CAPITOLO QUINDICESIMO

Due minuti dopo l’arrivo di Vorkosigan all’ingresso principale, il capitano Vaagen era steso su una barella antigravità e diretto all’infermeria, dove il miglior traumatologo della Base era stato convocato d’urgenza. Cordelia ebbe così un motivo di riflessione sulla natura delle strutture gerarchiche; neppure il palese bisogno di cure mediche risparmiava agli esseri umani i meticolosi e assurdi ingranaggi delle misure di sicurezza.

Per avere altre notizie dallo scienziato era necessario aspettare che i medici si fossero occupati di lui. Vorkosigan usò quel tempo per incaricare Illyan di mettere il suo dipartimento al lavoro sul nuovo problema. Cordelia lo usò per camminare avanti e indietro nell’area di attesa dell’infermeria. Droushnakovi la guardava in preoccupato silenzio, troppo sensibile per cercare di rassicurarla con frasi di prammatica che entrambe sapevano vuote. Dopo oltre un’ora il traumatologo uscì dalla sala operatoria e annunciò che Vaagen era lucido e in grado di sostenere un breve (ed enfatizzò il «breve») colloquio. Aral sopraggiunse con al seguito Koudelka e Illyan, e il gruppetto sfilò nella corsia piena di degenti in fondo alla quale era stato ricoverato Vaagen, con l’ago di una fleboclisi in un braccio e una dozzina fra cerotti e sensori applicati a varie parti del corpo. Con voce rauca, stanca, Vaagen diede altri crudi particolari, senza però aggiungere nulla di sostanziale al quadro della situazione già fornito a Cordelia.

Illyan lo ascoltò annuendo fra sé. — I nostri agenti alla Residenza Imperiale confermano questo resoconto — disse a Cordelia quando Vaagen tacque. — Sembra che ieri un oggetto che corrisponde alla descrizione del simulatore sia stato portato nell’appartamento accanto a quella della Principessa Kareen. L’agente che ne ha riferito non sapeva cosa fosse, ma a palazzo si dice che sia una bomba con cui Vordarian farà saltare in aria tutto quanto in caso di sconfitta.

Vaagen sbuffò, tossì e rinunciò a fare commenti.

— Non hanno incaricato qualcuno di prendersene cura? — domandò Cordelia. Nessuno sembrava esserselo ancora chiesto. — Un dottore, un tecnico, o almeno un inserviente?

Illyan corrugò le sopracciglia. — Non lo so, milady. Posso cercare di scoprirlo, ma ogni contatto in più significa un rischio per i nostri agenti sul posto. Non possono usare la radio. Quella che ci manda notizie dall’appartamento imperiale è una cameriera, e ogni volta deve scendere in un garage dove un altro agente ha sistemato un contatto via cavo con l’esterno.

— Mmh.

— Il trattamento per la calcificazione ossea è interrotto, comunque — brontolò Vaagen, tormentando il lenzuolo con una mano. — L’inferno possa ingoiare quei bastardi.

— Anche se ha perso tutti i suoi dati, non può… continuare il lavoro? — domandò Cordelia. — Cioè, se riuscissimo a recuperare il simulatore uterino. Può riprendere da dove ha interrotto?

— La situazione fisica del bambino sarà cambiata, per allora. E non tenevo a mente tutto il programma. Non la parte che svolgeva Henry, almeno.

Cordelia fece un profondo respiro. — Se ricordo bene, questi simulatori costruiti su Escobar hanno un ciclo automatico di due settimane durante le quali in teoria possono fare a meno di ogni manutenzione. Quando avete cambiato per l’ultima volta le batterie e i filtri, e caricato le sostanze nutritive?

— Le batterie durano un anno, e i filtri potrebbero funzionare due, forse tre mesi, — disse Vaagen. — Ma il vero fattore limitativo sono le sostanze chimiche. Al suo ritmo metabolico, una volta che siano finite, il feto potrebbe morire di denutrizione in un paio di giorni. Inoltre questo causerebbe un sovraccarico nei filtri, che si ostruirebbero subito anche se il feto resistesse di più. In pratica, il simulatore è autosufficiente per diciotto, venti giorni al massimo.

Cordelia evitò lo sguardo di Aral e restò rivolta verso Vaagen, che le restituiva lo sguardo con un occhio solo, sofferente ma con la solita franchezza. — Quando è stata l’ultima volta che lei e Henry avete rifornito il simulatore? — domandò ancora.

— Quattordici giorni fa.

— Questo lascia meno di sei giorni — mormorò lei, abbattuta.

— All’incirca… suppongo. Che giorno è oggi? — Vaagen si guardò attorno, con un’aria smarrita così insolita in lui che Cordelia si sentì stringere il cuore.

— Questo limite è valido soltanto se nessuno si prenderà cura del simulatore — puntualizzò Aral. — Il medico della Residenza Imperiale, quello che venne a casa nostra, non potrebbe fare qualcosa, se fosse informato con la dovuta cautela?

— Signore — disse Illyan, — il medico della Principessa è stato ucciso durante il primo giorno di scontri, in un’ala della Residenza Imperiale. Ho due diverse testimonianze che lo confermano.

— Potrebbero lasciar morire Miles per pura ignoranza, allora, anche se non volessero ucciderlo — mormorò Cordelia, sgomenta. Perfino uno dei loro leali agenti segreti, se costoro erano convinti che fosse una bomba, avrebbe potuto entrare là dentro e minacciare l’esistenza di suo figlio.

Vaagen aveva chiuso gli occhi, sfinito. Aral poggiò una mano su una spalla di Cordelia e le accennò verso la porta. — La ringrazio, capitano Vaagen. Lei ha fatto tutto il possibile, andando anche oltre il suo dovere.

— All’inferno il dovere — borbottò Vaagen. — Quei bastardi… quei maledetti ignoranti capaci solo di distruggere…

Uscirono, lasciando Vaagen alle prese con la sua indignazione, che neppure la stanchezza sembrava capace di placare. Vorkosigan rimandò Illyan ai suoi molteplici doveri.

— E ora? — gli domandò Cordelia.

Le labbra di lui erano strette in una linea sottile. Nei suoi occhi assenti scorrevano ipotesi e calcoli; i suoi stessi calcoli, si disse Cordelia, complicati da un migliaio di fattori che lei poteva appena immaginare. Infine Aral disse, pensosamente: — Non è cambiato nulla. In effetti, la situazione è la stessa di prima.

— È cambiata, qualunque sia la differenza fra essere nascosto ed essere prigioniero nello stesso luogo. Piuttosto mi chiedo perché Vordarian ha aspettato tanto. Se finora non sapeva dell’esistenza di Miles, chi gliene ha parlato? Possibile che Kareen abbia deciso di collaborare con lui fino a questo punto?

Droushnakovi assunse un’aria infelice a quell’ipotesi.

— Forse Vordarian sta giocando con noi — disse Aral. — Forse sapeva già tutto, e teneva di riserva il simulatore per quando gli fosse servita una nuova leva.

— Teneva di riserva nostro figlio - lo corresse lei. Cercò i suoi occhi, gridando dentro di sé guardami, Aral! - Dobbiamo parlarne. — In fondo al corridoio lo indusse a entrare in una saletta d’attesa, l’anticamera dello spogliatoio dei chirurghi, e accese la luce. Lui andò a sedersi docilmente al tavolo, con Koudelka accanto a sé, e la guardò. Cordelia prese posto di fronte a lui. Sedevamo sempre fianco a fianco, finora… Drou era in piedi alle sue spalle.

Aral la osservò intensamente. — Ebbene? Ti ascolto.

— Voglio sapere cosa stai pensando — disse lei. — Voglio sapere cosa siamo noi in tutto questo?

— Io… mi spiace. A posteriori, sono pentito di non aver tentato un’incursione giorni fa. La Residenza Imperiale è assai meglio difesa dell’Ospedale Militare, e un raid ci costerebbe ora molte perdite. Tuttavia… anche potendo, non farei una scelta diversa. Quando chiedo agli ufficiali del mio staff di aspettare, di non pensare ai loro familiari, non posso impegnare uomini e risorse per i miei motivi privati. La… situazione di Miles mi dà anzi modo di chiedere la loro lealtà, la loro fermezza, di fronte alle pressioni di Vordarian. Sanno che non chiedo a nessuno di affrontare rischi che non sono disposto ad affrontare io stesso.

— Ma ora la situazione è cambiata — precisò Cordelia. — Ora non stai correndo lo stesso rischio. I loro familiari hanno tempo; Miles ha soltanto sei giorni, meno il tempo che sprechiamo a discuterne. — Tutto ciò che sentiva era l’orologio del simulatore che ticchettava nella sua testa.

Lui non disse nulla.

— Aral… in tutti questi mesi ti ho mai chiesto di usare la tua autorità per farmi un favore?

Un sorriso triste aleggiò un attimo sulle labbra di lui e svanì subito. I suoi occhi non erano più sperduti in altri pensieri. — Non mi hai mai chiesto niente, lo so — mormorò. Coi gomiti poggiati sul tavolo unì le mani sotto il mento. Lei incrociò le dita, sforzandosi di nascondere la tensione con la stessa fermezza.

— Te lo chiedo adesso.

— Questo — rispose Aral dopo una lunga pausa, — è un momento molto delicato, nella situazione strategica che si sta sviluppando. Siamo impegnati in due diversi negoziati segreti con due comandanti di Vordarian, che pensano di vendersi a noi. Le forze spaziali stanno per fare la loro scelta. Si prospetta l’eventualità di abbattere Vordarian senza ricorrere a una battaglia molto sanguinosa.

Distratta dai suoi pensieri, Cordelia si trovò a domandarsi quanti dei comandanti di Vorkosigan stavano trattando per vendersi alla parte avversa. Solo il tempo lo avrebbe detto. Il tempo.

Vorkosigan continuò: — Se… se questi negoziati si concludono come spero, avremo l’opportunità di recuperare un buon numero di ostaggi in un colpo solo. Con un’incursione che coglierà Vordarian di sorpresa.

— Io non sto chiedendo un raid in grande stile.

— Lo so. Però un’incursione su piccola scala, che raggiunga o meno l’obiettivo, potrebbe mettere in forse il risultato di una più grossa che volessimo programmare subito dopo.

— Potrebbe.

— Potrebbe — concesse lui, annuendo.

— Fra quanto tempo?

— Circa dieci giorni.

— Non è abbastanza presto.

— No. Cercherò di accelerare le cose. Ma tu devi capire che… se gioco male questa carta, se sbaglio il tempo, il mio errore costerà la vita a parecchie migliaia di uomini.

Cordelia lo capiva. — Va bene. Ma supponiamo di lasciare l’esercito di Barrayar fuori da questa storia. Potrei andare io. Con un uomo o due, non di più, e in assoluta segretezza. Un tentativo del tutto privato.

Lui abbatté le mani sul tavolo. — No! — esclamò. — Sant’Iddio, Cordelia!

— Dubiti della mia competenza? — lo sfidò lei. Io sì. Ma non era quello il momento di metterlo in dubbio. — Quando mi chiami «cara capitana» stai soltanto vezzeggiando un animaletto domestico, o ti rivolgi ai gradi che mi sono guadagnata in servizio?

— Cordelia, io ti ho visto agire in modo eccezionale…

Mi hai anche visto sbattere la faccia in terra, no?

— … ma tu non sei sacrificabile. Dannazione! Questo sì che mi darebbe gli incubi, qui dentro. Aspettare, senza sapere…

— È quello che hai sempre domandato a me. Aspettare. Non sapere. E io l’ho fatto.

— Tu sei più forte di me. Hai una forza che io non capisco.

— Lusinghiero. E poco convincente.

I pensieri di Aral stavano cercando di aggirarla. Poteva leggerlo nello sguardo acuto dei suoi occhi. — No. Non devi andare allo sbaraglio. Te lo proibisco, Cordelia. È escluso. Toglitelo dalla testa. Non posso rischiare di perdervi entrambi.

— Lo stai facendo. Con queste parole.

Lui strinse i denti, abbassò lo sguardo sul tavolo. Messaggio ricevuto e registrato. Koudelka seduto al suo fianco spostava gli occhi dall’uno all’altra, costernato. Cordelia poteva quasi sentire la pressione della mano di Drou, stretta sullo schienale della sua sedia.

Vorkosigan sembrava far fatica a respirare, come fosse schiacciato fra due macigni. Cordelia non aveva alcun desiderio di vederlo così alle strette, così impotente. Capì che stava per ordinarle di dargli la sua parola che non sarebbe uscita dalla Base, che non avrebbe corso nessun rischio.

Aprì le mani, poggiandole sul tavolo. — Nessuno chiederebbe a me di diventare Reggente, ma io avrei dato un’altra risposta.

La tensione abbandonò Vorkosigan, con un sospiro. — Diciamo che non ho avuto abbastanza immaginazione.

Un difetto comune fra voi barrayarani, amore mio.


Mentre tornava al loro appartamento Cordelia trovò il Conte Piotr, in corridoio, giusto davanti alla porta. Era diverso dal vecchio stanco e malmesso che l’aveva lasciata su una pista di montagna. Vestiva un elegante abito da pomeriggio, del taglio preferito dagli anziani Vor o dai membri del governo in pensione: blusa e pantaloni bruni a righe grigie, stivaletti bianchi e neri. Con lui c’era Bothari, di nuovo nella livrea marrone e argento di Casa Vorkosigan. Il sergente teneva piegato su un braccio un pesante soprabito, da cui Cordelia dedusse che la missione diplomatica aveva portato il Conte in qualche distretto settentrionale. I Vorkosigan sembravano dunque in grado di spostarsi ovunque, fuori dalle zone pattugliate dalle truppe di Vordarian.

— Ah, Cordelia. — Piotr le rivolse un cauto cenno di saluto; non era il momento di riaprire le ostilità. Questo le stava bene. Era troppo nervosa, e preferiva non affrontare altri battibecchi in quelle condizioni di spirito.

— Buongiorno, signore. Ha fatto buon viaggio? Spero che ci porti buone notizie.

— Infatti, è così. Dov’è Aral?

— Negli uffici della Sicurezza, credo, a consultarsi con Illyan sulle ultime notizie da Vorbarr Sultana.

— Ah. Cos’è successo?

— È arrivato qui il capitano Vaagen. L’hanno brutalmente percosso, ma è riuscito a fuggire dalla capitale. Sembra che Vordarian abbia finalmente capito che aveva un altro ostaggio. I suoi uomini hanno trovato il simulatore uterino di Miles, all’OMI, e l’hanno portato alla Residenza Imperiale. Mi aspetto che lo usi per fare pressione su di noi, ma senza dubbio voleva che per il momento l’emozione della notizia ci fosse data dal rapporto di Vaagen.

Piotr scosse il capo con una risata secca, aspra. — Non credo che si ritenga in possesso di chissà quale mezzo di pressione.

Cordelia aveva stretto i denti. Li riaprì per chiedere: — Cosa vuol dire, signore? — Lo sapeva benissimo, ma voleva vederlo scoprire i suoi sentimenti. Sputali fuori, dannato vecchio. Fino in fondo.

Lui piegò un angolo della bocca, fra una smorfia e un sorriso. — Voglio dire che Vordarian ha reso involontariamente un servizio a Casa Vorkosigan. Sì, credo che ancora non se ne sia reso conto.

Non parleresti così se qui ci fosse Aral, vecchio… per caso non sarai coinvolto in questa faccenda? Diavolo, questo non poteva chiederglielo. Glielo chiese: — Lei non sa chi avesse motivo di informare Vordarian che in quel laboratorio c’era mio figlio?

Il suo tono era stato chiaro. Piotr non finse di ignorare l’insinuazione. — Io non parlo con i traditori! — sbottò.

— È un conservatore, del suo stesso partito. In molte cose la pensate nello stesso modo. Lei ha sempre rimproverato Aral d’essere troppo progressista.

— Tu osi accusarmi di…! — La sua indignazione si trasformò in rabbia. — Come ti permetti!

Cordelia non era meno furiosa. Lo fronteggiò a pugni stretti. — Io so che lei ha tentato di commettere un omicidio. Perché non anche un tradimento? Posso solo sperare che sia un incompetente nel secondo come lo è stato nel primo!

La voce del Conte vibrava d’ira. — Questo è troppo!

— No, vecchio. Non è neppure abbastanza!

Droushnakovi sembrava completamente terrorizzata. La faccia di Bothari era grigia come il granito. Piotr alzò una mano, come se fosse tentato di strangolarla. Bothari guardò quella mano e strinse le palpebre, con un lampo negli occhi.

— Anche se sbattere quel mutante fuori dalla sua incubatrice è il più grande favore che Vordarian potrebbe farmi, non per questo gli direi una sola parola — ringhiò Piotr. — Sarà molto più divertente vedergli giocare quella carta come se fosse un asso, e lasciare che si chieda poi dove ha sbagliato. Aral sa… immagino che per lui sia un sollievo sapere che Vordarian gli toglie questo peso dalle spalle. O lo hai convinto a fare un’altra spettacolare idiozia?

— Aral non farà niente.

— Bravo ragazzo. Mi chiedevo se saresti riuscita a farne un uomo senza spina dorsale. Ma è un barrayarano, in fondo all’anima.

— Così pare — disse rigidamente lei. Stava tremando. Non meno di Piotr, comunque.

— Questa è una cosa di scarsa importanza — disse il Conte, più a se stesso che a lei, cercando di ritrovare l’autocontrollo. — Ho questioni più importanti da discutere col Lord Reggente. Buonasera, milady. — Le rivolse un ironico mezzo inchino, poi la aggirò, accennando a Bothari di seguirlo.

— Buonasera a lei, signore! — replicò gelidamente Cordelia, ed entrò nell’appartamento senza guardarsi indietro.


Andò avanti e indietro per venti minuti prima di sentirsi in grado di parlare senza digrignare i denti anche con Drou, che s’era seduta in un angolo come per farsi più piccola.

— Lei non pensa sul serio che il Conte Piotr sia un traditore, vero milady? — azzardò infine la ragazza, quando le parve finalmente di vederla più calma.

Cordelia scosse il capo. — No… no. Volevo soltanto sfogarmi. Questo dannato pianeta mi sta facendo diventare matta. Non ne posso più. — Stancamente si gettò a sedere sul divano e appoggiò la nuca alla spalliera. Dopo un poco mormorò: — Aral ha ragione. Non ho il diritto di rischiare. No, questo non è esatto: non ho il diritto di fallire. E non mi fido più molto di me stessa. Non so cosa sia successo alla mia grinta. Perduta anche quella, in terra straniera. — Non riesco a ricordare. Non ricordo come sia successo. La stessa cosa che a Bothari, forse. Due personalità diverse, ma che avevano ceduto entrambe a un’overdose di Barrayar.

— Milady… — Droushnakovi teneva la testa bassa, tormentandosi l’orlo della gonna. — Io sono stata nella Sicurezza Imperiale per tre anni.

— Sì… — Cordelia sospirò, chiuse gli occhi e s’impose di non aprirli, come un esercizio di autodisciplina. — Parlamene, ti prego, se ne hai voglia.

— Negri mi ha insegnato molte cose, personalmente. E siccome dovevo stare giorno e notte con Kareen, lui disse che io ero l’ultima barriera fra la Principessa e Gregor e… chiunque fosse riuscito ad arrivare fino a loro. Mi ha mostrato tutto della Residenza. Spesso mi metteva alla prova. Anche su cose che nessun altro sapeva. Per la Principessa c’erano cinque via di fuga in caso d’emergenza. Due sono conosciute agli uomini della Sicurezza. Di una terza ne aveva informato pochi, come Illyan. Le altre due… credo che nessuno ne abbia mai saputo nulla, a parte Negri e l’imperatore Ezar. Così stavo pensando… — si umettò le labbra, — una via d’uscita segreta è anche una via d’ingresso segreta. Non crede?

— Nel tuo ragionamento ci sono risvolti interessanti, Drou. Come direbbe Aral. Continua — disse Cordelia, senza aprire gli occhi.

— È tutto qui. Se potessi arrivare in qualche modo alla Residenza, scommetto che riuscirei a entrare. Sempre che Vordarian abbia tenuto in funzione tutte le normali procedure di Sicurezza.

— E sapresti anche uscire?

— Perché no?

Cordelia si accorse che s’era dimenticata di respirare. — Drou, tu per chi lavori?

— Per il capitano Ne… — cominciò a rispondere lei. Poi si corresse: — Cioè, Negri è morto. Per il capitano Illyan, adesso.

— Lascia che te lo domandi in un altro modo. — Cordelia aprì un occhio, girandosi a mezzo. — Per chi eri disposta a rischiare la vita, in ordine di precedenza?

— Per Kareen. E Gregor, naturalmente. Era più che un dovere.

— E lo è ancora, se mi è rimasto un grammo d’intuito, no? — Guardò gli occhi azzurri della ragazza. — E lei ti ha dato a me.

— Perché imparassi qualcosa. Lei è una soldatessa.

— Non proprio. Ero incaricata di missioni esplorative. Questo non significa che io non abbia mai combattuto, ovviamente. — Cordelia fece una pausa. — Cosa mi stai proponendo, Drou? Vuoi rischiare la vita per… non dico per un giuramento, queste sono sciocchezze al confronto del vero patriottismo… per cosa, e per chi?

— Per Kareen — rispose con fermezza Droushnakovi. — Io li ho visti i signori ufficiali e i Vor, mentre la riclassificavano sempre più sacrificabile. Per tre anni mi sono dedicata a questo, perché ero convinta che la sua vita fosse importante. Dopo aver vissuto tanto accanto a una donna non si hanno più troppe illusioni su di lei, ma tutti sembrano credere che uno possa spegnere la sua lealtà verso una persona e accenderla per un’altra, come una macchina da guardia. C’è qualcosa di sbagliato in questo. Io voglio… fare almeno un tentativo per Kareen. In cambio… tutto ciò che vuole, milady.

— Ah. — Cordelia si passò un dito sulle labbra. — Mi sembra… equo. Una vita sacrificabile in cambio di un’altra. Quella di Kareen. E quella di Miles. — Incrociò le gambe e per un po’ tacque, cercando di riflettere.

Infine scosse il capo. — Non basta — disse. — A noi serve… uno che conosca la città. Un uomo robusto, che ci spalleggi. Abile con le armi e che sappia tenere gli occhi aperti. Ho bisogno di un amico. — Si mordicchiò un labbro, pensosamente. Poi si alzò e andò al telefono.


— Ha chiesto di vedermi, milady? — domandò il sergente Bothari.

— Sì. Entra, per favore.

Gli alloggi degli ufficiali non intimidivano Bothari, ma quando Cordelia gli indicò una poltrona si accigliò, perplesso. Lei prese posto su quella di Aral, dall’altra parte del tavolino da caffè. Seduta all’estremità del divano Drou si teneva in disparte, silenziosa e riservata.

Cordelia osservò Bothari, e lui le restituì lo sguardo. Sembrava in buona forma, anche se gli occhi rivelavano una certa tensione. Lei la sentiva, empaticamente: energia frustrata che infuriava nei suoi nervi, impulsi di rabbia, nodi di autocontrollo, e una pericolosa aura dai fremiti elettrici, quasi sessuali, ad avvolgere il tutto. Erano forze cieche accumulate senza sosta, bloccate solo dal desiderio di sfogarsi con ordine in una direzione lecita prima di raggiungere un punto di rottura ed esplodere selvaggiamente da sole. Cordelia sbatté le palpebre e rimise a fuoco lo sguardo sulla superficie di quel groviglio interiore: un uomo massiccio e nerboruto in uniforme marrone e argento.

Con sua sorpresa fu Bothari a parlare. — Milady, ha avuto qualche notizia di Elena?

Crede che l’abbia convocato qui per questo. Con sua vergogna, s’era completamente dimenticata di Elena. — Nessuna novità, temo. Come sai già, risulta che sia stata portata con la signora Hysopi in quell’albergo di periferia dove la Sicurezza di Vordarian ha fatto affluire gli ostaggi di secondaria importanza, quando sono rimasti a corto di celle. Non è stata portata alla Residenza Imperiale, né in qualche altro posto. — Elena non era, come Kareen, sul percorso della sua missione segreta. Se lui l’avesse chiesto, come avrebbe potuto promettergli qualcosa?

— Ho saputo di suo figlio, milady. Mi dispiace.

— Il mio mutante, come direbbe Piotr. — Lo scrutò. Poteva vedere le sue reazioni nel corpo, più che su quel volto inespressivo.

— A proposito del Conte Piotr… — disse lui. Tacque, unì le mani sui ginocchi e incrociò con forza le dita. — Ne ho parlato con l’ammiraglio, ma non ho pensato di dirlo a lei. Forse avrei dovuto farlo.

— Puoi sempre dirmi tutto. — E adesso che altro c’era?

— Ieri sono stato avvicinato da un uomo. In palestra. Non portava l’uniforme; niente gradi, neppure una targhetta d’identità. Mi ha offerto Elena. La vita di Elena, se avessi assassinato il Conte Piotr.

— Che tentazione! — ridacchiò Cordelia, prima di poterselo impedire. — E quali, uh, garanzie poteva offrirti?

— È quello che mi sono chiesto anch’io. Dieci minuti dopo una cosa del genere finirei davanti al plotone d’esecuzione, e allora chi si prenderebbe cura di una figlia bastarda e orfana? Ho pensato che fosse una finta, una di quelle con cui la Sicurezza mette alla prova gli uomini. Però questo individuo non l’ho più visto alla Base, anche se l’ho cercato. È come svanito. — Sospirò. — Ora mi chiedo se non ho avuto un’allucinazione.

A giudicare dallo sguardo con cui lo fissava, Drou era chiaramente propensa per quest’ultima ipotesi. Per fortuna Bothari era voltato e non notò la sua espressione. Cordelia le lanciò un’occhiata di tralice, seccata.

— Hai mai avuto allucinazioni? — gli domandò.

— Non credo. Solo brutti sogni. Cerco di non dormire.

— Io… ho un dilemma personale, ora — disse lei. — Tu immagini quale. Mi hai sentito parlare con il Conte Piotr.

— Sì, milady.

— Hai saputo del limite di tempo?

— Limite di tempo?

— Se non viene rifornito, il simulatore uterino cesserà di tenere in vita Miles entro sei giorni. Mio marito dice che non è più in pericolo dei familiari dei suoi ufficiali. Io non sono d’accordo.

— C’è gente che dice altre cose, dietro le sue spalle.

— Ah?

— Dicono che è una sciocchezza. Il figlio dell’ammiraglio è una specie di mutante, non un vero figlio, mentre loro hanno ben di più da perdere.

— Non credo che sappia… che dicono questo.

— Chi oserebbe dirglielo in faccia?

— Pochi. Forse neppure Illyan. — Anche se Piotr non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione, se quelle chiacchiere fossero giunte a lui. Cordelia rifletté qualche istante, poi chiese: — Sergente, tu per chi lavori?

— Sono un Armiere Giurato del Conte Piotr — recitò Bothari, sapendo che era una risposta ovvia. La scrutò più attentamente, con l’ombra di un sorriso aspro su un angolo della bocca.

— Permettimi di dirlo in un altro modo. Io so che la punizione per un Armiere che sia assente ingiustificato è molto grave. Tuttavia, supponiamo che…

— Milady. — Bothari alzò una mano, fermandola a metà della frase. — Ricorda, sul prato di fronte a Vorkosigan Surleau, mentre mettevamo il corpo di Negri nell’aereo, quando il mio Lord Reggente mi ha ordinato di ubbidire a lei come alla sua stessa voce?

Cordelia alzò le sopracciglia. — Sì…?

— Non ha ancora ritirato questo ordine.

— Sergente — disse lei, stupita, — non avrei mai creduto che tu fossi un avvocato da caserma.

Il millimetrico sorriso di Bothari s’indurì. — La sua voce, milady, è legalmente la voce dell’Imperatore.

— Sì, è così — sussurrò lei, con un lampo negli occhi.

Bothari si piegò in avanti. Le sue mani, sui ginocchi, erano adesso ferme come blocchi di roccia. — Allora, milady, cosa mi stava dicendo?


Nella vasta rimessa sotterranea del Reparto Veicoli i rumori echeggiavano come in una caverna. Le ombre, fra i pilastri che sorreggevano il soffitto, erano tagliate solo dai riflessi delle luci bianche accese oltre le pareti di vetro dell’ufficio. Ferma nella penombra accanto al portello del pozzo antigravità, con Drou alle spalle, Cordelia guardava Bothari che parlava con l’ufficiale addetto ai trasporti. Un Armiere del Generale Conte Piotr Vorkosigan si stava facendo assegnare un veicolo per il suo Lord. I documenti e i codici d’accesso di cui Bothari era fornito stavano apparentemente funzionando bene. L’addetto ai trasporti infilò la tessera di Bothari nel suo computer, gli chiese di firmare con l’impronta del palmo sulla piastra di un sensore, e poi si volse a dar ordini a un sottufficiale.

Cordelia si chiese ansiosamente se un piano così semplice sarebbe andato liscio. E in caso contrario, che alternative avevano? Nella sua mente tornò l’immagine del percorso che avevano stabilito, linee rosse tracciate su una carta geografica. Non a nord verso il loro obiettivo, ma prima a sud, per via di terra, attraverso il più vicino distretto leale all’Imperatore. Abbandonare la troppo riconoscibile vettura governativa, prendere la monorotaia verso ovest fino in un altro distretto, quindi a nord-ovest per un altro ancora. Poi a est nel Distretto Vorinnis, un territorio neutrale su cui si puntavano le attenzioni diplomatiche di entrambe le parti avverse. Cordelia ripensò a un commento del Conte Piotr: «Stanne certo, Aral. Se Vorinnis non la smette di tenere i piedi in due staffe, e di fare un gioco sporco ai danni di tutte e due, dovremo impiccarlo più in alto di Vordarian quando tutto questo sarà finito.» Dalla città capoluogo di quel distretto avrebbero dovuto raggiungere infine, in qualche modo, la capitale. Un numero di chilometri scoraggiante da percorrere. Tre volte superiore alla distanza in linea d’aria. E tutto il tempo che avrebbe richiesto. Il suo cuore puntava a nord come l’ago di una bussola.

Il primo e l’ultimo distretto sarebbero stati i più difficili. Le truppe di Aral potevano essere ostili a quell’escursione quanto quelle di Vordarian. La sua testa era così piena di probabilità sfavorevoli che l’insieme le appariva impossibile.

Un passo alla volta, si disse con fermezza. Un passo alla volta. Intanto dovevano uscire dalla Base Tanery; questo era già fatto a metà. Dividere il futuro in paragrafi di cinque minuti, in capitoli di un’ora, e prenderli uno alla volta.

Ecco, pensò: i primi cinque minuti erano già trascorsi, e una vettura lucida e veloce stava uscendo dalle rimesse sotterranee. Una piccola vittoria, che premiava la loro piccola prima mossa e il vago pericolo di quell’attesa. Quale premio avrebbero meritato mosse più ardite e pericoli più grandi?

Bothari esaminò il veicolo con sospettosa meticolosità, come se a prima vista non gli sembrasse troppo adeguato a ospitare il suo Lord. L’ufficiale addetto ai trasporti aspettava ansiosamente, e parve sollevato quando l’Armiere del generale, dopo aver passato una mano sulla capote accigliandosi per la presenza di qualche granello di polvere, diede la sua approvazione con un grugnito. Bothari portò la vettura all’imbocco del pozzo antigravità e la parcheggiò lì, in modo che dall’ufficio non si vedesse bene quali passeggeri uscivano per salire a bordo.

Drou si chinò a raccogliere le loro borse da viaggio, dove oltre agli indumenti personali c’era una quantità di altri oggetti, fra cui le armi ed i souvenir del viaggio in montagna di Cordelia e di Bothari. Bothari restrinse i finestrini dell’abitacolo posteriore e scurì di qualche grado i vetri polarizzati.

— Milady! — esclamò la voce di Koudelka dall’ingresso del pozzo antigravità dietro di loro. — Cosa state facendo?

I denti di Cordelia azzannarono la parolaccia che le stava uscendo di bocca. Costrinse le sue labbra a piegarsi in un melenso sorriso di sorpresa e quando fu certa che l’espressione avrebbe resistito si voltò. — Ehilà, Kou. Che fai di bello da queste parti?

Lui guardò Droushnakovi, guardò Bothari, guardò le borse e corrugò le sopracciglia. — L’ho chiesto prima io — disse. Stava ansimando. Doveva aver corso alla sua ricerca per qualche minuto, dopo non averla trovata nell’appartamento degli alloggi ufficiali. Una coincidenza che non ci voleva.

Cordelia continuò a sorridere imperterrita, mentre in lei balenava l’immagine di una squadra della Sicurezza che piombava fuori dal pozzo per arrestare tutti loro, o almeno i loro piani. — Stiamo andando in città… a far compere.

Lui ebbe una smorfia scettica. — Sì? E l’ammiraglio lo sa? E allora dov’è la scorta di Illyan per gli spostamenti fuori dalla Base?

— Ci aspetta più avanti — lo informò Cordelia.

La possibilità che fosse vero gli fece apparire un’ombra di dubbio nello sguardo. Ma ahimè, l’ombra fu effimera. — Senta, milady, aspetti un minuto…

— Tenente — lo interruppe Bothari. — Dia un’occhiata lì, per favore. — E gli indicò il compartimento posteriore della vettura.

Koudelka si piegò per guardare nell’interno. — Cosa c’è? — chiese, con impazienza.

Cordelia ebbe un fremito quando la mano di Bothari si abbatté di taglio sotto la nuca di Koudelka, e fremette ancora nel sentire il thud con cui la sua testa urtò nello sportello opposto allorché Bothari lo fece volare avanti con una spinta. Il bastone-spada rotolò sul tappetino.

— Dentro — grugnì il sergente, controllando con una rapida occhiata la situazione nell’ufficio.

Droushnakovi gettò le borse nel compartimento e si affrettò a entrare, togliendo di mezzo le gambe inerti di Koudelka. Cordelia raccolse il bastone e s’infilò dietro di lei. Bothari fece un passo indietro, salutò rispettosamente, abbassò la portiera e salì al posto di guida.

Partirono con calma e senza scosse. Cordelia dovette reprimere un momento di panico quando dovettero fermarsi al primo posto di controllo. Poteva vedere e sentire nitidamente le guardie che s’erano accostate alla vettura. Era difficile ricordare che da fuori vedevano soltanto le loro facce riflesse nei cristalli. Ma il generale Piotr, evidentemente, era uno di quei potenti a cui nessuno amava far perdere un istante di troppo. Che soddisfazione essere il generale Piotr. Anche se in quel periodo neppure Piotr avrebbe potuto entrare nella Base Tanery senza aprire tutti gli sportelli e magari anche il portabagagli. Al cancello esterno il servizio di guardia era impegnato nel controllo di un convoglio di camion in arrivo. Quella coincidenza favorevole parve a Cordelia uno stupido spreco; l’elenco di colpi di fortuna con cui il Fato li lasciava partire era sicuramente breve: perché usarne subito uno quando non era poi così drammaticamente necessario?

Fra lei e Droushnakovi riuscirono infine a raddrizzare Koudelka in mezzo a loro. Grazie al cielo il suo corpo non era più flaccido in modo tanto allarmante. Stava mugolando e scuoteva la testa, senza ancora aprire gli occhi. La testa, il collo e la colonna vertebrale erano fra le zone del suo corpo prive di nervi artificiali; Cordelia si augurò che niente di inorganico si fosse rotto.

Droushnakovi sbuffò, preoccupata. — Cosa dobbiamo fare con lui?

— Non possiamo scaricarlo sul marciapiede. Tornerebbe subito indietro a dare l’allarme — disse Cordelia. — Se lo impastoiassimo a un albero, fuori strada, forse non lo troverebbero tanto presto… si sta riavendo. Credo che sia prudente legarlo.

— Posso puntargli uno storditore alla testa.

— Ti ubbidirebbe più facilmente se lo puntassi alla tua testa. Meglio non correre rischi.

Droushnakovi tirò fuori una sciarpa di seta da una delle borse e gli legò i polsi. Benché improvvisato, il nodo fu fatto da mani esperte.

— Chissà che non ci venga utile anche lui — rifletté Cordelia.

— Ci tradirebbe — pronosticò Droushnakovi, accigliata.

— Forse no. Non in territorio nemico. Andare avanti, allora, sarà l’unica scelta.

Koudelka sbatté le palpebre, fissò per qualche secondo la nebbia che gli riempiva la testa, poi il suo sguardo tornò a fuoco. Cordelia notò con sollievo che le sue pupille erano della stessa larghezza.

— Milady, cosa… dannazione. — Le sue mani lottarono inutilmente con la sciarpa di seta. — Questa è una pazzia. Lei sta correndo dritta nelle mani di Vordarian. Così lui avrà due manici con cui manovrare l’ammiraglio, invece di uno solo. E lei e Bothari sapete dov’è l’Imperatore!

— Dov’era una settimana fa — lo corresse Cordelia. — Sono certa che hanno continuato a farlo spostare. E Aral, direi, ha già dimostrato che non si piega ai ricatti. Non sottovalutarlo.

— Sergente Bothari! — Koudelka si piegò in avanti verso l’interfono. Il cristallo divisorio era anch’esso opacizzato, nei due sensi.

— Sì, tenente? — rispose la voce di Bothari, indifferente.

— Ti ordino di tornare indietro. Ferma la macchina.

Ci fu una breve pausa. — Io non faccio parte del Servizio, signore. Sono in congedo.

— Il Conte Piotr non ha ordinato questo! E tu sei un Armiere del Conte Piotr!

Una pausa un po’ più lunga. — No. Io sono al servizio di Lady Vorkosigan.

— Tu sragioni. Non hai preso le tue medicine!

Come potesse passare nel collegamento audio Cordelia non avrebbe saputo dirlo, ma dinnanzi a loro aleggiò un sogghigno lupesco.

— Avanti, Kou — lo blandì. — Stai dalla mia parte. È per una buona causa. Chissà che un po’ di adrenalina non ti faccia bene.

Dall’altra parte di Koudelka, Droushnakovi inarcò un sopracciglio. Poi ebbe un sorrisetto asprigno. — Guardala a questo modo: chi altro verrà mai a darti una possibilità di combattere sul campo?

Gli occhi di lui di spostarono a destra e a sinistra, fra le due donne che l’avevano catturato. Il ronzio del motore salì di tono mentre la vettura accelerava nel crepuscolo sempre più scuro.

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