CAPITOLO SECONDO

Il mattino dopo, svegliandosi, Cordelia scoprì che Vorkosigan era già uscito, e si trovò così alle prese col suo primo giorno su Barrayar senza il supporto e la compagnia del marito. Decise che lo avrebbe occupato facendo gli acquisti che le erano venuti in mente il pomeriggio precedente vedendo Koudelka arrancare su per le scale. E aveva idea che Droushnakovi sarebbe stata la guida indigena ideale per quel programma.

Sì vestì e uscì in cerca della sua guardia del corpo. Trovarla non fu difficile: Droushnakovi era seduta in corridoio, proprio davanti alla porta della camera da letto, e alzandosi per darle il buongiorno aveva l’aria di aver ascoltato e analizzato i suoi passi fin da quando s’era infilata le pantofole per andare in bagno. La ragazza, rifletté Cordelia, sembrava proprio aver bisogno di un’uniforme. Malgrado il suo metro e ottantacinque di statura era così robusta che in quel vestito appariva tozza. Cordelia si domandò se, come consorte del Reggente, avrebbe potuto permettersi personale con una sua livrea, e durante la colazione si divertì a disegnare mentalmente il tipo di uniforme che avrebbe potuto dare un aspetto più elegante a quella valchiria.

— Sai, tu sei la prima guardia del corpo di sesso femminile che io abbia visto su Barrayar — commentò Cordelia mentre il cameriere le serviva un uovo sodo, il caffè e quelli che sembravano fiocchi d’avena indigeni conditi col burro, evidentemente la colazione standard nella dimora cittadina dei Vorkosigan. — Come mai ti sei trovata a fare un lavoro di questo genere?

— Be’, io non sono una vera guardia del corpo, come gli uomini che avete qui, in livrea…

Ah, di nuovo la magia delle uniformi.

— … ma mio padre e i miei tre fratelli sono tutti nel Servizio. Questo era il lavoro più vicino a quello del militare che potessi fare.

Innamorata dell’esercito, come tutti su Barrayar. Cordelia la incoraggiò a proseguire con un cenno del capo.

— Io studiavo il Judo, per sport, da ragazzina. Ma ero già troppo robusta per i corsi femminili di autodifesa. Non c’era un’insegnante o un’allieva con cui potessi addestrarmi davvero, e fare da sola era una noia e serviva a poco. I miei fratelli cominciarono a portarmi con loro ai corsi per uomini, e poi… una cosa tira l’altra. I primi due anni partecipai ai campionati femminili e vinsi il titolo mondiale tutte e due le volte. La Federazione era d’accordo, perché il Judo è questione di abilità e non di forza. Ma l’anno dopo scelsi di partecipare solo per esibizione. Poi, tre anni fa, un uomo del capitano Negri parlò con mio padre e disse che aveva un lavoro per me. Fu allora che cominciai l’addestramento con le armi. Mi dissero che la Principessa chiedeva da anni una guardia del corpo femmina, ma che non erano mai riusciti a trovarne una capace di passare tutti i test. Anche se… — Scrollò le spalle, con un sorrisetto di autodeprecazione, — la donna che ha ucciso l’ammiraglio Vorrutyer non ha certo bisogno d’essere protetta da una semplice… voglio dire, lei è una vera militare, un’ufficialessa.

Cordelia represse l’impulso di dirle la verità. — Mmh. Sono stata fortunata. Comunque, ora devo tenermi lontana dagli sforzi fisici. La gravidanza, sai.

— Sì, milady. L’ho letto in uno dei…

— Rapporti del capitano Negri — finì Cordelia all’unisono con lei. — Non mi stupisce. Probabilmente lui lo sapeva prima di me.

— Sì, milady.

— Quando eri bambina qualcuno incoraggiava la tua passione per lo sport?

— Fino ai dieci o undici anni, sì. Poi… non proprio. Tutti pensavano che io fossi un po’ strana. — Droushnakovi si accigliò, e Cordelia ebbe l’impressione di aver risvegliato ricordi dolorosi.

Guardò la ragazza, pensosamente. — I tuoi fratelli sono più anziani di te?

Negli occhi azzurri della bionda ci fu un’ombra. — Sì, milady. Ma loro capivano. Per loro era normale che la sorella volesse… imitarli.

— Lo immagino. — «Per loro» significava «soltanto per loro.» E io che temevo Barrayar per ciò che fa ai suoi figli. Non c’è da stupirsi che avessero difficoltà a trovarne una capace di superare i test. - Così sei addestrata all’uso delle armi. Benissimo. Oggi andrò a fare spese e potrai farmi da guida.

Droushnakovi sbatté le palpebre. — Sì, milady. In centro ci sono dei negozi dove vendono articoli di lusso… non che io ci sia mai entrata, ma li conosco. Quale genere di abiti desidera acquistare? — domandò educatamente, senza riuscire a celare del tutto il suo disappunto per gli interessi della «vera militare».

— Dove si può trovare un buon bastone-spada? Non intendo un bastone animato, ma uno da passeggio che sia un fodero per la spada.

L’espressione delusa scomparve. — Oh, conosco io il posto adatto. So dove si servono gli ufficiali Vor e i Conti per rifornire il loro personale. Cioè… neppure lì sono mai entrata. La mia famiglia non è Vor, così non ci è permesso di tenere armi, salvo che durante il servizio. È il negozio più fornito della capitale.


Una delle guardie in livrea del Conte Vorkosigan fece loro da autista fino in centro. Cordelia si rilassò e lasciò vagare lo sguardo sugli edifici e sul traffico. Droushnakovi, in servizio, stava allerta e osservava sia i veicoli che i pedoni. Cordelia ebbe l’impressione che sapesse dove guardare e cosa cercare. Ogni tanto la ragazza si toccava distrattamente il bolero ricamato, sotto cui era nascosto uno storditore.

L’auto svoltò in una traversa stretta ma ben tenuta, chiusa fra antichi edifici di pietra. Sull’insegna del negozio d’armi c’era scritto solo Siegling, in discrete lettere dorate. Chiaramente, chi arrivava lì senza sapere dov’era non avrebbe dovuto essere lì. L’uomo in livrea attese fuori, e Cordelia e Droushnakovi entrarono. Il negozio, pavimentato in soffice moquette, aveva una tappezzeria in pannelli di legno scuro e nell’aria stagnava un odore che a Cordelia ricordò quello dell’armeria della sua nave della Sorveglianza Astronomica; un odore di casa, singolare in un posto straniero. Guardò i pannelli di legno e mentalmente calcolò il loro valore in dollari betani. Una bella cifra. Ma il legno sembrava comune come la plastica lì, e nessuno ci faceva caso. Le armi portatili il cui acquisto e uso era legale per i membri della classe superiore erano elegantemente in mostra in vetrinette a muro. Oltre agli storditori e alle armi da caccia c’era un’impressionante varietà di spade e coltelli. Evidentemente l’editto imperiale contro i duelli proibiva il loro uso, ma non il loro possesso.

Il commesso, un uomo anziano dagli occhi stretti e dai gesti morbidi, venne subito loro incontro. — Buongiorno, signore. In cosa possiamo servirle? — Non era affatto sorpreso. Cordelia si disse che le donne di classe Vor venivano lì spesso, a comprare regali per i loro amici o amanti. Ma con lo stesso tono l’uomo avrebbe potuto dire: Allora, bambini, avete visto in vetrina qualcosa che vi piace? Le stava mettendo al loro posto con una sorta di linguaggio non scritto? Be’, meglio non farci caso.

— Vorrei vedere un bastone-spada, adatto a un uomo sul metro e ottantacinque. Con l’impugnatura a… uh, circa questa altezza dal suolo — disse Cordelia, calcolando a occhio e croce la lunghezza del braccio di Koudelka. — Robusto, ma elegante. Da passeggio.

— Sì, signora. — Il commesso scomparve nel retro e ritornò quasi subito con un esempio, in legno leggero ed elaboratamente intarsiato a mano.

— Mi sembra un po’… non saprei. — Troppo sgargiante? - Come funziona?

Il commesso le mostrò il meccanismo dell’impugnatura. Il fodero di legno si sfilò sulla spinta di una molla interna, lasciando emergere una lama lunga e sottile. Cordelia allungò una mano e l’uomo, con una certa riluttanza, le consegnò l’arma.

Lei la soppesò, passò un dito sulla lama, poi la porse alla sua guardia del corpo. — Che ne pensi?

Droushnakovi la impugnò con un sorriso, ma subito corrugò le sopracciglia. — Non è molto ben bilanciata. — Rivolse al commesso un’occhiata interrogativa.

— Ricorda che lavori per me, non per lui — disse Cordelia, riconoscendo in quello scambio di sguardi la differenza di classe sociale in azione.

— Non è granché, come spada.

— Questa è un’eccellente opera artigianale importata da Darkoi, signora — replicò freddamente il commesso.

Sorridendo Cordelia si fece restituire l’arma. — Mettiamo alla prova la sua affermazione, allora.

Sollevò l’arma nel saluto dei duellanti, poi estese il braccio e la puntò contro la parete. La punta penetrò nel pannello di legno, e Cordelia vi si appoggiò con tutto il suo peso. La lama si spezzò in due. Con espressione blanda lei restituì i pezzi al commesso. — Come potete restare in affari se i vostri clienti non sopravvivono per acquistare altri articoli? Sicuramente la reputazione di Siegling non è nata dalla vendita di questi giocattoli. Mi faccia vedere qualcosa di adatto a un vero soldato, non a un damerino di città.

— Signora — disse rigidamente il commesso, — devo farle notare che la mercanzia danneggiata va comunque pagata.

Cordelia sbuffò sdegnosamente. — Naturale. Mandi il conto a mio marito. Ammiraglio Aral Vorkosigan. Casa Vorkosigan. E aggiunga una nota di spiegazione sul perché lei ha ritenuto di potermi vendere un acciaio scadente. — Quest’ultima era una rivalsa insolente, ma se quella gente ci teneva alle differenze sociali, che se sentisse il peso.

Il commesso s’inchinò profondamente. — Le domando perdono, milady. Credo di avere qualcosa di più adatto, se milady vuole compiacersi di aspettare un momento.

L’uomo scomparve di nuovo, e Cordelia sospirò. — Acquistare dai distributori automatici è molto più semplice. Ma l’accenno al Rapporto all’Autorità Competente funziona nello stesso modo su tutti i pianeti della galassia.

L’articolo successivo era di legno liscio, senza fronzoli ma ben rifinito. Il commesso glielo porse senza sfilare il fodero, con un leggero inchino. — Basta premere il pulsante, milady.

Era molto più pesante dell’altro bastone-spada. Il fodero schizzò via come un proiettile, andando a sbattere contro il muro con un tonfo soddisfacente, già quasi un’arma di per sé. Cordelia soppesò anche quella lama. La superficie dell’acciaio aveva una strana filigrana, che si scorgeva solo quando la luce la colpiva da una certa angolazione. Lei la sollevò ancora nel saluto rituale, e gettò un’occhiata al commesso. — Non c’è pericolo che il costo sia tolto dal suo salario?

— Faccia pure, milady. — L’uomo esibì un breve sogghigno. — Questa lei non la spezza.

Cordelia sottopose la lama allo stesso esame dell’altra. La punta si conficcò nel legno molto più a fondo, e benché lei vi si appoggiasse e facesse forza riuscì appena a piegarla di poco. Tuttavia erano ben altri i test che una spada avrebbe dovuto sopportare. La diede a Droushnakovi, che accarezzò l’acciaio con una luce di adorazione nello sguardo.

— Questa ha classe, milady. Questa è una spada.

— Sono certa che sarà usata come bastone e nient’altro. Tuttavia… è bene che possa svolgere le sue funzioni. Prenderò questa.

Mentre il commesso incartava il bastone-spada, Cordelia si fermò davanti a una vetrina in cui c’erano numerosi storditori, di metallo intarsiato e con l’impugnatura sagomata.

— Pensa di comprarne uno per sé, milady? — chiese Droushnakovi.

— Io… non credo. Barrayar ha abbastanza soldati per non doverne importare una da Colonia Beta. E io non sono qui per dedicarmi all’esercizio delle armi. Vedi qualcosa che ti piace?

Nello sguardo di Droushnakovi ci fu un lampo di desiderio, ma le sue dita sfiorarono il bolero e scosse il capo. — L’equipaggiamento del capitano Negri è il migliore. Neppure Siegling ha qualcosa di più efficiente; solo di più elegante.


Quella sera cenarono insieme tutti e tre, Vorkosigan, Cordelia e il tenente Koudelka. Il nuovo segretario privato dell’ammiraglio appariva un po’ stanco.

— Cos’avete fatto voi due in tutto il giorno? — domandò lei.

— Pascolato uomini, per lo più — rispose Vorkosigan. — Il Primo Ministro Vortala aveva alcuni voti che non erano nella sua tasca come dichiarava, e noi ce li siamo lavorati, uno o due alla volta, dietro una porta chiusa. Ciò che vedrai domani nelle camere del Consiglio non sarà la politica barrayarana al lavoro, ma solo i suoi risultati. E tu, cos’hai fatto di bello?

— Oh, sono andata a far compere. Già che c’ero ho acquistato una cosa anche per Kou. La canna di bambù che adopera adesso si piega in un modo che io trovo allarmante. — Cordelia andò a prendere il bastone-spada e disfece l’involto. — Con questo non rischierai di andare a sbattere in terra, Kou.

Koudelka si mostrò educatamente grato, anche se la sua prima reazione era stata il momentaneo imbarazzo di chi avrebbe preferito non vedersi regalare niente. Quando però sentì il peso del bastone ne fu colto di sorpresa, e sbatté le palpebre. — Ehi, ma questo non è un semplice…

— Devi premere il pulsante. Non puntarlo…!

Thwack!

— … contro la finestra. — Per fortuna il fodero andò a sbattere contro l’intelaiatura, rimbalzando sul pavimento. Aral e Kou si alzarono in piedi di scatto.

Mentre Cordelia andava a recuperare il fodero, Koudelka passò un dito sulla lama. Gli brillavano gli occhi. — Oh, milady! — Poi la sua espressione si scurì. Rinfoderò la lama con cura e le restituì il bastone-spada. — Penso che lei non potesse saperlo. Ma io non sono Vor. Non è legale che io possegga un’arma privata.

— Oh. — Cordelia si sentì cadere le braccia.

Vorkosigan inarcò un sopracciglio. — Posso vedere questo oggetto, Cordelia? — Esaminò il bastone, sfoderando la lama stavolta con più cautela. — Mmh. Sono nel giusto se presumo che sarò io a pagare quest’arma?

— Be’, ti converrà onorare il conto, quando arriverà. Anche se non credo che debba pagare tu la spada che ho spezzato nel controllarne la lama. I cocci di quella sono miei.

— Capisco. — Sulla bocca di lui ci fu l’ombra di un sorriso. — Tenente Koudelka, signore, come vostro ufficiale comandante e alto vassallo di Sua Maestà Imperiale Ezar Vorbarra, io ho il privilegio di affidarvi formalmente questa mia arma, affinché voi la portiate al Servizio dell’Imperatore, possa egli regnare a lungo. — L’inevitabile ironia di quelle frasi formali rischiò di trasformare il suo sorriso in un sogghigno, ma si tenne eretto e consegnò il bastone-spada a Koudelka, che s’illuminò in volto.

— Vi ringrazio, eccellenza! Voi mi fate onore! — I due uomini si scambiarono un inchino.

Cordelia scosse il capo. — Bene. Credo che non capirò mai questo posto.

— Chiederò a Kou di cercarti un po’ di aneddoti legali. Non stasera, però. Gli resta appena il tempo di mettere ordine nei suoi appunti di oggi, prima che Vortala piombi qui con un paio dei suoi adepti. Kou, puoi prendere possesso della biblioteca del Conte mio padre. Ci vedremo lì più tardi.

I camerieri entrarono a sparecchiare. Koudelka scese in biblioteca per mettersi al lavoro, e Vorkosigan e Cordelia andarono a sedersi nel salotto accanto, al pianterreno, per leggere un poco, prima che arrivassero gli ospiti. Vorkosigan aveva dei rapporti, che esaminò sullo schermo di un lettore portatile. Cordelia vide che i notiziari televisivi erano già finiti, così s’infilò un auricolare e divise il suo tempo fra una lezione di lingua russo-barrayarana e un video, ancor più difficile, sui primi mesi di vita dei neonati. Il silenzio era rotto solo da occasionali borbottii di Vorkosigan, diretti più a se stesso che a lei, come: — Ah ha! Allora è questo che sta meditando quel bastardo. — Oppure: — Dannazione, queste cifre mi sembrano strane. Bisogna controllarle… — O anche da Cordelia con frasi tipo: — Santo cielo, mi chiedo se tutti i bambini fanno questo. — E inoltre da un saltuario thwack! che giungeva attraverso il muro dall’adiacente biblioteca, cosa che li distraeva entrambi, facendoli scoppiare a ridere.

— Oh, caro — disse Cordelia dopo il quarto schiocco sulla parete, — spero di non averlo troppo distratto dai suoi doveri.

— Saprà cavarsela bene, quando avremo una routine più normale. Il segretario personale di Vorbarra lo ha preso sotto tutela e gli sta insegnando a organizzarsi. Dopo che Kou lo avrà seguito in tutto il protocollo del funerale, qualunque altra cosa gli sembrerà un gioco da bambini. Il bastone-spada è stato un lampo di genio. Grazie.

— Ho notato che anche con noi, che siamo in confidenza, è molto sensibile ai suoi handicap. Mi sono detta che una lama può aiutare un uomo ad arruffare un po’ le penne.

— La nostra società è così. E tende a essere piuttosto dura con chi non sta al passo con certi… punti di vista.

— Capisco. Strano… ora che ne parli, non ricordo di aver visto altro che gente in piena salute per le strade e altrove, salvo che all’ospedale. Niente sedie a rotelle, niente giovani dallo sguardo vacuo a rimorchio dei loro genitori…

— Né li vedrai. — Vorkosigan si accigliò. — Tutti i problemi che si possono identificare prima della nascita vengono eliminati.

— Be’, anche noi facciamo questo, ma di solito già anni prima del concepimento.

— Qui si ricorre all’aborto. E chi non ci ha pensato per tempo provvede dopo… in qualche posto deserto fuori città.

— Oh!

— In quanto agli adulti minorati a causa di traumi…

— Santo cielo, non praticherete l’eutanasia su di loro, no?

— Il tuo Alfiere Dubauer non sarebbe vissuto a lungo, qui. Dubauer aveva ricevuto un colpo di distruttore neuronico alla testa ed era rimasto vivo. Più o meno.

— Per chi ha minorazioni tipo quella di Koudelka, o peggio… le stigmate sociali sono gravi. Osservalo in un gruppo di perfetti estranei, se ti capita, non fra i suoi conoscenti. Non è un caso che la percentuale di suicidi fra i militari feriti sia altissima.

— È una cosa orribile.

— A me sembrava normale, una volta. Oggi… oggi non più. Ma la gente la pensa ancora così.

— E per problemi mentali come quelli che aveva Bothari?

— Dipende. Lui era uno strumento utilizzabile. Per quelli non utilizzabili… — Vorkosigan abbassò lo sguardo, lasciando la frase in sospeso.

Cordelia ebbe un fremito. — Io continuo a dirmi che mi adatterò a questo pianeta. Poi giro un angolo e vado a sbattere in cose come queste.

— Sono trascorsi solo ottant’anni da quando Barrayar ha ripreso contatto con la civiltà galattica. Non avevamo perduto soltanto la tecnologia, nell’Era dell’Isolamento. Quella l’abbiamo recuperata in fretta, come si mette un vestito nuovo. Ma sotto di esso… in qualche posto siamo ancora nudi. In quarantaquattro anni di vita io ho cominciato appena ora a vedere fino a che punto siamo nudi.

Il Conte Vortala e i suoi «adepti» giunsero pochi minuti dopo, e Vorkosigan sparì in biblioteca con loro. Quella stessa sera, sul tardi, arrivò anche il vecchio Conte Piotr, dal suo Distretto, per partecipare alla votazione del Consiglio riunito.

— Be’, almeno un voto sicuro lo avrà, domani — scherzò Cordelia col suocero mentre lo aiutava a togliersi la giacca, nel freddo atrio pavimentato in pietra.

— Mmh. Può considerarsi fortunato ad averlo. In questi ultimi anni è venuto fuori con alcune strane idee dannatamente radicali. Se non fosse mio figlio potrebbe sognarselo, il mio voto — dichiarò Piotr. Ma nei suoi occhi ci fu un lampo d’orgoglio.

Cordelia sbatté le palpebre nel sentire definire così le idee politiche di Aral Vorkosigan. — Confesso di non aver mai pensato a lui come una specie di rivoluzionario. «Radicale» qui dev’essere un termine più elastico di quel che credevo.

— Oh, lui non si vede a questo modo. È convinto che potrà arrivare a metà strada e poi fermarsi. Invece si accorgerà, fra qualche anno, che su quella strada c’è andato a cavallo della tigre. — Il Conte scosse trucemente il capo. — Ma adesso andiamo a sederci, ragazza mia, e dimmi come stai. Mi sembri in salute. Le cose vanno… uh, vanno avanti bene?

Il vecchio Conte era appassionatamente interessato allo sviluppo del suo futuro nipote. Cordelia sentiva che la gravidanza l’aveva fatta salire di rango agli occhi di lui: da un capriccio di Aral tollerato per amore del figlio ad una creatura madre-procreatrice sulla soglia della divinità. La faceva oggetto di ogni premura come per un istinto irresistibile, e lei non ne rideva mai, anche se non si faceva illusioni sul motivo di questo.

Cordelia aveva avuto un primo indizio della reazione del vecchio da quella dello stesso Aral, il pomeriggio d’estate in cui era tornata a casa, a Vorkosigan Surleau, con la conferma della sua ipotesi. Il lago splendeva sotto il sole quando era scesa all’imbarcadero per dare la notizia al marito. Aral era occupato a ormeggiare la barca, ma nel vederla aveva lasciato sventolare la vela al vento ed era saltato giù sul basso fondale, per raggiungere la riva a guado.

— Ebbene? — aveva chiesto, vacillando a piedi scalzi sui sassi.

— Ecco… — Lei s’era calata sul volto una maschera di tristezza, per prenderlo un po’ in giro. Ma gli angoli della bocca le si erano piegati in su, e il sorriso le aveva invaso il volto. — Il tuo medico dice che ho un imbarazzo intestinale…

— Non scherzare, ragazza.

— Un imbarazzo intestinale maschio.

— Ah! — Un lungo eloquente sospiro gli era sfuggito di bocca, e l’aveva presa fra le braccia, facendola roteare intorno.

— Aral! Auch! Non farmi cadere. — Suo marito non era più alto di lei, ma più robusto sì, e non di poco.

— Mai, mia capitana. D’ora in poi ti verrò dietro con un generatore antigravità. — Vorkosigan l’aveva rimessa coi piedi al suolo e s’erano scambiati un bacio, breve perché era finito fra le risa.

— Mio padre andrà in estasi.

— Sembri piuttosto estasiato anche tu.

— Sì, ma non avrai visto niente finché non saprai con quale espressione un pater familias barrayarano vecchio stile osserva l’accrescersi del suo albero genealogico. Negli ultimi vent’anni il pover’uomo si era convinto che la discendenza dei Vorkosigan sarebbe finita con me.

— Potrà perdonare il fatto che io sono una plebea straniera?

— Non ti offendere se dico questo, ma non credo che gli importi quale specie di bipede io porti finalmente in casa, purché sia femmina e fertile. Pensi che io stia esagerando? — aveva aggiunto, alla sua risatina trillante. — Allora vedrai.

— È troppo presto per pensare al nome? — aveva chiesto lei, con una luce di desiderio nello sguardo.

— Non fare questo sforzo. È il maschio primogenito, e qui ci sono usanze ben precise. Avrà il nome dei suoi due nonni, paterno e materno, con la precedenza al primo.

— Ah, ecco perché i vostri libri di storia confondono tanto le idee a chi li legge. Ho sempre dovuto mettere una data accanto a questi doppi nomi, per identificarli meglio. Piotr Miles. Mmh. Be’, suppongo che mi abituerò. Io avevo pensato un altro nome.

— Tienlo da parte per il prossimo.

— Oh… insaziabile!

Cordelia aveva notato che in certe condizioni di umore lui era insolitamente sensibile al solletico, e nel breve match di lotta che era seguito aveva messo in pratica quella scoperta con spietata determinazione, finché s’erano abbandonati insieme sull’erba calda, con le lacrime agli occhi per il gran ridere.

— Tutto ciò è assai poco dignitoso — s’era lamentato Aral, mentre lei lo aiutava a tirarsi a sedere.

— Pensi che abbiamo scandalizzato i pescatori di Negri, laggiù?

— Quella è gente che si scandalizza solo se non vede nulla di anormale, te lo garantisco.

Cordelia aveva agitato una mano verso l’hovercraft a galla in mezzo al lago, gesto che era stato stolidamente ignorato dai suoi occupanti. Benché ormai si fosse rassegnata trovava ancora irritante che la Sicurezza Imperiale tenesse suo marito sotto osservazione, per di più in modo così sfacciato. Era il prezzo che Aral pagava per aver conosciuto troppo a fondo le manovre sporche nei retroscena della Guerra di Escobar, e anche, supponeva lei, per aver dato voce a certe sue opinioni politiche non gradite.

— Capisco che in una sorveglianza così scoperta tu veda qualcosa di ironico, e che stare al gioco ti diverta. Forse dovremmo invitare quei due a colazione, o qualcosa del genere. Ormai devono conoscermi tanto bene che anche a me piacerebbe conoscere loro. — Ma c’erano altri agenti di Negri per cui quei ridicoli pescatori fungevano solo da facciata? C’erano microspie nelle camere da letto, o nel bagno, o microfoni direzionali puntati su di loro anche in quel momento?

Aral aveva sogghignato, scuotendo la testa. — Non si fiderebbero. Possono mangiare e bere soltanto ciò che si portano dietro.

— Santo cielo, paranoici fino a questo punto?

— A volte è necessario. È un lavoro pericoloso. Non li invidio.

— Stare lì seduti con una lenza in mano può essere visto come una piacevole vacanza. C’è gente che pagherebbe per venire qui ad abbronzarsi.

— Credo che non siano soli. Ma anche quelli di loro che stanno seduti al sole non si rilassano. C’è il rischio che dopo un anno di questo andazzo debbano entrare in azione senza preavviso, ed essere pronti a giocarsi la vita in pochi istanti. Tieni presente che hanno anche ordine d’intervenire in mia difesa, se ci fosse un attacco da parte di qualche fazione ostile.

— Come puoi esserne certo?

— Negri non tollera interventi esterni sulle cose che tiene sotto controllo. Lo conosco bene.

— Ancora non capisco perché qualcuno dovrebbe farti del male. Voglio dire, tu sei un ufficiale in ritiro. Devono essercene centinaia come te, anche fra i Vor di alto rango.

— Mmh. — Aral aveva tenuto lo sguardo sulla barca lontana, senza rispondere. Poi era balzato in piedi. — Vieni. Andiamo a dare la lieta novella a mio padre.

Be’, ora quel lato della loro personalità lo capiva. Il Conte Piotr la prese sottobraccio e la portò con sé in sala da pranzo, dove gli fu servita la cena. Durante il pasto le chiese un rapporto sulle ultime notizie ostetriche, e insisté per farle mangiare le fragole fresche che aveva portato con sé dalla campagna. Lei lo accontentò docilmente.

Quando il Conte ebbe cenato, mentre Cordelia lo accompagnava a braccetto nel salotto del pianterreno, udirono delle voci attraverso la porta della biblioteca. Le parole non si distinguevano, ma il tono era secco e iroso. Cordelia si fermò, col cuore in gola.

Quasi subito la discussione — il litigio? — cessò, la porta si aprì di scatto e un uomo uscì. Dallo spiraglio Cordelia poté vedere il Conte Vortala e Aral, all’interno. Aral era rigido, gli occhi scintillanti. Vortala, un anziano politicante con una testa calva cinta da una frangia di capelli bianchi, lo fronteggiava rosso in faccia; poi rivolse un cenno del capo all’uomo dall’espressione blanda in attesa dietro di lui e questi lo precedette alla porta.

Il visitatore uscito per primo era basso e tarchiato, sulla quarantina, bruno di capelli e vestito con tutta l’eleganza che poteva sfoggiare un membro della classe nobiliare. Il suo volto era sormontato da una fronte ampia, ricurva, e sfoggiava due voluminosi mustacchi sotto un robusto naso a becco. Cordelia non lo avrebbe definito né bello né brutto, ma nei suoi lineamenti c’era una forza di volontà senza dubbio molto mascolina. In quel momento era cupo, freddamente accigliato. Accorgendosi che nell’atrio c’era il Conte Piotr si volse e gli elargì un contegnoso quanto misurato cenno del capo. — Vorkosigan… — lo salutò, lasciando che il riluttante «buona sera» aleggiasse non detto nell’aria.

Il vecchio Conte rispose con un inchino altrettanto millimetrico, inarcando un sopracciglio. — Vordarian… — Nel suo tono c’era una muta domanda.

Vordarian aveva i denti stretti, e quando si poggiò un pugno su un fianco parve voler incarnare lo sdegno della giustizia oltraggiata. — Ricordi queste mie parole, signore — disse. — Lei ed io, e ogni altro uomo d’onore di Barrayar, vivremo per rimpiangere ciò che accadrà domani.

Le zampe di gallina ai lati degli occhi di Piotr si accentuarono allorché strinse le palpebre. — Mio figlio non tradirà gli obblighi del suo rango, signore.

— Lei preferisce non vedere. Capisco. — Lo sguardo dell’uomo si spostò su Cordelia, non abbastanza a lungo perché la sua freddezza fosse insultante ma molto vicino ad esserlo. In uno sforzo di cortesia ridotto al minimo salutò con un brevissimo cenno del capo e se ne andò a passi svelti, seguito dall’altro uomo.

Aral e Vortala uscirono dalla biblioteca. Aral fece qualche passo verso la porta a vetri del salotto e guardò nel buio al di là di essa. O forse si stava soltanto specchiando nel riflesso. Vortala gli toccò una manica.

— Lo lasci andare, Vorkosigan — disse. — Possiamo sopravvivere senza il suo voto, domani.

— Non ho certo intenzione di corrergli dietro per strada — sbottò Aral. — Ciò malgrado… la prossima volta risparmi il suo acume per chi ha abbastanza cervello da apprezzarlo, eh?

— Chi era quel tipo così arrabbiato? — chiese Cordelia in tono discorsivo, cercando di alleggerire l’atmosfera.

— Il Conte Vidal Vordarian. — Aral distolse lo sguardo dal pannello di vetro e voltandosi riuscì a sorriderle. — Il Commodoro Conte Vordarian. Mi è capitato di lavorare spesso con lui, quando ero al Comando Strategico. Ora è l’uomo di punta di quello che potresti chiamare il prossimo-e-principale partito conservatore di Barrayar. Non qualcosa da ritorno all’Era dell’Isolamento ma, diciamo, il vessillo di chi resta convinto che ogni cambiamento è sempre un cambiamento in peggio. — Nel dir questo guardò suo padre.

— Il suo nome è stato fatto di frequente, quando si speculava su chi avrebbe avuto la Reggenza — spiegò Vortala. — Ciò che temo è che fosse lui a incoraggiare quell’ipotesi. Non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per ingraziarsi Kareen.

— Avrebbe dovuto ingraziarsi Ezar — commentò seccamente Aral. — Be’, forse l’aria della notte raffredderà i suoi umori. Provi ancora a saggiarlo domattina, Vortala… magari facendogli qualche concessione, eh?

— Per raffreddare l’ego di Vordarian dovrei portarlo sulla banchisa artica — disse Vortala. — Trascorre troppo dannato tempo a contemplare l’albero genealogico della sua famiglia.

Aral annuì, con un sogghigno. — Non è il solo.

— Ma è il solo che lo sente rispondere, quando ci parla — borbottò Vortala.

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