CAPITOLO SEDICESIMO

Ortaggi di contrabbando. Seduta nel retro del grosso furgone a cuscino d’aria, Cordelia poteva distrarsi osservando le cassette di pomodori e le confezioni di verdura mista negli scatoloni che oscillavano a ogni svolta. Vegetali del sud, che affluivano a Vorbarr Sultana sfuggendo ai posti di blocco su strade secondarie, come loro. Dall’odore avrebbe giurato che dietro le casse c’erano alcuni dei sacchi di cavoli con cui aveva viaggiato giorni addietro, anch’essi fatti migrare secondo le contorte pressioni economiche della guerra.

I distretti controllati da Vordarian erano sottoposti a un ferreo blocco economico da quelli fedeli all’Imperatore. Benché lo spettro della fame fosse ancora lontano, i prezzi dei generi alimentari alla capitale erano balzati alle stelle, in vista dell’inverno e grazie alle immancabili manovre di accaparramento. Così i contadini giocavano le loro carte come potevano, e la gente disposta a correre rischi non era contraria a imbarcare sconosciuti disposti a pagare lautamente il passaggio.

A proporre quel metodo era stato Koudelka, che dopo aver fatto sbollire la sua disapprovazione era stato attratto nella loro avventurosa strategia a dispetto di se stesso. Era stato Koudelka a individuare uno dei grossisti che alimentavano il mercato nero, nel distretto di Vorinnis, ed a contattare uno degli autisti nel bar di fronte al piazzale di carico. Il pagamento lo aveva però stabilito Bothari; una cifra ridicola agli occhi di Cordelia ma corrispondente alle tariffe che quei corrieri giudicavano accettabili per un rischio in più.

— Mio padre possedeva una bottega — li aveva rigidamente informati Koudelka, proponendo quel piano. — So quel che sto facendo.

Cordelia s’era chiesta, perplessa, cosa significasse lo sguardo che lui aveva dato a Droushnakovi. Poi s’era ricordata che il padre di Drou era un soldato. Kou le aveva spesso parlato della madre e delle sorelle, ma solo in quel momento lei s’era resa conto che aveva sempre lasciato il padre fuori dalle sue reminiscenze, come per una sorta di imbarazzo sociale. Forse non c’era stato molto affetto fra loro. Koudelka aveva messo il veto all’idea di usare veicoli carichi di carne: — È più probabile che le pattuglie di Vordarian vogliano fermarli. Non intendono affatto impedire il mercato nero; è così che quegli uomini si portano a casa qualche chilo di bistecche, e gli autisti lo sanno. — Cordelia non sapeva se parlasse per esperienza militare, civile, o entrambe; in ogni caso era lieta di non viaggiare fra quarti di manzo congelato.

S’erano vestiti con gli abiti presi dalle borse da viaggio, in conformità alla parte che avevano deciso di recitare. Bothari e Koudelka si presentavano come due ex combattenti messi in congedo per invalidità, e facevano il possibile per apparire amareggiati e scorbutici come quella triste schiera. Cordelia e Drou erano due donne di campagna unitesi a loro in cerca di migliori occasioni. Il loro abbigliamento era una realistica combinazione di vestiti poveri e capi più fini apparentemente acquistati di seconda mano. Le borse erano state calpestate e sporcate al punto che sembravano scelte in una discarica di rifiuti.

Cordelia chiuse gli occhi, esausta, anche se sapeva che non sarebbe riuscita a dormire. L’orologio ticchettava nella sua testa. Erano trascorsi due giorni dalla partenza da Base Tanery. Così vicini al loro obiettivo, e ancora così lontani dal successo… ad un tratto sussultò. Il veicolo aveva rallentato all’improvviso, abbassandosi al suolo con uno scossone. L’eco del motore la informò che non erano più in aperta campagna.

Bothari guardò dal finestrino che comunicava con la cabina di guida e annuì verso l’autista. — L’amico dice che siamo al capolinea — borbottò, andando ad aprire lo sportello. I quattro scesero e si spostarono sul marciapiede. Non era ancora l’alba, faceva freddo, e dalle loro bocche uscivano nuvolette di vapore bianco. Nella zona erano accesi appena pochi lampioni, più di quel che Cordelia si sarebbe aspettato in tempo di guerra. Bothari andò a parlare con l’autista e il veicolo si sollevò dal suolo, investendoli con una raffica di vento.

— Non poteva portarci fino al Mercato Centrale — grugnì Bothari. — Dice che le derrate arrivano a quest’ora, e che ci sono più guardie municipali adesso che nel resto della giornata.

— Si aspettano dei disordini per la mancanza di cibo? — domandò Cordelia.

— Senza dubbio. E sono ansiosi di arraffare tutto quello che possono — disse Koudelka. — Vordarian dovrà mandare altre truppe nei punti chiave della città, prima che i generi alimentari razionati finiscano anch’essi al mercato nero. — Quando dimenticava d’essere un ufficiale, il giovanotto rivelava una discreta conoscenza dei trucchi usati dai commercianti. Com’era riuscito un bottegaio di periferia a mandare suo figlio prima alle scuole superiori e poi all’Accademia Militare Imperiale? Cordelia sogghignò fra sé, poi guardò su e giù per la strada. Era un vecchio quartiere, con edifici a cinque o sei piani risalenti a prima dell’epoca dei pozzi antigravità, scoloriti dalla pioggia, con i tubi dell’acqua, del gas, e i cavi elettrici tutti all’esterno, come se li avessero aggiunti solo in un secondo tempo.

Bothari, che sembrava sapere dove stava andando, li guidò verso il centro. L’aspetto dei caseggiati non migliorò per questo, anzi le strade si fecero più strette e sporche; nei vicoli fra gli edifici stagnava un misto di odori fra cui quello della semplice spazzatura era forse il più accettabile. Il funzionamento dell’illuminazione stradale era lasciato al buon cuore dei teppisti. Drou s’era aperta la blusa per poter arrivare in fretta alla fondina. Koudelka tirava avanti zoppicando stancamente, appoggiato al suo bastone.

Davanti a una porta su cui un’insegna dipinta a mano illuminata da una lampadina a bulbo diceva soltanto CAMERE LIBERE, Bothari si fermò. — Qui dovrebbe andar bene. — La porta, un vecchio battente non automatico fissato a cardini girevoli, era chiusa. Visto che il campanello sembrava introvabile, Bothari bussò col pugno. Dopo un tempo interminabile uno sportello largo meno di un palmo si aprì, e un occhio sospettoso sbirciò all’esterno.

— Chi è? Che vuoi? — brontolò una voce maschile.

— Una stanza per dormire.

— A quest’ora dannata? Torna più tardi, eh?

Bothari portò Drou più in vista. La luce che usciva dallo spioncino illuminò il volto della ragazza bionda.

— Uh… be’. Momento — grugnì la voce. Ci fu rumore di ferraglia, il fruscio di un ultimo catenaccio, e la porta si aprì.

I quattro entrarono in una stretta anticamera da cui partiva una scala. Sulla destra c’era una scrivania con un telefono senza video e uno scalcinato televisore a schermo bidimensionale, e più oltre l’ingresso di un corridoio semibuio. In pigiama e con la barba lunga il gestore, un uomo grassoccio di mezz’età, si mostrò ancora meno entusiasta quando seppe che pur essendo in quattro volevano una stanza sola. Non fece domande. Evidentemente la stanchezza e la disperazione aggiungevano un tocco magico al loro aspetto esteriore di miseri sfollati. Con la sua faccia, e inoltre due malmesse e un individuo zoppicante al seguito, Bothari aveva un biglietto d’ingresso pagato per qualunque ambiente al di sotto di quelli rispettabili.

Il gestore assegnò loro una stanza al terzo piano dell’edificio, non molto ampia, e Koudelka e Droushnakovi fecero il primo turno di sonno sui due letti che la occupavano. Poco più tardi, mentre la prima luce del giorno si spandeva sulla periferia della metropoli, Cordelia e Bothari scesero a cercare qualcosa da mangiare.

— Avrei dovuto portare delle razioni militari, sapendo che la città era in questa situazione — mormorò Cordelia.

— Non c’è problema, milady — disse Bothari. — Ah… meglio che non parli molto. Il suo accento.

— Giusto. In tal caso cerca di fare due chiacchiere con quest’uomo, se è possibile. Vorrei sapere come la pensa la gente di qui.

Trovarono il gestore, sempreché fosse tale, in una stanza in fondo al corridoio del pianterreno; a giudicare dal bancone e dai tre tavoli forniti di sedie quello era il bar-sala da pranzo della locanda. L’uomo vendette loro quattro vassoi autoriscaldanti di cibo e un paio di bottiglie d’acqua minerale, a un prezzo molto inflazionato, lamentandosi del razionamento e buttando lì senza troppo interesse qualche domanda su di loro.

— Avevo in programma questo viaggio da mesi — borbottò Bothari, appoggiando i gomiti al bancone. — Ci mancava solo questo schifo di guerra per rovinarmi gli affari.

Il gestore emise un grugnito incoraggiante, aspettò il seguito, poi si decise a chiedere: — Sei in affari, tu? Che merce tratti?

Bothari si grattò un dente con un’unghia sporca, inarcò un sopracciglio e accennò col capo verso le scale. — L’hai vista la bionda che sta con me?

— Sì. Bel pezzo di femmina.

— Vergine.

— Noo! Mi prendi in giro?

— Io vendo solo roba genuina, amico. Quella lì ha classe. Volevo vendere la primizia a un qualche Vor, alla Festa d’Inverno. C’è da tirarsi in tasca un po’ di moneta con quelli. Ma ora sento dire che se ne stanno rintanati. Potrei tentare con un riccone della Riva Destra, certo, però lei mi storce il naso. Si è ficcata in capo che il primo dev’essere un Lord.

Cordelia finse di grattarsi il naso per mascherare il sogghigno e cercò di non emettere alcun suono. Era un bene che Drou non avesse chiesto i particolari della sua copertura, secondo l’idea che ne aveva Bothari. Santo cielo! Possibile che i barrayarani fossero disposti a pagare per sottoporre una femmina a un’iniziazione così sanguinosa?

Il gestore le gettò uno sguardo. — Dai retta a me, lasciaci la donna su col tuo compare quando esci, altrimenti il tuo Lord rischia di avere una brutta sorpresa. E tu pure.

— No. — Bothari scosse il capo. — L’amico, su, è più castrato di un pollo da allevamento. Un colpo di distruttore neuronico proprio sul suo amico più caro. È in congedo, adesso. Come me.

— Anche tu sei stato ferito?

— Me mi hanno congedato perché facevo funzionare troppo bene il magazzino. — Bothari mosse in circolo la mano aperta, a palmo in giù. — Capito cosa intendo? Operazioni commerciali.

Cordelia aveva sentito alcuni sottufficiali parlare con disprezzo di colleghi cacciati dal Servizio per aver intrallazzato con le forniture militari, ma chiaramente in altri ambienti quello era un titolo di merito.

Il gestore ridacchiò. — E ti sei messo a lavorare con uno spastico? — chiese, indicando con un cenno del capo i piani superiori.

— Lui ha delle conoscenze in città, ecco perché me lo sono portato dietro. Figli di Lord e altri. Ha fatto l’Accademia.

— Be’, gli serviranno a poco, adesso. Quei ricchi bastardi sono sotto le armi o imboscati. Non è il momento.

— Già. Da quella bionda ne ricaverei di più se la vendessi a peso di carne macellata.

— Puoi scommetterci. Ma non farla a pezzi di sopra — sogghignò l’uomo, gettando un’occhiata d’apprezzamento a Cordelia.

— È troppo bella per sprecarla. Credo che dovrò trovare qualche altra idea, finché questo bordello non sarà finito. Ma ho bisogno di soldi. Magari mi offrirò di fare dei lavoretti per qualcuno…

— Sì? — Il gestore lo guardò meglio. — Io avrei un certo incarico da affidare a un… mmh tipo deciso. È una settimana che ci penso. Tu potresti essere l’uomo che fa per me.

— Io, eh? Forse mi interessa.

Il gestore andò ad appoggiarsi al bancone di fronte a lui, e assunse un tono confidenziale. — So che c’è un ufficiale del Conte Vordarian, un pezzo grosso della Sicurezza Imperiale, che paga molto bene per un certo genere di informazioni. Su gente che loro stanno cercando, capisci? Ora, di solito chi ha la testa a posto sta alla larga dalla Sicurezza… e lo sto dicendo a uno che questo lo sa meglio di me. Però adesso è diverso. — Abbassò la voce. — C’è uno strano tipo che ha preso in affitto una casa, non lontano da qui. Sta sempre rinchiuso, salvo quando esce per comprare da mangiare… e compra molta più roba di quanta può mangiarne lui solo. Ci sono degli altri con lui, che si tengono nascosti. E non sono gente come noi. Io mi stavo chiedendo chi siano… varrebbe la pena di sapere se valgono qualcosa per la persona che ti ho detto, no?

Bothari si accigliò, prudentemente. — Sono faccende pericolose. Magari l’ammiraglio Vorkosigan sbatte fuori quell’altro furbone dalla città, e dall’oggi al domani chi ha fatto una spiata si ritrova sulla lista del plotone d’esecuzione. E tu hai un indirizzo, amico.

— Ma tu no. Giusto? Chi ti conosce? Se ti occupi della cosa per me, ti dò il venti per cento. Sento che potremmo chiedere una grossa somma con quell’individuo. È uno che ha paura; segno buono.

Bothari scosse il capo. — Io ho girato molto, amico. E qui, quando mi guardo attorno, ci trovo un odore che conosco… non senti che aria tira in questa città? Sconfitta, uomo. La gente di Vordarian sta per fare una brutta fine. E chi scherza col fuoco può trovarsi con le unghie bruciate fino al gomito.

Il gestore strinse le labbra, seccato. — Una buona occasione è una buona occasione, da qualunque parte venga.

Cordelia prese Bothari per un gomito, lo trasse in disparte e gli sussurrò all’orecchio: — Fallo parlare. Cerca di scoprire chi è quell’uomo. Potrebbe esserci utile. — Dopo un momento aggiunse, alzando la voce appena di un poco. — Chiedigli la metà.

Bothari annuì e tornò ad appoggiarsi al bancone. — Cinquanta e cinquanta — disse. — È una faccenda rischiosa.

Il gestore guardò Cordelia, accigliato; ma ciò che si aspettava erano esattamente quelle parole. — Il cinquanta per cento di qualcosa è meglio del cento per cento di niente, eh? Be’, penso che potremo metterci d’accordo.

— Possiamo dare un’occhiata a questo tipo? — domandò Bothari.

— Forse. — Il gestore guardò l’orologio. — Fra una mezz’oretta, quando uscirà di casa.

— Donna. — Bothari prese Cordelia per una spalla e le mise fra le braccia il cibo che avevano comprato. — Porta la roba in camera.

Lei si schiarì la gola e cercò di imitare l’accento delle montagne: — Stai attento con questa gente. Mio nonno diceva sempre: quando vai in città, lega bene il cavallo fuori dal cesso. Ricordatelo.

— Io sono un veterano, donna! — esclamò Bothari, e gratificò il gestore di un sogghigno pericoloso. — Nessuno oserebbe fare strani scherzi a un veterano. Giusto?

L’altro si affrettò ad annuire, sorridendo nervosamente.


Cordelia dormicchiò distesa sul pavimento, con la testa poggiata su una delle borse, e a svegliarla fu Bothari che rientrava nella stanza. L’uomo controllò il corridoio prima di chiudere la porta. Aveva l’aria cupa.

— Be’, sergente? Cos’hai scoperto? — E se quel fuggiasco era una persona importante per i militari come, ad esempio l’ammiraglio Kanzian? Il pensiero la spaventò. Avrebbe avuto il coraggio, la lealtà, di modificare la sua missione se fosse entrato in gioco qualcosa di più determinante per le sorti di tutti? Cordelia vide che Koudelka si stava alzando a sedere sul letto. Anche Drou s’era svegliata, e ascoltava.

— È Lord Vorpatril — disse Bothari. — Con lui c’è anche Lady Vorpatril.

— Oh, no. — Cordelia si alzò in piedi. — Ne sei certo?

— Sì, milady.

Koudelka sbatté le palpebre, insonnolito, e si passò una mano fra i capelli. — Hai preso contatto con loro?

— Non ancora.

— Perché?

— È Lady Vorkosigan che deve decidere. Significa cambiare i nostri piani.

Decidere. Cordelia trasse un lungo respiro. — Stanno bene?

— Sono vivi. Si nascondono. Ma… quest’uomo, l’affittacamere, non può esser stato il solo ad accorgersi di loro. Lui posso tenerlo a bada, però chiunque altro potrebbe mettersi di mezzo. Sono momenti duri, e la gente ha bisogno di soldi.

— Sai qualcosa del bambino di Lady Vorpatril?

Lui scrollò le spalle. — So solo che non ha ancora partorito.

— È in ritardo! Ha finito il tempo due settimane fa. Dannazione. — Fece una pausa. — Pensi che potremmo farcela a fuggire insieme dalla città?

— Più siamo, più daremo nell’occhio — disse lentamente Bothari. — Ho visto di sfuggita Lady Vorpatril. È molto grossa. Una donna incinta attrae l’attenzione più di altre.

— Non vedo come unirsi a noi migliorerebbe la loro posizione. La loro copertura ha funzionato per quasi tre settimane. Se alla Residenza Imperiale andasse tutto bene e riuscissimo a lasciare la città, una volta a Base Tanery potremmo pensare a loro. Illyan manderebbe sicuramente i suoi agenti ad aiutarli… — Maledizione. Se la loro fosse stata un’incursione vera e propria, autorizzata, avrebbero avuto a disposizione subito i contatti che servivano ai Vorpatril. Ma un’incursione vera e propria non li avrebbe portati lì in quel quartiere, all’incontro casuale con quella scoperta. Cordelia rifletté qualche minuto. — No. Nessun contatto, per ora. Ma bisogna mettere la museruola al nostro amico, qui sotto.

— Già fatto — disse Bothari. — Gli ho detto che conosco un modo di farci pagare una grossa cifra senza rischiare la testa, e sembra d’accordo. Forse potremo comprarlo noi stessi. Può aiutarci.

— Ti fidi di lui? — domandò Droushnakovi, dubbiosa.

Bothari sogghignò. — Come chiunque si fida di uno che non conosce, da queste parti. Lo terrò d’occhio, non preoccuparti. C’è un’altra cosa… mentre rientravo, giù, trasmettevano un notiziario. Ieri sera Vordarian si è autoproclamato Imperatore.

Kou imprecò. — Così, ha deciso di rivelare la sua vera faccia.

— Ma questo che significa? — domandò Cordelia. — Si sente davvero tanto forte, o è una mossa dettata dalla disperazione?

— È l’ultimo tentativo di portare dalla sua parte le forze spaziali, suppongo — disse Kou.

— Credi che possa attrarre più uomini di quanti potrebbero esserne indignati e offesi?

Kou scosse il capo. — Quello che ci fa paura, qui su Barrayar, è il caos. L’abbiamo assaggiato. Costa molto dolore. Il potere Imperiale rappresenta l’ordine, la quiete, da quando Dorca Vorbarra mise fine alle continue guerre dei Conti e unificò il pianeta. «Imperatore» è una parola magica.

— Non per me — sospirò Cordelia. — Adesso riposiamoci un po’. Forse per domani a quest’ora sarà tutto finito. — Pensiero rassicurante oppure spaventoso, a seconda del piatto della bilancia su cui il destino li avrebbe deposti. Per l’ennesima volta Cordelia contò le ore che mancavano a ogni passo dell’azione. Una giornata andava dedicata alla ricerca del modo migliore di penetrare nella Residenza Imperiale; altre due sarebbero occorse per tornare alla Base Tanery su un percorso sicuro… restava un minimo margine di tempo per gli imprevisti. Aveva l’impressione d’essere su un aereo in picchiata, sempre più veloce. E sempre più a corto di alternative.


L’ultima possibilità di rinunciare, di tornare indietro. Era il tramonto, e sui grigi quartieri della periferia stava scendendo la nebbia. Aveva piovuto fino a poco prima. Attraverso i vetri sporchi della finestra Cordelia guardò la strada, dove i lampioni spandevano una debole luce sulle pozzanghere. Pochi passanti si affrettavano sui marciapiedi, i volti nascosti sotto gli ombrelli o i larghi berretti degli impermeabili. Era come se la guerra e l’inverno avessero risucchiato la vita della città, riducendo il traffico a un rivolo e lasciandola immersa in un silenzio profondo. Non farti influenzare dall’atmosfera, si disse Cordelia. Raddrizzò la schiena e si girò a guardare gli altri tre, poi uscì e li precedette giù per le scale.

Nel breve corridoio del pianterreno non c’era nessuno. Cordelia stava pensando di andarsene senza formalità — avevano pagato in anticipo — quando il gestore entrò dalla porta di strada, grondando acqua dall’impermeabile e imprecando fra sé. Nel vedere Bothari si scurì in faccia.

— Ah, eccoti qua! Bel lavoro mi hai combinato, signor ci-penso-io. Per colpa tua ho perso un’occasione buona, e adesso qualcun altro ci si sta riempiendo le tasche. Quella taglia avrebbe potuto essere mia, capisci? Dovevo essere io a…

Le recriminazioni dell’individuo si spensero in un grugnito di dolore quando Bothari lo schiacciò contro il muro, con un tonfo violento. Sbarrò gli occhi e cercò di contorcersi, ma una mano lo attanagliò alla gola come una morsa. La faccia di Bothari era una maschera di ferocia belluina. — Cos’è successo? Parla!

— Una squadra di Vordarian li sta arrestando. Se li è tirati dietro lui stesso fino a casa. — La voce del gestore vibrava fra la rabbia e lo spavento. — Li porteranno via tutti e due, e io non ho intascato un soldo!

— Li porteranno via? — chiese Cordelia. — Che vuoi dire?

— Li stanno portando via adesso, maledizione! Lasciami!

Forse c’era ancora una possibilità, si disse Cordelia. Decisioni tattiche o improvvisazioni emotive, poco importava ormai. Aprì una borsa e tirò fuori uno storditore. Bothari si scostò, e lei sparò al gestore lì dove si trovava. L’uomo si afflosciò al suolo privo di sensi. — Dobbiamo cercare di fermare quegli uomini. Drou, prendi le armi. Sergente, ci porti là. Muoviamoci!

Fu così che si trovò a correre nella foschia in una strada male illuminata verso una scena da cui ogni barrayarano sano di mente si sarebbe tenuto alla larga: l’arresto di ricercati eseguito dalla Sicurezza Imperiale. Drou la precedeva, al passo con Bothari. Appesantito dalle borse, Koudelka stava restando indietro. Cordelia desiderò che la nebbia fosse più fitta.

Il rifugio dei Vorpatril era in una traversa a due isolati da lì; un edificio stinto a sei piani, non diverso da quello in cui loro avevano trascorso la giornata. Bothari allargò un braccio per fermarli e i quattro sbirciarono cautamente oltre l’angolo; poi si ritrassero. Due vetture da superficie della Sicurezza erano parcheggiate davanti a un andito poco illuminato, largo cinque o sei metri. A parte loro — e chi stava sbirciando di nascosto da qualche finestra — la strada era del tutto deserta. Cordelia non ne fu stupita; si girò e alzò una mano per azzittire Koudelka, che arrivava ansando.

— Droushnakovi — disse Bothari, — tu gira intorno a quell’edificio e appostati sull’altro lato delle auto. Bada che hanno sicuramente messo qualcuno a guardia dell’uscita posteriore.

Sì, la guerriglia urbana era pane per i denti di Bothari. Drou annuì, s’infilò in tasca un’altra carica per il distruttore neuronico e attraversò la strada con andatura lenta, casuale, senza guardare verso le due vetture. Appena uscita dal campo visivo degli autisti corse avanti in silenzio e sparì dietro l’edificio.

— Siamo troppo lontani — mugolò Bothari, rischiando un’altra occhiata oltre l’angolo. — Non si vede niente. Bisogna avvicinarci. — Si girò verso Cordelia. — E questo significa entrare là. Non c’è altra scelta.

— Un uomo che accompagna la sua amichetta — disse lei. — Possiamo passare accanto alle auto, fingerci innervositi nel vedere la scena e passare sull’altro lato della strada… può funzionare?

— Non per molto — disse Bothari. — Le nostre armi sono già nel raggio dei loro scanner. Per ora non le distinguono da quelle dei loro colleghi entrati là dentro, ma a dieci metri di distanza sapranno che un segnale arriva anche da noi. Però… io e lei abbiamo più possibilità di due uomini. Al momento buono dovremo agire molto in fretta. Tenente, ci copra da qui con la pistola a plasma. Dovrebbe bastare; quelle non mi sembrano auto corazzate.

Bothari nascose il distruttore neuronico nella blusa, sotto un’ascella. Cordelia s’infilò lo storditore nella cintura della gonna, poi prese il sergente a braccetto e s’incamminò con lui. Svoltarono l’angolo con andatura tranquilla.

Quella era un’idiozia monumentale, decise Cordelia, con la testa poggiata su una spalla di Bothari e sforzandosi di restare al passo con lui. Per un’azione di quel genere avrebbero dovuto studiare il luogo con qualche ora di anticipo. Anzi, avrebbero dovuto contattare Padma e Alys fin dal mattino. Però… da quanto tempo Padma era pedinato? Possibile che la rete si stesse chiudendo intorno a lui già da qualche giorno? Se avessero avvicinato i due fuggiaschi, forse sarebbero caduti anche loro nella stessa trappola. Basta coi se e coi forse. È il momento di agire.

— Forse non ci hanno ancora notati. Qui c’è una porta — mormorò Bothari, rallentando il passo davanti a un androne. Un momento dopo la spinse nell’ombra e si schiacciò contro il muro accanto a lei. Erano abbastanza vicini per assistere da un posto di prima fila alla scena dell’arresto e sentire le voci. Uno sportello si aprì, e uno degli autisti uscì sul marciapiede; l’uomo parlò in una radio da polso con qualcun altro, e dall’interno dell’edificio provenne un rumore di passi. Ci fu un gemito, e ad esso seguì un tonfo.

Erano arrivati proprio sul più bello. Senza uscire dall’ombra Cordelia si sporse, e vide che una delle guardie di Vordarian aveva spinto un uomo contro una delle vetture, tenendolo per il collo. Benché il prigioniero indossasse solo un paio di mutande lunghe e una camicia slacciata, lei riconobbe subito Padma Vorpatril. Aveva una guancia sporca di sangue e un labbro gonfio, ma non opponeva resistenza; sulla sua faccia c’era il vago sorriso idiota di chi è ancora sotto l’azione del penta-rapido. Tentò di voltarsi, ma la guardia lo colpì con un pugno e lui mugolò, debolmente.

A far voltare Padma era stato il gemito di una donna, quella che altri due uomini con la divisa nera della Sicurezza stavano portando in strada. I due autisti e la guardia si girarono verso i colleghi. Cordelia a Bothari sbirciarono con cautela, cercando di muoversi il meno possibile.

Alys Vorpatril indossava solo una camicia da notte; aveva i piedi nudi infilati in due ciabatte; ciocche di capelli neri le ricadevano sul volto mortalmente pallido, e nei suoi occhi sbarrati c’era una disperazione che rasentava la follia. In quell’abbigliamento la sua gravidanza era più che mai evidente. Il caporale che l’aveva spinta fuori la teneva per le braccia, e quando fu sul marciapiede le restò alle spalle, aderendo a lei lascivamente con la parte anteriore del corpo. La donna parve non accorgersene.

L’uomo uscito con lui, un colonnello, aveva in mano uno schermo tascabile su cui si scorgevano due fotografie. Le guardò ancora, gettò un’occhiata all’addome di Lady Vorpatril, poi lo spense. — Bene. Abbiamo il Lord e abbiamo il suo erede — disse nella radio da polso. — Erano soli, nell’appartamento. Qui abbiamo finito.

L’altro ufficiale, un tenente, lasciò il collo di Padma Vorpatril. — E adesso cosa diavolo facciamo, colonnello? Vuole portarli fuori città? Non potevamo finire il lavoro qui, di sopra? — chiese, con aria scontenta. La sua espressione cambiò quando fu davanti a Lady Vorpatril: con un sorrisetto le sollevò la camicia da notte fin sotto le ascelle ed esaminò il suo addome nudo. La giovane donna era ingrossata molto dall’ultima volta che Cordelia l’aveva vista, un mese prima. I suoi seni erano turgidi e opulenti, gonfi di latte, e la pelle intorno all’ombelico sembrava tesa come quella di un tamburo. Il tenente le tastò l’addome bianco con la punta di un dito, incuriosito. Lei tacque, col volto rigato di lacrime, tremando di paura e di rabbia per la libertà che l’uomo si prendeva con lei. — I nostri ordini sono di uccidere il Lord e l’erede. Di lei non si parla. Allora che si fa, ci sediamo in terra e aspettiamo che lo partorisca? O vuole aprirla con un coltello e tirarlo fuori?

Il colonnello non gli rispose. Si grattò il mento. L’altro ufficiale lasciò andare la camicia da notte della donna e suggerì: — Forse è meglio portarla al Quartier Generale e lasciare che se la sbrighino loro.

La guardia che teneva Lady Vorpatril sogghignò, continuando a premere il ventre contro le natiche di lei. — Mica dobbiamo portarcela subito, no? Voglio dire, non c’è fretta. E questa è carne Vor. Una possibilità che non capita tutti i giorni.

Il colonnello ebbe una smorfia fra disgustata e sarcastica. — Tu sei un pervertito, caporale.

Cordelia si rese conto, sbalordita, che per Bothari la scena non aveva più soltanto un aspetto tattico. Nei suoi occhi c’era una luce strana, fra inorridita e morbosamente affascinata, e gli si era accelerato il respiro. Dai veicoli erano usciti anche il secondo autista e altre due guardie, che assistevano in silenzio.

Ad un tratto il colonnello si slacciò la fondina e impugnò il distruttore neuronico. — No — disse, raggiungendo all’improvviso una decisione che lasciò esterrefatta Cordelia. — No, la finiremo qui, in fretta e pietosamente. Fatti da parte, caporale.

Strana pietà…

La guardia colpì con un calcio i ginocchi di Alys, da dietro, per farle piegare le gambe, e la gettò brutalmente al suolo. Lei protese le braccia, ma non poté salvare il suo addome da un duro colpo sul marciapiede bagnato. Padma Vorpatril, intontito dal penta-rapido, mandò un gemito e si mosse verso di lei. Il colonnello lo ricacciò indietro con una gomitata, puntò il distruttore neuronico sulla donna ed esitò, come incerto se mirare alla testa o all’addome.

— Spara per uccidere! - sibilò Cordelia a Bothari. Balzò fuori dal loro nascondiglio, puntando lo storditore a due mani, e premette il grilletto.

Bothari l’aveva oltrepassata con un balzo da tigre, e il raggio azzurro del suo distruttore neuronico colpì il colonnello ancor prima del raggio sparato da lei. Poi fu una macchia scura che si muoveva nel buio, correndo verso il riparo della più vicina delle due auto. Sparò ancora più volte, crepitanti scintille bluastre che elettrificarono l’aria, e due guardie caddero. Le altre si gettarono dietro i veicoli e risposero al fuoco.

Distesa sul marciapiede Alys Vorpatril sollevò le ginocchia, per proteggersi l’addome con le braccia e con le gambe. Suo marito Padma vacillò storditamente verso di lei e si lasciò cadere carponi, come per abbracciarla o coprirla col suo stesso corpo. In quel momento il tenente, rotolando via da dietro una ruota della vettura in cerca di un riparo migliore, si fermò e alzò il distruttore neuronico, mirando alla testa del Lord.

Quel momento di pausa gli fu fatale, ma purtroppo non gli impedì di sparare. Il distruttore neuronico di Droushnakovi lo investì in pieno con una scarica nello stesso istante in cui anche Cordelia lo colpiva con lo storditore. Dalla pistola dell’uomo era però già scaturito un abbagliante lampo d’energia, dritto verso la nuca di Padma Vorpatril. I capelli dello sventurato arsero in una sola vampa; il suo corpo s’inarcò con una violenta convulsione, e quando cadde di lato ebbe alcuni lunghi fremiti come se soffrisse ancora, ma era già morto. Alys Vorpatril mandò un grido, un verso breve e rauco che le si spezzò in gola. Si alzò sulle mani e sulle ginocchia, e per qualche momento parve congelata fra l’impulso di trascinarsi verso il corpo del marito o fuggire via.

Droushnakovi aveva scelto bene la sua posizione. L’ultima guardia e uno degli autisti riuscirono a ripararsi dai colpi di Bothari, ma non dai suoi. L’altro autista s’era invece gettato dentro una delle vetture; riuscì a metterla in moto e partì a velocità folle. Non andò lontano: in fondo alla strada la pistola a plasma di Koudelka centrò il parabrezza prima che il superstite completasse la curva. Il veicolo sbandò all’esterno, passò dritto fra due furgoncini posteggiati al marciapiede, evitandoli con precisione miracolosa, e si schiantò contro la facciata di un edificio. Dall’abitacolo si levarono lingue di fiamma.

Ecco qui. La nostra intera strategia era basata sulla possibilità di agire in silenzio e senza farci vedere, no? Pensò Cordelia, correndo avanti. Lei e Droushnakovi arrivarono insieme accanto ad Alys Vorpatril; la afferrarono sotto le ascelle e la tirarono in piedi.

— Andiamocene da qui — grugnì Bothari, girando intorno all’altro veicolo. Scavalcò il cadavere di una guardia e si chinò sul corpo di Padma Vorpatril, per spegnere le fiammelle che si levavano dai resti della sua camicia. Cordelia gli fu grata di quel gesto inutile.

— Santo cielo — mormorò Koudelka, che arrivava zoppicando con le borse in mano. Guardò la scena. — Ah, pover’uomo. Vordarian dovrà pagare anche per questo.

La strada era ancora deserta. Non per molto, sospettava Cordelia. Bothari indicò una traversa buia. — Da quella parte. Andiamo.

— Non ci converrebbe prendere quest’auto? — domandò Cordelia.

— No. La rintraccerebbero. E non serve, dove stiamo andando.

Lei non era affatto certa che Alys Vorpatril, sconvolta e tremante, potesse sopportare lo sforzo di tener loro dietro, ma si mise la pistola nella cintura e le passò un braccio intorno alla vita. Drou la sostenne dall’altra parte, sollevandola quasi di peso quando scesero dal marciapiede per seguire il sergente dall’altra parte della strada. Koudelka le sorpassò; adesso erano loro le più lente del gruppo.

Alys stava piangendo, ma non in modo isterico. Si voltò una sola volta a gettare uno sguardo verso il corpo del marito, poi concentrò tutte le sue energie nelle gambe con cupa determinazione. Camminare così svelta era troppo per lei, e doveva afferrarsi l’addome con le mani per non farlo sobbalzare a ogni passo. — Cordelia! — ansimò. Una protesta? Un saluto? Una supplica? Ma non aveva abbastanza fiato, né per lamentarsi né per fare domande.

Erano appena a quattro o cinque isolati di distanza quando Cordelia sentì delle sirene nella zona da cui stavano fuggendo. Ma Bothari si limitò a gettare un’occhiata indietro, senza scomporsi. Svoltarono in un altro vicolo e lei si rese conto che stavano attraversando un quartiere dove l’illuminazione stradale non funzionava, oppure non esisteva affatto. La strada era visibile solo per i riflessi nelle pozzanghere, e la nebbia si stava infittendo.

All’improvviso Alys inciampò, e lei fu sul punto di lasciarla cadere al suolo. Per una trentina di secondi dovettero lasciarla riposare, ansante, piegata in due dal dolore.

Mentre la aiutava a raddrizzarsi Cordelia s’accorse che l’amica aveva l’addome molto duro; la sua camicia da notte era bagnata di un liquido maleodorante. — Santo cielo, hai le doglie? — chiese. Ma la risposta era già fin troppo chiara.

— Sono in travaglio da ieri — mormorò Alys. Sembrava incapace di tenersi eretta. — Credo che mi si siano rotte le acque, poco fa, quando quel bastardo mi ha buttato in terra. A meno che non sia sangue… ma dovrei essere già morta, se fosse tutto sangue… mi fa male, adesso. — Strinse i denti e raddrizzò le spalle, con uno sforzo.

— Quanto le manca? — esclamò Koudelka, allarmato.

— Che ne so? Non sono mica un ostetrico! Le sue supposizioni valgono le mie, Kou! — sbottò Lady Vorpatril. Una fiammella di rabbia, per scacciare la paura e il dolore. Non scaldava molto in quell’umidità.

— Non le manca molto, credo — disse la voce di Bothari, nel buio. — Bisogna fermarci in qualche posto. Muoviamoci.

Lady Vorpatril non poteva correre, ma col loro sostegno riuscì a muovere le gambe in fretta, anche se Cordelia e Droushnakovi dovevano lasciarla fermare ogni due minuti. Poi le doglie si fecero più frequenti, una al minuto.

— Inutile, non arriveremo in tempo — borbottò Bothari, senza spiegare dove avrebbe voluto arrivare. — Aspettate qui. — Scomparve di lato… in un vicolo? Lì sembrava che ci fossero soltanto dei vicoli, freddi e puzzolenti, troppo stretti per il passaggio delle auto. Fino a quel momento avevano incrociato due soli pedoni, che s’erano dovuti accostare al muro per lasciarli proseguire.

— Non può cercare di… trattenerlo? — domandò Koudelka, vedendo che Lady Vorpatril si piegava in due a un’altra fitta. — Dovremmo cercare un medico… o qualcos’altro.

— È per cercare un medico che quello sciocco di Padma si è fatto prendere — mugolò Alys. — Gli avevo detto di non uscire… oh, Dio! — Dopo un momento aggiunse, in un tono discorsivo che sorprese Cordelia: — La prossima volta che ti capiterà di vomitare, caro Kou, prova a tener chiusa la bocca e poi vedremo quanto resisti. È proprio la stessa cosa che stai chiedendo a me. — Si raddrizzò di nuovo, scossa da un tremito violento.

— Non ha bisogno di un medico. Quello che le serve è un posto dove sdraiarsi — disse Bothari dall’oscurità. — Da questa parte.

L’uomo li guidò a una larga porta di legno incorniciata fra solidi montanti di cemento nudo. A giudicare dalla scheggia che Cordelia sentì con un fianco, mentre entravano, Bothari non doveva aveva bussato delicatamente per aprirla. Una volta dentro, appena la porta fu chiusa, Droushnakovi osò tirare fuori una torcia elettrica da una borsa e la accese. Il locale che si videro attorno era completamente vuoto, polveroso. Due porte spalancate, sul fondo, davano in altri locali più interni, silenziosi e disabitati. — Dovremo accontentarci — disse Bothari.

Cordelia si chiese cosa diavolo avrebbero dovuto fare. Lei sapeva tutto sui trasferimenti di placenta, e ora anche sui tagli cesarei, ma in quanto al parto naturale non poteva offrire che consigli teorici. Alys Vorpatril era informata su quello che una donna si aspetta che le accada in una clinica attrezzata. Koudelka e Drou non erano neppure a quello stadio. — Qualcuno di voi ha mai assistito a un parto in condizioni d’emergenza? — domandò.

— Non guardare me. Io sarò un’esperta solo fra un paio d’ore — disse Alys, che malgrado la sofferenza non veniva meno al suo spirito pungente.

Cordelia la guardò negli occhi. — Non sei sola — le garantì con fermezza. Esibire fiducia poteva aiutarla a rilassarsi, almeno. — Ci prenderemo cura di te.

Bothari disse, con una certa riluttanza: — Mia madre faceva la levatrice, fra le altre cose. Qualche volta io andavo con lei e so come si fa. Non è difficile.

Cordelia sbatté le palpebre. Era la prima volta che lui parlava del suo passato; riusciva difficile credere che fosse stato un bambino e avesse avuto una mamma.

Bothari sospirò, rendendosi conto dal modo in cui lo guardavano che questo bastava a metterlo al comando. — Dammi la tua giacca, Kou.

Koudelka si tolse la giacca, mentre Bothari faceva lo stesso, e i due indumenti furono stesi al suolo. Alys venne aiutata a sdraiarsi su di essi. In quella posizione il suo volto riprese un po’ di colore; ma quasi subito le si fermò il respiro e mandò un grido, allorché i muscoli addominali si contrassero ancora.

— Lei si metta qui accanto a me, milady — disse Bothari a Cordelia. Per fare cosa? si domandò lei. Ma lo comprese quando l’uomo sollevò, con mani esitanti, la camicia da notte della partoriente. Mi vuole come meccanismo di controllo. Ma lo scontro a fuoco sembrava aver cancellato del tutto la strana e orribile espressione morbosa che gli era apparsa sul volto, là in quella strada. Per fortuna Alys Vorpatril era troppo assorbita in se stessa per notare che il suo tentativo di mostrare un freddo distacco clinico era piuttosto fallimentare.

— La testa del bambino non si vede ancora — riferì Bothari. — Però manca poco.

Un’altra doglia, un’altra occhiata nella zona, e aggiunse: — Dovrebbe fare in modo di non gridare, Lady Vorpatril. Quelli ci stanno cercando. Capisce?

Lei annuì, e agitò disperatamente una mano in cerca di qualcosa. Drou, intuendo quello che voleva, strappò un pezzo di fodera da una giacca, lo arrotolò e glielo mise fra i denti.

Trascorsero così venti minuti, fra una doglia e l’altra. Alys era sempre più debole e ansimava, con le lacrime agli occhi, incapace di trovare un equilibrio fra il dolore delle contrazioni uterine e la necessità di riprendere fiato. La testa del nascituro apparve, coperta di capelli neri, ma ancora non voleva uscire dalla morsa delle ossa pelviche.

— Quanto tempo credi che ci metterà? — s’informò Koudelka con voce che si sforzava d’essere pacata.

— Penso che non abbia troppa voglia di uscire — disse Bothari. — Dev’essersi accorto che fuori fa freddo, stasera. — La battuta penetrò attraverso la sofferenza di Alys, che non smise di mugolare penosamente ma ebbe uno sguardo di gratitudine. Bothari si chinò a esaminare la dilatazione, le poggiò una mano sull’addome, attese la spinta successiva e la aiutò con una pressione calcolata.

La testa bruna del bambino uscì fra le cosce insanguinate di Lady Vorpatril, senza difficoltà.

— Eccolo qui — disse Bothari in tono soddisfatto. Koudelka mandò un fischio fra i denti, impressionato.

Cordelia prese la testa del piccolo fra le mani e alla contrazione seguente lo estrasse per intero. Il bambino tossì un paio di volte, la sua faccetta acquistò un colore più roseo e d’un tratto emise un vagito acutissimo. Per poco Cordelia non lo lasciò cadere.

Bothari imprecò, gettando un’occhiata alla porta. — Mi dia la sua spada, tenente.

Lady Vorpatril sbarrò gli occhi, inorridita. — No! Dallo a me, lo farò tacere io!

— Non è questo che volevo fare — disse dignitosamente Bothari. — Anche se forse sarebbe un’idea — aggiunse, mentre i vagiti continuavano. Girato verso il muro usò la pistola a plasma per sterilizzare la lama con un colpo a bassa potenza.

All’ultima contrazione addominale il cordone ombelicale fu seguito dalla placenta, che cadde sulla giacca di Koudelka. Cordelia osservò affascinata la fine del supporto nutritivo organico che era stato — ed era ancora — tanto importante nel suo caso. Tempo. Ecco come si sommano gli imprevisti. Di quanto abbiamo diminuito le probabilità di Miles? Stava tradendo suo figlio per salvare il piccolo Ivan? Non così piccolo, comunque; c’era poco da meravigliarsi che avesse dato tante difficoltà a sua madre. Alys doveva essere dotata di ossa pubiche solide quanto la sua volontà, altrimenti non sarebbe uscita viva da una notte come quella.

Quando il cordone ombelicale diventò bianco, Bothari lo tagliò con la spada e Cordelia fece del suo meglio per annodarlo bene. Pulì il bambino con un fazzoletto, lo avvolse in una maglia di lana presa da una borsa e infine lo depose fra le braccia di Alys.

La giovane donna guardò il figlioletto appena nato, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. — Padma diceva… che avrei avuto i medici migliori. Non sapeva quanto… sarebbe stato vero. Ma questo momento io l’avevo sognato con lui vicino a me… vicino a me! Ah, Padma… maledizione, Padma! — Si strinse il figlio al petto e lo cullò un poco. Ad un tratto ebbe un moto di sorpresa e abbassò lo sguardo. — Oh! — esclamò. La bocca del bambino aveva trovato uno dei suoi capezzoli e vi si era immediatamente attaccata con avidità.

— Ottimi riflessi — commentò Bothari.

Загрузка...