel corridoio incontrò una guardia di servizio. — Lord Vorkosigan è andato da questa parte? — gli domandò.

— In camera sua, milady — rispose l’uomo, e la seguì con uno sguardo incuriosito. Grande. Bella scena davvero, pensò selvaggiamente lei. Il nostro primo litigio, e lo facciamo in pubblico. Questi vecchi muri non sono a prova di suono. Riuscirò a tenere la voce bassa? Per Aral non c’è problema: quando si arrabbia lui sussurra.

Entrò in camera e lo trovò seduto sul letto che si toglieva la giacca dell’uniforme e gli stivali con gesti secchi, violenti. Lui si girò e i loro sguardi s’incrociarono come lame. Cordelia aprì il fuoco per prima, dicendosi: Sistemiamo questa faccenda.

— Le parole che hai detto di fronte a Kou erano completamente fuori luogo!

— Sicuro! Entro in casa, trovo mia moglie che… che si fa cullare da uno dei miei ufficiali, e cosa pensi che dovrei dire? «Prego, non fate caso se passo di qui. Bella giornata, eh?» — replicò lui.

— Sai perfettamente che non era niente dal genere!

— Benissimo. Ma supponiamo che non fossi io. Supponiamo che fosse entrata una delle mie guardie del corpo, o un uomo di mio padre. Come gliel’avresti spiegato? Tu sai cosa si dice di voi betani. Ne avrebbe tratto le sue conclusioni, e il pettegolezzo avrebbe preso il via. E io me lo sarei sentito rifilare grondante sarcasmo in qualche corridoio del Quartier Generale. Tutti i miei avversari politici stanno aspettando solo una cosa di questo genere. Ci si butterebbero sopra.

— Cosa diavolo c’entra la politica col tono che hai usato? Io stavo parlando a un amico. Dubito che saresti riuscito a offenderci più crudamente se ci avessi studiato sopra. Questa è stata una sciocchezza, Aral. Si può sapere cosa ti succede, comunque?

— Non lo so — borbottò lui. Si passò una mano sul mento. — È questo maledetto lavoro, credo. Non volevo sfogarmi con te.

Cordelia sospettava che quella fosse la cosa più simile a un’ammissione di torto che poteva aspettarsi, e la accettò con un cenno del capo, lasciando evaporare l’ira. Adesso ricordava perché arrabbiarsi ogni tanto non faceva male; l’adrenalina era un buon antidoto contro la paura e le preoccupazioni.

— Sì. Be’… quanto credi d’essere lontano dal dover entrare in camera di Kou sfondando la porta, uno di questi giorni?

Vorkosigan si accigliò, quando capì di cosa stava parlando. — Hai qualche… ragione per credere che mediti sul suicidio? A me sembra abbastanza tranquillo.

— Sembra. A te. — Cordelia lasciò aleggiare quelle parole nell’aria per accentuarne il peso. — Gli manca tanto così per arrivarci. — Alzò il pollice e l’indice, lasciando un millimetro di spazio fra i polpastrelli. Aveva un dito ancora sporco di sangue, e quando se ne accorse fece una smorfia. — Stava facendo un pensiero su quella dannata spada. Vorrei non avergliela mai comprata. Non potrei sopportarlo se la usasse per tagliarsi la gola. E credo che ci fosse molto vicino prima di accorgersi che ero lì, dietro di lui.

— Ah. — Vorkosigan appariva più piccolo senza la vistosa giacca militare, senza la sua rabbia. Allungò una mano verso Cordelia; lei la prese e si lasciò trarre a sedere sul letto, sospirando: — Così, tu, in questa tua grossa testa di cavolo, hai pensato che stavi recitando la parte di Re Artù con Lancillotto e Ginevra. Be’, scordatelo. Questa è un’altra trama.

A quel paragone lui rise. — La parte che posso recitare io non è così… arturiana. Temo che sarei troppo sanguigno e carnale per impersonarla. No, è stato solo un brutto sogno, per un attimo.

— Già. Suppongo di averti… toccato un nervo dolente. — Lei si chiese se il fantasma della sua prima moglie lo visitasse ancora per alitargli all’orecchio gelidi ricordi, come lo spettro di Vorrutyer faceva a volte con lei. — Ma io sono Cordelia, ricordi? Non… qualcun’altra.

Lui appoggiò la fronte alla sua. — Ti chiedo perdono, mia capitana. Sono soltanto un uomo di mezz’età, un uomo poco attraente, e ogni giorno che passa divento più vecchio e più paranoico.

— Anche tu? — Lei gli si strinse al petto. — Censuro severamente l’uso dei termini «vecchio» e «poco attraente», però. Dicendo che sei una grossa testa di cavolo non mi riferivo al tuo aspetto esteriore.

— Non ti ringrazierò per un complimento così contorto… supposto che lo sia.

Cordelia fu felice di vederlo sorridere per un momento. — È il tuo lavoro, vero? — disse. — Hai voglia di parlarne un poco?

Lui strinse le labbra. — Detto fra noi… ma so che tutto ciò di cui ti parlo è sempre «detto fra noi»… sembra che ci ritroveremo infognati in un’altra guerra prima della fine dell’anno. E non siamo ancora in grado di sostenerla, militarmente, dopo Escobar.

— Cosa! Ma ero convinta che il partito guerrafondaio fosse quasi paralizzato!

— Lo è il nostro. E i cetagandani stanno lavorando più che mai per minarci il terreno sotto i piedi. Gli ultimi rapporti dei nostri agenti confermano che progettavano di creare caos dopo la morte di Ezar Vorbarra per impadronirsi dei nostri punti di balzo sui corridoi di transito fra questo ramo della distorsione e la loro zona di spazio. Ma invece del caos hanno avuto me e… e una situazione politica che per quanto delicata è troppo stabile per i loro gusti. Di conseguenza: altre manovre sporche. E granate soniche. Negri e Illyan sono convinti al settanta per cento che l’attentato sia opera di un agente cetagandano.

— Ci proveranno ancora?

— È quasi certo. Ma, con o senza di me, il nostro comando strategico è del parere che faranno un atto di forza entro la fine dell’anno. E se non opporremo tutta la nostra decisione… non solo prenderanno i punti di balzo, ma avanzeranno fin dove riusciranno ad arrivare.

— Non mi meraviglio che tu sia così… assente.

— È questo il genere di marito che sono diventato? Ma oggi non si tratta dei cetagandani; di loro sapevo già da qualche tempo. Questa mattina mi è arrivata un’altra patata bollente fra le mani. Dopo la seduta del Consiglio. Il Conte Vorhalas mi ha chiesto di riceverlo in privato, per domandarmi un favore.

— Avrei creduto che fossi lieto di fare un favore al fratello di Rulf Vorhalas. Mi sto sbagliando?

Lui annuì, a disagio. — Il figlio più giovane del Conte, una testa calda, un diciottenne che avrebbe dovuto esser mandato a scuola di vita in un’accademia militare… tu l’hai conosciuto alla cerimonia del giuramento, se non ricordo male.

— Lord Carl?

— Già. Ieri sera si è ubriacato, a una festicciola fra amici, e si è battuto.

— Una tradizione universale. Succede anche su Colonia Beta.

— Sicuro. Ma lui e l’altro sono usciti per regolare la questione con le armi: due vecchie spade da parata fissate al muro come ornamento, e un paio di coltelli da cucina. Hanno fatto un duello alla spada, né più né meno.

— Oh. E qualcuno è rimasto ferito?

— Sfortunatamente sì. Per caso o per volontà precisa, e che sia inciampato o abbia affondato intenzionalmente l’arma, il figlio del Conte ha infilato la lama nello stomaco dell’avversario e gli ha squarciato l’aorta. Il ragazzo è morto dissanguato quasi subito. Quando gli altri hanno fatto intervenire un’ambulanza era già troppo tardi.

— Santo cielo.

— È stato un duello, Cordelia. Forse era cominciato quasi per scherzo, ma si è concluso nel sangue. E va applicata la pena che la legge prevede per i duelli. — Aral si alzò, andò alla finestra e lasciò vagare lo sguardo sul giardino. Stava ancora piovendo. — Suo padre è venuto a chiedermi di ottenere il perdono imperiale, o almeno di vedere se è possibile cambiare l’imputazione in quella di semplice omicidio. Se l’accusa fosse soltanto di omicidio, il ragazzo potrebbe affermare di aver agito per autodifesa e cavarsela con una pena detentiva.

— Mi sembra una… richiesta comprensibile, da parte sua.

— Già. — Lui riprese a camminare avanti e indietro. — Un favore a un amico. Ma anche… la prima crepa attraverso cui quella diabolica usanza potrebbe tornare nella nostra società. Cosa succederebbe quando fosse portato davanti a me un altro caso, e poi un altro e un altro? Dove traccerei la linea divisoria? E se nel prossimo caso fosse coinvolto un avversario politico, e non un membro del mio partito? È giusto dimenticare le tragedie che si sono sommate fino a far mettere fuori legge questa pratica? Io ricordo quando era possibile duellare, e come andavano le cose. Peggio ancora: sarebbe una via d’accesso per i favoritismi a livello di governo, per la corruzione, il nepotismo. Puoi dire ciò che vuoi di Ezar Vorbarra, ma negli ultimi decenni ha trasformato il governo da un club della classe Vor in un sistema dove la legge, per quanto traballante, può essere uguale per tutti.

— Comincio a vedere il problema.

— E io… di tutti i possibili giudici proprio io devo accollarmi questa decisione. Io, che ventidue anni fa avrei dovuto essere giustiziato pubblicamente per lo stesso crimine! — Vorkosigan si fermò davanti a lei. — La notizia di ciò che è successo ieri sera circolava in città, in varie versioni, già questa mattina. Per il momento sono riuscito a impedire che arrivasse sui notiziari televisivi, ma è come sputare controvento. Non posso ostacolare la stampa, ed è troppo tardi per costruire una versione ufficiale menzognera, se pure fossi così incauto da provarci. Così, chi dovrò tradire oggi? Un amico? O la fiducia di Ezar Vorbarra? Perché non c’è dubbio su quale decisione lui avrebbe preso.

Vorkosigan sedette accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio. — E questo è solo l’inizio. Ogni mese, ogni settimana, ci sarà qualcosa di impossibile da risolvere. Che ne resterà di me dopo quindici anni di questa vita? Un vecchio come quello che tre mesi fa col suo ultimo respiro pregava che non ci fosse un Dio a cui dover rispondere? O un mostro corrotto dal potere, come suo figlio, così infetto che solo un raggio al plasma poteva sterilizzarlo? O qualcosa di ancora peggiore?

L’agonia che Cordelia gli lesse sul volto la spaventò. Si strinse a lui con più forza. — Non lo so. Non lo so. Ma già altri… altri hanno usato la loro capacità decisionale, in passato, agendo come potevano e prendendo il mondo così com’è. Ed erano esseri umani anche loro, né migliori né peggiori di te.

— Non è un pensiero molto tranquillizzante.

Cordelia sospirò. — Non puoi scegliere fra un male e l’altro, a rigor di logica. Puoi solo aggrapparti a dei principi etici generici. Non ti aiuteranno a decidere caso per caso; ma, qualunque ne sia il valore, saranno quelli che porterai avanti da qui in poi. E per amore della tua gente dovranno essere quanto più solidi possibile.

Lui annuì lentamente. — Lo so. La mia non era una domanda, su quale decisione prendere. Stavo solo… recalcitrando un po’. Con te posso permettermi questa debolezza. — Si alzò in piedi. — Mia capitana, se fra quindici anni sarò ancora sano di mente potrò ringraziare solo te.

Cordelia domandò: — Allora quale sarà la decisione?

Vide la risposta nel dolore che gli offuscò lo sguardo. — Oh, no — mormorò involontariamente, e si morse le labbra per non dir altro. E io che cercavo di illuminarlo con la mia saggezza. Non è questo che intendevo.

— Davvero non l’hai capito? — disse dolcemente lui, rassegnato. — La strada aperta da Ezar è la sola che può funzionare, qui. È un fatto. Lui ci sta ancora governando, dalla tomba. — Si levò la camicia e andò nel bagno per darsi una rinfrescata e cambiarsi.

— Ma tu non sei lui — mormorò Cordelia alla porta chiusa. — Non puoi cercare una strada diversa, la tua strada?

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