CAPITOLO VENTESIMO

Con una delle sue prime disposizioni Cordelia affidò di nuovo a Droushnakovi la responsabilità della persona di Gregor, che aveva bisogno di un’amica. Ciò non significava rinunciare alla compagnia della ragazza, che lei era ormai abituata ad avere accanto, perché l’insistenza di Illyan aveva finalmente convinto Aral a trasferirsi nella Residenza Imperiale. Cordelia si sentì alleggerita da un altro pensiero quando Drou e Koudelka decisero di sposarsi, un mese dopo la Festa d’Inverno.

Cordelia si offrì di fungere da intermediaria fra le due famiglie, ma per un qualche loro motivo Drou e Koudelka si affrettarono a declinare la proposta, pur profondendosi in ringraziamenti. Dati gli imprevedibili risvolti delle usanze sociali barrayarane, lei fu lieta di lasciare l’incarico di paraninfa a una signora anziana ed esperta che la coppia pagò per i suoi servizi.

Vedeva spesso Alys Vorpatril, ancora convalescente per le traversie sopportate dopo il parto. Il piccolo Lord Ivan era, se non proprio un conforto, almeno una distrazione per la madre. Cresceva in fretta malgrado un’eccessiva propensione al pianto, fatto questo, comprese Cordelia, che probabilmente era innescato da un’analoga tendenza della madre. Ivan avrebbe dovuto avere accanto altri esseri umani fra cui suddividere la sua attenzione, decise lei un pomeriggio, vedendo come l’amica se lo stringeva al petto e gli parlava del suo futuro. Solitamente Alys tirava avanti fino agli esami d’ammissione di Ivan all’Accademia Militare Imperiale, come se avesse bisogno di rammentare a se stessa gli eventi che l’avrebbero tenuta occupata negli anni a venire.

Quei malinconici e artificiosi espedienti per allontanare la mente dalla perdita di Padma ebbero però fine quando Drou le mostrò una fotografia dell’abito da sposa che progettava di acquistare.

— No, no, no! — esclamò vivacemente. — Tutti questi nastrini appesi attorno… santo cielo, alla minima corrente d’aria si agiteranno come se cominciasse a nevicare. Una fascia di seta, ecco quello che ci vuole per te, mia cara, obliqua, con un fiocco qui sul fianco. E niente pizzi sulle spalle, ne accentuano la larghezza. Comunque tu hai la fortuna d’essere alta. Vediamo, devo avere qui su una rivista un modello che… — e prese il via come ai vecchi tempi. Orfana di madre e senza sorelle, difficilmente Drou avrebbe potuto trovare una più esperta consulente in materia. Fu Lady Vorpatril a pagare il conto per l’abito da sposa, che venne confezionato su misura nella sartoria da cui si serviva anche lei, né questo fu il suo unico dono di nozze, perché volle regalarle anche una «casetta per l’estate», la quale si rivelò per una villa di quindici stanze in riva al mare, in una delle proprietà dei Vorpatril. Cordelia invece, sorridendo sotto i baffi, le regalò biancheria intima e sottovesti guarnite con abbastanza pizzi e nastrini svolazzanti da saziare il suo bisogno di frivolezze femminili.

Aral provvide al luogo in cui si sarebbe svolta la cerimonia nuziale: il magnifico Salone Rosso della Residenza Imperiale, quello coi pavimenti a mosaico e la sala da ballo adiacente, che con gran sollievo di Cordelia era scampato all’incendio. Ufficialmente questo fu giustificato come una necessità richiesta da Illyan, poiché fra i presenti non ci sarebbero stati solo il Reggente e sua moglie.

Aral guardò la lista degli invitati e sorrise. — Ti rendi conto — disse a Cordelia, — che qui è rappresentata ogni classe sociale? Soltanto l’anno scorso un evento di questo genere non sarebbe stato concepibile. Il figlio di un bottegaio e la figlia di un sergente. Lo hanno ottenuto rischiando la vita in guerra, ma l’anno venturo potrà accadere a chi si dedica ad attività pacifiche: industriali, medici, studiosi, ingegneri… mi chiedo quanto manca ai ricevimenti dati in onore di qualche attore, come fanno sugli altri pianeti.

— Non temi che quelle terribili pettegole Vor con cui sono sposati gli amici di Piotr lo troveranno troppo progressista e volgare?

— Con Alys Vorpatril dietro tutto questo? Non oserebbero.

La cosa acquistò dimensioni per pura forza d’inerzia. Già una settimana prima delle nozze Drou e Koudelka erano in preda al panico, avendo perso completamente il controllo delle iniziative di tutti quelli che si stavano occupando di loro. Ma il personale della Residenza Imperiale non aveva problemi organizzativi. La direttrice dei ricevimenti non nascondeva la sua soddisfazione: — E pensare che credevo che non ci sarebbe stato da fare niente per anni, dopo la festa in onore del Reggente, a parte quelle noiose cene per vecchi burocrati e generali in pensione una volta al mese.

Finalmente giunse il giorno fatidico. Gli invitati presero posto lungo il perimetro del Salone Rosso in un circolo multicolore, entro il quale altre persone si disposero a formare una stella le cui punte — in quel caso quattro — potevano variare a seconda del numero dei familiari e dei testimoni. L’usanza barrayarana prevedeva che una coppia si sposasse da sola, pronunciando i voti matrimoniali al centro del circolo. Non erano necessari preti né magistrati. In effetti di solito si chiedeva la presenza di un testimone ufficiale che si occupava delle registrazioni, chiamato appunto Testimone, e stando all’esterno del circolo costui leggeva le formule scelte per essere ripetute. Ciò consentiva alla coppia emozionata e stressata di dedicare le sue ormai scarse funzioni neurali ai gesti previsti. Nel caso che anche questa coordinazione motoria venisse meno, i due sposi erano affiancati da un amico e da un’amica, che li conducevano sul percorso stabilito. Tutto molto pratico, rifletté Cordelia al suo ingresso nel salone, e di gran bell’effetto.

Con un sorriso e un inchino Aral la lasciò nella posizione a lei assegnata, a un vertice della stella, come una ciliegina su una torta, e si ritirò nel circolo esterno. Lady Vorpatril aveva insistito perché lei indossasse un abito lungo blu e bianco, con qualche fiorellino rosso, intonato all’ultra formale divisa di Aral, rossa e blu. Anche il padre di Drou, orgoglioso e impettito nella sua uniforme da parata, occupava un vertice della stella interna. Strano pensare che fra i militari, si disse Cordelia, normalmente associati a impulsi totalitaristici, potessero far carriera anche i figli di umili popolani. Un regalo dei cetagandani, lo definiva Aral: la loro invasione aveva costretto Barrayar a usare al meglio i soldati di talento, senza riguardo per la classe di estrazione, ed era stato l’inizio di quei mutamenti che ora viaggiavano lenti attraverso la società.

Il sergente Droushnakovi era più basso e magro di quel che Cordelia s’era aspettato. I cromosomi della madre, o la nutrizione migliore, gli avevano procurato dei figli alquanto più alti di lui. I tre fratelli di Drou, un capitano, un sergente e un caporale, per l’occasione in licenza, erano nel circolo esterno degli invitati e sembravano velatamente interessati alla giovane sorella di Koudelka, una ragazza bruna graziosa quanto eccitata. La madre di Koudelka era a un altro vertice della stella, sorridente e con le lacrime agli occhi, e Cordelia stabilì che il vestito bianco e blu della donna non poteva essere intonato al suo per puro caso: Alys Vorpatril era in qualche modo arrivata anche a lei.

Koudelka fece il suo ingresso per primo, senza appoggiarsi troppo al nuovo lucido fodero del bastone-spada e affiancato dal sergente Bothari. Quest’ultimo indossava la versione di lusso della livrea del Conte Piotr e gli mormorava suggestivi commenti di rito che andavano da: «Non montarti la testa; questa gente è qui solo perché oggi non ha di meglio da fare» a: «Stanno pensando che sei un campagnolo vestito a festa. Dio, quanto sei ridicolo» a: «Non capisco come quella ragazza abbia il coraggio di sposare uno come te. Ma ti sei visto allo specchio?» Cordelia si disse che Bothari doveva avergli sussurrato anche qualcosa di molto pungente, perché Koudelka stentava a tenere il sorriso incollato alla faccia.

Le teste dei presenti si girarono. Oh, cielo! Alys aveva davvero l’occhio clinico per valorizzare l’aspetto di una donna. Drou veleggiò nel salone con la leggiadra grazia di un’indossatrice: seta dai riflessi d’avorio, capelli d’oro, occhi azzurri, fiori rossi, e più snella e flessuosa di quanto fosse mai stata. Alys Vorpatril, in grigio-argento, la lasciò al limite del circolo col gesto di una dea della caccia che lasciasse involare il falco, e la ragazza parve spiegare le ali verso il giovane tenente che, con gli occhi solo per lei, protendeva romanticamente una mano in sua attesa.

Drou e Koudelka recitarono il giuramento nuziale senza incespicare sulle parole, e mascherarono bene il lieve imbarazzo che ebbero nel pronunciare i loro nomi di battesimo, Clement e Ludmilla. Secondo l’uso dei militari erano abituati a usare solo il cognome anche con gli amici.

«I miei fratelli mi chiamano Milla» aveva confidato la ragazza a Koudelka e a Cordelia il giorno prima, durante le prove. «Fa rima con un sacco di parole stupide che loro dicono per prendermi in giro.»

«Per me sarai sempre Drou», le aveva promesso lui. «A patto che tu mi chiami Kou. L’altro è un nome sciocco.» Poteva scordarselo, s’era detta Cordelia. Durante i litigi domestici, quel «Clement» sarebbe tornato a galla come un sughero.

Nelle sue vesti di più autorevole dei presenti, Aral ruppe quindi il circolo facendo un passo avanti. Guidò i due sposi nel salone accanto, l’orchestra cominciò a suonare. I camerieri affrontarono la carica degli invitati uscendo dal riparo dei tavoli, armati di vassoi caricati a tartine e calici di vino. Le danze presero inizio subito.

Il buffet era di classe, la musica vivace, e le bevande scorrevano secondo la migliore tradizione di Barrayar. Dopo il primo bicchiere del vino che Aral aveva fatto venire dalla cantina di suo padre Piotr, Cordelia si accostò a Koudelka e gli mormorò qualcosa sugli studi betani circa i deleteri effetti dell’etanolo sulle attività amatorie, dopodiché il giovanotto passò all’acqua minerale.

— Donna crudele — ridacchiò Aral, che aveva sentito.

— Per qualcuno la festa non finisce in questa sala — disse lei.

— Anche per qualcun altro, mia cara. Stanne certa.

La sposa presentò Cordelia ai Droushnakovi, e i quattro militari la guardarono con un rispetto che le fece quasi digrignare i denti. La sua mandibola si rilassò quando uno dei tre fratelli rimatori fu messo a tacere dal padre, dopo un’allitterazione spiritosa su «Milla» e le armi portatili. — Tappati la bocca, Jos — disse l’anziano sergente. — Tu non hai mai usato un distruttore neuronico in uno scontro a fuoco. — Drou sbatté le palpebre, poi sorrise, e quando il padre la prese fieramente a braccetto i suoi occhi brillavano.

Cordelia si appartò un momento a parlare con Bothari, che non vedeva da quando Aral aveva lasciato la casa di città del Conte Piotr.

— Come sta Elena? E la signora Hysopy, si è ripresa da tutto quello che ha dovuto passare?

— Stanno bene, milady, — disse Bothari, e riuscì a fare una specie di sorriso. — Ho visto la bambina cinque giorni fa, quando il Conte è tornato a Vorkosigan Surleau per i suoi cavalli. Elena, uh, cresce. Tutte le volte che la prendo in braccio sembra un po’ più pesante. Ma comincia a sgambettare dappertutto… — Si accigliò. — Spero che Carla Hysopi la sorvegli bene.

— Se ha saputo curarsi di lei durante il rapimento e la detenzione, poche altre cose la metterebbero in difficoltà. È stata coraggiosa. Dovrebbero metterla in lista per una delle medaglie che stanno assegnando a tutti quanti.

Bothari parve stupito. — Oh, quelle cose non significano niente per lei.

— Mmh. Le hai detto che deve telefonarmi appena ha bisogno di qualcosa, vero? In qualsiasi momento.

— Sì, milady. Ma per adesso va tutto bene. — Raddrizzò le spalle, fiero della sua autosufficienza. — In inverno, giù a Vorkosigan Surleau c’è una gran quiete. Si respira aria buona. È un posto sano per i bambini. — Non come quello in cui sono cresciuto io, sembrò a Cordelia di sentirgli aggiungere. — Voglio dire, Elena deve avere tutto quello che le serve per crescere bene. Anche un padre.

— E tu? Come va?

— Bene, dicono i dottori. Mmh. Almeno, la nuova medicina che mi danno non mi riempie la testa di nebbia. E di notte dormo. A parte questo, non so che razza di terapia mi stiano facendo. Chiacchiere e poi ancora chiacchiere.

Un effetto probabilmente c’era. Bothari sembrava più calmo, quasi del tutto libero da quei momenti in cui aveva una luce sinistra nello sguardo. Anche se era sempre il primo ad adocchiare il buffet e a chiedere: «C’è l’ordine di bere tutta quella roba?»

Gregor, in pigiama, stava scivolando dietro i tavoli coperti di specialità culinarie, con l’evidente intenzione di restare invisibile almeno per il tempo di arraffare e ingoiare un certo numero paste alla crema. Fu Cordelia ad accorgersi di lui, prima che fosse catturato dalle forze della Sicurezza partite alla sua ricerca. L’ansimante cameriera e la terrorizzata guardia del corpo che si supponeva dovessero sostituire Drou erano già sulla soglia del salone, e si guardavano attorno con ansia disperata. Pochi istanti dopo i due furono raggiunti da Simon Illyan, teso e allarmato. Il Capo della Sicurezza parlò in una radio da polso, e Cordelia, girando dietro i tavoli, capì che ovviamente temeva il peggio. Gregor avvistò la truppa di adulti sovreccitati che gli davano la caccia e si nascose subito dietro la sua larga gonna bianca e blu. Ma quando lei si mosse verso la porta fu costretto a seguirla.

Drou, che aveva visto Illyan usare il comunicatore, si fece pallida e attraversò la sala di corsa. — Cos’è successo?

— Scappato? Come ha fatto a scappare? — stava chiedendo Illyan alla cameriera. Lei balbettò qualcosa di inudibile tipo: «Credevo che dormisse… Ho chiuso gli occhi appena un momento…»

— Non è scappato, - buttò lì seccamente Cordelia. — È casa sua. Dovrebbe essere libero di muoversi almeno entro queste mura. Se no, perché diavolo tenete tutte quelle guardie armate all’esterno? — Si volse a mezzo, con gran delusione del bambino lo espose agli sguardi dei suoi inseguitori. Ci furono esclamazioni e sospiri di sollievo. Gregor si guardò attorno disperatamente, in cerca di un’autorità superiore a quella di Illyan.

— Droushie, posso restare anch’io alla tua festa? — supplicò.

Droushnakovi guardò Illyan, che aveva l’aria di soppesare tutti i motivi, e solo quelli, per cui la cosa era sconsigliabile. Prima che li enumerasse, Cordelia ruppe gli indugi: — Sì, caro. Certo che puoi.

Così, sotto la responsabilità e la supervisione di Cordelia, il piccolo Imperatore ballò con la sposa, mangiò tre paste alla crema, salì sul palco degli orchestrali per battere su un tamburo con una bacchetta, e infine dichiarò di avere sonno e fu portato via sereno e soddisfatto. Tutto ciò che il povero bambino voleva era svagarsi per un quarto d’ora.

La festa andò avanti. — Mi concede un ballo, milady? — disse la voce di Aral accanto a Cordelia.

Poteva osare? L’orchestra stava suonando uno Specchio-a-Specchio, un ballo da giovani che richiedeva molta rapidità nell’imitare le improvvisazioni del partner. Annuì, incerta. Aral vuotò il bicchiere e la condusse in pista. Un passo di qua, uno di là, mosse delle braccia e delle gambe, concentrazione. Cordelia fece un’interessante scoperta: ciascuno dei due poteva condurre e, se erano entrambi svelti e attenti, chi li guardava non poteva scoprire la verità. Tentò di adattare a quel ritmo alcuni passi di un ballo più lento, che conosceva meglio, e lui la seguì senza fatica. Si alternarono a condurre e il gioco assorbì tutta la sua attenzione, finché d’un tratto si accorse che era accaldata e aveva il fiato corto, e che da qualche minuto lei e Aral stavano ridendo come due ragazzini.


L’ultima neve dell’inverno si stava trasformando in fanghiglia sulle strade di Vorbarr Sultana, quando Vaagen chiamò Cordelia dall’Ospedale Militare Imperiale.

— È il momento, milady. Io ho fatto tutto il possibile in vitro. Ma la placenta ha ormai dieci mesi e comincia a deteriorarsi. Potremmo rimediare con vari espedienti, però è sconsigliabile.

— Allora, quando?

— Domani andrebbe bene.

Quella notte lei riuscì appena a dormire. Il mattino dopo andarono tutti all’OMI: Aral, Cordelia, e il Conte Piotr scortato da Bothari. Lei non era affatto sicura di desiderare la presenza del suocero, ma c’erano delle convenienze da rispettare, finché il vecchio non le avesse fatto la cortesia di passare a miglior vita. Forse un altro appello alla ragione o una migliore presentazione dei fatti avrebbe ottenuto qualcosa. Il loro antagonismo addolorava Aral; ma il primo passo per tentare di risolverlo spettava a Piotr, non a lei. Fai pure del tuo peggio, vecchio. Non hai alcun futuro, fuorché quello che passa attraverso me e mio figlio. Sarà lui ad accendere la tua pira funebre. Fu lieta, comunque, di rivedere Bothari.

Il nuovo laboratorio di Vaagen occupava l’intero pianterreno del più moderno edificio del complesso. Cordelia aveva accelerato il suo trasferimento dal vecchio laboratorio a causa dei fantasmi, da quando un giorno, dopo il loro rientro a Vorbarr Sultana era entrata là trovandolo quasi paralizzato e incapace di lavorare. Ogni volta che entrava in quel posto, le aveva confidato lui, la cruenta scena dell’assassinio di Henry tornava a svolgersi nella sua memoria. Non riusciva neanche a mettere i piedi nel punto in cui il collega era caduto: era costretto a girarci intorno. E ogni rumore improvviso gli faceva venire la pelle d’oca. «Ma io sono un uomo di scienza» aveva detto con energia. «Questi controsensi superstiziosi non significano niente per me.» Così Cordelia aveva bruciato un’offerta allo spirito di Henry nel vecchio laboratorio; poi una donazione di Aral aveva convinto l’OMI a riassegnare quei locali al Reparto Patologia, e Vaagen era stato «sfrattato».

Il nuovo laboratorio era spazioso, pieno di luce, e poco invitante per qualsiasi spettro di sani istinti. Quando Vaagen la scortò nell’interno, Cordelia vi trovò un nutrito gruppo di persone: ingegneri e medici militari che Vaagen stava coinvolgendo nella tecnica dei simulatori uterini, e ostetrici privati interessati alla cosa. C’era anche il Dr. Ritter, futuro pediatra di Miles, che Vaagen consultava per la chirurgia dei trasferimenti di placenta. La scienza aveva la precedenza; i semplici genitori dovevano aprirsi la strada coi gomiti in quell’illustre consesso.

Vaagen si muoveva con autorità e competenza. Il suo occhio ferito non era guarito bene; doveva portare una lente a contatto polarizzata; ma avrebbe avuto bisogno di un intervento chirurgico e aveva detto a Cordelia che per il momento gliene mancava il tempo. Un tecnico mise il simulatore uterino su un apposito supporto e Vaagen prese tempo illustrando ai presenti alcuni particolari, quasi per creare un’atmosfera e dare un tocco drammatico a una cosa che Cordelia conosceva come molto semplice e piatta. Si servì di un proiettore olografico per mostrare gli effetti delle soluzioni ormonali che iniettava nel sistema nutritivo dell’apparecchio, spiegò i dati dei display, descrisse le fasi della separazione di placenta in atto all’interno del replicatore, e terminò con le piccole differenze tecniche fra il parto da un simulatore e quello da un corpo femminile. Cordelia rifletté che Alys VorpatriI avrebbe trovato quest’ultima parte molto lacunosa. Prova tu a partorire per terra in una stanza nuda, senza riscaldamento e in una notte d’inverno, con uno straccio fra i denti per non urlare, e vedrai le «piccole differenze tecniche».

Vaagen si girò a cercare il suo sguardo, fece una pausa d’effetto e sorrise. — Lady Vorkosigan, prego — disse, indicandole i sigilli del simulatore. — Questo privilegio spetta a lei.

Cordelia si fece avanti, esitò, si volse a cercare suo marito. Era lì, attento e solenne, fra gli spettatori. — Aral…

Lui le venne accanto. — Sei sicura di sapere come si fa?

— Se sai aprire una lattina di birra, non c’è problema. — Presero ciascuno un’estremità del sigillo e lo staccarono, all’unisono; poi aprirono le due flange dello sportello. Un rivolo di liquido colò nella bacinella sottostante. Il Dr. Ritter entrò in azione con un bisturi a vibrolama, e incise lo strato di tubicini pieni di fluido nutriente con un tocco così leggero che l’argenteo sacco amniotico sotto di essi non fu neppure graffiato. Infine lo aprì, estrasse Miles dalla sua confezione biologica, tagliò il cordone ombelicale e gli svuotò la bocca e il naso per facilitare il suo primo, stupito, respiro d’aria. Il braccio di Aral intorno alla vita di Cordelia stringeva così forte da farle male. Una breve risata, appena un ansito, gli uscì dalle labbra; ma subito deglutì saliva e controllò il miscuglio di eccitazione e di sofferenza per riportare i suoi lineamenti sotto controllo.

Benvenuto, bambino mio, pensò Cordelia. Ha un buon colorito. …

Sfortunatamente c’erano altre cose, e queste non troppo buone. La differenza col piccolo Ivan colpì Cordelia. Malgrado le due settimane in più di gestazione — dieci mesi, contro i nove e mezzo del figlio di Alys — Miles era appena la metà di lui e molto più grinzoso e rattrappito. La sua colonna vertebrale era chiaramente deforme, e le gambe contratte sotto il bacino in posizione anomala. Era un maschio, su questo nessun dubbio. Ma il suo primo vagito fu debole e sottile, nulla di simile allo strillo iroso, famelico, con cui Ivan aveva aggredito il mondo. Dietro di lei Cordelia sentì il mormorio irritato e deluso di Piotr.

— Ha avuto abbastanza fluido nutritivo negli ultimi tempi? — chiese Cordelia a Vaagen, sforzandosi di non avere un tono accusatore.

Lui scrollò le spalle. — Tutto quello che poteva assorbire.

Il pediatra lavò Miles, lo depose sotto una lampada riscaldante e affiancato dai colleghi cominciò a visitarlo. Cordelia e Aral si fecero avanti per guardare meglio.

— Il tratto dorsale della colonna si raddrizzerà da solo, milady — disse il pediatra. — Ma quello lombare dovrà essere corretto chirurgicamente appena possibile. Lei aveva ragione, Vaagen: il trattamento per ottimizzare lo sviluppo cranico ha fuso al bacino le articolazioni dei femori. È per questo che le gambe sono piegate in questa brutta posizione. Bisognerà operare anche qui, e ricostruire le articolazioni prima che abbia l’età dei primi movimenti autonomi. Non entro i prossimi dodici mesi, comunque; la precedenza andrà data all’intervento lombare. Poi, quando avrà acquistato un po’ di peso e di forza muscolare…

D’un tratto Ritter, che stava tastando le braccia del neonato, mandò un’imprecazione; spostò sul tavolo lo schermo a ultrasuoni e lo accese. Miles vagì pietosamente. Nel guardare lo schermo Aral strinse i pugni. Cordelia si sentì fermare il cuore. — Mio Dio! — esclamò il chirurgo. — L’omero destro si è appena fratturato. Aveva visto giusto, Vaagen: le sue ossa sono anormalmente fragili.

— Almeno ha le ossa — mormorò Vaagen. — C’è stato un momento in cui anche questo era in dubbio.

— Fate attenzione nel toccarlo — disse Ritter. — Specialmente alla testa e alla colonna vertebrale. Se anche le altre sono deboli come le ossa lunghe, dovremo proteggerle con dei rinforzi esterni.

Piotr fece dietro front e si avviò alla porta. Aral lo guardò, le labbra strette in una linea dura, si scusò e uscì anch’egli. Cordelia fremeva, ma appena i medici le garantirono che non c’erano altre fratture e ogni precauzione per evitarle sarebbe stata presa immediatamente, lasciò Miles alle loro cure e seguì Aral.

Piotr era in corridoio e stava camminando avanti e indietro. Aral lo fissava in silenzio, a braccia conserte. Bothari si teneva in disparte.

Il vecchio Conte si girò per tornare indietro e la vide. — Tu! Tu mi hai raccontato delle favole. Sono questi i grandi progressi di cui parlavi? Ghaa!

— Sì, ci sono stati forti progressi. Miles è molto più sano di quanto si poteva sperare. Nessuno ci ha promesso la perfezione.

— Mi hai mentito. Vaagen ha mentito.

— No, non è così — negò Cordelia. — Ho cercato più volte di darle un’idea precisa del trattamento messo in atto da Vaagen. Ciò che ha ottenuto è quello che i suoi rapporti prevedevano. Non finga di non ricordare le mie parole.

— Io vedo quel che stai cercando di fare, ma non funzionerà. — Piotr indicò Aral. — L’ho detto chiaro a mio figlio: qui è dove io mi fermo. Non voglio vedere mai più quel mutante. Mai più. Finché avrà vita… e vivrà poco, da quel che ho potuto vedere, tu non lo porterai mai nella mia casa. Soltanto Dio può giudicarmi, donna. Non mi farai più passare da stupido.

— A questo sa provvedere lei stesso — sbottò Cordelia.

Le labbra di Piotr si torsero in una smorfia sprezzante. Visto che lei lo trovava un bersaglio facile, si volse ad Aral. — E tu, uomo senza spina dorsale, servo di una gonna… se tuo fratello maggiore fosse vissuto… — Preferì non andare oltre e chiuse la bocca. Ma aveva già detto troppo.

Aral era grigio in faccia. Due sole volte Cordelia gli aveva visto quell’espressione, ed entrambe le volte era stato a un passo dal commettere un omicidio. Piotr aveva innescato la rabbia più cupa di cui lui fosse capace. Soltanto allora Cordelia si rese conto che il vecchio Conte, per quanto avesse visto irritato il figlio, non s’era mai trovato alle prese con una rabbia di quel genere. Piotr sembrò tuttavia comprenderlo, vagamente, perché corrugò le sopracciglia e gli gettò un’occhiata di traverso.

Aral unì le mani dietro la schiena, con tale forza spasmodica che avrebbe potuto spezzarsi le dita. Alzò il mento. La sua voce era un sussurro, quando parlò.

— Se mio fratello fosse vissuto, sarebbe stato perfetto. Tu ne eri convinto, io ne ero convinto, perfino l’Imperatore Yuri ne era convinto. Così, hai dovuto arrangiarti con le briciole rimaste sul tavolo dopo quel pasto sanguinoso, il figlio che i sicari di Yuri il Folle non avevano trovato lì, perché tu lo trascuravi. Sì, noi Vorkosigan ci arrangiamo con quello che abbiamo. — La sua voce si abbassò ancor di più. — Ma il mio primogenito vivrà. Io non trascurerò di proteggerlo.

Quella gelida dichiarazione fu un colpo quasi letale, un fendente come quello che Bothari avrebbe potuto sferrare con la spada di Koudelka, e conficcato dritto al bersaglio. Piotr non avrebbe dovuto spingere la discussione a quel punto; dalla gola gli uscì un ansito di stupore e di cordoglio.

— Non trascurerò di proteggerlo ancora - si corresse Aral. — Non ti sarà offerta una seconda possibilità di fargli del male. — Le sue mani si scostarono, e con un secco cenno del capo indicò che la presenza di Piotr e quello che Piotr avrebbe potuto dire non lo interessavano più.

Bloccato due volte, rimbeccato così aspramente anche dal figlio, il vecchio stava soffrendo visibilmente. Si guardò attorno in cerca di un bersaglio meno tetragono su cui sfogare la sua frustrazione. Bothari era a poca distanza da lui, muto e imperscrutabile.

— E tu. Tu hai avuto una mano in tutto questo fin dall’inizio. È stato come spia che mio figlio ti ha messo nella mia casa? A chi sei fedele? Ubbidisci a me, oppure a lui?

Una strana luce balenò negli occhi di Bothari. Accennò col capo verso Cordelia. — A lei.

Piotr ne fu colto così di sorpresa che gli occorsero alcuni secondi per ritrovare la voce. — Benissimo — sbottò alla fine. — Allora può averti lei. Non voglio mai più rivedere la tua brutta faccia. Non disturbarti a tornare in Casa Vorkosigan. Esterhazy ti spedirà le tue cose prima di sera.

Il vecchio diede loro le spalle e si allontanò. La sua uscita di scena, già poco energica data l’età, perse ancora d’effetto quando prima di girare l’angolo si voltò a guardare indietro.

Aral scosse il capo con un sospiro stanco.

— Credi che dicesse sul serio, stavolta, con tutti i suoi mai-più? — domandò Cordelia.

— Le faccende di governo ci obbligano a comunicare. Lui lo sa. Lascia che torni a casa e ascolti il silenzio per un po’. Poi vedremo. — Sorrise, debolmente. — Finché siamo vivi, non possiamo troncare.

Cordelia pensò al bambino il cui sangue ora li legava tutti, lei ad Aral, Aral a Piotr, e Piotr a lei. — Così pare. — Cercò una parola per Bothari. — Mi spiace, sergente. Non credevo che il Conte avrebbe potuto licenziare un Armiere giurato.

— Legalmente non può, infatti — la informò Aral. — Bothari è stato assegnato a, diciamo, un altro ramo della famiglia. Tu.

— Oh. — Proprio ciò che ho sempre voluto, il mio mostro personale. E ora cosa dovrei fare? Tenerlo nel guardaroba? Si massaggiò la radice del naso, poi si guardò la mano. La mano che aveva accarezzato quella di Bothari stretta all’elsa del bastone-spada. Questi erano i fatti. — Lord Miles avrà bisogno di una guardia del corpo, no?

Aral inclinò la testa, interessato. — Direi di sì.

Bothari s’era subito fatto così attento e speranzoso che il cuore di Cordelia ebbe un tuffo. — Se avrà una guardia del corpo — disse il sergente, — nessun prepotente oserà… mi permetta di aiutarla, milady.

Mi permetta di aiutarla, pensò lei, fa rima con «Mi permetta di amarla». Giusto? - Per me sarà… — Pazzesco, pericoloso, idiota, irresponsabile? - sarà un piacere, sergente.

Il volto di lui s’illuminò come una torcia. — Posso cominciare subito?

— Perché no?

— Allora aspetterò di là — disse Bothari, accennando verso il laboratorio di Vaagen. E attraversò la porta. Cordelia già lo immaginava, pazientemente appoggiato al muro… si augurò che la sua truce presenza non innervosisse un medico al punto di fargli cadere di mano il suo fragile paziente.

Aral le appoggiò le mani sulle spalle. — Su Beta avete quelle fiabe dove si parla dei regali fatti da una strega alla nascita di un bambino?

— Sembra che le fate e le streghe si siano impegnate in grande stile per questo, no? — Cordelia appoggiò una guancia alla ruvida stoffa della sua uniforme. — Non so se Bothari, come regalo, sia una benedizione o una maledizione, ma scommetto che i prepotenti saprà tenerli a bada… chiunque essi siano. È una strana lista di regali quella che accompagna la nascita del nostro bambino.

Tornarono in laboratorio ad ascoltare la prima diagnosi dei medici sulle infermità di Miles, approvare un programma di cure e terapie, e avvolgerlo in panni caldi per portarlo a casa. Era così piccolo, un fagottino di carne leggero come un gatto, scoprì Cordelia quando poté prenderlo fra le braccia, pelle contro pelle con lei per la prima volta da quando era stato tolto dal suo corpo. Ebbe un attimo di panico. Aiutarlo a sedersi sul vasino per chissà quanti anni. Come posso accollarmi questo… I figli potevano essere o non essere una benedizione, ma metterli al mondo e poi trascurarli era il marchio dei dannati. Anche Piotr lo sapeva. Aral tenne aperta la porta per loro.

Benvenuto su Barrayar, figlio. Ora sei qui. Hai avuto un mondo fatto di ricchezza e povertà, con una storia sanguinosa, travagliato da nuovi mutamenti. Hai avuto una famiglia e un nome: Miles significa «Milite», ma non lasciare che questo ti suggestioni. Hai avuto un corpo sciancato in una società che teme e odia i mutanti di cui sono ancora pieni i suoi incubi. Hai avuto un titolo, ricchezza, potere, e tutta l’invidia e l’ostilità che ne verranno. Hai avuto un nonno che ti augura l’inferno. E avrai amici che non desideri, e nemici di cui non conoscerai neppure l’esistenza. Sopporta il dolore, afferra ogni gioia, e cerca il senso della tua esistenza, perché l’universo non sarà mai così generoso da offrirtene uno. Sii sempre un bersaglio mobile. Vivi. Vivi. Vivi.

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