Un aspetto della sua nuova vita di consorte del Reggente che Cordelia trovò più facile del previsto da manovrare fu l’invadente presenza delle guardie nella loro casa. La sua vita militare nella Sorveglianza Astronomica Betana, e quella di Vorkosigan nel Servizio barrayarano, li avevano abituati agli ambienti poco intimi e molto frequentati. A Cordelia non occorse molto per conoscere di nome tutti i membri del personale ed a imparare a trattarli nei termini a loro comprensibili. Le guardie erano un gruppetto di giovani vivaci, ben addestrati e orgogliosi del loro lavoro. Anche se, quando il Conte Piotr era in città con tutti i suoi uomini in livrea, l’impressione di abitare in un campo militare diventava seccante.
Era stato il Conte a proporre un torneo informale di match di lotta libera fra gli uomini di Illyan e i suoi. A dispetto del borbottio del capitano della sicurezza sul fatto che i primi si allenassero a spese di quelli in forza nel Servizio imperiale, Piotr aveva fatto montare un ring nel giardino posteriore e gli incontri settimanali erano ben presto divenuti una tradizione. Anche Koudelka era stato coinvolto, come esperto dei regolamenti e arbitro ufficiale delle competizioni, mentre Piotr e Cordelia, sugli opposti schieramenti di panche, facevano il tifo per le due squadre. Vorkosigan interveniva non appena poteva, e sempre con gran soddisfazione di Cordelia. Sapeva che il marito aveva bisogno di una pausa nella dura routine di affari governativi a cui si sottoponeva ogni giorno.
In quel soleggiato mattino d’autunno Cordelia era seduta sul sofà, in attesa dell’inizio dei match, con un cameriere e Droushnakovi in piedi dietro di lei. Gli uomini delle due squadre, in tuta, erano impegnati a scaldarsi. Koudelka aveva tolto il telone dal ring e stava scrivendo il programma degli incontri di quel giorno, seduto a un tavolo da giardino. Ogni match era al meglio dei tre atterramenti, con una sola ripresa di cinque minuti al termine della quale era facoltà dell’arbitro assegnare una vittoria ai punti o far proseguire lo scontro finché uno dei lottatori non avesse schienato l’altro. I vincitori passavano alle semifinali e poi in finale. D’un tratto Cordelia ebbe l’impulso di chiedere: — Perché tu non gareggi mai, Drou? Sono certa che hai bisogno di allenamento quanto loro. La scusa buona l’avresti… non che voi barrayarani abbiate bisogno di scuse per praticare le arti marziali.
Droushnakovi guardò il ring con desiderio, ma disse: — Non sono stata invitata, milady.
— Allora qualcuno ha commesso una svista grossolana. Mmh. Ti dirò io cosa fare: vai subito a cambiarti. Tu sarai la mia squadra. Oggi Aral è qui per badare alla sua. Un vero torneo barrayarano deve avere almeno tre parti in lizza, no? Per tradizione.
— Lei pensa che sia una cosa giusta? — chiese la bionda, incerta. — A loro potrebbe non piacere.
Il «loro» in questione erano quelle che Droushnakovi chiamava le «vere» guardie del corpo, gli uomini in livrea, più ancora di quelli della Sicurezza capitanati da Illyan.
— Aral sarà d’accordo. Chiunque vorrà protestare potrà fare le sue rimostranze a lui. Se oserà. — Cordelia sogghignò. Droushnakovi le restituì il sorriso e rientrò in casa.
Aral uscì in giardino, sedette sul sofà e ascoltò in silenzio mentre lei lo metteva al corrente del suo progetto. Poi inarcò un sopracciglio. — Innovazione betana, eh? Be’, perché no? Ma spero che la tua corazza contro le battute salaci non abbia falle, mia cara capitana.
— Sono pronta a tutto. Ma i ragazzi non avranno più tanta voglia di scherzare quando Drou ne avrà sbattuti giù un paio. Io credo che possa farlo… su Colonia Beta quella ragazza avrebbe già i gradi di ufficiale e un comando. Qui deve sprecare il suo talento naturale ciondolando attorno a me tutto il giorno. Se non sarà all’altezza… be’, vuol dire che non è in grado di difendermi, no? — Lo guardò negli occhi.
— Giusta osservazione. Dirò a Koudelka di assegnarla, almeno per il primo match, contro un uomo della sua stessa taglia. In termini di peso appartiene alla categoria inferiore.
— È più alta di te.
— Qui conta il peso. Io suppongo di avere qualche chilo di muscoli più di lei. Comunque, i tuoi desideri sono ordini per me. O-uch! — Si alzò in piedi e andò al tavolino di Koudelka, che stava battendo la lista degli accoppiamenti su un minischermo portatile. Cordelia non poté sentire cosa si dicevano, dall’altra parte del giardino, ma dai gesti e dalle espressioni le parve di poter ricostruire il dialogo a questo modo. Aral: «La mia signora vuol far partecipare anche la signorina Droushnakovi.» Kou: «Eh? Una donna? Dico, vuole far salire una femmina sul ring, contro gli uomini?» Aral: «Così pare.» Kou: «Questi fanno già un baccano d’inferno. Il chiasso si sentirà anche fuori. E poi qui c’è gente che non scherza. Il sergente Bothari la metterà sotto…» Aral: «Mmh, spero che tu intenda il gesto sportivo, e non l’altro, tu sai quale.» Kou: «Si tolga quel sorriso dalla faccia, Vorkosigan. Senta, se vuole la mia opinione…» Aral: «La mia signora insiste. Tu sai che ho le mani legate.» Kou: «Oh, be’, come le pare.» Cordelia lo vide annotare il nome. Transazione completata. Il resto spetta a te, Drou.
Vorkosigan tornò da lei. — Tutto sistemato. Comincerà contro uno degli uomini di mio padre.
Droushnakovi riapparve con indosso pantaloncini al ginocchio, maglietta e scarpe di gomma, la tenuta più vicina a quella degli uomini che il suo guardaroba potesse fornire. Il Conte uscì di casa e andò a consultarsi col suo caposquadra, il sergente Bothari; poi trovò un posto dove scaldarsi le ossa al sole, su una panca non distante dal sofà. Gli incontri cominciarono, e il primo si concluse con una vittoria ai punti. Il perdente andò a farsi medicare un’escoriazione, seguito dai fischi della squadra avversaria.
— Ehi, che significa? — esclamò Piotr quando Koudelka chiamò la seconda coppia e a salire sul ring furono Droushnakovi e uno dei suoi uomini. — Stiamo importando le usanze betane, adesso?
— La ragazza ha una grossa esperienza sportiva alle spalle — gli rispose Vorkosigan. — Inoltre ha bisogno di tenersi in allenamento quanto gli altri. Il suo lavoro è ancor più importante del loro.
— Sicuro, e poi vorrai far entrare le donne nel Servizio, magari — brontolò Piotr. — Dove andremo a finire, di questo passo? Ecco cosa mi piacerebbe sapere.
— Cosa ci sarebbe di sbagliato, con le donne nel Servizio? — lo stuzzicò Cordelia, non resistendo alla tentazione.
— Ci sarebbe che non è… militare! — sbottò il vecchio.
— «Militare» è qualunque cosa riesca a vincere una guerra, direi. — Cordelia sorrise blandamente. Un piccolo amichevole sorriso d’avvertimento di Vorkosigan la trattenne dal lanciare ancora qualche frecciatina.
Ma non fu necessario insistere. Piotr tornò a voltarsi verso i suoi lottatori, limitandosi a mugolare: — Ummpfh!
L’uomo del conte sottovalutò la sua avversaria affrontandola con noncuranti saltelli, e allorché uno sgambetto lo mandò al tappeto parve attribuirlo a un suo errore di distrazione. Quando si rialzò era molto più concentrato. Gli spettatori fecero udire fischi, commenti e risatine. I due contendenti si allacciarono per le braccia, rotolarono sul ring e dopo tre o quattro contorsioni l’uomo riuscì a spingere sul tappeto le scapole di Droushnakovi.
— Koudelka ha contato troppo in fretta, non è sembrato anche a te? — commentò Cordelia dopo la decisione arbitrale, mentre l’uomo del conte lasciava alzare la bionda.
— Mmh. Forse — concesse Vorkosigan, senza compromettersi.
— Ho notato che Drou non affonda i colpi al massimo. Non potrà farcela con quell’avversario, se continua a essere così indecisa.
Durante il secondo ingaggio, quello che avrebbe potuto portare al fatale due-su-tre, Droushnakovi applicò con successo una presa al braccio che mise l’uomo a mal partito, ma nel momento cruciale lasciò che l’altro le scivolasse via con una contorsione.
— Oh, che peccato — la compatì allegramente il Conte Piotr.
— Dovevi insistere fino a spezzargli il braccio, Drou! — gridò Cordelia, lasciandosi coinvolgere quanto gli altri. Subito dopo, il lottatore del Conte non riuscì a evitare che uno sgambetto lo mandasse di nuovo al suolo e reagì con un calcio all’inguine che Droushnakovi ammortizzò con una mano. — Questo è irregolare! Arbitro! — gridò Cordelia. Ma Koudelka, che si muoveva appoggiandosi al suo bastone, lasciò correre. Tuttavia Droushnakovi si gettò sull’avversario prima che si rialzasse e lo uncinò al collo con un braccio, schiacciandolo a pancia sotto con tutto il suo peso. Il volto dell’uomo cominciò a diventare paonazzo.
— Perché non batte la mano sul tappeto? — domandò Cordelia.
— Preferirebbe morire soffocato — replicò Aral. — Almeno così non dovrebbe affrontare i commenti dei suoi compagni.
Droushnakovi stava indugiando troppo, come incerta, mentre l’altro strabuzzava gli occhi nelle orbite. Cordelia capì che il braccio di lei avrebbe rilassato la pressione contro la gola, e balzò in piedi. — Strangolalo, Drou! Non mollarlo, dannazione! Non lasciartelo scappare! — La bionda la sentì e rafforzò la presa. Il volto dell’avversario assunse una sfumatura bluastra.
— Lo tolga di lì, Koudelka — si decise a dire Piotr, scuotendo malinconicamente la testa. — Stasera è di servizio. — L’arbitro prese atto che si trattava di un ritiro chiesto ufficialmente, e assegnò il match a Droushnakovi.
— Ottimo incontro, Drou! — si congratulò Cordelia battendole una mano su una spalla, quando la ragazza scese dal ring. — Ma devi essere più aggressiva. Libera i tuoi istinti omicidi.
— Sono d’accordo — disse inaspettatamente Vorkosigan. — La piccola esitazione che hai mostrato potrebbe avere conseguenze fatali… e non solo per te. — La guardò negli occhi. — Qui stai facendo pratica per la realtà, anche se tutti preghiamo che non debba mai essercene bisogno. Il fatto di agire col massimo della violenza dev’essere una reazione automatica.
— Sì, signore. Ci proverò, signore.
L’incontro successivo vide salire sul ring il sergente Bothari, che schienò il suo avversario due volte di seguito in poche mosse. Lo sconfitto tornò fra i compagni massaggiandosi le reni con una smorfia. Nella mezzora che seguì ci furono altri sei incontri; gli ottavi di finale terminarono e subito cominciarono i quarti. Il primo incontro toccò a Droushnakovi, stavolta contro uno degli uomini di Illyan. I due contendenti si unirono in una presa in piedi, tenendosi per le braccia e tentando alcune mosse. Mentre erano sotto sforzo l’uomo disse una spiritosaggine offensiva che scatenò le risate del pubblico. Irritata e distratta, Droushnakovi si lasciò sbilanciare e finì con la schiena al tappeto.
— Hai visto cosa le ha fatto quello! — gridò Cordelia ad Aral. — È stato uno sporco trucco!
— Mmh. Non era uno degli otto colpi proibiti, però. Non puoi pretendere che sia squalificato. Comunque… — Vorkosigan richiamò l’attenzione di Koudelka e chiese un time-out. Poi accennò a Droushnakovi di venire a bordo ring per una breve consultazione.
— La scortesia del tuo avversario è stata antisportiva — le disse a bassa voce. La ragazza aveva le labbra strette ed era rossa in faccia. — Però, come rappresentante della Contessa Vorkosigan, mia moglie, un insulto fatto a te è un insulto fatto a lei. Un brutto precedente. È mio desiderio che il tuo avversario non lasci il ring coi suoi piedi. In che modo, è un problema tuo. E smettila di preoccuparti delle ossa rotte, — aggiunse, con noncuranza.
Droushnakovi tornò a centro ring con una piega di concentrazione fra le sopracciglia e gli occhi stretti, minacciosi. Dopo alcuni preliminari attaccò l’avversario con un calcio alla mandibola, seguito da una violenta gomitata al plesso solare che lo mandò alle corde, e completò l’opera con un secondo calcio all’altezza del cuore. L’uomo andò al tappeto e rotolò di lato, ansimando. Non fu capace di rialzarsi. Sul pubblico piombarono alcuni momenti di sbalordito silenzio.
— Avevi ragione — disse Vorkosigan. — La ragazza stava trattenendo i colpi.
Cordelia ebbe un sorrisetto aspro e sedette più comodamente. — Lo supponevo.
Finiti i quarti, ci fu il sorteggio per le semifinali, e Droushnakovi ebbe la cattiva sorte d’essere accoppiata al sergente Bothari.
Cordelia si piegò verso il marito. — Mmh — mormorò, preoccupata. — Non sono sicura della psicodinamica di questo scontro. Sarà innocuo? Voglio dire per entrambi, non solo per la ragazza. E non intendo innocuo fisicamente.
— Credo di sì — rispose lui con calma. — La vita al servizio del Conte è stata tranquilla e regolare. Ha continuato a prendere le sue medicine. Penso che al momento sia in buona forma psichica. E l’atmosfera del ring è qualcosa di familiare per lui. Occorrerebbe molta più tensione di quella che può causare Drou per procurargli una ricaduta.
Cordelia annuì, soddisfatta, e si rassegnò ad assistere al massacro. Droushnakovi le parve innervosita, ma non dalle dimensioni fisiche dell’avversario. Probabilmente i suoi fratelli non erano molto più leggeri di Bothari. Forse aveva notato in lui, col suo occhio esperto, i movimenti del killer che era stato un tempo.
L’inizio fu lento, perché la bionda aveva deciso di giocare d’agilità e si teneva fuori portata. Costretto a spostarsi intorno al ring più del solito per evitare i due, Koudelka premette accidentalmente il pulsante del bastone spada e il fodero volò sopra le teste degli spettatori, infilandosi in una siepe. Bothari ne fu distratto per una frazione di secondo, e tanto bastò a Droushnakovi per colpire, basso e con scattante violenza. La sua spallata con sgambetto mandò Bothari a sedere sul tappeto, ma l’uomo rotolò via svelto e balzò di nuovo in piedi senza concederle la minima possibilità di approfittarne.
— Bel colpo! — gridò Cordelia, estasiata. Droushnakovi sembrava stupita come tutti gli altri. — Tieni conto di questo, Kou!
Il tenente Koudelka s’era accigliato. — Non è un atterramento valido, milady — rispose, facendo cenno ai due di restare fermi. Qualcuno gli andò a prendere il fodero, e lui infilò la lama al suo posto. — Mi spiace, signori. La distrazione è stata colpa mia. Vi chiedo scusa.
— L’offesa di prima non l’hai chiamata una distrazione! — protestò Cordelia.
— Lascia perdere, mia cara — disse Vorkosigan sottovoce.
— Ma le ha tolto il punto — sussurrò furiosamente lei. — E che punto! Bothari non era mai stato mandato a terra da nessuno.
— Sì. A Koudelka stesso occorsero sei mesi d’allenamento, a bordo della Generale Vorkraft, prima di metterlo giù.
— Oh. Uhm… — Questo la fece riflettere. — Credi che sia geloso di lei?
— Pensi che non ci faccia caso? Lei ha tutto ciò che lui ha perduto.
— Io ho visto solo che l’ha trattata rudemente in più di una circostanza. Non avrebbe dovuto. Lei così ovviamente…
Vorkosigan alzò un dito. — Parliamone più tardi. Non qui.
Lei esitò, poi ebbe un cenno d’assenso. — Giusto.
L’incontro continuò, e fu breve, perché il sergente Bothari mise due volte al tappeto Droushnakovi senza complimenti. Poco dopo, in finale, schienò il suo ultimo avversario ancora più in fretta.
Un cameriere stava servendo i rinfreschi quando da un gruppetto di lottatori, dall’altra parte del ring, emerse il tenente Koudelka, con le funzioni di portavoce.
— Signore? Ci stavamo chiedendo se lei vorrebbe fare un incontro d’esibizione, contro il sergente Bothari. Gli uomini, qui, non l’hanno mai vista lottare.
Vorkosigan scartò l’idea con un gesto non troppo convincente. — Sono fuori forma, tenente. E poi, come sanno che pratico questo sport? Qualcuno ha raccontato aneddoti?
Koudelka sogghignò. — Più o meno. Credo che potrebbero vedere qualcosa d’interessante, su ciò che questo tipo di lotta libera può esprimere.
— Temo di non poter esprimere molto, oggi come oggi.
— Pensi che possa essere più spettacolare di quel che abbiamo visto finora? — domandò Cordelia.
— Dipende. Ultimamente ti ho offesa? Vedermi percosso da Bothari ti servirebbe da catarsi emotiva?
— Forse potrebbe servire a te — disse Cordelia, visto il suo ovvio desiderio di lasciarsi convincere. — Credo che tu abbia sentito la mancanza di questo genere di cose, nei lavori da scrivania a cui sei inchiodato da tempo.
— Sì… — Vorkosigan si alzò, accettò un breve applauso d’incoraggiamento, si tolse la giacca dell’uniforme, le scarpe, gli anelli e svuotò le tasche; poi saltò sul ring per fare un po’ di riscaldamento.
— Meglio che tu arbitri anche questo incontro, Kou — disse. — Tanto per rassicurare i presenti sulla regolarità.
— Sì, signore. — Prima di salire fra le corde Koudelka si fermò accanto a Cordelia. — Mmh. Lei non si allarmi eccessivamente, milady. Tenga presente che hanno fatto incontri come questo per anni, e finora non si sono mai ammazzati.
— Perché dovrei preoccuparmi, se lei mi conforta con parole così tranquillizzanti? Comunque, Bothari ha già fatto diversi incontri questa mattina. Forse è stanco.
I due uomini lasciarono i rispettivi angoli e si scambiarono l’inchino rituale. Koudelka diede il via e si affrettò a togliersi di mezzo. L’umore garrulo dei presenti si spense, mentre Vorkosigan e Bothari si fronteggiavano con una fredda e immobile concentrazione che attrasse gli occhi di tutti. Cominciarono a girarsi intorno, chini in avanti, le braccia protese; poi si allacciarono in una stretta improvvisa. Cordelia non riuscì a capire bene cosa successe, ma quando i due si separarono Vorkosigan stava sputando sangue da un taglio alla bocca e Bothari si comprimeva l’addome con una smorfia di dolore.
Nel successivo ingaggio il sergente incassò una gomitata fra le costole, ma fece pagare quella mossa all’avversario con un calcio così violento da mandarlo fuori dal quadrato, al di là delle corde. Vorkosigan cadde malamente sull’erba, si rialzò, scosse il capo e fece ritorno sul ring. Gli uomini responsabili della protezione fisica del Reggente si scambiarono sguardi allarmati. A denti stretti Illyan accennò loro di stare calmi. Non erano passati venti secondi che Vorkosigan piombò al tappeto con un tonfo che fece sbarrare gli occhi ai presenti, e subito dopo Bothari si gettò su di lui a ginocchi uniti per schienarlo di forza. Cordelia trasalì nel vedere le costole del marito piegarsi sotto il peso che gli stava schiacciando il torace. Un paio di guardie balzarono in piedi e corsero a bordo ring, ma Koudelka le fece allontanare, e Vorkosigan, rosso in faccia e ansante, batté una mano sul tappeto.
— Uno schienamento a zero per il sergente Bothari — annunciò Koudelka. — Due su tre, signore?
Bothari si rialzò, con un sorrisetto aspro. Vorkosigan restò seduto una trentina di secondi per riprendere fiato. — Un altro, almeno — rispose. — Voglio la rivincita. Uh, sono fuori forma.
— Gliel’avevo detto — mormorò Bothari.
Ripresero a girarsi intorno, si abbracciarono in un rapido ingaggio, si separarono, tornarono ad allacciarsi, e all’improvviso Bothari rotolò al tappeto con una spettacolare capriola, mentre Vorkosigan lo seguiva nel movimento torcendogli il braccio sinistro fin quasi a slogargli la spalla. Bothari compì un paio di tentativi di liberarsi, poi batté la mano al suolo. Stavolta fu lui a dover fare una pausa di mezzo minuto prima di rialzarsi.
— Stupefacente — commentò Droushnakovi, che si mangiava quello spettacolo con gli occhi. — In specie considerando la sua statura così inferiore.
— Piccolo ma cattivo, eh? — annuì Cordelia, affascinata. — Prendine nota.
Il terzo ingaggio fu breve. Un vortice di mosse e di colpi, quindi i due rotolarono al tappeto in una posizione che si concluse con una presa al braccio di Bothari ai danni dell’avversario. Vorkosigan, poco saggiamente, tentò di liberarsi con una contorsione, e l’altro, con faccia inespressiva, gli slogò il braccio all’altezza del gomito con un pop chiaramente udibile. Vorkosigan ringhiò di dolore e batté la mano sul ring. Koudelka dovette bloccare di nuovo un tentativo non richiesto di soccorso da parte delle guardie del corpo, che stavano imprecando furiosamente.
— Rimettimi l’osso a posto, sergente — grugnì Vorkosigan, disteso al suolo, e Bothari gli tenne fermo il braccio con un piede e gli diede un’accurata torsione.
— Devo ricordare — ansimò Vorkosigan, — di non farlo spesso.
— Se non altro non le ha rotto l’osso, stavolta — commentò Koudelka in tono incoraggiante, mentre lo aiutava a rimettersi in piedi con l’assistenza di Bothari. Vorkosigan scese lentamente dal ring e andò a sedersi, con cautela, sull’erba davanti a Cordelia. Anche Bothari camminava con una certa difficoltà, palpeggiandosi le reni.
— Questo — disse Vorkosigan ancora col fiato mozzo, — è il modo in cui… ci allenavamo… a bordo della Generale Vorkraft.
— Tutti questi sacrifici — ribatté Cordelia, — e quante volte avrete messo in pratica la lotta a mani nude in una situazione di combattimento reale?
— Molto più spesso di quello che puoi credere. Ma quando ci è capitato di farlo, abbiamo vinto.
La riunione si sciolse e i partecipanti tornarono al loro lavoro quotidiano, fra un mormorio di commenti. Cordelia accompagnò Aral in casa, si prese cura del suo gomito e del taglio alla bocca, lo aiutò a fare la doccia e poi tirò fuori un cambio d’abiti, mentre lui si sdraiava bocconi sul letto per farsi massaggiare la schiena.
Durante il massaggio lei tornò all’argomento che quel mattino aveva cominciato a darle da pensare.
— Pensi che potresti dire qualcosa a Kou, sul modo in cui tratta Droushnakovi? Non è da lui comportarsi così. Quella ragazza si fa in quattro per riuscirgli simpatica, e lui non le offre neppure quel minimo di cortesia che usa coi suoi uomini. Drou è praticamente una collega, una compagna di lavoro, e… se non sto prendendo un abbaglio, è anche innamorata cotta di lui. Possibile che non se ne accorga?
— Cosa ti fa pensare che non se ne sia accorto? — domandò Aral.
— Il suo modo di fare, no? È una vergogna. E pensare che farebbero una bella coppia. Drou è attraente, non sembra anche a te?
— Bella faccia. Ma a me non piacciono le amazzoni combattenti… come tutti sanno. — Si girò a guardarla, con un sogghigno. — Non tutti apprezzano un corpo femminile così atletico, anche se ci sono possibilità interessanti. Ma vedo una strana luce nei tuoi occhi; un flusso di ormoni materni, suppongo.
— Devo slogarti anche l’altro braccio?
— Oggi no, grazie. Diavolo, avevo dimenticato quant’era doloroso allenarsi con Bothari. Ah… sì, in questo punto va bene. Anche un po’ più in basso…
— Domani avrai alcuni lividi molto interessanti.
— Starò alla larga dalle telecamere in agguato. Ma, prima che ti lasci troppo trasportare dai problemi sentimentali di Droushnakovi: hai riflettuto sulle ferite riportate da Kou?
— Ah. — Cordelia esitò, accigliandosi. — Pensavo che… le sue funzioni sessuali fossero ripristinate, come il resto del suo organismo.
— O altrettanto poveramente del resto. Quello è un tipo di chirurgia molto delicato.
Cordelia si morse le labbra. — Tu lo sai per certo?
— No. Non lo so. Posso solo dirti che questo argomento non è mai entrato nelle nostre conversazioni. Mai.
— Mmh. Vorrei sapere cosa significa. È un’omissione che non fa supporre niente di buono. Pensi che potresti chiedergli…
— Santo cielo, Cordelia! No, naturalmente. Che razza di domanda da fare a un uomo, soprattutto se la risposta fosse quella che temi. Io devo lavorare con lui, non dimenticarlo.
— Be’, io devo lavorare con Drou. Non mi serve a molto se sta lì a tormentarsi sul suo cuore infranto. Lui l’ha fatta piangere, più di una volta. Me ne sono accorta, quando credeva di non essere vista da nessuno.
— Sul serio? Stento a immaginarlo, parola mia.
— Non puoi aspettarti che io la aiuti a rassegnarsi. Sarebbe come dirle che non vale niente. Possibile che Kou la trovi sgradevole? O la sua è una forma di autodifesa?
— Buona domanda. Mmh… per quel che posso dirti, l’altro giorno il mio autista ha fatto una battuta su di lei, niente di offensivo… e Kou lo ha rimbeccato alquanto freddamente. Non credo che la trovi antipatica. Il fatto è che i suoi rapporti con chi è sano, e quindi anche con lei, sono stati alterati.
Cordelia abbandonò l’argomento su quell’annotazione un po’ ambigua. Desiderava aiutare l’uno e l’altra, ma non aveva risposte da offrire ai loro dilemmi. Personalmente non le era difficile immaginare soluzioni ai problemi dell’intimità sessuale originati dalle condizioni fisiche di Koudelka, ma offrire loro qualche suggerimento sarebbe stata un’indelicatezza inaccettabile. Intuiva che avrebbe soltanto offeso la loro sensibilità. La terapia sessuale era un concetto inesistente su Barrayar.
Da vera betana, aveva sempre creduto che due diversi comportamenti sessuali fossero un’impossibilità logica per la razza umana, anche in due culture diverse. Aggirandosi ora ai margini dell’alta società barrayarana al seguito di Vorkosigan cominciava finalmente a vedere come invece stessero le cose. Tutto sembrava nascere dal blocco del libero flusso delle informazioni a certe persone, preselezionate da un codice non-detto e tuttavia conosciuto da chiunque salvo lei. Uno non poteva parlare di sesso davanti alle donne non sposate o ai bambini. I giovani, sembrava, erano esenti da regole precise quando discutevano fra loro, ma non se una donna di qualsiasi età o rango era a portata d’orecchio. La regola subiva inoltre variazioni che dipendevano dallo stato sociale dei presenti. E le donne sposate, quando parlavano di sesso fra loro, rivelavano trasformazioni da lasciare a bocca aperta; su alcune cose si poteva scherzare ma non discutere seriamente, e certi aspetti della sessualità non potevano essere neppure accennati. A lei era capitato di mandare in stallo una conversazione oltre ogni speranza di recupero con quella che le sembrava un’osservazione perfettamente ovvia e lecita. E in questi casi Aral la prendeva da parte per spiegarle il suo errore…
Aveva cercato di buttar giù una lista delle Regole che pensava di aver individuato, ma erano così illogiche e contrastanti, in specie riguardo a cosa uno doveva fingere di non sapere di fronte a certe persone, che s’era sentita cadere le braccia. Una sera, a letto, aveva dato quella lista ad Aral, che nell’esaminarla era quasi soffocato dalle risa.
— È davvero così che ci vedi? Mi piace la tua Regola Sette. Dovrò tenerla a mente… vorrei averla conosciuta quand’ero ragazzo; avrei potuto evitare di sorbirmi tutti quei dannati video informativi del Servizio.
— Se la «terrai a mente» con qualcuna che non sia la tua legale consorte, quello che non eviterai di sorbirti sarà un pugno sul naso — l’aveva informato lei. — Queste sono le vostre regole, non le mie. Voi siete abituati a rispettarle inconsciamente. Io devo giocare al vostro gioco senza conoscerle.
— Oh, scientifica betana. Mmh, vedo che chiami le cose col loro nome, non c’è dubbio. Noi non abbiamo mai tentato… ti andrebbe di violare la Regola Sette con me, mia cara capitana?
— Fammi vedere qual è… oh, sì. Certamente! Subito? E già che ci siamo, depenna la Tredici. Il mio tasso ormonale è troppo elevato. Ricordo che la co-genitrice di mio fratello mi parlò di questo effetto, ma a quel tempo non la presi sul serio. Se quel che diceva è vero, potrai farci un pensiero dopo, post-partum.
— La Tredici? Uh, non avrei mai supposto di…
— Questo perché tu, essendo barrayarano, perdi un sacco di tempo a seguire la Regola Due.
L’antropologia era poi stata dimenticata, a luci spente. Ma più tardi lei aveva scoperto di potergli far risalire la pressione mormorando, al momento giusto: — Regola Nove, prego, mio signore.
La stagione stava cambiando. Quel mattino c’era stato nell’aria un accenno d’inverno, un venticello che sembrava far rabbrividire le piante nel giardino posteriore del Conte Piotr. Cordelia aspettava quasi con impazienza il suo primo inverno su Barrayar. Vorkosigan le aveva promesso la neve, acqua congelata, una cosa che lei aveva visto, ma non toccato, solo durante una missione esplorativa della Sorveglianza Astronomica. Prima della fine dell’inverno avrò un figlio. Uhu.
Ma il pomeriggio s’era riacceso di calda luce autunnale, e la temperatura era salita. Il lungo tetto a terrazza sulla facciata anteriore di Casa Vorkosigan rifletteva quel calore su per le gambe di Cordelia mentre lo attraversava, anche se il vento sulle sue guance era più fresco ed il sole scendeva verso il frastagliato orizzonte della città.
— Buonasera, ragazzi. — Cordelia rivolse un cenno del capo ai due uomini di guardia nella postazione del tetto.
— Milady — le risposero i due, toccandosi la fronte in un esitante accenno di saluto militare.
Cordelia aveva preso l’abitudine di salire sul tetto qualche minuto ogni pomeriggio, verso quell’ora. La vista della città dall’altezza del quarto piano era migliore. Al di sopra degli alberi si poteva scorgere lo scintillio del fiume che la divideva in due, anche se le vaste fondamenta in scavo poco lontano lasciavano credere che ben presto quella parte del panorama sarebbe stata occlusa. La torre più alta del Castello Vorhartung, dove lei aveva assistito alla cerimonia nella camera del Consiglio dei Conti, svettava sugli edifici in riva al fiume.
Oltre il Castello Vorhartung si stendeva la zona più vecchia della capitale. Non aveva ancora visto quei quartieri, dove c’erano ancora strade che consentivano il passaggio di un cavallo e di un carro ma non di una vettura da superficie, benché avesse sorvolato le strette e misteriose viuzze colme d’ombra del centro storico. La zona più moderna, che brillava di riflessi cristallini dalla parte opposta, era strutturata sui moderni sistemi di trasporto e più simile agli standard galattici.
Ma niente di tutto ciò le ricordava Colonia Beta. Vorbarr Sultana era costruita per intero in superficie, con strutture che si levavano verso il cielo, stranamente bidimensionale ed esposta al cielo. Le città di Colonia Beta affondavano le loro radici di tunnel e pozzi gravitazionali nel sottosuolo, stratificate e complesse, chiuse e protette. In effetti, non avevano un’architettura quanto piuttosto una progettazione interna. Era stupefacente la quantità di forme che la gente riusciva a dare alle abitazioni quando le costruiva fuori.
Le guardie la sorvegliarono nervosamente quando lei si appoggiò alla balaustra per guardare in basso. Avrebbero preferito che non si avvicinasse mai al bordo, benché la terrazza fosse larga soltanto sei metri. Ma da lì Cordelia avrebbe potuto vedere la vettura da superficie di Vorkosigan svoltare nel vialetto d’ingresso. I tramonti erano uno spettacolo sempre piacevole, tuttavia il suo sguardo si abbassò sulla strada.
I suoi polmoni respiravano un’aria piena di odori: vegetazione indigena e importata dalla Terra, sentori acri provenienti dalla zona industriale, emanazioni più calde che salivano dai quartieri popolari, eppure non c’erano problemi. Barrayar forniva un’immensa quantità di aria di ricambio, come se… l’aria era gratis, lì. Si rendeva conto quella gente di quanto fosse ricca? Tutta l’aria che volevano respirare, e non avevano che da fare un passo fuori dalla porta, dandola per scontata come l’acqua gelata che cadeva bianca dal cielo. Cordelia se ne riempì i polmoni, con l’assurda sensazione di rubarla, e questo la fece sorridere…
Un lontano, improvviso e violentissimo boato sbriciolò i suoi pensieri e le mozzò il fiato. Le guardie corsero alla balaustra. E va bene, hai sentito uno scoppio. Questo non ha necessariamente qualcosa a che fare con Aral, si disse. E poi, gelido, un altro pensiero: Sembrava lo scoppio di una granata sonica. E non una piccola. Mio Dio. Una colonna di fumo e polvere si stava levando da una strada a qualche isolato da lì. Non riusciva a vedere il punto preciso. Si spostò più a destra…
— Milady. — La guardia più giovane la prese per un braccio. — Per favore, torni dentro. — Il suo volto era teso, gli occhi dilatati. Il collega si premeva una mano su un orecchio, in ascolto sul microricevitore collegato a quelli dei colleghi. Lei non aveva nessun terminale portatile con sé.
— Cosa sta succedendo? — chiese.
— Milady, per favore, rientri! — La guardia la indusse a muoversi verso la botola da cui una ripida scala metallica scendeva nel corridoio principale dell’attico. — Sono certo che non è niente d’importante, forse una fuga di gas — disse, mentre se la tirava dietro.
— Era un attentato: una granata sonica di classe quattro — lo informò lei, stupita dalla sua ignoranza. — Lasciata là con un timer o sparata con un lanciarazzi, salvo che l’autore del gesto non abbia voluto suicidarsi. Non ne ha mai sentito scoppiare una?
Droushnakovi sbucò dalla botola con due maschere antigas in una mano e lo storditore nell’altra. — Milady! — chiamò. La guardia fu sollevata di poterle consegnare Cordelia e tornò subito verso il collega. Lei si tolse di mezzo, lasciando che gli altri smettessero di preoccuparsi doverosamente di lei, e scese lungo la scala metallica.
— Cos’è successo? — domandò a Droushnakovi.
— Ancora non lo so. Ero nella mensa del seminterrato quando è suonato l’allarme rosso, e tutti sono corsi fuori — ansimò la ragazza. Doveva essere volata su per quei cinque, anzi sei piani.
— Mmh. — Cordelia stava ormai correndo quando arrivò in fondo al corridoio. Avrebbe voluto avere un pozzo antigravità. Alla console di comunicazioni in biblioteca doveva esserci qualcuno; scese in fretta per lo scalone a spirale, gettò un’occhiata all’esterno e girò a destra attraverso l’atrio.
Il capoguardia era alla radio e stava ascoltando qualcosa in cuffia. Accanto a lui c’era uno degli attendenti del Conte Piotr. — Stanno venendo qui — disse il capoguardia, voltandosi a mezzo. — Avverti immediatamente il medico. — L’uomo in livrea marrone si precipitò fuori.
— Chi sta venendo qui? — domandò Cordelia. Il cuore le batteva forte ora, e non per la corsa lungo le scale.
L’uomo alzò gli occhi a guardarla, parve sul punto di dire qualcosa di vago e tranquillizzante, poi capì che non era il caso. — Qualcuno ha cercato di colpire con una bomba l’auto del Reggente. L’attentato è fallito. L’auto sta venendo qui, adesso.
— A che distanza è esplosa la bomba?
— Non lo so, milady.
Probabilmente non lo sapeva davvero. Comunque, se l’auto funzionava ancora… Con un gesto secco gli accennò di continuare il suo lavoro, e corse di nuovo nell’atrio. La porta era stata chiusa da due uomini del Conte Piotr, che malgrado la sua insistenza rifiutarono di lasciarla uscire. Frustrata Cordelia tornò alle scale, ma dopo tre gradini si fermò, con una mano sulla ringhiera, mordendosi le labbra.
— Crede che il tenente Koudelka sia con lui? — domandò Droushnakovi con un fil di voce.
— È probabile. Rientrano quasi sempre insieme — rispose distrattamente Cordelia, con gli occhi sulla porta d’ingresso. Non restava che attendere…
Pochi secondi dopo sentì arrivare l’auto. Uno degli uomini di Piotr aprì la porta. Molti uomini della Sicurezza stavano correndo intorno alla vettura argentea ferma davanti al portico. Dio del cielo, da dov’erano venute tutte quelle guardie armate? La carrozzeria dell’auto era in parte annerita e fumava ancora, ma non sembrava ammaccata profondamente. Il tettuccio dello scomparto posteriore era intatto. Lo sportello si aprì, e Cordelia si sporse di lato per vedere Vorkosigan, nascosto dalle uniformi verdi che s’erano affollate lì davanti. Gli uomini si scostarono. Oltre lo sportello spalancato sedeva il tenente Koudelka, rigido e stordito, con la bocca e il mento sporchi di sangue. Il giovane fu aiutato a uscire da una guardia. Vorkosigan venne fuori per ultimo, allontanando con un gesto le mani che si protendevano per sostenerlo. Neppure le guardie più preoccupate osarono toccarlo senza permesso. Vorkosigan entrò in casa a passi lunghi, pallido e coi denti stretti. Koudelka insisté per avere il suo bastone e lo seguì dentro, tallonato da un caporale della Sicurezza anch’egli piuttosto scosso. Stava ancora perdendo sangue dal naso. Gli uomini di Piotr chiusero subito la porta, lasciando fuori tre quarti di quel caos.
Gli occhi di Aral cercarono quelli di Cordelia sopra le teste degli uomini, e il suo sguardo fosco si raddolcì un poco. Le rivolse un cenno col capo. Sto bene, non temere. Lei annuì in risposta, Potresti stare meglio, Santo cielo…
Kou stava dicendo, con voce rauca: — … buco dannatamente profondo sulla strada! Potrebbe entrarci dentro un autobus. Il guidatore ha avuto una prontezza di riflessi sorprendente… Cosa? — Scosse il capo, verso uno che gli aveva fatto una domanda. — Scusa, ma i miei orecchi sembrano fuori uso, a meno che… — Alzò una mano a toccarsi la faccia e quando la ritrasse sporca di sangue sbatté le palpebre. Poi si tastò un lato del cranio come per controllare se c’era ancora tutto.
— Hai solo i timpani assordati, Kou — disse Vorkosigan con calma, ma a voce alta. — Domani mattina ci sentirai di nuovo. — Soltanto Cordelia capì che non parlava forte solo a beneficio di Koudelka: anche lui aveva l’udito fuori uso. I suoi occhi saettavano qua e là rapidamente, unico indizio del fatto che invece di ascoltare stava leggendo le labbra.
Simon Illyan e il medico arrivarono quasi contemporaneamente. I due scortarono Vorkosigan e Koudelka in salotto, lasciando fuori le inutili — almeno agli occhi di Cordelia — guardie del corpo. Lei e Droushnakovi li seguirono e chiusero la porta. Il medico esaminò subito le loro condizioni fisiche, cominciando, su richiesta di Vorkosigan, da Koudelka.
— Una granata sola? — domandò Illyan.
— Una sola — confermò Vorkosigan. — Se ne avesse sparato un’altra ci avrebbe presi in pieno.
— Se fosse rimasto lì per un secondo colpo avremmo preso lui. Una squadra scientifica è sul posto, adesso. L’assassino è riuscito a dileguarsi in tempo. Un luogo adatto, non c’è che dire, con una dozzina di vie di fuga fra cui scegliere.
— Ma noi cambiamo strada ogni giorno — disse Koudelka con voce spessa, attraverso il fazzoletto che si stava premendo sul naso. — Come ha saputo dove poteva aspettarci in agguato?
— Un informatore fra i nostri? — Illyan si strinse nelle spalle, ma dalla sua faccia era chiaro che quel dubbio sembrava fondato.
— Non necessariamente — disse Vorkosigan. — Così vicino a casa ci sono solo poche strade. Può aver aspettato lì per giorni.
— Giusto oltre il limite sorvegliato dalle nostre squadre? — gli fece notare Illyan. — Questo particolare non mi piace.
— Il fatto che ci abbia mancato mi dà da pensare — disse Vorkosigan. — Perché, mi chiedete? C’è il caso che sia stato una specie di avvertimento. Un attentato non alla mia vita ma alle mie intenzioni politiche. O al mio equilibrio.
— No, io propendo per un lanciagranate di vecchio tipo — disse Illyan. — Quelli col mirino meccanico. Gli strumenti della vettura non hanno registrato nessun sistema di puntamento laser centrato su di essa. Ha sbagliato mira. — Fece una pausa, accorgendosi che Cordelia era pallida. — Sono sicuro che è stato soltanto l’atto individuale di un fanatico, milady. Almeno, sembra certo che ci fosse un solo uomo.
— Com’è possibile che un fanatico, un solitario, disponesse di un’arma da guerra? — replicò seccamente lei.
Illyan parve a disagio. — Su questo indagheremo, milady. Era un’arma di vecchio tipo, comunque.
— Voi non distruggete gli armamenti andati in disuso?
— C’è tanto di quel materiale…
Cordelia continuò a fissarlo negli occhi. — Anche se la vettura è corazzata gli sarebbe bastato mandare a segno un solo colpo. Nessuno avrebbe potuto sopravvivere. Bastava che la granata esplodesse a un paio di metri dall’auto, e ora la sua squadra scientifica avrebbe delle difficoltà per identificare i corpi.
Droushnakovi sbatté le palpebre, grigia in faccia. Vorkosigan aveva lo sguardo meno stravolto, adesso.
— Vuole che le faccia un calcolo preciso degli effetti di una granata sonica sull’interno di quella vettura, Simon? — continuò Cordelia, scaldandosi. — Chi ha scelto quell’arma è un militare competente… anche se, per fortuna, un pessimo tiratore. — Tenne per sé il resto di quel che avrebbe voluto dire, rendendosi conto, benché nessun altro se ne fosse accorto, che a farla parlare così era una tensione isterica.
— Le mie scuse, capitana Naismith. — Il tono di Illyan s’era fatto più rigido. — Probabilmente lei ha ragione. — E annuì con rispetto, per mostrare che non lo diceva solo per blandirla.
Aral aveva seguito quello scambio di battute con un lampo negli occhi, e per la prima volta parve sul punto di sorridere.
Illyan uscì, portandosi via le sue ipotesi fra cui anche quella della cospirazione militare. Il medico confermò la diagnosi di un semplice stordimento auricolare e diede loro un paio di flaconi di pillole per il mal di capo — Aral ne inghiottì una con indifferenza — e se ne andò dopo aver preso appuntamento per una visita di controllo completa il mattino dopo.
Quando Illyan tornò a Casa Vorkosigan, quella sera tardi, per parlare con il suo capoguardia, Cordelia trattenne a stento la voglia di afferrarlo per il petto e spingerlo contro il muro per estrargli tutto ciò che era venuto a sapere. Si limitò a chiedere, semplicemente: — Chi ha cercato di uccidere Aral? Chi lo vorrebbe morto? Che vantaggio immagina di ottenere dalla sua scomparsa?
Illyan sospirò. — Vuole la lista breve o quella lunga, milady?
— Quanto è lunga la lista breve? — chiese lei, quasi morbosamente affascinata.
— Fin troppo. Ma posso dirle i nomi che stanno in cima, se vuole. — Li contò sulle dita. — I cetagandani, questi sempre. Hanno fatto i loro calcoli sulla confusione politica che potrebbe seguire la morte di Ezar. Una lotta intestina può facilitare l’arrivo di una flotta d’invasione. Poi i komarrani, sia per vendetta che come inizio di una nuova rivolta. Alcuni chiamano l’ammiraglio «il macellaio di Komarr»…
Cordelia, che conosceva la vera storia dietro quel soprannome così odioso, si sentì fremere.
— Gli anti-Vor, perché il Lord Reggente è troppo conservatore per i loro gusti. Gli ufficiali della destra militare, che lo considerano troppo progressista per i loro. Gli ex accoliti guerrafondai del Principe Serg e di Vorrutyer. Certi ex membri del Ministero dell’Educazione Politica, ora esautorati, anche se dubito che quella gente fallirebbe un attentato; disponevano di «fedelissimi» addestrati nel dipartimento di Negri. Alcuni Vor gelosi del rango che lui ha assunto nel recente cambiamento di poteri. Qualsiasi individuo che, avendo accesso a residuati bellici, si illuda di guadagnarsi la fama di liberatore della patria compiendo una pazzia gradita agli estremisti politici… devo continuare?
— No, grazie. Ma restiamo al concreto. Se le motivazioni generano una lista così lunga di sospetti, che cosa possiamo dedurre dal tipo di attentato messo in opera?
— Qui lavoriamo su un campo più ristretto — annuì Illyan, — anche se gli interrogativi non mancano. Come ho detto, l’azione è stata rapida e la fuga facile. Ma chi lo ha organizzato conosceva il tipo di arma e sapeva dove procurarsela. Questo è il primo lato da cui parte la nostra indagine.
Nessuna fazione aveva reclamato l’attentato, e questo, decise Cordelia, era preoccupante. Quando i colpevoli potevano essere tanti, l’impulso di sospettare tutti poteva diventare paranoia. E la paranoia politica, su Barrayar, sembrava molto facile e contagiosa. Be’, le forze combinate di Negri e di Illyan avrebbero dovuto ottenere qualche fatto concreto in breve tempo. Lei racchiuse le sue paure in un pacchetto e cercò di cacciarlo nel più profondo di se stessa… anche se il punto dove lo sentiva era lo stomaco. Troppo vicino al bambino.
Quella notte Vorkosigan la strinse a sé, rannicchiata contro il suo corpo robusto, anche se non per fare all’amore. Si limitò a tenerla così. Restò sveglio per ore, malgrado l’effetto del tranquillante che gli offuscava lo sguardo. Lei non prese sonno finché non si accorse che s’era addormentato, e il suo lieve russare la placò. Non c’era molto da dire. Hanno fallito. Noi andiamo avanti.
Fino al prossimo colpo.