Kelly era di guardia in plancia e, come al solito, stava studiando. In quel periodo studiava quasi sempre o, per lo meno, studiava quando non era stanco morto per, il troppo lavoro. Non avrebbe mai sospettato, prima, che un volo spaziale potesse somigliare alla scuola, ma d’altro canto, non si era mai reso, prima, conto di quanto fosse ignorante. Per quelli come lui, la scuola di stato era poco più che un pretesto per tenerli lontani dalla strada.
Ma adesso Kelly stava recuperando il tempo perduto. Quando aveva un momento libero studiava chimica o navigazione con Finn, ingegneria con Achmed, computisteria e contabilità con Torwald, mentre Bert era idoneo all’insegnamento di un po’ di tutto. Quanto a Nancy gli insegnava; l’uso dei mezzi di comunicazione. Era molto riservata e, per quanti tentativi facesse Kelly, parlava solo della materia di studio.
Al presente, Kelly stava leggendo un libro sui Viver. La biblioteca di bordo non aveva molto materiale sull’argomento, così lui aveva chiesto a Torwald e agli altri e aveva rimediato una monografia microfilmata, scritta nientemeno che da un certo Torwald Raffen, contenente molte più informazioni di qualsiasi documentazione ufficiale su quella poco conosciuta sottospecie.
Kelly poté così apprendere che nell’ultimo secolo, pochi decenni dopo l’invenzione del primo motore interstellare, un gruppo di genetisti aveva deciso che l’umanità poteva essere migliorata. Avevano intenzione di creare l’ Uomo del Futuro. Secondo la loro teoria, l’uomo serviva in massima parte alla sopravvivenza della specie, mentre la nuova umanità avrebbe dovuto essere migliore per venire incontro alle esigenze ancora sconosciute dei nuovi mondi. Convennero che la forma bipede, eretta, con mani dotate di dita, non fosse suscettibile di particolari miglioramenti in quanto già sufficientemente compiuta nelle proprie potenzialità generali. Certo, si poteva aggiungere qualche miglioria qua e là per dotare il Viver di una serie di optional opportunamente studiati per l’autodifesa e stimolati da una facoltà mentale — indotta — la cui maggiore preoccupazione, in forma addirittura ossessiva, era la sopravvivenza. Il risultato fu il Viver, che però non era proprio come l’avevano progettato. La paura che esso incuteva nei normali esseri umani fu sufficiente a far bandire per sempre l’ingegneria genetica applicata all’uomo.
Kelly rimuginò su questo punto, grattando le orecchie di Teddy. Lo pseudo-orso era il suo migliore amico, in quanto era l’unico che non gli desse ordini, a bordo, che lo rimproverasse o che esigesse da lui i lavori più pesanti e sgradevoli.
“Il Viver tipico” lesse “è alto fra il metro e ottanta e i due metri e dieci, è coperto da scaglie articolate chitinose che seguono all’ incirca la disposizione della muscolatura umana, ha le mani come gli uomini normali, ma molto più grandi e con le nocche coperte da una fascia ossea appuntita. I polpastrelli sono dotati di artigli retrattili lunghi più di due centimetri, che permettono l’uso normale delle mani quando sono ritratti. Gomiti e ginocchia sono sporgenti e dotati di grossi aculei. I piedi sono privi di dita, al cui posto c’è uno zoccolo d’osso e chitina. Nella parte posteriore delle gambe, sopra il tallone, c’è una protuberanza che nasconde uno sperone lungo quindici centimetri e tagliente come un rasoio, e che forse è la più micidiale delle armi naturali del Viver. La testa, posata su un collo lungo e flessibile, è la cosa meno umana di tutte. Gli occhi, enormi, occupano la maggior parte dell’interno del cranio, sono coperti da una piastra trasparente e possono muoversi indipendentemente l’uno dall’altro. Intorno al cranio, ci sono delle fessure attraverso le quali gli occhi possono sbirciare. Al posto dei denti, il Viver ha due lamelle ossee chitinose. Questo per quanto riguarda il corpo esterno. Analizzando, poi, l’anatomia interna, si rileva che il cervello è distribuito in tutto il corpo sotto forma di piccoli noduli; che il cuore è decentralizzato allo stesso modo sotto forma di piccole pompe distribuite lungo il sistema circolatorio. Praticamente, per uccidere un Viver bisogna farlo a pezzetti. Tutte le componenti, compreso il tessuto cerebrale, hanno la proprietà di rigenerarsi. I genetisti, infine, hanno previsto anche l’eventualità che il Viver venga tagliato in due per il lungo: in questo caso, lo sfortunato aggressore si troverebbe davanti due Viver completi e piuttosto irritati. Che si sappia, fino a oggi nessuno ha avuto il coraggio di tentare questo esperimento. Psicologicamente, nel Viver, tutto è subordinato all’imperativo della sopravvivenza. Ogni Viver è ossessionato dall’idea della sopravvivenza della propria razza, del proprio clan, della propria famiglia, oltre che della propria. Non esistono lealtà politiche, ma solo biologiche. Sono contrabbandieri perché non rispettano alcuna legge umana. Sarebbero dei soldati invincibili, ma considerano la guerra come una minaccia alla propria sopravvivenza e ignorano volutamente i conflitti che dilaniano i normali esseri umani.”
C’era però un’eccezione. I giovani, prima di essere giudicati adatti alla riproduzione, dovevano sottoporsi a un periodo di esilio durante il quale si pretendeva da loro che partecipassero a guerre e ad altre avventure violente. Proprio per questo motivo, la Space Angel cercava di mettersi in contatto con la K’Tchak, la nave dei Viver.
La K’Tchak aveva l’aspetto di un insieme di edifici uniti da tubi e sostegni, cosa che effettivamente era. Costruita nello spazio, non era stata fabbricata per atterrare. Doveva essere molto grande per poter contenere tutti i membri del clan Tchak, e via via che il clan cresceva venivano fatte altre aggiunte. Nonostante il loro brutto carattere, i Viver erano socievoli tra loro, e le loro famiglie erano numerose. Ma anche questo faceva parte della loro ossessione per la sopravvivenza.
Mentre la Space Angel si avvicinava le puntarono contro tante armi quante ne sarebbero bastate per distruggere una flotta: e questo nonostante la Space Angel non fosse particolarmente armata. I Viver riservavano quel trattamento a chiunque si avvicinasse a loro. Torwald trasmise qualche parola d’ordine e, con riluttanza, ottenne il permesso di salire sulla Tchak, da solo. Come precauzione, la comandante impose al quartiermastro una sonda di comunicazione audiovisiva in modo da essere sempre in comunicazione con la Space Angel. I Viver non ebbero obiezioni: nessuno più di loro sapeva apprezzare ogni precauzione atta alla sopravvivenza.
L’equipaggio della Space Angel si radunò in plancia per eseguire la procedura. Torwald fu ricevuto al portello da una dozzina di Viver armati fino ai denti e scortato lungo un corridoio tetro fino a un cubicolo il cui unico arredo era costituito da una scrivania. Tutto era spartano, funzionale, a bordo delle navi Viver. Dietro la scrivania sedeva un Viver il cui alto grado era indicato dalle impugnature coperte di gemme delle armi. Infatti la decorazione delle armi era il clou della loro estetica. L’ufficiale non perse tempo in preamboli.
— Per quale motivo hai chiesto di salire sulla gloriosa K’Tchak?
— La nostra è una missione estremamente pericolosa. Se avete uno o due giovani pronti per il rito propiziatorio per il passaggio d’età, questa sarebbe per loro un’ottima occasione.
— Hai fatto bene a chiederlo. La gente debole come voi non è adatta alle imprese dure e faticose. Sì, abbiamo due giovani che fanno al caso vostro. Si chiamano K’Stin e B’Shant. Entrambi vengono da ottime famiglie. La loro gloria brilla anche fra i Viver. E fra voi gente di carne, la loro bellezza e resistenza spiccheranno come diamanti nel fango.
— Son certo che sarà difficile ucciderli come è difficile sterminare i topi su una nave — replicò cortesemente Torwald. — Pensi che sarebbero disposti a venire con noi?
— Cosa importa la loro volontà? — disse con fare sprezzante 1’ ufficiale. — È venuto per loro il tempo di andare, e perciò andranno. Se non torneranno, vorrà dire che non avranno superato la prova. Torna alla tua nave, adesso. La vista dei loro degenerati ascendenti potrebbe corrompere i nostri giovani. I due vi saranno mandati fra poco.
Tutto l’equipaggio si accalcò intorno a Torwald per conoscere le sue impressioni.
— Credo proprio che i Viver stiano addestrando dei diplomatici — disse Torwald sorridendo. — Non ne avevo mai incontrato uno così educato e gentile.
— Va bene, va bene, lasciamo stare — disse con impazienza la comandante.
— Cosa dobbiamo fare? Non ho mai avuto un Viver a bordo, e non credo che gli altri abbiano mai avuto questa esperienza.
— In primo luogo vi avverto che sono molto presuntuosi. Disprezzano in sommo grado il tipo umano standard. Anzi, stanno già elaborando una mitologia secondo la quale non discendono dagli uomini, perché trovano l’idea ripugnante come i Vittoriani trovavano ripugnante l’ipotesi che l’uomo discende dalle scimmie. Inoltre reagiscono alla più larvata minaccia con estrema violenza, perciò non pestategli i piedi... cioè gli zoccoli. Michelle, non devi preoccuparti per la loro salute perché non si ammalano, e tutto quello che viene loro tagliato, ricresce. Sono in grado di metabolizzare qualsiasi cosa, per cui se vuoi puoi anche nutrirli col fertilizzante delle vasche idroponiche.
— In che lingua parlano?
— Quella con cui comunicano fra loro è segreta, però sono poliglotti. Il loro apparato vocale riproduce qualsiasi suono e possono parlare anche in ultra e iposuoni.
— Ci si può fidare di quei due? — chiese Ham.
— Sì, a meno che non pensino che cerchiamo deliberatamente di ucciderli. Sono estremamente sospettosi, quindi è meglio non affidare loro compiti rischiosi che non svolgiamo anche noi. La prova a cui sono tenuti dovrebbe in teoria essere pericolosa. Questo è l’unico periodo della propria esistenza in cui un Viver rischia la vita al comando di un non-Viver.
— Dove possiamo sistemarli? — chiese la comandante.
— Bisogna che dispongano di un alloggio privato, altrimenti la situazione potrebbe rischiare di diventare esplosiva. Per fortuna hanno gusti molto semplici, così direi di metterli nel ripostiglio delle attrezzature per la pulizia, a sinistra della stiva. Ho già trasportato tutto quello che conteneva nel magazzino.
In quel momento l’interfono generale annunciò l’arrivo dei Viver e la comandante azionò il congegno che apriva il portello per farli salire a bordo. Il primo arrivato era alto più di due metri, il secondo una ventina di centimetri in meno.
— Io sono K’Stin — si presentò il più alto — figlio di K’Tok, comandante dell’Avenger, nipote di K’Din, che trucidò migliaia di avversari nella battaglia al largo di Votan, pronipote di K’Tang il costruttore della prima grande nave di un clan, e via via su fino a K’Tchak il fondatore del clan. — Poi, indicando con l’artiglio del pollice il compagno, disse: — Questo è B’Shant, i cui antenati non sono altrettanto illustri dei miei, ma che, tuttavia, è ugualmente rispettabile. È il mio novantaduesimo cugino in settimo grado in linea diretta e attraverso quarantadue matrimoni. Sono certo che voi persone inette e depravate non potete apprezzare queste cose, però potete godere della nostra presenza protettrice.
— Siamo onorati di conoscervi — disse la comandante. — Vedo che grondate armi, il che mi va bene dal momento che è previsto che le dovrete usare. Tuttavia adesso siamo nello spazio, così vi prego di consegnarmele. Le chiuderò nell’arsenale di bordo.
I due Viver si misero subito sulla difensiva.
— Assurdo! — gridò K’Stin. — Abbandonare le armi a degli stranieri? Vi faccio dei versacci di disprezzo e di insulto! Sono travolto dall’ilarità al solo pensarci!
Cominciano le difficoltà fu il pensiero generale, e Michelle intervenne con diplomazia per calmare le acque. — Ma, signori, come potete pensare che esseri deboli come noi possano costituire una minaccia? Sono certa che, per quanto siamo in undici, armati o no, non potremmo mai competere con un solo membro del glorioso clan K’Tchak, non parliamo poi di due! Dovete capire che ci preoccupa l’idea che restino in giro armi capaci di danneggiare lo scafo. Il minimo calo di ossigeno potrebbe ucciderci, anche se non sarebbe dannoso per voi.
— A noi non ci sono mai capitati incidenti con le armi — disse K’Stin. — Non avete niente da temere.
— È vero, ma sussiste sempre la possibilità di un guasto meccanico. Inoltre il vostro rito ha lo scopo di sottostare alle fatiche ed esporsi ai pericoli. Non potreste imparare a cavarvela senza armi? Finalmente, con malagrazia e riluttanza, i due consegnarono le armi a energia alla comandante. Ma non per questo si potevano dire disarmati. Frugando nelle sacche per estrarne le pistole a raggi e a proiettili avevano messo insieme anche una collezione di spade, masse, lance pieghevoli, archi, fionde, garrote, coltelli e altri aggeggi capaci di uccidere.
— É tutto? — chiese infine la comandante a K’Stin.
— Certamente. Non ci avrebbero mai permesso di portare un carico eccessivo di armi — rispose K’Stin. — Se ce ne occorreranno di più potenti, le fabbricheremo. Nel corso del rito è d’obbligo portare solo le armi indispensabili.
— Accompagnali nel loro alloggio, Kelly — disse la comandante. — Usciremo dall’orbita fra venti minuti. K’Stin, tu e B’Shant ci raggiungerete alla mensa dopo avere sistemato la vostra roba. Vi spiegheremo in cosa consiste la nostra missione. — Quando li vide uscire preceduti dal mozzo, mormorò con un sospiro: — Ah, se l’avessi saputo...
— Sarà meglio che vada anch’io — disse Torwald.
Nel cubicolo destinato ai Viver, lui e Kelly avevano messo insieme con tubi e reti due brande fuori misura e sistemato qualche scaffale ricavato da vecchie lastre inutilizzate. Nell’insieme, il locale pareva la cella di un frate.
— Credete che possa andar bene? — chiese Torwald.
— Proprio non saprei... — rispose K’Stin. — Non ho mai amato il lusso.
— Se restate a lungo con noi diventerete dei raffinati.
— Il tuo compagno parla poco — osservò Kelly.
— Certo. B’Shant è il mio subordinato da quando gli ho strappato via una gamba nel Rito di Lotta degli Adolescenti. Sono stato anche campione al Gran Premio Libero — continuò accalorandosi il Viver. — In quella occasione ho combattuto con mazze e pugnali. Da ragazzo ho sempre ottenuto il migliore punteggio nello smembramento e nel tiro. Nessuno mi ha superato nell’uso delle armi bianche, salvo K’Tchok, che mi ha superato di poco nel lancio dell’arpione.
Quando i Viver ebbero sistemato le loro cose, Torwald li accompagnò alla mensa.
Entrando nel locale, dove la comandante e Ham sedevano al tavolo su cui troneggiava la sfera, K’Stin chiese per prima cosa: — Quando passeremo all’ipervelocità?
— Il passaggio è già avvenuto.
— Assurdo! Impossibile! Gli effetti del balzo interstellare provocano disturbi anche in creature magnifiche come noi. Perché ci avete mentito?
— Quell’oggetto — rispose la comandante indicando la sfera — è un’entità vivente dotata d’incredibile potenza. Conosce il segreto di una propulsione più veloce della luce e senza gli sgradevoli effetti collaterali della Whoopee. Ci sta portando al centro della Galassia.
I due Viver scattarono impugnando un coltello.
— È impossibile, pazzesco! — urlò B’Shant, facendo sentire per la prima volta la sua voce.
K’Stin gli mollò un manrovescio perché aveva osato parlare. Il colpo avrebbe fracassato le ossa a un uomo normale. — Silenzio! So io cosa è pazzesco, e io solo posso dirlo!
È vero.
I Viver si irrigidirono, poi K’Stin pronunciò una frase in una lingua sconosciuta agli esseri umani normali. Kelly provò una fitta alle orecchie. Evidentemente qualche parola era stata pronunciata in ultrasuoni. La sfera rispose nella stessa lingua. I Viver si rimisero a sedere, mogi mogi.
— Conosce la lingua segreta — disse K’Stin. — Solo noi la conosciamo e quella cosa non è un Viver. Quanti anni ha? — Questa era una domanda tipica dei Viver.
La mia età è tale che la vostra matematica non può esprimerla. Ero già vecchio quando la vostra Galassia era una nube di polvere e di gas.
— Credo che esageri — disse K’Stin ad alta voce. —Tuttavia le sue cognizioni stanno a indicare una notevole longevità. Però debbo rifiutare questa missione. Il rito richiede di affrontare gravi pericoli, non di suicidarsi.
— In primo luogo — replicò Ham — non possiamo tornare indietro. La sfera ha il completo controllo della propulsione di questa nave, e non permette che si segua una rotta che non sia diretta al centro della Galassia. Ma pensaci un momento: se compiremo questa missione, di qualsiasi missione si tratti, e la fortuna ci assiste consentendoci di tornare, pensa a quello che avremo imparato. Pensa ai segreti che scopriremo, K’Stin. Vuoi che noi umili e comuni esseri umani si conquisti il monopolio di queste conoscenze? — Ham aveva imparato presto il modo migliore di parlare ai Viver.
— Conoscenza è forza — mugugnò K’Stin annuendo. — Non si è mai abbastanza forti. E inoltre chissà che al centro della Galassia non si scoprano pericoli che un giorno possano minacciare i Viver. Ma vorrei saperne di più su questa sfera. Potrebbero essercene altre simili, e mi sembra che sia in grado di vivere per moltissimo tempo. Bene, ti seguiremo volentieri. Sfera, qual è la tua missione?
Non è cosa che vi riguarda. Vi basti sapere che il vostro ritorno a casa dipende dal fatto che mi portiate a destinazione.
— Nancy, quanta parte della Galassia è stata esplorata da noi? — chiese Kelly mentre aiutava l’addetta alle comunicazioni a programmare il computer. Era una domanda che assillava tutti, adesso che avevano il tempo di riflettere. L’avventura che stavano vivendo diventava reale via via che passavano le settimane in iperspazio, un periodo molto più lungo di quello che ognuno di loro aveva mai passato al di fuori dello spazio reale.
— Non molto — rispose Nancy. — Ho letto che in una gigantografia della Galassia grande quanto uno stadio sportivo, la parte attraversata dagli esseri umani sarebbe grande quanto una nocciolina.
— E noi stiamo per allontanarci milioni di volte dalla Terra, più di quanto non abbia fatto nessuno. Chissà dove siamo adesso!
— Nell’iperspazio non lo si può sapere con esattezza. Finn non ti ha dato lezioni di navigazione e di geometria iperspaziale?
— Sì, però non è che io ci abbia capito molto. Mi mancano le basi. Le scuole statali che ho frequentato lasciavano molto a desiderare quanto a istruzione — dichiarò con amarezza Kelly.
— Pensa che io ho imparato a leggere solo a tredici anni — gli disse Nancy.
— Mi sembra incredibile.
— I miei genitori erano coltivatori di riso su Li Po, dove il Signore della Guerra trattava i dipendenti come servi della gleba. Quando i Commandos tentarono, senza riuscirci, di catturare il Signore della Guerra, fui fatta sfollare con altri bambini su una nave di profughi. Fummo fortunati perché evitammo l’invasione.
— Oh, non lo sapevo — mormorò Kelly vergognoso. Si era sempre compassionato perché orfano, e adesso si rendeva conto che la povera Nancy non aveva neanche un pianeta! — Come hai fatto a diventare addetta alle comunicazioni?
— Mi mandarono in un campo profughi su Baldur. Un giorno la Space Angel atterrò sul nostro campo per consegnare una partita di viveri su incarico del governo. Io fui incaricata di riportare i sacchi vuoti nella stiva, e quando gli altri se ne furono andati mi nascosi sotto i sacchi e aspettai. Poi, quando mi parve che la Space Angel si fosse allontanata abbastanza da Baldur senza pericolo che ci tornasse, mi presentai alla comandante. Per mia fortuna ero capitata su una vecchia carretta e non su una di quelle navi di linea ligie al regolamento. Mi misero a lavorare come mozzo, gli stessi lavori che fai tu. Per fortuna Bert è un ex-insegnante e io ho fatto in fretta a imparare le nozioni fondamentali. L’addetto alle comunicazioni che c’era prima mi ha accettato come apprendista, e quando è andato in pensione, un paio di anni fa, ho preso il diploma e ho ottenuto il posto. Credo di essere stata fortunata.
— Nancy, potresti prestarmi il tuo assistente un momento? — chiese Torwald dalla soglia.
— Certamente, Tor. Comunque abbiamo quasi finito.
Dopo poco, Kelly raggiunse il quartiermastro nel magazzino dove Torwald stava prendendo a tutti le misure per una corazza di protezione. Nel fare l’inventario, lui e Kelly avevano trovato fogli di fibra di ceramica e Torwald aveva deciso di servirsene per fare delle corazze di protezione dal momento che prima o poi si sarebbero trovati in ambienti ostili. Lui e K’Stin avevano improvvisato degli stampi in cui versare e modellare la ceramica preriscaldata.
— Pronti per la sfilata di moda — annunciò Torwald. — Questa è la tua, Kelly, provala per vedere se ti va bene. Prima le gambe.
— Le corazze erano fatte in un solo pezzo in modo da adattarsi alla gamba, e venivano applicate e adattate con chiusure a molla. La parte più difficile era la ginocchiera, perché doveva aderire perfettamente in modo da permettere la massima libertà di movimento. Le parti che proteggevano le braccia erano fatte nello stesso modo. Le piastre di copertura della schiena e del torace erano composte di scaglie sovrapposte per maggior mobilità. Quando Kelly ebbe indossato tutti i pezzi, Torwald gli disse di saltare, sdraiarsi, accovacciarsi, e alzarsi finché non fu convinto che tutto fosse perfettamente funzionale. Kelly si ammirò nello specchio della dispensa: sembrava il manifesto per l’arruolamento nella Marina Spaziale.
— Dove hai imparato a fare questa roba? — chiese, contemplando soddisfatto la liscia corazza lucida e nera.
— Durante la guerra sono stato per sei mesi in convalescenza in seguito a una brutta ferita, così mi hanno messo a lavorare nel reparto corazze dell’officina della Flotta. Con casco e il visore abbassato sarai pressoché invulnerabile... Va bene, Kelly, ti sta a pennello. Puoi togliertela.
— Torwald, cosa ne pensi di questa pazzesca avventura?
— Cosa ne penso? Be’, più che altro ti confesso che cerco di non pensarci, perché se lo faccio devo arrivare all’inevitabile conclusione che nessuno sa niente del centro della Galassia. Però è convinzione generale che le tensioni, le radiazioni e anche i processi naturali siano così diversi da quelli della nostra minuscola porzione di Universo, ai confini del Bordo, che l’esplorazione potrebbe risultare impossibile anche se riuscissimo a sviluppare una velocità che ci permettesse di compiere il tragitto in meno di dieci generazioni. Stiamo percorrendo quasi un intero raggio della Galassia e non a bordo di un grande vascello attrezzato per le esplorazioni, ma su una vecchia carretta armata con un paio di cannoncini, guidata da un pallone sapiente, con un equipaggio composto di ragazzi e di rifiuti.
— È proprio così brutto?
— Più o meno. Be’, la Golden Hind di Drake era un piccolo guscio di centoventi tonnellate eppure fece la circumnavigazione della Terra e, per dirne solo una, catturò una nave spagnola che portava un tesoro. Forse, e sottolineo forse, anche noi saremo altrettanto fortunati.
Un colpo al portello annunciò due visitatori: Bert e Finn.
— Le cose ci hanno preso un po’ la mano — disse Bert, — e c’è un certo nervosismo in giro. Credete che quel coso voglia veramente portarci dove dice? E in caso affermativo, riusciremo a sopravvivere? Io, per esempio, non ambisco a diventare membro del Vascello Fantasma della Galassia Interna.
— Prova a pensarla così — disse Finn. — È come se si fosse nella Flotta. Dobbiamo andare dove ci mandano perché così ha deciso qualcuno che ha il potere di comandare. Non siamo liberi di scegliere.
— Dobbiamo fidarci della sfera, Finn — disse Kelly. — Bert dice che i suoi poteri sono quasi pari a quelli di un dio. Forse ci proteggerà.
— Ho cambiato opinione, Kelly. Forse sarà stata simile a un dio, una volta, ma adesso non più. Ha bisogno di una nave per spostarsi, no? Se è ridotta al punto di doversi affidare a un mezzo meccanico per muoversi, forse anche gli altri suoi poteri si sono indeboliti...
— E — continuò Finn — ci stima come noi stimiamo le amebe. Quando deciderà che non le siamo più utili, ci abbandonerà al nostro destino.
— Non parlate così quando i Viver vi possono sentire — li ammonì Torwald.
— Discorsi di questo genere acuiscono il loro istinto di sopravvivenza. Potrebbero cercare di sbatterci fuori dal compartimento stagno e impadronirsi della nave, anche, se non servirebbe a niente perché non sarebbero in grado di tornare indietro.
— Credi che sia stata una bella idea imbarcare quei due? — chiese Finn. — Sono maleducati, permalosi e imprevedibili. E se anche, confronto a noi, sono degli specialisti in materia di sopravvivenza, le loro probabilità di fronte a quello che potremmo trovare nel Centro sono risibili.
— È vero, non sono immortali — ammise Torwald, — ma ci possono essere utili. Aspettate di vederli alla prova. La voce dell’altoparlante interruppe la discussione.
— Kelly, caffè in plancia. — Kelly si precipitò in cambusa, prese una caraffa di caffè dal distributore e andò di corsa in plancia. Entrando vide la comandante nel suo solito sedile, Bert in quello del secondo, accanto a lei e HOK’Stin in piedi in mezzo a loro. Un occhio del Viver ruotò per sbirciare attraverso una fessura sulla nuca per vedere chi era entrato. Contemporaneamente gli speroni alle caviglie scattarono in previsione di una eventuale autodifesa. Era una spiacevole abitudine dei Viver che Kelly aveva già notato altre volte.
— Sono solo io, K’Stin. Ecco il caffè, comandante. Cosa dicono gli strumenti?
— Niente di sensato. Stavo solo spiegando la funzione dei comandi a K’Stin.
— Sì. Dato che probabilmente voi verrete uccisi, io e B’Shant dobbiamo sapere come si guida questa nave, per poter comare a casa.
Kelly si chinò per leggere il pannello davanti alla comandante. Ormai si era fatto una certa esperienza, ma non aveva mai visto funzionare a quel modo schermi e quadranti.
Due schermi erano spenti, e i tre accesi esibivano Un fantastico groviglio di colori.
— In qualunque iperspazio ci si trovi in questo momento, non è comunque quello dove potrebbe portarci la Whoopee — disse la comandante. — Gli strumenti non funzionano a questo modo durante un balzo normale. Sono due ore che Sfera sta risucchiando i dati dai banchi delle memorie del computer. Fra poco saprà tutto degli uomini e della nostra scienza. — Tacque sbuffando, poi si accese un sigaro e disse a Kelly: — Quando torni da Torwald, digli di escogitare un sistema di addestramento alla sopravvivenza. Abbiamo un sacco di tempo e quasi niente da fare. Voi ragazzi non siete mai stati sottoposti a esercitazioni del genere, e noi anziani siamo piuttosto arrugginiti in materia. Così sarete occupati e forse sarete un po’ più preparati ad affrontare quello che ci aspetta.
Torwald ritrovò chissà dove alcuni manuali della Marina Spaziale, e insieme ad Ham e a Bert organizzò una serie di corsi di specializzazione in fuga, evasione, mimetizzazione, balistica, pronto soccorso, e altre materie. I corsi servivano a mantenere mentalmente attivo l’equipaggio e a prepararlo ad affrontare le più svariate situazioni. Inoltre il lavoro extra serviva a evitare che si dessero sui nervi l’uno con l’altro. L’equipaggio della Space Angel non era infatti composto da personale addestrato a mantenere la calma in un ambiente limitato per un lunghissimo periodo di inattività come quello dei ricognitori.
Perché si esercitassero con le armi, Torwald fabbricò pistole finte e fucili a raggi con scarti di metallo o plastica, dotati però di veri mirini e grilletti che attivavano raggi innocui. Infine, per mantenere in forma il fisico, costringeva i più giovani a portare grossi carichi di corsa lungo i corridoi e le passerelle più volte al giorno. I Viver seguivano quelle esercitazioni con tollerante superiorità.
Un giorno, mentre Torwald faceva esercitare Kelly nell’uso delle armi, la sfera parlò.
Adesso ci troviamo nello spazio reale.
Kelly si precipita fuori precedendo di due buone lunghezze Torwald. Entrambi corsero nell’osservatorio di Finn, subito imitati da tutti gli altri. Chiusi nella cupola trasparente, fissarono muti le stelle sulle quali mai si era posato sguardo umano. Perfino i Viver sembravano intimiditi.
Si vedevano stelle singole, doppie, triple, ammassi stellari costituiti da centinaia e migliaia di astri. C’erano stelle di tutti i colori: rosse giganti fiammeggiavano grandi come la Luna nelle limpide notti estive; le minuscole nane biancazzurre erano talmente luminose che dolevano gli occhi a guardarle, ed erano così tante che l’interno dell’osservatorio era illuminato a giorno. E ovunque, raggruppate in nuvole, veli, tende, c’erano nebulose, nubi di gas e di polvere, e i resti spettrali di novae esplose da tempo immemorabile che scintillavano come ragnatele di seta, e garze multicolori così vaporose da sembrare irreali.
— Anche se non dovessimo mai tornare — mormorò Michelle dopo un lungo silenzio — valeva comunque la pena pur di vedere tutto questo.
— Sfera — chiese dopo un altro prolungato silenzio la comandante — quanto distiamo dal Centro?
Ci siamo lasciati alle spalle il novanta per cento della distanza. Adesso state guardando verso la parte da dove siamo venuti: il Bordo. Ora vi mostrerò il Centro.
La nave ruotò lentamente dando l’impressione che fossero le stelle a muoversi, finché il centro della Galassia non spuntò sull’orizzonte della Space Angel, formato dalla fiancata della nave: l’effetto fu molto simile a quello del Sole nell’alba terrestre. Ma questo “Sole” era composto da miliardi di stelle ed era talmente luminoso che entrarono subito in funzione i filtri automatici. Anche così, tuttavia, il lucore era tale che non lo si poteva fissare direttamente.
Fu Nancy a dare voce al pensiero di tutti. — È la faccia di Dio — disse con voce tremula. — La faccia di Dio come è descritta nel Paradiso di Dante.
— Grazie, Nancy — disse la comandante. — Lo scriverò nel libro di bordo. Soltanto, mi chiedo come abbia fatto quel Dante ad arrivare fin qui per vederla.
— E adesso, Sfera? — chiese Ham quando si trovarono di, nuovo tutti in mensa, un po’ più calmi. I primi momenti di stupore e di eccitazione erano passati, e adesso stavano lentamente abituandosi a quella eccezionale esperienza.
Faremo una perlustrazione, a piccoli balzi: forse entreremo in contatto con esseri intelligenti su qualche pianeta.
— Per scoprire cosa, Sfera? — la comandante cominciava a perdere la pazienza. — Non abbiamo ancora la minima idea di cosa stiamo cercando, né di cosa dovremo fare dopo che l’avremo trovata. Vuoi gentilmente illuminarci?
Voi dovete cercare notizie, informazioni, intelligenze, e quando ci sarete riusciti vi dirò cosa dovrete fare.
— Notizie di cosa, Sfera?
Della Stella Nucleo.
— Va bene, ma cos’è la Stella Nucleo? — insisté la comandante sempre più impaziente.
La Stella Nucleo è la stella che si trova al centro della maggior parte delle galassie. È la stella che si è condensata al centro della galassia quando questa si è formata. Al di là di quella massa di stelle che avete visto al Centro e che avete denominato la Faccia di Dio, c’è un ampio tratto di spazio vuoto, privo di stelle, con solo qualche nube di gas e di polvere. Nel cuore della nube si trova la Stella Nucleo, una stella grande miliardi di volte più delle maggiori stelle della Galassia.
Ci volle un po’ di tempo per digerire questo concetto, ma infine Finn chiese:
— Come mai non ha ceduto al peso della propria massa?
Le leggi della fisica e quelle della natura che vi sono familiari sono fenomeni limitati validi solo per un limitato spettro della realtà in quella minuscola zona da voi abitata sul bordo della Galassia. Le stesse leggi sono assai meno valide in questa zona vicina al Centro, non hanno alcun valore nella Stella Nucleo. All’interno di quella massa, spazio, tempo, realtà assumono significati completamente diversi, che la vostra mente non è in grado di afferrare. Non vi si può applicare neppure il vostro sistema matematico. E come se nella Stella Nucleo due più due fosse uguale a ottantasette, anche se questo non e un esempio calzante Sarebbe più esatto dire che due più due fa verde La legge esiste, ma non e la vostra legge.
— Se la Stella Nucleo è così incomprensibile, come possiamo raccogliere informazioni al suo riguardo — chiese la comandante.
Basta solo che voi scopriate cosa e successo nel tratto di spazio vuoto fra le ultime stelle e quella del Nucleo negli ultimi due miliardi di anni o pressappoco.
— Spero che tu non esiga un rapporto dettagliato — disse Bert, beffardo.
Basta qualche campione a caso.
L’ironia era sprecata con Sfera.
— Bene, allora mettiamoci d’accordo — disse la comandante — Se dobbiamo cercare di ottenere delle informazioni sarà necessario farlo su pianeti simili alla Terra che ruotano intorno a stelle del tipo G. Grazie alle informazioni che hai assorbito dal computer di bordo, suppongo che ti sia possibile trovare mondi di questo tipo.
— Noi pero non siamo così limitati — disse K’Stin alla sfera — I Viver sopportano gravità che schiaccerebbero gli uomini normali Possiamo respirare aria così rarefatta che li farebbe morire soffocati, o acqua in cui annegherebbero La nostra epidermide chitinosa non lascia penetrare le radiazioni che per loro sarebbero mortali, e la nostra bellezza sarebbe una delizia per gli occhi delle razze che dovessimo incontrare, mentre la bruttezza umana offenderebbe la loro sensibilità.
— Facciano pure — disse Finn — purché si accollino tutti i rischi.
Basta discutere. Qui dove le stelle sono così dense non e necessario esplorare mondi che sono solo marginalmente abitabili dalla vostra specie. Ne esistono migliaia come la vostra Terra capaci di sviluppare forme di vita analoghe alla vostra, o suscettibili di essere colonizzati.
— E allora quando cominceremo? — chiese la comandante.
Abbiamo gia cominciato Siamo passati di nuovo nell’iperspazio e in questo momento ci troviamo all’interno di un sistema stellare che ruota intorno a un sole di tipo G, che fa parte di un ammasso di migliaia e migliaia di stelle. Dal momento che le primarie sono così vicine fra loro, le probabilità che un pianeta adatto a voi sia abitato sono molto elevate.
Perlustrarono tutto quel sistema, ma nessun pianeta possedeva un’atmosfera o un’attrazione gravitazionale abbastanza simili a quelli della Terra. Con un balzo nell’iperspazio si trasferirono subito in un altro sistema dello stesso ammasso stellare, ma anche qui non ebbero migliore fortuna. Sfera decise allora di tentare in un punto più vicino al Centro.