CAPITOLO DICIOTTESIMO

Nei vicoli del caravanserraglio le ombre che precedevano l’alba non erano così tenebrose come sulle montagne. La debole illuminazione della città si rifletteva nella foschia del cielo notturno, e in quel lucore le facce dei suoi compagni sembravano sfocate come antichi dagherrotipi. Cordelia cercò di non pensare come le facce dei morti.

Lady Vorpatril aveva mangiato e fatto qualche ora di sonno; non si reggeva troppo bene sulle gambe ma era in grado di camminare. La tenutaria del postribolo le aveva trovato un modesto abito grigio sorprendentemente sobrio, lungo fino alle caviglie, e calzettoni di lana contro il freddo. Koudelka indossava un vecchio paio di braghe, scarpe scalcagnate e una giacca da lavoro che gli andava corta di maniche. L’aria ansiosa con cui teneva in braccio il piccolo Ivan, avvolto in panni da neonato frusti ma decenti, completava l’immagine di una famigliola di umili origini che cercava di tornare in campagna dai genitori della moglie per sfuggire ai disordini e alla fame della città in guerra. Cordelia aveva visto centinaia di sfollati come loro che s’allontanavano con mezzi di fortuna da Vorbarr Sultana.

Koudelka ispezionò il gruppetto, e l’unica cosa che trovò fuori posto fu il bastone-spada che aveva in mano. Il legno lucido e le belle finiture in acciaio non ne facevano un oggetto da proletari. Ebbe un sospiro. — Drou, puoi nasconderlo da qualche parte? Non si intona ai vestiti che ho addosso, e mi servirebbe a poco anche come arma, col bambino in braccio.

Droushnakovi annuì, avvolse il bastone in una camicia e lo infilò fra i manici di una borsa. Cordelia ripensò all’ultima volta che lo aveva adoperato, e si guardò attorno. — C’è il caso che qualcuno ci prenda di mira, a quest’ora? Anche se non sembriamo dei ricconi, voglio dire.

— C’è gente che ci ammazzerebbe per i nostri stracci — borbottò Bothari. — D’inverno tutto fa comodo. Ma non stanotte. Le truppe di Vordarian hanno rastrellato il quartiere in cerca di «volontari» per scavare quei rifugi antiaerei nei parchi della città.

— Non l’avrei creduto capace di usare come schiavi dei liberi cittadini — mormorò Cordelia.

— È un’idiozia rovinare i parchi — disse Koudelka. — Quei rifugi non potranno ospitare che poche centinaia di persone. Ma fanno sentire la gente minacciata dal «Pericolo Vorkosigan».

Cordelia non ne era stupita. Nella biblioteca del Conte Piotr c’erano ben sei edizioni in lingue diverse di Machiavelli, tutte molto consultate. Abbracciò Alys Vorpatril, che stringendola a sé mormorò: — Dio ti aiuti, Cordelia. E faccia sprofondare all’inferno Vidal Vordarian.

— Andate cauti. Ci vediamo alla Base Tanery, d’accordo? — disse lei. A Koudelka diede una pacca su una spalla. — Sfrutta ogni occasione per confondere la pista. Anche se credi che nessuno vi segua.

— Cerche… ce la faremo, milady — disse Koudelka. Rivolse a Droushnakovi il saluto militare, un gesto in cui non c’era alcuna ironia, anzi un po’ d’invidia. Lei gli restituì un cenno del capo. Nessuno di loro prolungò quel momento con parole inutili, e i due gruppetti si allontanarono in direzioni diverse. Drou gettò qualche sguardo dietro di sé finché Koudelka e Lady Vorpatril ebbero svoltato un angolo, poi accelerò il passo.

Il cielo era ancora del tutto buio quando uscirono dalla zona priva d’energia elettrica in una strada illuminata, dove cominciavano a vedersi passanti che anche in quel mattino d’inverno s’affrettavano verso i loro affari quotidiani. Alle cantonate non pochi mostravano attimi di esitazione prima di svoltare l’angolo, come se fossero pronti a tirare diritto al minimo odore di qualcosa di sospetto, e in quell’incertezza che accomunava molti Cordelia si sentì più sicura. S’irrigidì quando una vettura da superficie della polizia municipale li oltrepassò lentamente, ma non accadde nulla.

A una quindicina di isolati dalla Residenza Imperiale, di fronte alla sede della Camera di Commercio, si fermarono e prima di avvicinarsi all’edificio controllarono che il portone fosse aperto. Era un palazzone a molti piani che ospitava anche gli uffici di una compagnia telefonica, costruito dopo il boom economico che aveva accompagnato l’ascesa al potere di Ezar, trent’anni prima, e restava aperto anche di notte. Attraversarono l’atrio senza vedere nessuno, entrarono in un ascensore antigravità e premettero il pulsante di discesa.

Quando furono nel vasto parcheggio sotterraneo, Drou si fece cauta; a volte gli accattoni entravano a dormire fra i veicoli. — Qui sì che sembriamo fuori posto. — Bothari restò di guardia mentre lei estraeva dal pavimento il coperchio di una botola col simbolo dell’acquedotto municipale. Scesa la scaletta la ragazza li guidò lungo un tunnel alto tre metri, svoltando in un paio di diramazioni. Le luci erano accese, e Cordelia capì che quel passaggio doveva essere usato di frequente; tese gli orecchi, ma udì solo l’eco dei loro passi.

Più avanti trovarono un altro coperchio circolare. Droushnakovi lo sollevò con lo stesso gancio. — Lasciatevi penzolare in basso e saltate giù. È alto appena due metri. Forse sul fondo ci sarà dell’acqua.

Cordelia entrò nella botola e si lasciò cadere nell’oscurità, atterrando con un violento splaash! Accese la torcia elettrica e vide che si trovava in un cunicolo di cemento. L’acqua, nera e untuosa, le arrivava ai ginocchi. Ed era gelida. Si scostò in fretta per far posto a Bothari. In piedi sulle spalle dell’uomo Drou rimise a posto il coperchio, poi saltò accanto a lei con un altro splaash! che la riempì di schizzi. — Questa fognatura va avanti per mezzo chilometro, adesso. Seguitemi — disse la ragazza. Annaspando nell’acqua dietro di lei Cordelia cercò di convincersi che fosse soltanto acqua. Scorreva in fretta, ma non era ancora l’alba. Possibile che tanta gente sopra di lei stesse già usando il gabinetto?

Dopo mezzo chilometro si arrampicarono in un orifizio tondo situato in alto, che li condusse in un cunicolo ancora più stretto, di mattoni anneriti. Era asciutto, ma così basso che furono costretti a procedere camminando a quattro zampe. Cordelia sentì che Bothari imprecava, dietro di lei; le sue spalle ci passavano a stento. Drou rallentò l’andatura e cominciò a battere sul soffitto con il pomo del bastone di Koudelka. Quando sentì un suono cavo si fermò. — Qui. C’è una leva che abbassa il coperchio. Lasciatemi spazio. — Sfoderò la spada e spinse la lama in una fessura fra i mattoni. Il pesante coperchio, incernierato, piombò giù di colpo sfiorandole la faccia. Con un grugnito la ragazza rinfoderò la spada. — Di sopra — disse, inerpicandosi fuori.

Il passaggio in cui Cordelia la seguì era un budello ancora più esiguo e corroso dal tempo, in leggera salita. Andarono avanti strisciando nelle pareti umide e sporcandosi di incrostazioni grigie che dalla consistenza sembravano calcare, oppure muffa, oppure quello a cui tutti stavano cercando di non pensare. Ad un tratto Drou si alzò in piedi, scavalcò un mucchio di mattoni rotti e passò in un oscuro sotterraneo piuttosto largo, col soffitto sostenuto da grossi pilastri.

— Che posto è questo? — sussurrò Cordelia. — Non ha l’aspetto di un tunnel…

— Le vecchie scuderie — rispose Drou. — Siamo sotto i giardini della Residenza Imperiale.

— Allora non può essere molto segreto. Devono esserci tubazioni e impianti di drenaggio. Sicuramente qualche ingegnere ha una mappa di questi sotterranei. — Cordelia si guardò attorno. Il soffitto di mattoni, ad archi acuti, le faceva pensare a un antico castello terrestre.

— Sì, ma questa era la cantina delle vecchie vecchie scuderie. Non le scuderie di Dorca: quelle del suo prozio. Ci teneva più di trecento cavalli. Morirono tutti in un incendio spettacolare, circa duecento anni fa. Invece di ripararle, qui spianarono tutto e costruirono sul lato est le nuove vecchie scuderie; quelle che poi ai tempi di Dorca furono trasformate in alloggi per il personale di servizio. La maggior parte degli ostaggi sono tenuti là. — Drou s’incamminò con sicurezza, come se conoscesse il luogo a menadito. — Qui siamo a nord della Residenza, sotto il giardino progettato da Ezar. Fu lui a trovare queste cantine, trent’anni fa, e chiese a Negri di ristrutturarle e sistemare i passaggi. Una via di fuga che neanche la loro Sicurezza conosceva. Porta su nell’appartamento dove l’Imperatore ha tirato l’ultimo respiro.

— Riposi in pace. Il mio ultimo spero di tirarlo molto lontano da qui — mormorò Cordelia.

— Ci sono due uscite. Il vero rischio comincerà quando saremo di sopra — disse Droushnakovi.

Sì, erano ancora in tempo a ripensarci e tornare indietro, e pochi avrebbero potuto dar loro torto. Perché questi due mi hanno permesso di giocare così con la loro vita? Dio, come detesto questa responsabilità. Da qualche parte sgocciolava dell’acqua. Ci fu un rumore metallico.

— Qui — disse Droushnakovi, illuminando una pila di cassette di legno e scatole d’acciaio. — I rifornimenti di Ezar. Armi, vestiti e denaro contante. Ci sono anche documenti falsi, le chiavi di un appartamento in periferia e altre cose. L’anno scorso, al tempo dell’invasione di Escobar, Negri mi chiese di portare quaggiù degli abiti da donna e da bambino. Pensava che ci sarebbero stati dei disordini in città, ma la morte di Vorrutyer mise fine a tutto.

I tre si tolsero gli indumenti bagnati e inzaccherati. Drou tirò fuori da uno scatolone degli abiti da donna, tutti un po’ troppo larghi per Cordelia ma di ottimo taglio e adatti a quei dipendenti imperiali che potevano circolare anche senza l’uniforme. Bothari tirò fuori da una borsa la sua tuta militare nera e vi aggiunse gradi e berretto della Sicurezza Imperiale. Era sporco e aveva la barba lunga, ma se non lo avessero guardato da vicino, poteva passare per una guardia di servizio alla Residenza. Come aveva detto Drou, le scatole metalliche contenevano un piccolo arsenale di armi cariche. La ragazza consegnò a Cordelia uno storditore, e i loro occhi s’incontrarono. — Nessuna esitazione, stavolta, eh? — mormorò lei. Drou sogghignò duramente. Bothari prese un distruttore neuronico e una pistola a plasma.

— Non vorrai sparare con quella in un locale chiuso? — si stupì Drou. Con il riverbero del plasma c’era poco da scherzare.

Bothari scrollò le spalle. — Non si sa mai.

Dopo un momento Cordelia decise di appendersi alla cintura anche il bastone-spada. Non era un’arma per lei, ma s’era dimostrato un utensile utile e aveva la sensazione che le portasse fortuna. Poi, dal fondo della sua borsa da viaggio, tirò fuori quella che poteva essere la loro arma migliore.

— Una scarpa? — si stupì Droushnakovi.

— La scarpa di Gregor. Per quando prenderemo contatto con Kareen. Scommetto che ha tenuto l’altra. — Cordelia se la ficcò in una tasca del bolero ricamato che le dava l’aspetto di una dipendente di rango un po’ superiore alla comune servitù.

Quando i loro preparativi furono finiti, Drou li condusse in un passaggio stretto e lungo. — Ora siamo sotto l’angolo nord della Residenza — disse, fermandosi in un anfratto. — Saliremo per questa scala a pioli. È stata montata nell’intercapedine fra due muri; non c’è molto spazio.

Quell’affermazione si rivelò fin troppo esatta. Cordelia si tirò su dietro di lei in silenzio, attenta a non sbattere ginocchi e gomiti contro le pareti. I pioli erano, naturalmente, di legno. La sua mente era rallentata dalla stanchezza ed eccitata dall’adrenalina; si sforzò di cercare una via di mezzo. Portare il simulatore uterino giù per quella scaletta sarebbe stato difficile. Pensa in modo positivo, si rimproverò. Poi stabilì che quello era un pensiero positivo. Perché sto strisciando in questo budello come un topo? Potrei essere a Base Tanery, a letto con Aral, e lasciare che questi barrayarani si ammazzino fra loro finché vogliono, se non hanno altro piacere nella vita…

Le sembrava di aver salito almeno quattro piani allorché, sopra di lei, Drou si spostò su una piattaforma laterale non più larga di una trentina di centimetri. Quando Cordelia la raggiunse la ragazza si mise un dito sulle labbra e le accennò di spegnere la torcia; poi toccò un meccanismo nascosto, e con un fruscio appena udibile l’intero massiccio pannello che avevano davanti girò sui cardini aprendosi come una porta. Evidentemente tutto era stato ben oliato, almeno fino alla morte di Ezar.

Quella in cui stavano guardando era la camera da letto del vecchio Imperatore. Si aspettavano che fosse vuota, ma non era così. E la bocca di Drou si aprì in un muto O di sbalordito orrore.

Il massiccio letto matrimoniale a baldacchino, quello stesso in cui Ezar Vorbarra aveva ceduto l’anima a Dio, era occupato. Una lampadina da notte, chiusa in un paralume di seta, spandeva morbida luce rosa sui corpi nudi di due persone addormentate. Anche se in quella posa lo vedeva male e di schiena Cordelia riconobbe subito il profilo baffuto di Vidal Vordarian. Occupava per sé i quattro quinti del letto, con un braccio possessivamente allargato sui seni della Principessa Kareen. Distesa sul bordo del materasso, a rischio di cadere, la giovane donna bruna teneva il volto girato all’esterno e le mani sul ventre, in uno strano riflesso di pudicizia onirica.

Be’, Kareen l’abbiamo trovata, ma c’è un intoppo. Cordelia scacciò l’impulso di sparare a Vordarian nel sonno. La scarica d’energia avrebbe fatto suonare l’allarme in tutto il palazzo. Finché non aveva il simulatore di Miles fra le mani, cominciare a farsi dare la caccia era da escludere. Accennò a Drou di chiudere di nuovo il pannello, poi sussurrò: — Giù! — a Bothari che aspettava sotto di loro. Lentamente e faticosamente scesero nell’intercapedine fino alla base della scala. Nel passaggio presso lo stanzone sotterraneo Cordelia si accorse che Droushnakovi piangeva in silenzio.

— Si è venduta a lui! — ansimò la ragazza, con voce incrinata dalla sofferenza e dal disgusto.

— Se sai dirmi con quali argomenti una donna nella sua situazione può tenersi lontana dal letto di quell’uomo, ti prego di istruirmi — disse Cordelia, seccata. — Cosa dovrebbe fare, secondo te? Buttarsi dalla finestra per sfuggire a un destino-peggiore-della-morte? Ha visto notti ben più dure di queste, con Serg. Dopo aver diviso il letto con un maniaco, poche cose possono emozionarla.

— Ma se solo avessimo agito prima, io avrei… noi avremmo potuto salvarla.

— Questo siamo ancora in tempo a farlo.

— No! Ormai si è venduta, anima e corpo!

— Si può mentire nel sonno? — domandò Cordelia. E allo sguardo perplesso di lei, continuò: — Non aveva l’aria di una donna col suo amante. Sembrava piuttosto una prigioniera. Io ti ho promesso che faremo il possibile per lei, e lo faremo. — Tempo. - Ma prima cercheremo Miles. Tentiamo per la seconda uscita.

— Dovremo passare per corridoi più sorvegliati — disse Drou.

— Non abbiamo scelta. Se aspettiamo ancora, la servitù comincerà ad alzarsi e bisognerà uccidere qualcuno.

— I cuochi e i fornai sono già al lavoro. — Drou sospirò. — Certe volte, a quest’ora, io scendevo a prendere il caffè con loro.

Ahimè, una squadra di incursori non poteva passare in cucina per un caffè caldo prima d’iniziare il raid. E di nuovo la domanda: andare avanti o rinunciare? Era il coraggio, pensò Cordelia, o la stupidità a spingerla? Il coraggio non poteva essere; aveva un vuoto allo stomaco. E in bocca lo stesso sapore amaro di prima di ogni scontro, durante la guerra di Escobar. Riconoscere una sensazione familiare non la aiutava affatto. Se io non agisco, mio figlio morirà. Avrebbe dovuto farcela anche senza il coraggio. — Muoviamoci ora — decise. — Non ci sarà un momento migliore più tardi.

Di nuovo su per la scala a pioli. Il secondo pannello girevole si aprì sull’ufficio privato del defunto Imperatore. Con sollievo di Cordelia era al buio e odorava di chiuso; sembrava che nessuno ci avesse messo piede dalla morte di Ezar, quella primavera. La console delle comunicazioni e i terminal erano staccati dalla rete, vuoti e morti come il corpo del loro padrone. Attraverso le imposte sbarrate delle finestre filtrava la prima luce grigia del mattino.

Mentre Cordelia attraversava in fretta la stanza, il bastone-spada di Kou le sbatté sulla caviglia sinistra; appeso alla cintura in quel modo avrebbe potuto dare nell’occhio. Sopra un tavolino c’era un lungo vassoio che fungeva da base a una coppa di ceramica ovale, uno dei tipici soprammobili della Residenza. Cordelia mise il bastone sul vassoio e lo sollevò a due mani, con aria solennemente servile.

Droushnakovi ebbe un cenno d’approvazione. — Lo tenga più basso, all’altezza del petto — sussurrò. — Spalle dritte, testa alta, e non ancheggi. È la prima cosa che il personale femminile deve imparare, qui dentro.

Cordelia annuì. Aprirono la porta, tesero gli orecchi ai rumori esterni ed uscirono uno dopo l’altro nel breve corridoio esterno dell’ala nord.

Due donne con qualche mansione nella Residenza e un uomo della Sicurezza che le scortava. Girarono nel corridoio centrale, e qui videro che quasi sul fondo, qualche metro prima della Scala Rosa, era di sentinella un caporale del turno di notte. L’uomo si voltò subito e li guardò avvicinarsi con attenzione, ma alla vista dell’uniforme s’era impercettibilmente rilassato. Osservò i gradi di Bothari e si portò una mano al berretto per rispondere al suo saluto quando i tre gli passarono davanti. Un momento prima di girare l’angolo della Scala Rosa, Cordelia si sentì il suo sguardo sulla schiena con tale intensità che ebbe un brivido. Stavano camminando sul filo del rasoio. Due donne sconosciute non costituivano una minaccia: c’era già una guardia a scortarle. Che la minaccia potesse venire dalla guardia era un fatto che forse non avrebbe sfiorato la mente del caporale ancora per qualche minuto.

Uscirono nel corridoio del piano superiore, quasi identico a quello sottostante. Laggiù. Dietro la quarta porta a destra, secondo il rapporto degli agenti di Illyan, c’era la stanza in cui Vordarian aveva fatto mettere il simulatore. Praticamente sotto i suoi occhi. C’erano altri ostaggi preziosi in quell’ala: scudi umani, il prezzo di ogni eventuale attentato alla sua vita coi gas o con un missile esplosivo.

Fuori da quella porta c’era di guardia un altro caporale della Sicurezza. L’uomo li guardò con aria insospettita, e avvicinò una mano alla fondina. Cordelia e Droushnakovi camminarono dritte verso di lui, tenendosi al centro del corridoio, mentre Bothari si spostava sulla loro destra.

— Buongiorno — disse il caporale, facendo un passo avanti con aria autoritaria. — Dove state andando?

— Buongiorno — rispose Bothari, alzando la mano destra al berretto. La riabbassò di colpo, trasversalmente, colpendolo al collo con violenza. L’uomo cadde contro il muro e scivolò al suolo. Lui lo afferrò per la giacca. Aprirono la porta e trascinarono la guardia dentro; poi Bothari uscì e prese il suo posto in corridoio. Drou richiuse subito la porta.

Lo sguardo di Cordelia saettò freneticamente qua e là in cerca di telecamere o sensori del sistema d’allarme. Il locale doveva esser stato la camera da letto di una delle guardie del corpo di Ezar, o forse un grosso guardaroba, perché non c’era neppure una finestra che desse sul cortile interno. Il simulatore uterino era sopra un tavolo coperto da un panno verde, esattamente al centro della stanza. Le sue luci spia brillavano ancora di un verde rassicurante; nessun maligno occhio rosso sul pannello dei controlli. Un ansito di sollievo quasi agonizzante sfuggì dalla gola di Cordelia a quella vista.

Droushnakovi si guardava attorno con aria scontenta, scuotendo la testa.

— Che c’è? — chiese sottovoce Cordelia.

— Troppo facile — borbottò la ragazza.

— Ancora non ne siamo fuori. Aspetta una mezzora per dire «facile». — Deglutì saliva, innervosita dalla stessa sensazione. Ma che importava? Arraffa e scappa. A quel punto la chiave era la velocità, non la segretezza.

Depose il vassoio sul tavolò, allungò una mano verso la maniglia del simulatore, e si fermò. C’era qualcosa di sbagliato, qualcosa di strano… si chinò a leggere i display digitali del pannello. Il monitoraggio dell’ossigeno non era neppure in funzione. E anche se la spia del fluido nutriente era verde, il livello del contenitore diceva 00.00. Vuoto.

Cordelia non poté reprimere un gemito. Scossa da un tremito lesse di nuovo i display della strumentazione. Il suo incubo peggiore si concretizzava in un’orrida realtà… l’avevano rovesciato al suolo, in uno scarico, nel cesso? Era morto rapidamente quel povero Miles, pietosamente schiacciato, o si erano divertiti a osservare la sua agonia? Forse non s’erano neppure presi la briga di guardarlo…

Il numero di serie. Leggi il numero di serie. Una speranza disperata, ma… rimise a fuoco i suoi occhi offuscati, si sforzò di concentrarsi sul ricordo. Aveva guardato più o meno distrattamente il numero nel laboratorio di Vaagen, mentre meditava su quella tecnologia e sul lontano pianeta che l’aveva prodotta. E il numero non corrispondeva. Non corrispondeva. Non era lo stesso, quello non era il simulatore di Miles! Uno degli altri sedici, usato come esca per una trappola.

Il cuore le diede un tuffo. Quante altre trappole erano state preparate? Vide se stessa correre freneticamente da un simulatore all’altro, da una stanza all’altra, da un inganno a… Sto perdendo la testa.

No. Dovunque fosse il vero simulatore, doveva essere vicino alla persona di Vordarian. Ne era sicura. Si chinò accanto al tavolo, prendendosi un momento di pausa per scacciare il sangue che le era affluito agli occhi e al cervello con tale violenza da stordirla. Sollevò il panno verde. Ecco. Un sensore a pressione. Era questa l’idea con cui Vordarian aveva completato la scena? Droushnakovi si piegò a guardare.

— Una trappola — sussurrò Cordelia. — Sollevi il simulatore e suona un allarme.

— Possiamo disattivarla con…

— No. Non occorre. Questo simulatore è solo un’esca. È vuoto, coi contatti accesi perché sembri in funzione. — Cordelia cercò di rimettere ordine nei suoi pensieri. Dobbiamo tornare indietro, giù nel sotterraneo e su fino all’altra porta segreta. Non mi aspettavo di incontrare Vordarian, stanotte. Ma stai pur certa che lui sa dov’è Miles. E quando avrà una pistola puntata alla testa lo sapremo anche noi. Ora abbiamo un problema di tempo. Se qui è già scattato un allarme…

Nel corridoio risuonarono dei passi in corsa e delle voci secche. Ci fu il vibrante, secco ronzio degli storditori. Con una selvaggia imprecazione Bothari aprì la porta e si gettò dentro. — Ci hanno scoperto! Stanno arrivando dalle scale!

Se qui è già scattato un allarme, è la fine, completò il pensiero Cordelia, in una vertigine d’incredulità. Niente finestre, una sola porta, e la loro via d’uscita ormai irraggiungibile. La trappola di Vordarian aveva funzionato.

— Non ci arrenderemo, milady. — Droushnakovi impugnò lo storditore. — Se dobbiamo morire, combatteremo fino alla morte.

— Sciocchezze — sbottò Cordelia. — Qui non c’è niente da prendere in cambio della nostra vita, se non la vita di qualche galoppino di Vordarian. Non vale la pena.

— Vuol dire che dobbiamo lasciarci catturare?

— Il suicidio gratuito è uno spreco. Io non rinuncio. Aspetteremo l’occasione di ottenere qualcosa; se ci facciamo sparare, non capiterà facilmente. — Se però su quel tavolo ci fosse stato il simulatore di Miles… sì, rifletté Cordelia, lei sarebbe stata abbastanza egoista da tentare una sortita e rischiare la vita dei due compagni per quella di suo figlio. Ma non era abbastanza pazza da rischiarla in cambio di niente. Non era ancora diventata così barrayarana.

— Lei si sta consegnando come ostaggio nelle mani di Vordarian — la avvertì Bothari.

— Quel bastardo mi tiene in ostaggio fin dal giorno in cui ha preso Miles — disse amaramente lei. — Questo non cambia niente.

Pochi secondi di concitata contrattazione gridata attraverso la porta fu quanto bastò a completare la loro resa, anche se le guardie all’esterno erano sovreccitate fino alla paranoia in quell’ala della Residenza. I tre buttarono fuori le loro pistole. Gli uomini della Sicurezza infilarono uno scanner da una fessura per assicurarsi che non ci fossero armi cariche. Poi quattro di loro balzarono dentro pronti a far fuoco, mentre altri due li spalleggiavano fuori dalla soglia. Cordelia tenne le mani alzate e si lasciò perquisire. La guardia che s’era ringhiosamente insospettita al gonfiore della sua tasca ebbe una smorfia perplessa quando vide che si trattava di una scarpa da bambino. La gettò sul tavolo accanto al vassoio.

Il caposquadra, un uomo con la livrea bruna e dorata di Vordarian, parlò nel comunicatore da polso. — Sì… sì, qui è tutto sotto controllo. Riferiscilo al Lord… No, ha detto che vuol essere svegliato. Poi glielo spieghi tu perché hai preferito non farlo?… Va bene.

Le guardie non li fecero uscire in corridoio; aspettarono lì, tenendoli sotto la minaccia delle armi. L’uomo che Bothari aveva messo fuori combattimento fu portato via. I tre prigionieri erano stati fatti voltare, con le mani poggiate contro il muro e le gambe allargate. In piedi fra Bothari e Droushnakovi Cordelia si sentiva stordita dalla disperazione, ma cercò di dirsi che Kareen avrebbe pur dovuto venire a parlare con lei, anche se in una cella. Tutto ciò in cui sperava era mezzo minuto con Kareen, il tempo di dirle almeno due parole. Se riuscirò a vedere Kareen tu sei un uomo morto, Vordarian. E poi potrai camminare e parlare e dare ordini anche per delle settimane, ma io avrò già segnato il tuo destino, come tu hai segnato quello di mio figlio.

Il motivo per cui erano stati tenuti lì apparve sulla porta un quarto d’ora dopo: Vordarian in persona, coi pantaloni verdi dell’uniforme e in pantofole, a torso nudo. L’uomo entrò seguito dalla Principessa Kareen, avvolta in una pesante veste da camera di velluto rosso. Cordelia si sentì balzare il cuore in gola nel vederla. Adesso?

— Così, la mia piccola trappola ha funzionato, eh? — si compiacque Vordarian, mettendosi le mani sui fianchi. Ma quando Cordelia si girò a fronteggiarlo gli sfuggì un grugnito di stupore. Con un gesto fermò la guardia che s’era fatta avanti per rimetterla a posto, e i suoi baffi si torsero in un sogghigno lupesco. — Perdio! Questa sì che è una sorpresa. Bene, molto bene. — Dietro di lui Kareen fissò Cordelia come se non riuscisse a credere ai suoi occhi.

Anche la MIA trappola sta funzionando, pensò lei, tremando per l’opportunità che le si presentava. Guardami…

— Ecco, mio Lord, purtroppo… — disse il caposquadra in livrea. Si schiarì la voce. — Sembra che il sistema di sorveglianza abbia delle falle. Questi tre non sono stati individuati al perimetro esterno della Residenza. Erano già qui quando… cioè, non avrebbe dovuto succedere. Mi spiace. Se non fossi salito per dare il cambio a Gruber, non ci saremmo accorti di loro.

Vordarian scrollò le spalle, troppo soddisfatto dalla cattura di una preda così preziosa per preoccuparsi d’altro. — Fai una dose di penta-rapido alla cagnetta di Negri — disse, indicando Droushnakovi, — e sapremo come ci sono riusciti. — Lei ci stava di casa in queste stanze.

Droushnakovi non lo sentì neppure; stava guardando Kareen, con sguardo cupo e accusatore. La Principessa si strinse inconsciamente il colletto intorno al collo, con espressione altrettanto aggrondata e piena di domande inespresse.

— Bene. — Vordarian ridacchiò e scosse il capo. — Non credo ai miei occhi. Se il povero Lord Vorkosigan è rimasto così a corto di truppe da dover mandare la moglie in missione suicida, non possiamo proprio perdere. Eh? — Guardò i suoi uomini, che gli restituirono il sorriso annuendo.

Dannazione. A vrei dovuto sparargli nel sonno. - Cosa ne ha fatto di mio figlio, Vordarian?

Lui inarcò un sopracciglio. — Una squinzia straniera non farà mai un passo verso il potere, su Barrayar, mostrando ai Vor un figlio mutante. Come potevi illuderti del contrario, stupida betana?

— La ringrazio del complimento, ma io non cerco il potere. Ciò che voglio è solo che gli idioti non abbiano potere su di me.

Alle spalle di Vordarian, la Principessa ebbe una smorfia triste a quelle parole. Sì, ascoltami, Kareen.

— Dov’è mio figlio, Vordarian? — ripeté testardamente Cordelia.

— Lui è l’Imperatore Vidal, ora — la corresse Kareen. Poi si spostò al suo fianco e lo guardò. — Se riesce a mantenere il trono.

— Oh, lo manterrò — le assicurò lui in tono di sufficienza. — Aral Vorkosigan non ha diritti di sangue superiori ai miei. E io saprò proteggere ciò che il partito di Vorkosigan ha dimenticato. Io sarò lo scudo della vera tradizione di Barrayar.

— Mio marito non ha cercato di entrare nelle scarpe dell’Imperatore — disse Cordelia, guardando in faccia Kareen, e spostò gli occhi sul tavolo. Quelli di lei seguirono il movimento. Per un istante la Principessa parve paralizzata alla vista della piccola scarpa, poi balzò avanti e la afferrò quasi con ferocia, rigirandola fra le mani. Era pallidissima. Cordelia si sentiva fremere come un corridore arrivato insperatamente al traguardo con l’ultima stilla d’energia, incalzato da una torma di avversari irruenti. La certezza si accese dentro di lei e subito fiammeggiò con violenza. Ora sei finito, Vordarian! L’improvviso gesto di Kareen aveva fatto sussultare le guardie. La donna stava esaminando la scarpa con appassionata intensità, dentro e fuori. Vordarian le gettò appena uno sguardo perplesso, poi si rivolse al suo capoguardia in livrea.

— Terremo questi tre prigionieri qui alla Residenza. Io assisterò personalmente al loro interrogatorio col penta-rapido. Sono certo che Vorkosigan ha confidato a sua moglie molti interessanti…

Sul volto di Kareen, quando si girò di scatto verso Cordelia, c’era una speranza terribile e una domanda.

, pensò lei. Sì, sei stata tradita. Ti hanno mentito. Tuo figlio vive, e tu devi tornare ad agire, a pensare, ad amare, e smetterla di andare in giro come un corpo senz’anima, al di là del dolore. Non è un regalo quello che ti ho portato. È una maledizione.

— Milady — disse Cordelia sottovoce. — Lei sa dov’è mio figlio?

— Il simulatore uterino è nell’armadio di quercia, nella camera da letto dell’Imperatore Ezar — rispose Kareen, guardandola negli occhi. — Lady Vorkosigan, dov’è il mio?

Il cuore di Cordelia si riempì di gratitudine per la sofferenza che vedeva ridare vita al volto di lei. — È sano e salvo, milady. E tale resterà, finché questo pretendente — e accennò col capo a Vordarian, — non scoprirà dove mio marito lo ha nascosto. Io l’ho tenuto con me per una settimana. Mi ha detto di dirle che le vuole bene. — Le sue parole avrebbero potuto essere lame, tanto le vedeva affondarsi nel corpo stesso di Kareen.

Questo, finalmente, attrasse l’attenzione di Vordarian. — Non darle ascolto. Gregor è in fondo a un lago, fra i rottami di un aereo, con quel traditore di Negri — sbottò aspramente. — La menzogna più insidiosa è quella che desideri sentire. Guardati da questa donna, mia Lady. Io non ho potuto salvarlo. Ma ti ho promesso che lo vendicherò.

Uh-hu. Aspetta, Kareen. Non qui. Cordelia si morse le labbra. Non qui. È troppo pericoloso. Aspetta un’occasione migliore. Aspetta che questo bastardo dorma, almeno. Ma se una betana aveva esitato a sparare a un uomo addormentato, tanto più una donna Vor. E lei è una vera Vor…

La smorfia di un sorriso increspò le labbra di Kareen. I suoi occhi mandavano lampi. — Questa scarpa non è mai stata immersa — disse a bassa voce.

Cordelia sentì l’odio omicida vibrare in ogni sillaba di quelle parole. Vordarian all’apparenza sentì solo il sollievo speranzoso di una madre affranta. Guardò la scarpa e annuì pietosamente. — Ti capisco. Ma non disperare. Presto avrai un altro figlio a cui dare il tuo affetto — le promise in tono sobrio. — Nostro figlio.

Aspetta, aspetta, aspetta, gridò Cordelia dentro di sé.

— Mai! — sussurrò Kareen. Fece un passo di lato verso l’uomo più vicino alla porta, gli strappò il distruttore neuronico dalla fondina aperta, lo puntò su Vordarian e fece fuoco.

Benché colto di sorpresa l’uomo ebbe la presenza di spirito di colpirla al polso; il colpo partì dal basso in alto e la scarica crepitò sul soffitto. Vordarian si tuffò dietro il tavolo, l’unico riparo della stanza. Il suo caposquadra, per puro riflesso, alzò il suo distruttore neuronico e sparò. Il volto di Kareen si deformò in un’agonia di dolore quando la vampa azzurrina le attraversò la testa. Aprì la bocca in un grido senza suono e cadde, coi capelli in fiamme. Aspetta! stavano ancora gemendo i pensieri di Cordelia.

Ancor più inorridito a quella scena, Vordarian muggì: — No! — Si tirò in piedi e tolse di mano la pistola a un’altra guardia. L’uomo in livrea, comprendendo l’enormità del suo errore gettò via l’arma come se divorziasse dalla propria azione. Vordarian gli sparò e lo uccise.

Cordelia vacillò contro il tavolo. L’intera stanza le girava attorno. D’istinto afferrò il bastone-spada e premette il pulsante, sparando il fodero in faccia a una delle guardie. Poi vibrò la spada quasi alla cieca contro Vordarian e riuscì a colpirlo al gomito. L’uomo urlò, lasciando cadere il distruttore neuronico, e tenendosi il braccio insanguinato fece un passo indietro. Droushnakovi s’era già tuffata sul pavimento verso la pistola gettata via dall’altro. Bothari abbatté la guardia più vicina con un mortale pugno alla nuca. Cordelia chiuse la porta con un calcio e balzò di lato, prima che le armi dei due uomini rimasti fuori trovassero un bersaglio. Una scarica colpì il battente dall’esterno. Nello stesso momento tre scariche bluastre della pistola di Droushnakovi colpirono l’ultima delle guardie rimasta nella stanza.

— Prendilo! — gridò Cordelia a Bothari. Tremante e piegato in due dal dolore, col sangue che usciva a fiotti dalla ferita, Vordarian non era in grado di resistere. Scalciò e gridò, e grosse gocce di sangue caddero sul corpo di Kareen, ma Bothari gli passò un braccio intorno al collo e gli puntò il distruttore neuronico alla testa.

— Fuori di qui! — ordinò Cordelia, riaprendo la porta. — Nella stanza dell’Imperatore! — Da Miles. Le altre due guardie, con le armi puntate, esitarono alla vista del loro padrone.

— Indietro! — ruggì Bothari, e gli uomini si scostarono dalla porta. Cordelia prese Droushnakovi per mano e scavalcò il corpo di Kareen. Il volto della sventurata era una piaga fumante, ma in una mano pallida e adunca stringeva ancora la scarpa di Gregor. Le due donne uscirono, e tenendo Bothari e Vordarian fra loro e le guardie armate si ritirarono lungo il corridoio.

— Prenda la mia pistola a plasma e cominci a sparare — suggerì selvaggiamente Bothari a Cordelia. Sembrava capace di mantenere il controllo di sé anche nell’orgasmo dell’azione, probabilmente perché la stanchezza accumulata in quei giorni deprimeva parte dei suoi istinti.

— Non può sparare plasma nella Residenza — ansimò Droushnakovi, inorridita.

Senza dubbio in quell’ala, più che in altre, c’era una fortuna in cimeli storici e di antiquariato barrayarano. Cordelia ebbe un sogghigno storto, puntò l’arma e sparò a caso nel corridoio dietro di loro. Mobili di legno intarsiato, pannelli murali, tende e tappeti furono avvolti da alte lingue di fiamma quando il sottile filo di plasma li sfiorò, rovente come il cuore di una stella.

Bruciate. Bruciate per Kareen. Una pira funebre in onore del suo coraggio e della sua morte. Dio, qui si soffoca… Non era tanto il fumo quanto il calore che aveva arroventato l’aria. Ciò malgrado, mentre raggiungevano la camera da letto di Ezar, Cordelia sparò ancora nell’altra direzione. QUESTO per ciò che avete fatto a me e al mio bambino… Le fiamme avrebbero dovuto tenere a distanza le guardie almeno per qualche minuto. Aveva l’impressione che il suo corpo fluttuasse, leggero come l’aria. È così che Bothari si sente, quando uccide?

Droushnakovi corse subito ad aprire il pannello murale dell’uscita segreta. La ragazza si muoveva con rapidità ed efficienza, come se il suo volto rigato di lacrime fosse una maschera che aveva dimenticato di levarsi. Cordelia gettò la spada sul letto, andò al grosso armadio di quercia intagliata dall’altra parte della vasta camera e spalancò gli sportelli. Luci verdi e rosse palpitavano nell’ombra dello scomparto centrale. Dio, fa che non sia un altra esca… Prese fra le braccia l’apparecchiatura e la portò alla luce. Il peso era quello giusto, il peso di un simulatore pieno dei suoi fluidi. Sui display le letture erano quelle che dovevano essere. E il numero corrispondeva anch’esso.

Grazie, Kareen. Non volevo ucciderti. Ma ora stava sragionando. Non provava nulla, né sollievo né rimorso, anche se il suo cuore batteva follemente e aveva il fiato mozzo. Adrenalina: il folle dono degli Dèi che rendeva gli esseri umani simili a macchine, sensibili soltanto all’estasi dei riflessi, degli istinti, dell’azione.

Vidal Vordarian continuava a contorcersi nella presa di Bothari, ringhiando bestemmie e oscenità. — Non ce la farete mai! — ansimò, quando vide che Cordelia si girava verso di lui. — Pensaci bene, donna. Non uscirete vivi da qui. Potete usarmi come scudo, ma io non farò un passo senza lottare. I miei uomini vi circondano, sono dappertutto. — Fece una pausa per riprendere fiato. — Gettate le armi in corridoio. Arrendetevi. — La sua voce si fece persuasiva. — Finché siete in tempo, salvatevi la vita. Anche la vita che siete venuti a prendere — disse, accennando al simulatore che Cordelia stringeva fra le braccia. I suoi passi erano pesanti come quelli di Alys Vorpatril, adesso.

— Non ho ordinato io a Vorhalas di uccidere l’erede di Vorkosigan. Quell’idiota ha accettato la bomba a gas ma ha insistito per agire da solo — continuò disperatamente Vordarian davanti al suo silenzio. Il sangue gli sgocciolava dalle dita. — È tuo marito, soltanto lui, che minaccia l’esistenza di Barrayar con una politica stupidamente progressista. Tuo figlio potrebbe ereditare il titolo di Conte, con la mia intercessione. Il vecchio Piotr non avrebbe dovuto tradire i vecchi alleati del suo partito. Si è lasciato convincere da quel sognatore di suo figlio. Ma il destino di un mondo è fatto dalle sue tradizioni, non dai sogni di chi calpesta tutto ciò che è sacro.

Così c’eri tu, anche dietro di questo. Dietro ogni atto. La tensione e il dolore trasformavano in una grottesca parodia gli aneliti politici di Vordarian. Era come se fosse convinto di poter comprare l’assoluzione aggrappandosi alla maniglia giusta, tentando uno dopo l’altro argomenti che facessero presa su di lei. Cordelia dubitava di poterlo odiare davvero. Vordarian non era malvagio come Vorrutyer, non era un vizioso come Serg; eppure la malvagità era scaturita intorno a lui non tanto dai suoi vizi quanto dalle sue virtù: il coraggio di perseguire gli ideali dei conservatori, la passione per Kareen. Pensarci le dava un senso di vuoto.

— Non sospettavamo neppure che Evon Vorhalas si fosse valso del suo aiuto — disse Cordelia. — Grazie per l’informazione.

Questo lo fece accigliare. Bothari lo lasciò, ma lui non si mosse; i suoi occhi saettarono verso la porta, da cui stava filtrando del fumo. Nel corridoio divampava un incendio sempre più violento.

— Io vi servo vivo, se volete uscire di qui — disse, con una smorfia fra dignitosa e sprezzante.

— Lei non mi serve affatto, Imperatore Vidal — disse freddamente Cordelia. — Ci sono già stati oltre cinquemila morti. Ora anche Kareen. Quando pensa di mettere fine a questa guerra?

— Finirà quando Barrayar trionferà — sbottò lui. — I morti saranno vendicati. E vendicherò anche Kareen. Tutti.

Risposta sbagliata, pensò Cordelia, con uno strano sollievo misto a tristezza. — Bothari — ordinò, — prendi quella spada. — L’uomo andò a raccogliere l’arma dal letto. Lei lasciò sul pavimento il simulatore uterino e gli strinse la mano con cui impugnava l’elsa. — Bothari, giustizia quest’uomo a nome delle sue vittime, ti prego. — Fu stupita dalla serenità della propria voce, casuale come se gli avesse chiesto di farle una commissione. L’omicidio non richiedeva necessariamente l’isterismo.

— Sì, milady — disse rispettosamente Bothari, e sollevò la spada a due mani. Nei suoi occhi c’era un’espressione soddisfatta.

— Cosa? — gridò Vordarian, sbigottito. — Tu sei una straniera, una betana. Tu non puoi…

Il lampo della lama che saettò in un fendente orizzontale troncò le sue parole, la sua testa e la sua vita. Fu un taglio netto e pulito, malgrado il getto di sangue che spruzzò il letto e il tappeto mentre il corpo rotolava al suolo. Vorkosigan avrebbe dovuto servirsi di Bothari allorché avevano decapitato il fratello di Vorhalas. Tutta quella forza e quella voglia di uccidere alla manovra di una lama affilata… La piega morbosa che stavano prendendo i suoi pensieri s’interruppe quando un clangore metallico la richiamò alla realtà. Bothari aveva lasciato cadere la spada. Subito dopo si afferrò la testa fra le mani, mandò un urlo rauco e cadde in ginocchio. Era come se il grido di morte di Vordarian fosse scaturito dalla bocca dell’uomo che gli aveva appena tolto la vita.

Cordelia si chinò accanto a lui. Anestetizzata contro ogni emozione dal momento in cui Kareen aveva sparato col distruttore neuronico, all’improvviso era sgomenta e colma di paura. Sferzata dallo stesso stimolo, la mente di Bothari doveva essere tornata alle carneficine che l’alto comando di Barrayar aveva deciso di fargli dimenticare. Imprecò contro di sé per non aver previsto quella possibilità. Lo aveva condannato alla follia?

— Questa porta sta prendendo fuoco — riferì Droushnakovi, indicando il fumo che penetrava dalle fessure. — Milady, dobbiamo andarcene subito da qui.

Bothari mandava ansiti rauchi, premendosi le mani sulle tempie, ma il suo respiro stava tornando regolare. Cordelia lo lasciò lì e si guardò attorno. Aveva bisogno di una scatola, di qualcosa a tenuta stagna… In fondo all’armadio c’era una borsa di plastica gialla con dentro alcune paia di scarpe da donna, probabilmente ficcata lì da Kareen quando Vordarian aveva decretato che doveva dividere con lui il letto imperiale. Gettò via le scarpe, girò intorno al letto e raccolse la testa mozza dal tappetino su cui era rotolata. Pesava più di quanto avrebbe creduto. La mise nella borsa di plastica e chiuse la cerniera.

— Drou, tu sei più in forma di me. Prendi il simulatore e comincia a scendere. Non dargli troppi scossoni. — Lei poteva permettersi di lasciar cadere la borsa; Vordarian non si sarebbe lamentato.

Droushnakovi annuì, ma prima di raccogliere il simulatore s’infilò nella cintura la spada, ormai orba del fodero. Cordelia non capì se lo facesse per il suo valore storico o per obbligo verso un oggetto affidatole da Kou. Incitò Bothari ad alzarsi. Benché la stanza fosse piena di fumo, il calore del fuoco attirava su dal sotterraneo una forte corrente d’aria fredda. Era una fortuna che non fosse il contrario, perché con un incendio sopra la testa in quei cunicoli avrebbero rischiato di soffocare. Gli uomini di Vordarian che sarebbero venuti a cercare i loro cadaveri, dopo aver spento le fiamme, erano attesi da momenti a cui Cordelia avrebbe pagato per assistere.

La discesa nell’intercapedine fra i due muri fu un incubo di claustrofobia, con Bothari che mugolava penosamente sotto i suoi piedi. Cordelia non poteva tenere la borsa né davanti né di lato, e fu costretta a mettersela in equilibrio su una spalla annaspando sulla scala a pioli con una mano sola.

Quando arrivarono in fondo era sfinita. Bothari stava piangendo, ma lei lo spinse avanti e non gli permise di fermarsi finché non furono nello stanzone sotterraneo, dove c’erano i rifornimenti di Ezar.

— Si sente male? — chiese nervosamente Droushnakovi, mentre lui si gettava a sedere stringendosi la testa fra le mani.

— Ha un brutto mal di capo — rispose Cordelia. — Può darsi che non gli passi tanto presto.

La ragazza la guardò, preoccupata. — Milady, è sicura di sentirsi bene?

Cordelia non poté trattenersi dal ridere, con un tremito violento. Scacciò quello sfogo isterico quando vide che Drou cominciava ad essere davvero spaventata. — No — disse.

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