Cordelia guardava l’ombra dell’aereo sul territorio sotto di loro; una sottile freccia puntata verso sud. La freccia ondeggiava e si distorceva sui campi delle fattorie, sul greto dei torrenti, sugli argini dei fiumi e sulle curve della strada carrozzabile… una strada sterrata, antica, la cui possibile evoluzione era stata interrotta dal repentino sviluppo dei trasporti aerei giunto con la tecnologia galattica, alla fine dell’Era dell’Isolamento. Nodi di tensione si scioglievano nel suo collo ad ogni chilometro che metteva fra sé e l’atmosfera mai troppo tranquilla della capitale. Un giorno in campagna era un’ottima idea, una pausa gradita. Avrebbe voluto che Aral la condividesse con lei.
Il sergente Bothari, scorgendo un qualche punto di riferimento nel territorio, fece inclinare l’aereo in una larga curva. Droushnakovi, seduta accanto a lei, s’irrigidì per non finirle addosso. Il Dr. Henry, sulla poltroncina del secondo pilota, osservava il panorama con interesse uguale a quello di Cordelia.
Il medico girò la testa per guardarla. — Sono lieto che mi abbia invitato a pranzo, milady. Essere ospiti della residenza privata dei Vorkosigan è un raro privilegio.
— Sul serio? — disse Cordelia. — So che il Conte non riceve molto; ma altri appassionati di cavalli, i suoi amici, capitano lì spesso. Animali interessanti. — Cordelia esitò un momento, poi decise che il Dr. Henry avrebbe capito da solo che «animali interessanti» si riferiva ai cavalli, non agli amici. — Provi a lasciar trapelare un accenno della stessa passione, e probabilmente il Conte Piotr la condurrà di persona a visitare le scuderie.
— Non ho mai incontrato il generale. — Il Dr. Henry parve a disagio a quella prospettiva, e si passò un dito nel colletto dell’uniforme verde. Come medico impegnato nella ricerca tecnologica all’Ospedale Militare Imperiale, Henry aveva a che fare con gente d’alto rango abbastanza spesso da non esserne intimidito. Forse sentiva il peso della storia barrayarana legata al nome del vecchio Conte.
Piotr s’era guadagnato il suo attuale grado militare già all’età di ventidue anni, combattendo contro i cetagandani nella feroce guerriglia che aveva insanguinato la regione dei Monti Dendarii, in quel momento visibili appena come ombre grigioline sull’orizzonte, a meridione. Il grado era tutto ciò che l’allora Imperatore Dorca Vorbarra poteva dargli: interventi più tangibili come rifornimenti, rinforzi e soldi per pagare gli uomini erano fuori questione in quelle ore disperate. Vent’anni dopo, Piotr aveva di nuovo cambiato la storia barrayarana schierandosi a fianco di Ezar Vorbarra nella guerra civile terminata con la deposizione dell’Imperatore Yuri il Folle. Non era un burocrate da scrivania come gli alti papaveri che Henry poteva frequentare al Quartier Generale, questo era certo.
— È una persona affabile — gli assicurò Cordelia. — Lei dica due parole sui cavalli, o sulla guerra civile, e poi potrà rilassarsi e trascorrere il resto del tempo ad ascoltare.
Henry inarcò un sopracciglio, scrutandola in cerca di un accenno d’ironia. Era un uomo acuto. Cordelia gli sorrise allegramente.
Bothari taceva, lanciandole qualche occhiata nello specchietto sopra il pannello dei comandi. Cordelia se n’era già accorta. Il sergente appariva teso, quel giorno. Erano la posizione delle sue mani e il gonfiore dei muscoli sotto la nuca a tradirlo. I suoi occhi gialli — troppo vicini e neppure allo stesso livello, sopra quegli zigomi ossuti — erano illeggibili come al solito. Un po’ d’ansia per la visita del dottore? Impossibile dirlo.
Il territorio sotto di loro era appena ondulato, ma poco dopo sorvolarono le alture rocciose al confine del distretto lacustre. Più oltre si levavano le montagne, e Cordelia ebbe l’impressione di vedere il bianco delle prime nevi su alcune delle vette più alte. Bothari scese di quota, oltrepassò tre catene di colline, e virò ancora lungo il corso di una stretta valle. Pochi minuti più tardi, al di là di un’ultima dorsale, apparve il lago. Sulle colline campeggiava una lunghissima serie di fortificazioni, bruciate e in rovina; il paese era annidato più in basso, ai piedi delle alture. Bothari eseguì un cauto atterraggio verticale in un circolo bianco dipinto su una delle strade più larghe.
Il Dr. Henry prese la sua borsa da lavoro. — La visita non mi prenderà più di qualche minuto — disse a Cordelia. — Poi potremo proseguire.
Non dirlo a me. Dillo a Bothari. Cordelia s’era accorta che il sergente lo innervosiva. Il medico continuava a rivolgersi a lei, come se fosse l’unica in grado di tradurre le sue parole in termini comprensibili all’altro uomo. D’accordo, la corporatura di Bothari era impressionante, ma parlare come se non ci fosse non lo avrebbe fatto magicamente scomparire.
Bothari li precedette fino a una modesta abitazione a un piano, in una traversa che scendeva fra case e muretti fino al lago, e toccò la piastra del campanello. La porta fu aperta da una robusta donna di mezz’età, dai capelli grigi, che nel vederli sorrise. — Buongiorno, sergente. Accomodatevi, prego, è tutto pronto. Milady. — Mentre si scostava accennò un inchino verso Cordelia, con goffa cortesia.
Lei gli restituì il cenno del capo. — Buongiorno, signora Hysopi. Come luccica la sua casa, oggi. — Il pavimento e i semplici mobili lustrati a mano con cera e straccio scintillavano in modo quasi commovente. Da brava vedova di un militare, la signora Hysopi sapeva come affrontare un’ispezione. — Ho appena dato alla piccola il biberon… poco fa le ho fatto il suo bagnetto. Da questa parte, signor dottore, prego. Spero che troverà che tutto va bene…
La donna li guidò su per una scala stretta. Al piano superiore c’erano una camera da letto, ovviamente la sua, e un’altra, con una luminosa finestra che guardava il lago, di recente trasformata in una nursery. Una pargoletta bruna dai grandi occhi castani borbottava fra sé, fra le morbide coltri di una culla. — Eccola qui, la nostra piccolina — cinguettò la signora Hysopi, prendendola in braccio. — Come si dice al tuo paparino? Ciao, papà, eh, Elena? Non si dice ciao al tuo papà, eh? Oh… non dici niente? Mmh…
Bothari fece appena un passo oltre la soglia, scrutando con attenzione la piccola. — Mi sembra che la sua testa sia cresciuta, dall’ultima volta — disse, dopo qualche secondo.
— Cresce sempre, fra i tre e i quattro mesi — lo tranquillizzò saggiamente la signora Hysopi.
Il Dr. Henry aprì la borsa sul tavolo; la donna poggiò la bambina su un panno bianco e la spogliò. Mentre i due cominciavano a parlare di feci e di orine Bothari si aggirò qua e là, guardando gli oggetti ma senza toccare nulla. Massiccio e imponente, militaresco nella sua livrea marrone, sembrava incombere minaccioso sui piccoli oggetti e indumenti della bambina, ordinatamente deposti nella stanza. Il soffitto era così basso che la sua testa lo sfiorava. D’un tratto lo colse il dubbio d’essere d’impaccio e tornò alla porta.
Cordelia guardava incuriosita, al di sopra delle spalle di Henry e della signora Hysopi. La piccola Elena agitava le gambette, cercando di girarsi su un fianco. Bambini. Presto ne avrebbe avuto uno anche lei. Come in risposta a quel pensiero, nel suo addome ci fu un palpito. Il piccolo Piotr Miles non era, fortunatamente, neppure abbastanza forte da uscire attraverso un sacchetto di carta, ma se continuava ad essere così vivace negli ultimi due mesi le avrebbe fatto fare notti bianche. Cordelia rimpiangeva di non aver seguito un corso per genitori su Colonia Beta, anche se negli ultimi anni non avrebbe comunque potuto prendersi una licenza abbastanza lunga. Ma i genitori barrayarani sembravano capaci di farne a meno. La signora Hysopi aveva imparato dalla pratica, tirando su tre figli ormai già grandi.
— Straordinario — commentò il Dr. Henry scuotendo il capo, mentre annotava dati su un minicomputer da tasca. — Il suo sviluppo è assolutamente normale, per quel che posso dire. Nulla farebbe supporre che sia uscita da un simulatore uterino.
— Anch’io sono uscita da un simulatore uterino — gli fece notare Cordelia, divertita. Henry si volse e la guardò, involontariamente, da capo a piedi, come se fosse sorpreso di vedere che non aveva antenne o chele da insetto. — L’esperienza betana dimostra che non conta da dove si arriva qui, ma cosa accade dopo l’arrivo.
— Giusto. — Il medico si accigliò. — Lei ha sostenuto un controllo genetico? È esente da difetti originati in vitro?
— Con tanto di certificato — annuì lei.
— Noi abbiamo bisogno di questa tecnologia — sospirò lui, rimettendo i suoi strumenti nella borsa. — La bambina sta bene. Può rivestirla — disse alla signora Hysopi.
Quando la piccola fu deposta nella culla Bothari si chinò per guardarla meglio, con una ruga pensierosa fra le sopracciglia. Allungò una mano a sfiorarle delicatamente una guancia, appena con un dito, poi si sfregò i polpastrelli del pollice e dell’indice come per saggiare la differenza fra quella pelle così morbida e la sua. La signora Hysopi lo guardò, ma non disse nulla.
Poco dopo, mentre Bothari si tratteneva in casa per regolare la spettanza mensile della signora Hysopi, Cordelia e il Dr. Henry scesero a piedi verso il lago, seguiti da Droushnakovi.
— Quando quei diciassette simulatori uterini arrivarono all’OMI, mandati da una struttura medica in zona di guerra — disse Henry, — io ne restai, francamente, molto perplesso. Perché salvare quei feti non voluti, e ad un costo simile? E perché li scaricavano sul mio dipartimento? Ma da allora ho imparato parecchio, milady. Ho perfino studiato la possibilità di usarli per la crescita di tessuti, per i trapianti su pazienti ustionati. Ci sto lavorando adesso. Il progetto è stato approvato solo una settimana fa. — Il suo sguardo s’illuminò mentre riassumeva i particolari della cosa, che a Cordelia apparve più pratica appena ebbe capito l’idea.
— Mia madre si occupa d’ingegneria chirurgica e impianti medici, all’Ospedale Silica — disse a Henry, appena l’uomo tacque per riprendere fiato e scrutare la sua reazione. — Lavora a tempo pieno su problemi di questo genere.
— Sul serio? — Henry raddoppiò le sue spiegazioni.
Poco più avanti Cordelia salutò per nome due donne, e fermandosi a scambiare qualche parola le presentò educatamente al Dr. Henry.
— Sono mogli di armieri giurati del Conte Piotr — lo informò, mentre proseguivano.
— Avrei pensato che preferissero abitare alla capitale.
— Alcune lo fanno, altre stanno bene qui. Dipende dai gusti. Il costo della vita è più basso, da queste parti. E quegli uomini sono pagati meno di quanto io avrei immaginato. In campagna la gente è ancora un po’ sospettosa verso le città. È convinta che là si faccia una vita poco sana. E sregolata. — Scosse il capo, sorridendo. — Forse non hanno torto. Uno dei nostri uomini, mi è stato detto, ha due mogli; una in paese e una in città. Nessuno dei suoi colleghi lo ha ancora tradito.
Henry inarcò un sopracciglio. — Se la spassa, allora.
— Non proprio. È cronicamente in bolletta, e ha sempre un’aria un po’ preoccupata. Ma non sa decidere a quale delle due rinunciare. Pare che le ami molto entrambe.
Mentre il Dr. Henry parlava con un vecchio che oziava sul molo per informarsi se lì era possibile affittare una barca, Droushnakovi si rivolse a Cordelia, a bassa voce. Sembrava a disagio.
— Milady… in nome del cielo, com’è possibile che il sergente Bothari abbia una figlia? Voglio dire, non è mica sposato, no?
— Pensi che gliel’abbia portata la cicogna? — sorrise lei.
— Ah.
Dal suo cipiglio, Cordelia capì che la ragazza non lo giudicava un argomento su cui si poteva scherzare. Non poteva biasimarla. Come posso spiegarglielo? sospirò fra sé. — In effetti gli è arrivata in volo — disse. — Il suo simulatore uterino è giunto qui da Escobar con un corriere veloce, dopo la fine della guerra. La gestazione della piccola è terminata in un laboratorio dell’OMI, con la supervisione del dottor Henry.
— È davvero figlia di Bothari?
— Oh, sì. Geneticamente certificata. È così che l’hanno identificata i… — Cordelia s’interruppe a metà della frase. Non era suo diritto parlarne, neppure con lei.
— Ma cos’è questa faccenda dei diciassette simulatori? E perché la bambina era finita in un simulatore? Era… un esperimento?
— Trasferimento di placenta. Un’operazione delicata, anche per gli standard galattici, ma tutt’altro che sperimentale. Se proprio vuoi saperlo… — Cordelia fece una pausa, pensando a come poteva fare. — Ti dirò la verità. — Ma non tutta. - La piccola Elena è la figlia di Bothari e di una giovane ufficialessa di Escobar, di nome Elena Visconti. Bothari… la amava… la amava molto. Ma alla fine della guerra lei non volle trasferirsi con lui su Barrayar. La bambina era stata concepita in… uh, stile barrayarano, e fu trasferita nel simulatore quando loro si separarono. C’erano stati altri casi analoghi. Tutti i simulatori furono mandati all’Ospedale Militare Imperiale, che era interessato a questa tecnologia. Dopo la guerra Bothari è rimasto… sotto cure mediche per un periodo abbastanza lungo. Ma quando è stato dimesso, e la bambina è nata, lui l’ha presa con sé.
— Anche gli altri hanno preso i loro bambini?
— Per la maggior parte i loro padri erano già morti da tempo. I bambini sono stati affidati all’orfanatrofio del Servizio Imperiale. — Questo poteva bastare. Era la versione ufficiale, semplice e pulita.
— Oh. — Droushnakovi abbassò lo sguardo, accigliata. — Non è una cosa tanto… cioè, è difficile immaginare Bothari… che si prende cura di una bambinetta — disse d’un fiato, ingenuamente. — Io non so se gli affiderei un gatto, da custodire. Non le sembra una cosa un po’ strana, da parte sua?
— Aral e io teniamo d’occhio la situazione. Finora Bothari fa benissimo il suo dovere di padre, direi. Ha trovato la signora Hysopi di sua iniziativa, e le fa avere tutto il necessario. Bothari ha… voglio dire, in lui c’è qualcosa che ti preoccupa?
Droushnakovi la guardò come per dire: sta scherzando? — Ha un aspetto così massiccio e… truculento. Certi giorni va in giro borbottando fra sé. E so che in altri giorni non si fa vedere da nessuno, non si alza neanche dal letto, ma non perché abbia la febbre o qualcos’altro. Il capitano degli armieri del Conte Piotr pensa che faccia finta di star male per non lavorare.
— Non fa finta, credimi. Ma sono contenta che tu me lo abbia detto. Dirò ad Aral di parlare col capitano degli armieri e chiarirgli le idee.
— Ma lei non ha paura di Bothari? Nei suoi giorni neri, intendo.
— Io posso piangere per lui — mormorò Cordelia, — ma aver paura no, non potrei. Né in quei giorni, né in altri. E tu non dovresti fargli pensare… questo lo offenderebbe.
— Mi spiace. — Droushnakovi sfregò un piede sulla ghiaia. — È una storia triste. Non c’è da stupirsi che non parli mai della guerra e di Escobar.
— Sì. Io… ti sarei grata se anche tu non gliene parlassi. È una cosa molto dolorosa per lui.
Un altro breve volo dell’aereo li portò attraverso un ramo del lago alla tenuta di campagna dei Vorkosigan. Un secolo addietro la casa era stata un avamposto del sistema difensivo che c’era più a nord. Le armi moderne avevano reso obsolete quelle fortificazioni, e i vecchi edifici in pietra erano stati adibiti a usi più pacifici. Il Dr. Henry doveva aver immaginato ben altra magione, perché osservò: — È più piccola di quel che mi aspettavo.
Il maggiordomo del Conte aveva preparato un rinfresco per loro, sulla terrazza piena di fiori sul lato meridionale della casa, dietro la cucina. Mentre il gruppetto usciva sul retro, Cordelia rallentò il passo per restare al fianco del Conte Piotr.
— È stato gentile a lasciarmi invadere la casa, signore.
— Dovresti invadermi più spesso! Questa è casa tua, mia cara. Sei liberissima di invitare e intrattenere qui tutti gli amici che vuoi. Questa è la prima volta che lo fai, te ne rendi conto? — L’uomo si fermò sulla soglia della terrazza. — Sai, quando mia madre venne qui, dopo aver sposato mio padre, fece rimodernare tutta la casa. Mia moglie fece lo stesso, quasi mezzo secolo fa. Aral si è sposato tardi, comunque, e temo che da un pezzo ci sia bisogno di qualche miglioria. Non vorresti… essere tu a occupartene?
Ma è la tua casa, pensò Cordelia, perplessa. Perfino Aral, parlandone, la definiva «la casa di mio padre».
— Quando arrivi qui, come un fiore portato dal vento, sembri sempre in attesa che il vento ti riporti via — ridacchiò Piotr, ma il suo sguardo era preoccupato.
Lei si poggiò una mano sull’addome tondeggiante. — Oh, non c’è pericolo che io prenda il volo, con questa zavorra. — Esitò. — A dire il vero, ho pensato che sarebbe comodo avere un ascensore a Casa Vorkosigan. Contando il sotterraneo, il seminterrato, l’attico e il tetto, ci sono otto piani. Non è una passeggiata, per chi deve farli tutti.
— Un ascensore? Noi non abbiamo mai… — L’uomo si morse la lingua. — Dove penseresti di metterlo?
— Possiamo aprire il pozzo nel corridoio posteriore, dove scendono le tubazioni, senza modificare l’architettura interna.
— Sì, capisco. Molto bene. Cerca un architetto. Pensaci tu.
— Me ne occuperò domani, allora. Grazie, signore. — Cordelia lo seguì sulla terrazza, inarcando le sopracciglia.
A pranzo, il Conte Piotr, evidentemente sempre nel proposito d’incoraggiarla, fu molto affabile col Dr. Henry; un Uomo Nuovo, benché col medico non fosse difficile esserlo. Ligio al consiglio di Cordelia, Henry portò la conversazione sugli interessi del Conte, e lui gli parlò dell’ultimo puledro nato nella scuderia. L’animale era un purosangue geneticamente garantito, e Piotr lo definì un «quarter horse», cosa che indusse Cordelia a chiedersi come potesse, un purosangue, essere un cavallo solo per un quarto. Era stato importato dalla Terra sotto forma di embrione surgelato — con un costo non indifferente — e trasferito nell’utero di una giumenta locale, che Piotr aveva amorosamente curato durante la gestazione. Come esperto in operazioni biologiche il Dr. Henry mostrò interesse tecnico, e dopo pranzo Piotr lo condusse personalmente a esaminare i suoi quadrupedi.
Cordelia declinò l’invito ad accodarsi. — Penso che riposerò un poco. Tu puoi andare alle scuderie, Drou, se vuoi. Con me resterà il sergente Bothari. — In realtà Cordelia era un po’ preoccupata per Bothari. A pranzo non aveva mangiato un boccone, e da oltre un’ora non pronunciava una parola.
Incerta, ma eccitata dall’idea di vedere i cavalli, Droushnakovi si lasciò persuadere. I tre si avviarono a piedi su per la collina, dietro la casa. Cordelia li seguì con lo sguardo, poi si girò verso Bothari, i cui occhi erano fissi su di lei. L’uomo approvò con un cenno del capo ciò che aveva intuito.
— Grazie, milady.
— Mmh, sì. Mi stavo chiedendo se non ti senti bene.
— No… sì. Non lo so. Volevo… volevo parlare con lei, da… due o tre settimane. Ma non ho mai trovato il momento buono. Da un po’ di tempo va un po’ peggio. Non posso più aspettare. Oggi, visto che lei è qui, speravo…
— D’accordo. — Il maggiordomo era rientrato in cucina. — Vogliamo fare due passi?
— Sì, milady, per favore.
S’incamminarono insieme attorno alla vecchia casa di pietra. Il padiglione, sulla cresta dell’altura che sovrastava il lago, sarebbe stato un buon posto per sedersi a parlare, ma Cordelia si sentiva troppo appesantita dalla gravidanza per salire lassù. Prese a sinistra, sul sentiero parallelo al pendio, e arrivarono a quello che aveva l’aspetto di un giardino, chiuso fra muri disadorni.
Il cimitero dei Vorkosigan conteneva molte decine di tombe di ogni epoca: persone di famiglia, parenti alla lontana, dipendenti che erano stati preziosi e benvoluti. In origine aveva fatto anch’esso parte delle fortificazioni, e c’erano molte vecchie tombe in cui riposavano ufficiali e soldati morti secoli addietro. L’intrusione dei Vorkosigan datava dalla distruzione atomica del distretto di loro provenienza, Vorkosigan Vashnoi, bombardato durante l’invasione cetagandana. Laggiù le ceneri dei morti s’erano mescolate in un istante con quelle dei vivi, e otto generazioni di storia di famiglia erano state cancellate perfino dalle tombe. Le date, sulle lapidi più vicine all’ingresso, consentivano di mettere in relazione il nome con gli eventi di quel periodo: l’occupazione cetagandana, i periodi di pace e quelli di guerra. La madre di Aral era morta esattamente all’inizio della guerra contro Yuri il Folle. Nello spazio vuoto alla sua destra, riservato a Piotr, Cordelia vide una lapide, probabilmente scolpita trentatré anni prima. Da quella data la moglie lo stava aspettando. E gli uomini accusano le donne d’essere lente. Il figlio più anziano, il fratello di Aral, era sepolto a sinistra della madre.
— Sediamoci là. — Cordelia accennò col capo verso una panchina di pietra circondata da pianticelle in fiore color arancio, a cui dava ombra una quercia importata dalla Terra quasi un secolo addietro. — Queste persone sono dei buoni ascoltatori, ormai. E non fanno pettegolezzi.
Si mise a sedere sulla pietra calda e guardò Bothari. Il sergente aveva preso posto all’altro capo della panchina, lontano da lei. Le rughe del suo volto erano più profonde del solito, e nonostante la luce morbida di quel pomeriggio autunnale gli davano un’espressione dura, aspra. La mano sinistra, poggiata sul bracciolo, si apriva e chiudeva senza requie. Respirare regolarmente sembrava costargli uno sforzo.
— Allora, cos’è che non va, sergente? — Cordelia raddolcì il tono. — Mi sembri… teso, oggi. È qualcosa che riguarda Elena?
Lui ebbe una mezza risata, rauca e amara. — Teso! Sì, penso che sia vero. Ma non per la bambina… cioè… non esattamente. — La guardò dritta negli occhi, per la prima volta da quel mattino. — Lei sa cos’è successo a Escobar. Lei c’era. È così?
— Sì. — Quest’uomo soffre, comprese Cordelia. Quale genere di sofferenza?
— Io non ricordo niente di Escobar.
— Lo so. Presumo che i terapisti, all’ospedale militare, si siano dati molto da fare per accertarsi che tu non ricordassi nulla di quel tempo.
— Già — borbottò lui.
— Io non approvo il concetto di terapia che hanno qui. Soprattutto se è impostata a partire da motivi politici.
— Questo sono arrivato a capirlo, milady. — Un barlume di speranza gli apparve nello sguardo.
— Con che metodo hanno agito? Bruciando neuroni selezionati? O con agenti chimici contro la memoria?
— No… mi davano delle droghe, ma non per distruggere. Così mi hanno detto. I dottori la chiamavano «terapia soppressiva». Noi la chiamavamo «viaggio nell’inferno». Ogni giorno andavamo all’inferno, anche se ciò che volevamo era solo di non vederlo più. — Bothari si agitò, profondamente accigliato. — Cercare di ricordare… parlare di Escobar con questo e con quello… mi fa venire terribili mal testa. Sembra stupido, no? Un uomo grande e grosso che si lamenta del mal di capo come una vecchietta. Certe cose di quello che dicono, certi loro ricordi… è questo che mi fa dolere la testa al punto che vedo dei cerchi rossi davanti agli occhi, e mi viene da vomitare. Quando smetto di pensarci, però, il dolore scompare. È semplice.
Cordelia deglutì saliva. — Capisco. Mi dispiace. Sapevo che doveva essere dura, ma non immaginavo… che lo fosse tanto.
— La parte peggiore sono gli incubi. Sogno di… quello… e se mi sveglio troppo lentamente ricordo ciò che ho sognato. Ricordo troppo e tutto insieme, e la testa mi… allora tutto ciò che posso fare è di coprirmi la faccia e piangere, finché non riesco a pensare a qualcos’altro. Gli altri armieri del Conte Piotr pensano che io sia pazzo. O pensano che io sia un idiota, e non capiscono cosa sto facendo qui con loro. Io non capisco perché sono qui con loro. — Si passò una mano sui capelli tagliati quasi a zero, come se ne odiasse il contatto. — Essere un armiere giurato del Conte… è un onore. Soltanto venti posti a disposizione. E scelgono i migliori, gli eroi, gli uomini con molte medaglie, giovani e con un curriculum militare perfetto. Se ciò che ho fatto a Escobar è stato… così brutto, perché l’ammiraglio ha chiesto al Conte Piotr di prendermi con sé? E se ero anch’io un dannato eroe di guerra, perché me lo hanno cancellato dalla memoria? — Il suo respiro si accelerò, sibilando fuori fra i grossi denti giallastri.
— Cosa provi adesso, nel parlarne? Ti senti più sollevato? Oppure è peggio?
— È peggio. Se tacessi non avrei mal di capo. — La guardò, scuro in faccia. — Ma dovevo parlarne. Con lei. È una cosa che mi…
Lei trasse un lungo respiro, cercando di ascoltarlo con la mente e col cuore. E con tutta la sua attenzione, concentrandosi. — Continua, — lo incoraggiò.
— Io ho… quattro fotografie… dentro la testa, dal tempo di Escobar. Quattro fotografie, ma non riesco a capirle, a spiegarmele. Pochi minuti rimasti da tre, forse quattro mesi di ricordi, non so. E mi preoccupano tutte. Ma una ancor più delle altre… quella dove vedo lei — aggiunse bruscamente, e abbassò gli occhi. La sua mano strinse il bracciolo della panchina allo spasimo.
— Capisco. Vai avanti.
— Una… la meno peggiore di quelle immagini… è una discussione. C’erano il Principe Serg, l’ammiraglio Vorrutyer, Lord Vorkosigan e l’ammiraglio Rulf Vorhalas. E io ero là. Però non avevo nessun vestito addosso.
— Sei sicuro che questo non è un sogno?
— No. Non ne sono sicuro. L’ammiraglio Vorrutyer disse… qualcosa di molto offensivo a Lord Vorkosigan. Aveva spinto Lord Vorkosigan contro il muro. Il Principe Serg rideva. Poi Vorrutyer baciò Lord Vorkosigan sulla bocca, proprio sulla bocca, e Vorhalas cercò di colpire Vorrutyer con un pugno alla testa. Ma Lord Vorkosigan lo fermò. E dopo questo non ricordo altro.
— Mmh… sì — disse Cordelia. — Io non ero presente a quella scena, ma so che stavano accadendo cose molto antipatiche quando Vorrutyer e Serg cominciarono a oltrepassare ogni limite. Così è probabile che questo ricordo corrisponda al vero. Posso chiederlo ad Aral, se vuoi.
— No! No, questo non è molto importante, del resto. Non come le altre cose.
— Dimmi di queste altre cose, allora.
La voce di lui si abbassò in un sussurro. — Ricordo Elena. Così bella. Riesco a vedere solo due immagini di Elena, nella mia testa. In una, ricordo Vorrutyer che mi faceva fare… no, non voglio parlare di questa. — Tacque, e per un minuto non fece altro che oscillare avanti e indietro, con gli occhi fissi nel vuoto. — L’altra… eravamo nella mia cabina. Lei e io. Lei era mia moglie… — La sua voce s’incrinò. — Lei non era mia moglie. È così? — Non glielo stava domandando.
— Non lo era. Ma tu lo sapevi.
— Però io ricordo di aver creduto che lo fosse. — Si passò una mano sulla faccia, con durezza, quasi per farsi male.
— Lei era una prigioniera di guerra — disse Cordelia. — La sua bellezza aveva attirato Serg e Vorrutyer, e vollero sottoporla a un’esperienza tormentosa… per nessuna vera ragione. Non per farle rivelare segreti militari, né per terrorismo politico. Soltanto per il loro divertimento. Così Elena fu violentata. Ma questo lo sai anche tu, da qualche parte della tua mente.
— Sì — sussurrò lui.
— Toglierle l’impianto contraccettivo e permettere a te… o costringere te a ingravidarla, era la loro idea. La prima parte della loro sadica idea. Comunque, grazie al cielo, non vissero abbastanza da mettere in atto la seconda parte.
Bothari aveva unito i pugni sulle ginocchia e li premeva in giù con forza. Stava respirando a rantoli penosi, come una bestia ferita. Il suo volto rigido, mortalmente pallido, era imperlato di sudore.
— Vedi degli anelli rossi davanti agli occhi, in questo momento? — domandò Cordelia.
— È tutto… rosa, più o meno.
— E l’ultima immagine?
— Oh, milady — Bothari deglutì. — Qualunque cosa sia… io so che è molto vicina alle cose che hanno voluto farmi dimenticare. — Deglutì ancora a vuoto. Cordelia cominciò a capire perché non aveva toccato cibo.
— Vuoi parlarne? Te la senti?
— Devo farlo, milady. Capitana Naismith. Perché io ricordo di lei. Ricordo di averla vista. Distesa sul letto di Vorrutyer… gli abiti strappati via di dosso, nuda. C’era del sangue su di lei. Io ero lì e la guardavo, e… è questo che voglio sapere. Che devo sapere. — Rivolto verso di lei si strinse i pugni al petto come se fosse sul punto di soffocare, con una domanda disperata nello sguardo.
Cordelia pensò che la sua pressione doveva essere salita in modo terribile per fargli pulsare le vene sulle tempie con quella violenza. Se fossero andati troppo oltre, esaminando anche l’ultima di quelle verità, rischiava un colpo apoplettico? Programmare il suo corpo perché punisse da solo i pensieri proibiti era stata un’operazione di psicoingegneria troppo azzardata…
— Io ho violentato lei, milady?
— Cosa? No! - Cordelia si raddrizzò, indignata. Gli avevano tolto anche quella consapevolezza dalla mente? Avevano osato cancellargli anche quel ricordo?
Bothari cominciò a piangere, se quei rauchi versi che la sua gola emetteva erano singhiozzi. Ma aveva gli occhi pieni di lacrime, a metà fra l’agonia e la gioia. — Grazie a Dio! È sicura che…
— Vorrutyer ti aveva ordinato di farlo. Tu hai rifiutato. Di tua spontanea volontà, e sapendo che con quel rifiuto condannavi te stesso oltre ogni speranza di salvezza. Hai avuto un sacco di guai dopo questo fatto, per un po’. — Cordelia avrebbe voluto dirgli anche il resto, ma Bothari era in uno stato psicofisico così alterato che un passo falso avrebbe potuto avere gravi conseguenze. — Da quanto tempo ricordi questa cosa? Da quanto ti stai facendo questa domanda?
— Fin dal giorno in cui l’ho vista di nuovo. Quest’estate. Quando lei è venuta qui per sposare Lord Vorkosigan.
— E per sei mesi sei andato in giro con questo dubbio nella mente, senza osare chiedermi…
— Sì, milady.
Lei si appoggiò allo schienale, inorridita, e si accorse che anche il suo respiro era accelerato molto. — La prossima volta non aspettare tanto.
Con una mano premuta sullo stomaco Bothari si alzò in piedi, grigio in faccia; le fece segno di scusarlo e vacillò via verso il muro, nascondendosi dietro un cespuglio. Ansiosamente Cordelia ascoltò per qualche minuto i suoi ansiti, mentre vomitava a stomaco vuoto. Una reazione psichica, a quanto poteva dire lei, e anche piuttosto violenta. Ma pian piano l’attacco di nausea si placò, e lo sentì inalare l’aria con energia. Quando fece ritorno, passandosi una mano sulle labbra, era ancora pallido e scosso ma nei suoi occhi c’era una luce più calma, di sollievo.
Mentre si sedeva, tuttavia, quel sollievo scomparve. Si sfregò le mani sui ginocchi e lasciò vagare lo sguardo al suolo. — Il fatto che lei non sia stata una mia vittima non significa che io… fossi innocente. Di altri atti di violenza.
— Questo è vero.
— Io non posso… fidarmi di me stesso. Lei come può fidarsi di me? Sa qual è una cosa ancora più eccitante del sesso?
Lei si chiese se ci fosse modo di cambiare argomento senza causare in lui una reazione troppo emotiva. — Sentiamo.
— Uccidere. Uno si sente perfino meglio, dopo. Non dovrebbe essere un… un piacere simile. Per Lord Vorkosigan uccidere non è così. — Aveva gli occhi socchiusi, ma non era stretto dalle sbarre della sua agonia; doveva vedere la cosa dall’esterno, adesso che Vorrutyer non era più nella sua mente.
— Per la rabbia è una catarsi, suppongo — disse lei, con cautela. — Come ha potuto accumularsi in te tanta rabbia? A volte basta guardarti per intuirla. Gli altri la vedono.
Lui si passò una mano sul collo, con una smorfia. — È una cosa che viene da lontano, dal passato. Io non la sento mai, questa rabbia. A volte però arriva da sola, così, all’improvviso.
— Anche Bothari ha paura di Bothari — mormorò lei, perplessa.
— Lei no. A lei faccio ancor meno paura che a Lord Vorkosigan.
— Io ti vedo legato a lui, in qualche modo. E lui è nel mio cuore. Come posso aver paura di ciò che è nel mio cuore?
— Milady, un patto.
— Mmh?
— Mi dica lei… quando è giusto. Uccidere, voglio dire. E poi io lo saprò.
— Non posso… ascolta, supponi che io non ci sia. Quando questa cosa ti afferra, non puoi avere il tempo di fermarti e analizzarla. Devi avere la possibilità di difenderti, ma devi anche riuscire a capire in che modo attaccare, caso per caso. — Cordelia si mordicchiò un labbro, colpita da un’intuizione. — È per questo che la tua uniforme è importante per te, vero? Ti dice se stai facendo una cosa giusta, quando tu non sei in grado di saperlo. Tutte quelle routine militaresche a cui sei legato servono a farti capire se hai un buon motivo, se sei sulla buona strada.
— Sì. Io ho giurato di difendere Casa Vorkosigan, ad esempio. E so che questo è giusto. — Annuì fra sé, rassicurato. Ma, si chiese Cordelia, per l’amor del cielo, rassicurato da cosa?
— Tu mi stai chiedendo d’essere la tua coscienza. Di esprimere un giudizio al tuo posto. Ma sei un uomo completo. Io ti ho già visto fare le scelte giuste, anche sotto la tensione peggiore.
Lui si passò di nuovo una mano sul cranio, a denti stretti, e mormorò: — Ma non riesco a ricordarlo. Non ricordo come ho agito.
— Oh. — Cordelia si sentiva molto piccola. — Be’… qualunque cosa io possa fare per te, hai tutto il diritto di chiedermela. Noi ti dobbiamo molto, Aral e io. Noi ricordiamo cos’hai fatto, anche se tu l’hai dimenticato.
— Allora ricordi lei al mio posto, milady — disse sottovoce Bothari, — e per me questo basterà.
— Puoi contarci.