7

Riverniciare la stiva era stato un lavoro noioso e sgradevole. Ma poiché passavano i mesi senza che ci fosse niente da fare, mentre la Space Angel continuava la sua ricerca alla cieca per trovare una soluzione al problema del Guardiano, Ham aveva avuto la brillante idea d’incaricare Kelly e Lafayette di grattare via la vecchia vernice e ridipingere la stiva. Ufficialmente non si trattava di una punizione, ma i due ragazzi sapevano di essere stati la causa di tanti guai nel pianeta-giungla, e che quel lavoro in qualche modo rappresentava una punizione.

Kelly si era lavato e cambiato e si stava godendo un po’ di riposo. Improvvisamente sentì un trapestìo e sulla soglia comparve Omero, con Teddy appollaiato sul guscio. — Qual malinconia allunga le tue ore, Kelly?

— Omero, non potresti piantarla con Shakespeare?

— No, perché trovo che si esprime con un’accuratezza e una grazia che mancano totalmente al vostro attuale modo di parlare.

— Be’, nessuna malinconia allunga le mie ore, ma casomai le abbrevia il sollievo di non dovere grattare la vernice.

— E allora perché sei così pensieroso?

— Perché anch’io, come gli altri, credo... che potremmo trascorrere il resto della vita qui senza riuscire a trovare il modo di distrarre il Guardiano. Cosa potrebbe tenere occupato per un po’ un essere tanto potente?

— Capisco — Omero estrasse una manina da un braccio con sei gomiti, e grattò le orecchie di Teddy. — Dimentico sovente quanto sia importante il tempo per voi umani. Lasciami pensare... Il Guardiano aggredirebbe qualsiasi nave, e forse anche un’intera flotta che si avvicinasse troppo. Ma se si avvicinasse una flotta molto, molto numerosa, in ordine sparso, non credi che potrebbe distrarsi il tempo sufficiente da consentire a Sfera di attuare il suo misterioso proposito?

— Forse, ma non credo proprio che qualcuno possa mandarci una flotta, Omero, specie con la probabilità che venga distrutta.

— Non è detto che non la si possa trovare.

— Eh? Dove vuoi arrivare?

— Ho sentito voci e poesie che parlano di pianeti trasformati in basi per gigantesche flotte, molto, molto tempo fa. Spesso le navi trovate su quelle basi funzionano ancora e sono state utilizzate da razze come i Tchork, incapaci di costruire navi per conto proprio.

— Sai dove potremmo trovare uno di questi pianeti?

— Una delle poesie dà le coordinate... ma bisogna tradurle perché non avrebbero alcun senso per i vostri computer... — Omero cominciò a borbottare fra sé, ma Kelly non lo stava più a sentire. Era già uscito dalla cabina e stava correndo in plancia.

Nessuno riusciva a credere ai propri occhi: uno schermo mostrava mostruosi moli fluttuanti circondati da flotte di navi che si perdevano in lontananza. Su un altro schermo rimase fissa per un po’ l’immagine ravvicinata di una formazione, e poi passò a un’altra. Su tutti gli schermi comparvero ogni minuto almeno dieci di quelle installazioni.

— Il pianeta è tutto così. Solo spazioporti da un polo all’altro. L’equipaggio rimase a guardare ammutolito per un po’, poi Ham disse: — Non credo che tutte le navi che ho visto durante la guerra fossero tante quante sono quelle che fanno parte di una sola di quelle flotte. Stavolta credo proprio che abbiamo fatto centro.

— Credi che riusciremo a metterne in funzione qualcuna? — chiese dubbioso Torwald.

— Meglio sperare di sì — intervenne la comandante. — Almeno tante da riuscire a distrarre il Guardiano. Prima di trovare un’ altra soluzione possibile temo che diventeremmo troppo vecchi. Voglio localizzare la più grande installazione del pianeta perché è il posto più probabile dove trovare il quartier generale. Dopo, reciteremo a soggetto.

— L’abbiamo trovato — annunciò la comandante. — È il più grande che mai potessimo immaginare. Alle sue spalle c’è una montagna e noi atterreremo sulla vetta. E l’unico posto, in un raggio di cento chilometri, che non sia coperto di metallo. Torwald, prepara la squadra di sbarco. Non più di quattro, te compreso. Gli altri intanto provvederanno alle ultime riparazioni.

— Bene. Finn, hai progetti per domani?

— Veramente avevo intenzione di scrivere le mie memorie, ma posso dedicarti un paio d’ore.

— Te ne sono obbligato. Kelly, puoi venire anche tu, e tu, Nancy. Porteremo con noi i Viver, non si sa mai. E tu, Omero?

— L’idea mi attira, tanto più che non sono di grande utilità per i lavori di riparazione. E poi ho voglia di vedere questo pianeta. Un mondo di tal sublime dedizione a una causa deve ispirare molte idee a un poeta.

— Non è questo che cerchiamo — tagliò corto la comandante. — Quello che ci serve è un posto tranquillo dove riparare le avarie e trovare il modo di distrarre il Guardiano. E secondo me, questo pianeta risponde alle nostre esigenze.

— Bene, voi tre — disse Torwald a Finn, Kelly e Nancy — procuratevi tutto l’occorrente e avvertite i Viver. Kelly, prendi anche delle razioni in cambusa e caricale sull’AC.

Kelly e Torwald avevano fabbricato nuove corazze per sostituire quelle che avevano abbandonato fuggendo dal pianeta-giungla. Kelly indossò la sua, aiutò Nancy, e scelsero insieme le attrezzature che dovevano portare. Gli zaini non erano necessari, dal momento che potevano disporre del veicolo.

— Atterraggio fra trenta minuti — annunciò dall’interfono la voce di Ham. — Tutti ai vostri posti. Allacciare le cinture di sicurezza! Kelly si sdraiò sulla sua branda e assicurò le cinghie non senza difficoltà a causa della corazza. Mentre aspettava, fissando il soffitto, si chiedeva se quello sarebbe stato l’ultimo atterraggio su un pianeta prima di fare ritorno sulla Terra. Ora, la Terra gli sembrava stranamente remota: sia nello spazio che nel tempo. La nave era diventata la sua casa, e in fondo non aveva una grande nostalgia del pianeta natale. Ricordò il giorno in cui era cominciata la sua avventura, allo spazioporto. Ormai erano trascorsi quasi due anni da allora, ma non ricordava bene la data... che importanza aveva, dopo tutto? La sirena che annunciava l’atterraggio lo svegliò dalle sue fantasticherie.

Torwald e la comandante erano nella rimessa dell’AC quando sopraggiunsero Nancy e Kelly che caricarono sul mezzo le attrezzature e le provviste. Poi, Nancy si portò alle spalle dei due che stavano osservando il panorama dall’oblò.

— Com’è? — chiese Nancy raggiungendoli.

Gli altri continuarono a guardare affascinati. Una vista da mozzare il fiato. Erano atterrati sulla sommità spianata di una montagna che sovrastava a cinquemila metri d’altezza un’immensa pianura. La vista spaziava per almeno cento chilometri, e ogni metro quadrato era coperto di navi o di attrezzature portuali. Non solo la pianura, ma anche la montagna era tutto un seguito ininterrotto di attracchi, rimesse, piste di atterraggio e altre strutture non meglio identificate.

Torri come schegge d’acciaio svettavano nel cielo giallo e terso. Alcune erano molto più alte della montagna dove si era posata la Space Angel. Navi di tutte le forme e dimensioni stavano allineate in lunghe file fino all’orizzonte. Ovunque era uno scintillio di metallo. Solo la spianata dove si era posata la Space Angel era libera.

— Bene, Tor, tu e la tua squadra andate a fare un giro.

— Cosa dobbiamo cercare, comandante?

— E che ne so? Cercate qualcosa di unico e di diverso. Dev’esserci un comando centrale su questo pianeta, e siccome questa è 1’ installazione più grande, penso che si trovi qui. Ora partite e chiamatemi quando avrete trovato qualcosa d’interessante.

— Sarà una bella faticata — brontolò Torwald salendo a bordo con gli altri. L’atmosfera del pianeta era respirabile per cui non ebbero bisogno di portarsi appresso caschi e bombole. Per precauzione, però, avevano con sé i caschi da battaglia.

— C’è tanto ossigeno nell’aria? — chiese Kelly. — Nancy non riesce a spiegarselo perché la vegetazione è troppo scarsa.

— Davvero, Nancy? — chiese Torwald, interessato.

— Sì. Non esistono oceani, quindi non c’è plancton che possa produrre ossigeno. E non ci sono nemmeno foreste e praterie. Quasi tutta la superficie del pianeta nascosta sotto gli spazioporti è un deserto roccioso.

— E i batteri? — chiese Finn. — Forse... ma dovrebbero metabolizzarsi con una frequenza eccezionale per produrre tanto ossigeno. Data la costituzione del pianeta dovrebbe essercene meno dell’uno per cento, invece l’atmosfera è quasi simile a quella terrestre.

— E tu cosa ne dici, Omero? — chiese allora Kelly al granchio. — Non ti è mai capitato durante i tuoi viaggi di imbatterti in un fenomeno come questo?

— Può darsi, ma non è un argomento che mi interessi. A me interessa soprattutto la poesia, quindi capita ben di rado che mi occupi di argomenti come la composizione atmosferica.

— Magnifico! — esclamò ridendo Finn. — Abbiamo con noi quello che è forse l’essere che ha visitato più pianeti nella Galassia, e tutto quello che gli interessa è la poesia.

— Quando si visitano tanti mondi come faccio io, è meglio specializzarsi — replicò Omero.

Il veicolo procedeva a pochi metri da terra e sotto di loro sfilavano ininterrotte file di navi, rimesse, stazioni di servizio, officine, ma non c’era alcun segno di vita.

Dopo qualche minuto, Finn osservò perplesso: — Strano. Sembra una di quelle enormi basi costruite durante la guerra dalla Flotta, ma non vedo edifici che possano sembrare caserme, mense, uffici.

— Già — convenne Nancy. — Forse quelli che le hanno costruite non ne avevano bisogno.

— Può darsi che fossero robot — aggiunse Kelly.

— E forse questa non è che un’allucinazione! — esclamò Torwald. — Scendiamo per dare un’ occhiata da vicino. — Pilotò l’AC verso una delle navi più alte, una guglia piatta composta da piastre metalliche lisce e posata su sottili sostegni che sembravano troppo fragili per reggere la sua mole. Non si vedevano portelli.

— Perché hanno nascosto gli ingressi, Tor? — chiese Nancy.

— Forse perché non volevano intrusi. Andiamo, proviamo da qualche altra parte.

Trascorsero quasi tutta la giornata esaminando navi e installazioni. Il risultato era sempre lo stesso: edifici e navi erano privi di ingressi. Torwald ordinò finalmente di tornare a bordo. L’indomani avrebbero ricominciato portando attrezzi a laser.

Torwald era su una piattaforma di fortuna che avevano eretto alla base di una delle navi e impugnava un coltello a laser. — Mi dispiace di doverlo fare,comandante. È un sacrilegio rovinare una nave così perfetta.

— Tu limitati a obbedire agli ordini — gli rispose via radio la comandante. — Tanto quella nave non andava da nessuna parte. Torwald praticò un’incisione preliminare. Visto che non succedeva niente, continuò a tagliare in modo da formare il perimetro di un rettangolo. Quando il metallo si fu raffreddato, applicò due morse e sollevò la piastra tagliata. All’interno c’era un labirinto di condotti e di cavi che occupavano tutto lo spazio messo in luce.

— Non vedo nessun ponte. — Kelly inserì nell’apertura una lampada e guardò verso l’alto. — Niente scale né passerelle. Chi poteva vivere su una nave così?

— Forse gente priva di piedi — scherzò Nancy.

— Vuoi provare tu a dare un’occhiata dentro? — propose Torwald a Omero.

— Tu puoi insinuarti più facilmente. Noi non abbiamo spazio sufficiente.

— Subito. — Omero allungò alcuni dei suoi arti prensili e zampettò nell’interno Kelly cercò di centrarlo col raggio della lampada finché non scomparve nei recessi della nave.

— Cos’hai trovato — chiese Torwald quando Omero fu di ritorno dopo qualche minuto.

— Poco o niente Sembra. che non ci sia posto per persone. Il sistema dei comandi è situato al centro: si tratta di una scatola grande pressappoco come la tua testa. Non ci sono sistemi di aerazione ne altro che stia a indicare riciclaggio di viveri o acqua. Non ci sono neanche scritti da cui si capisca cosa sono le varie componenti. Credo proprio che si tratti di una nave robot.

— Chissà se sono cose anche le altre — disse Kelly.

— Proviamo con uno degli edifici — propose Torwald.

Fecero diversi tentativi praticando un’apertura col laser, perché non c’erano porte né finestre visibili in nessuna costruzione. All’interno trovarono strumenti, motori, carburante, reattori, officine di riparazione per le navi, ma nessun indizio che quella base fosse stata abitata. Tutto funzionava automaticamente.

— Non capisco, Torwald. Abbiamo trovato nello spazio quelle due navi senza equipaggio — osservo Kelly — ma erano state abbandonate in seguito a un incidente. Qui invece pare che abbiano costruito questa enorme base dotandola di tutto il necessario per poi dimenticarsene.

— Lo so, Kelly, ma — Torwald fu interrotto da un rombo lontano Si precipitarono fuori per raggiungere gli altri. K’Stin e B’Shant sfoderarono le armi.

— Viene dall’alto — disse K’Stin. — Novantacinque gradi nord. — Tutti scrutarono il cielo in quella direzione. — Vedo agli infrarossi una luce brillante che scende — precisò K’Stin.

Poco dopo anche gli altri scorsero un punto luminoso accompagnato da un rombo sempre più forte via via che scendeva.

— A bordo, in fretta, e puntiamo a velocità ridotta verso nord — ordino Torwald salendo per primo sul veicolo.

— É una nave che sta per atterrare, Tor? — chiese dall’altoparlante la voce della comandante — Pare di sì. Scommetto che fa parte di una delle formazioni in orbita.

— É probabile. Spero che non si siano accorti della nostra presenza.

— Non credo. Con tutti gli armamenti che ci sono qui, non avevano bisogno di fare scendere una nave. Penso piuttosto che si tratti di una normale operazione di controllo. Se le cose stanno così, quella nave deve ricevere ordini da qualcuno. Vedete se riuscite a captare qualche trasmissione. Potrebbe risparmiarci anni di ricerche su questo pianeta.

— Buona idea. Provo subito.

— Intanto noi andiamo a dare un’occhiata alla nave in arrivo. Passo e chiudo.

— Poi Torwald chiese a Finn: — Quanto dista?

— Venti chilometri, direzione nord. Ci saremo in pochi minuti.

Si diressero a velocità più sostenuta verso il posto dove avevano perduto di vista il punto luminoso, e trovarono un’enorme cavità piena di macchinari. La nave era già atterrata. Era piccola e rotonda, ma non fu questo ad attirare la loro attenzione. La nave posava su un’area di stanziamento di metallo ed era circondata da macchine che si muovevano su ruote, inserendo cavi e tubi nelle fessure dello scafo. Erano macchine veloci, precise, che funzionavano senza produrre il minimo rumore.

— Questo silenzio fa uno strano effetto — mormorò Kelly.

— Devono essere macchine automatiche addette alla manutenzione e alle riparazioni. Probabilmente sono autosufficienti, e hanno la facoltà di rigenerarsi e auto-ripararsi all’infinito. Forse, chi le ha create è morto da secoli.

— Mi pare impossibile che queste macchine possano essere così longeve — osservò con una punta d’invidia K’Stin.

Dopo un po’ di tempo, le macchine si allontanarono dalla nave e sprofondarono in un pozzo. Quando tutte furono scomparse,una lastra di metallo coprì l’apertura del pozzo.

— Manutenzione automatica — disse Torwald, e in quella la voce della comandante ordinò: — Tornate subito a bordo. Ho individuato il centro operativo. Si trova sull’altra faccia del pianeta.

Appena rientrati sulla Space Angel la comandante li mise al corrente: — Questo pianeta è pieno di miniere abbandonate. — Girò un interruttore e sullo schermo principale della plancia comparve l’immagine di una miniera all’aperto.

— Questo è un particolare di una foto presa in orbita. Non ci sono punti di riferimento per valutare esattamente le dimensioni da qui, ma il pozzo dovrebbe avere un’ampiezza di sei chilometri. Non ci sono tracce di attrezzature minerarie e non si tratta di scavi recenti. Osservate le erosioni intorno al bordo. Sergei dice che, stando ai suoi calcoli approssimativi, il pozzo fu scavato almeno ventimila anni fa. E ce ne sono moltissimi altri. Qual è il tuo parere, Omero?

— Credo di avere una spiegazione. Mi è tornato in mente un antico poema.

— Sentiamo — lo sollecitò Ham. — Mi è sempre piaciuta la poesia.

— Temo che qualche sfumatura vi sfuggirebbe. È una lingua a sedici toni, e l’effetto voluto si ottiene soltanto pronunciando le parole a coppie in otto toni diversi ogni coppia.

Ben tossì per soffocare una risata. — Sicuramente deve trattarsi di qualcosa di sublime, ma temo che ce lo dovrai tradurre.

— Ci vorrebbero anni per recitarlo tutto.

— Faccene almeno un riassunto — propose Michelle. — Muoio dalla voglia di sentirlo.

— Molto tempo fa viveva qui una razza grande e potente, padrona di molti sistemi stellari. Per motivi sconosciuti al poeta, convinta di potere vincere costruendo grandi flotte completamente automatizzate, questa razza combatté contro un’altra, molto più numerosa. Pervenne così a un tale grado di maestria che le flotte, oltre che funzionare senza l’aiuto di esseri viventi, si costruivano e riparavano anche da sole.

— Possibile? — disse incredula la comandante.

— Sì. Tuttavia il loro stratagemma fu inutile. Infatti, questa razza adottò una particolare strategia di guerra che consisteva nell’atterrare su pianeti disabitati e nel localizzare i depositi di minerali che poi le loro macchine raccoglievano. Quindi costruivano fabbriche che producevano navi da guerra e le attrezzature necessarie al loro funzionamento e mantenimento: naturalmente, questi macchinari erano adibiti anche alla costruzione di altre navi. Quando tutto era pronto, le macchine venivano trasportate su un altro mondo, lasciandosi dietro un pianeta trasformato in una gigantesca base militare pronta a entrare in funzione. Il poeta dice che le macchine continuarono a scavare e costruire anche quando la guerra terminò, anche quando le due razze scomparvero. Si racconta che il Centro è pieno di queste reliquie guerresche, ma in tutta la mia lunghissima vita questa è la prima volta che posso constatare come quel poema si basasse su fatti reali.

— Dopo migliaia d’anni, funziona ancora! — esclamò la comandante.

Il centro operativo fu una delusione, a causa della sua esiguità. Si erano fatti l’idea che, per controllare un intero pianeta coperto di spazioporti, nonché le flotte in orbita, ci dovessero essere installazioni imponenti. Invece trovarono una cupoletta la cui circonferenza non superava i trenta metri, e Torwald, che era il più alto del gruppo, poteva vedere al di sopra della sommità.

Posatemi sulla cupola.

K’Stin era l’unico con le braccia abbastanza lunghe, e depose Sfera sulla cima della cupola. Si aspettavano che rotolasse giù, invece vi rimase saldamente fissa, come se fosse stata incollata. Passò molto tempo.

Sono pronto. Riportatemi alla nave.

Istintivamente tutti sussultarono. Sfera aveva parlato così poco negli ultimi mesi che si erano disabituati a sentire di punto in bianco qualche sua comunicazione mentale.

— Forse ci siamo, Tor.

— Lo spero, comandante. Comincio ad avere nostalgia delle comodità del mondo civile.

K’Stin tornò con la sfera e la depose sul tavolo della mensa. Tutti erano in ansiosa attesa perché il loro ritorno sulla Terra dipendeva dalla sfera. Senza il suo aiuto avrebbero vagato alla deriva nello spazio come i relitti in cui si erano imbattuti. Se finalmente Sfera aveva trovato il modo di compiere la sua missione, forse potevano tornarsene a casa con le ricchezze che avevano raccolto.

Credo di avere scoperto lo stratagemma più opportuno per distrarre il Guardiano.

Tutti si lasciarono sfuggire un sospirone di sollievo.

Le navi che si trovano su questo pianeta sono tutte perfettamente funzionanti, e così pure quelle in orbita, e anche altre in orbita intorno a pianeti e satelliti di questo sistema.

— Quante sono? — chiese Torwald.

Sette milioni ottocentoquarantaduemila. La cifra comprende navi da guerra, da carico, portaerei e navi appoggio.

— Sei capace di farle partire tutte? — volle sapere la comandante.

Ho già dato inizio alla sequenza di lancio. Gli strumenti del centro operativo sono stati rimessi a zero. Ho cancellato gli ordini immagazzinati e ho riprogrammato il centro con il mio progetto. Quando le flotte si troveranno nello spazio convertirò i motori al sistema di propulsione che fa funzionare attualmente questa nave. E, infine, raggiungeremo la Stella Nucleo.

Kelly, Torwald, Nancy e Michelle stavano bevendo il caffè nella cupola osservatorio. Omero, appollaiato sull’affusto di un cannone, sorseggiava una miscela di acido prussico e trementina, che lo rendeva piuttosto euforico.

— Questo è davvero divertente! Come un antico poema epico. In tutta la mia lunga vita nessuna razza ha mai tentato un’azione tanto eroica come tuffarsi nella Stella Nucleo con quasi otto milioni di navi, per misurarsi col Guardiano.

Gli altri non sembravano altrettanto entusiasti. Fu Michelle a esprimere l’opinione comune: — A quanto ne so, mai nessuno si è tuffato in una qualsiasi stella, anche perché non sarebbe sopravvissuto per raccontarlo.

— Speriamo che Sfera possa sopperire a questo inconveniente — disse Omero.

— Già, speriamo — ribatté Torwald. — Ma per mio conto ho paura che quel pallone non sia in grado d’impedirci d’andare arrosto.

— A me pare che possieda delle straordinarie facoltà — asserì Omero facendo vibrare le antenne.

— Quasi otto milioni! — mormorò Kelly. — Non riesco neanche a immaginare una flotta così enorme. Quante navi credi che l’umanità sia in grado di lanciare contemporaneamente nello spazio? — chiese a Michelle.

— Una volta ho visto una formazione che ne contava quattromila. Fu prima dell’invasione di Li Po. Naturalmente ne tornarono solo poche.

— E questa non è che una delle basi — osservò Nancy. — Credi che l’umanità arriverà mai a diventare così potente, Tor?

— Può darsi. Siamo riusciti a cavarcela negli ultimi due secoli senza autodistruggerci, per quanto abbiamo fatto l’impossibile per riuscirci. Niente ci impedisce di arrivare a tanto, purché se ne abbiano il tempo e la voglia. Però io spero che l’umanità si dedichi a qualcosa di meno inutile.

— Una tale quantità di navi non è assolutamente necessaria — disse Omero — anche perché non serve proprio a niente.

— Be’, adesso qualcosa da fare l’hanno trovato — ribatté Torwald.

Le stelle, che finora erano sembrate immobili sopra di loro, cominciarono a spostarsi. Nancy fu la prima ad accorgersene. — La comandante sta facendo ruotare la nave.

Spuntò all’orizzonte il bordo del pianeta senza nome e a poco a poco tutta la sua massa si librò su di loro, malefico globo circondato dalla luminosa distesa stellare del Centro. Anche gli altri membri dell’equipaggio salirono nell’osservatorio. Per ultima arrivò la comandante. — Stiamo per assistere a uno spettacolo unico e indimenticabile. Non staccate gli occhi dal pianeta.

Per un po’ non accadde alcunché. Poi, un puntino bianco e brillante spiccò sullo sfondo giallo. Immediatamente spuntarono dozzine di altri puntini, poi centinaia, poi migliaia e continuavano ad aumentare, finché tutto l’emisfero non fu illuminato, coprendo la superficie del pianeta con una rete di diamanti spettacolosa come lo sfondo stellato.

— Tre milioni di navi da questo pianeta. Un milione e mezzo per emisfero, e sono decollate tutte insieme. — Sopraffatta dalla meraviglia, la comandante non disse altro.

— Un decollo così massiccio altererà per sempre l’orbita di questo pianeta — osservò Bert.

Via via che i puntini si trasformavano in lunghe code luminose, il pianeta diventava sempre più misero. Faceva quasi pena a guardarlo.

— Dov’è il rendez-vous?

— Si raduneranno in un’orbita di parcheggio nei pressi della più grande stazione orbitante, quella che si trova più lontana da questo pianeta... Guardate, stanno salendo anche quelle delle altre basi.

Qua e là nello spazio cominciavano a brillare altre luci che assommandosi rendevano lo splendore abbagliante.

— Lasciando questo sistema ci porteremo appresso quelle degli altri pianeti.

— E poi? — chiese Kelly.

— Poi Sfera le doterà tutte della sua speciale propulsione nell’isperspazio e andremo a fare una visita al Guardiano.

Tutto era tranquillo, in plancia. Kelly era di guardia con la comandante e teneva d’occhio senza sosta gli schermi, affascinato dalla vista delle flotte che si riunivano. La Space Angel si era incontrata con l’ultima divisione, ed era in attesa che Sfera programmasse le navi. Dalla cupola si vedevano solo alcune navi, ma gli schermi telescopici ne mostravano centinaia di migliaia per volta.

Entrò Torwald portando del caffè, che Kelly guardò con disgusto. Sarebbe stato felice se non avesse più visto un chicco di caffè fino alla fine dei suoi giorni. Pareva invece che gli altri, veterani spaziali, lo apprezzassero tanto da non poterne fare a meno. Torwald porse una tazza alla comandante che sedeva coi piedi appoggiati a una consolle fissando muta l’incredibile distesa di navi.

— La vostra tazza, grande ammiraglio Gertie HaLevy! Che effetto fa?

— Mi sento un passeggero, come voi — borbottò lei col sigaro stretto fra i denti e il mento incassato nel colletto della giacca. — Dev’essere una delusione.

— Puoi dirlo. Siamo in mezzo alla più grande flotta della Galassia, e non sono neppure libera di comandare questa carretta. — Sbuffò disgustata. — Grande ammiraglio i miei... — tacque mentre le immagini sullo schermo cominciavano ad allungarsi, a distorcersi, a sbiadire, finché non scomparvero. Schermi e strumenti funzionavano nel modo imprevedibile e caotico, caratteristico dell’iperpropulsione imposta da Sfera.

— Ultima tappa del viaggio, amici! — annunciò Tor.

— Speriamo che ci sia anche un ritorno — borbottò la comandante.

Kelly sentì un nodo alla gola al pensiero che il suo primo viaggio spaziale potesse avere una conclusione infausta. — Che probabilità abbiamo, Tor?

— Zero, secondo me. Ma ho pensato la stessa cosa molte volte durante la guerra, ed eccomi ancora qui. — La comandante assentì, e il mozzo dovette accontentarsi di tanto ottimistico consenso.

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