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Kelly aprì il portello contrassegnato MOTORI ed entrò, incurante dell’altra scritta VIETATO L’INGRESSO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO, convinto che la proibizione non si riferisse a lui.

Il locale era illuminato a giorno e le paratie verniciate di un bianco brillante, in contrasto con il resto della nave, dove erano dipinte in diversi colori a seconda dei gusti dei precedenti comandanti. In fondo al locale, due pozzetti contenevano la metà inferiore dei razzi di spinta, e in mezzo ad essi si levava il cono della Propulsione Whoopee. Achmed e Lafayette avevano scoperchiato il motore che non era in funzione e lo stavano ripulendo muniti di un armamentario di utensili.

— Su, al lavoro! — gridò Achmed. — Mettiti vicino a Lafayette.

Kelly si lasciò cadere nel pozzetto vicino al ragazzo dai capelli rossi e allungò la mano verso un frantumatore sonico simile a quelli che si usavano sulla Terra per pulire le case. Ma Lafayette gli diede una botta sulla mano. — Brutto cattivo! I bambini non giocano con gli utensili elettrici in sala motori. Prendi questo e strofina. — Così dicendo gli porse un cuscinetto di lana d’acciaio. — Questo va meglio per te. Su, al lavoro.

Kelly si mise a strofinare, furioso. Andò avanti così: Lafayette trovava sempre da criticarlo e gli assegnava i lavori più sporchi e pesanti. Kelly si dominava perché non voleva guastarsi il piacere di quel suo primo lavoro da spaziale. Poi Achmed chiamò Lafayette, e Kelly li sentì parlottare. Al ritorno Lafayette aveva abbassato le arie, ma Kelly si seccò per l’interferenza di Achmed. Non aveva bisogno di protettori, sapeva badare a se stesso.

Poco prima del termine del turno antimeridiano, arrivò Torwald. — Sono appena stato in magazzino e c’è un tale disordine che mi rifiuto di metterci mano finché Kelly non potrà venire ad aiutarmi. A proposito, chi era il mio predecessore, un contadino delle paludi di Vega?

— Un certo Krilencu — rispose Achmed. — Negli ultimi tempi era un po’ troppo affezionato alla bottiglia.

— Lo immaginavo. Ma per quale motivo la comandante non l’ha cacciato?

— Perché durante la guerra aveva combattuto nella sua squadriglia. Molti di quelli che se l’erano vista brutta avevano preso l’abitudine di bere per darsi coraggio, e non hanno più smesso a guerra finita. Credo che la comandante si sentisse in certo modo responsabile.

— Le faccio tanto di cappello — commentò Torwald, — però il suo protetto mi ha lasciato in eredità un lavoro che mi darà del gran filo da torcere.

— Non sarà difficile sistemare le cose per uno in gamba come te — disse Achmed con un filo d’ ironia.

— Ah, davvero? Aspetta che venga a darti una mano a pulire i motori. — E a Kelly: — Come ti pare il lavoro di spaziale?

— Bellissimo! — rispose pronto Kelly sfoderando un gran sorriso. — Ma non sarebbe stato meglio farlo a terra?

— Già, più comodo e facile — ammise Torwald, — ma poco remunerativo. Una nave in porto non rende un soldo né ai proprietari né alla ciurma, perciò qualunque lavoro che possa essere svolto a bordo vien fatto tra decollo e lo sbarco. Così si guadagnano tempo e denaro.

— Pausa per il caffè! — annunciò Achmed e tutti e quattro andarono al distributore installato nel locale. Dopo avere parlato del più e del meno, Kelly chiese ad Achmed ragguagli sulla Propulsione Whoopee esaminando da vicino quello strano meccanismo di propulsione, un grosso fuso sospeso perpendicolarmente all’asse della nave. Era liscio, all’infuori della punta conica di glassite trasparente all’interno della quale c’era un cristallo ruotante che aveva la forma di un anello di Moebius.

— Come funziona, Achmed? Ho sentito dire che non si può usare all’interno di un sistema solare.

— Che mi pigli un accidente se lo so — ammise l’arabo. — So come farlo funzionare, ma ignoro come e perché funziona. Tu te ne intendi, Tor?

— Kelly — disse Torwald, — sulla Terra ci sono almeno cinquanta fisici che asseriscono di sapere come funziona la Propulsione Whoopee, ma ne conoscono solo il principio che di per sé è già abbastanza complicato. È come Einstein con la relatività; se ne conoscono gli effetti e si può afferrarne il principio, ma i perché sono al di là della comprensione umana.

— Ah! — ridacchiò il mozzo. — E io che credevo che i vecchi spaziali sapessero tutto sulle navi!

— Sanno farle funzionare, questo è certo, ma il come e il perché spetta agli scienziati saperlo. Noi siamo gli esperti, ma la propulsione spaziale non rientra nel nostro campo. Ti farò un esempio: non sono mai esistiti dei professionisti più esperti dei marinai del Settecento e dell’Ottocento. Sapevano costruire delle imbarcazioni leggere, servendosi di legno e stoffa, capaci di portarle attraverso tutti i mari, e conoscevano vento e acqua più di quanto qualsiasi spaziale possa conoscere lo spazio. Eppure ben pochi di loro sapevano perché soffia il vento o perché ci sono correnti nell’oceano.

— Caspita quanto parli! — lo interruppe Achmed. — Non immaginavo che fossi un chiacchierone.

— Scusate un attimo! Io, sto solo cercando di dare qualche lezione a Kelly, e credo di potermelo permettere dopo avere trascorso tutta la vita nello spazio, e che cosa ottengo? Delle critiche. Non capisci, Achmed, che è nostro dovere istruire Kelly?

— Con la tua istruzione e le favole di Finn questo poveretto sbarcherà al primo porto e non rimetterà mai più piede su una nave. Avanti, torniamo al lavoro.

Strofinarono e fregarono per un altro paio d’ore; quando il cronometro inserito in una paratia mandò uno squillo, Achmed uscì dal pozzetto dove stava lavorando, si spogliò e andò a fare una doccia agli ultrasuoni. Quando fu ben pulito, aprì un armadietto, ne trasse una tunica bianca, se la infilò e si mise in testa una papalina. Poi srotolò un tappetino e lo stese con cura sul ponte. S’inginocchiò e cominciò a pregare rivolto verso i tubi di scappamento dei motori.

Terminate le preghiere, l’arabo tornò a indossare la tuta da lavoro e si rimise a strofinare. Un’ora dopo si udì un altro squillo e la voce di Michelle chiamò dall’altoparlante: — Torwald, Kelly, a rapporto in cambusa!

I due si ripulirono e andarono in cambusa dove Michelle stava impastando il pane. — Oggi il menu comprende roastbeef e budino dell’Yorkshire — annunciò.

— Kelly, va’ a prendere due chili di mele secche in dispensa. Tor, pesa lo zucchero. La ricetta è là — e indicò un pezzo di carta sgualcita appuntato su uno stipo. Mentre lavoravano Michelle, come medico di bordo, s’informò sulla storia medica di Torwald e Kelly. Infatti i superstiti dell’Influsso Arturiano erano allergici alla penicillina, e il chinino trasformava un innocuo batterio di Vega Primo in un virus mortale. La storia di Kelly non presentava problemi: era sempre vissuto sulla Terra in istituzioni pubbliche e non s’era mai trovato coinvolto in epidemie né era stato affetto da malanni extraterrestri. Invece quella di Torwald era complessa, e Michelle registrò parecchi dati mentre lui parlava.

Quando ebbe saputo tutto sulle loro condizioni fisiche, Michelle si addentrò nel campo della psicologia, e Kelly non capiva se le sue domande fossero professionali o dettate dalla curiosità. Si accorse che Michelle s’interessava più a Torwald che a lui, e anche quando lo mandò a preparare la tavola, sentì che i due continuavano a parlare.

— Mai stato sposato, Tor?

— Una volta. Mia moglie prestava servizio su un ricognitore, come me. Fu mandata a fare una ricognizione su Toth prima dello sbarco. Solo una nave della sua squadriglia tornò, e non era la sua. E tu?

— Due volte. La prima con un ufficiale medico all’ospedale dell’ università di Lima. Fu ucciso durante un bombardamento prima che inventassero lo Scudo. L’altro era un motorista di un trasporto truppe. Ci conoscemmo perché gli medicai delle ustioni quando prestavo servizio a bordo dell’Asklepios. Fu ucciso un anno dopo a Li Po. — Non una parola di rimpianto o di inutile consolazione. Tutti avevano perso qualche persona cara durante la guerra, e se si volevano consolare tutte le persone che s’incontravano non ci sarebbe stato il tempo per fare altro.

Dopo mangiato, Torwald disse a Kelly di cercare un notes e di raggiungerlo poi nel magazzino perché avrebbe avuto un bel po’ da scrivere. Kelly andò nella sua cabina perché fra l’altro Torwald gli aveva comprato tutto il necessario per scrivere, prima della partenza. Mentre tornava col notes, attraversando la passerella sulla stiva, Kelly scorse un movimento con la coda dell’occhio. Tenendosi saldamente aggrappato alla ringhiera si sporse a sbirciare nella tenebrosa caverna sottostante.

Eccolo di nuovo. Qualcosa sfrecciava in fondo alla stiva. Però sfrecciare non era l’espressione adatta, pareva piuttosto che arrancasse velocemente. Era verde. Incuriosito, Kelly scavalcò la ringhiera e scese sul fondo scivolando su una trave di sostegno. Si guardò intorno e vide la cosa che si stava allontanando. Aveva quattro zampe e le dimensioni di un cagnolino. Kelly si avvicinò con cautela. Per quel che ne sapeva poteva essere anche pericoloso. Avvertendo la sua presenza, la creatura si voltò rizzandosi sulle zampe anteriori. Aveva una pancetta prominente e il muso — o faccia? — piatto con la bocca piccola e un grosso naso a cipolla. Ai lati della testa spuntavano due orecchie pelose che parevano un berretto. Gli occhi erano rotondi e spaziati. Kelly non aveva mai visto una creatura più innocua.

— Ehi, stai spaventando Teddy? — Kelly guardò in alto e vide Nancy Wu che si sporgeva dalla ringhiera.

— Teddy?

— Certo. Chi credevi che fosse? Portalo su. Non deve gironzolare nella stiva, potrebbe perdersi. — Kelly allungò la mano, ma Teddy fu più lesto; gli si arrampicò sui calzoni e salì fino a istallarsi sulla spalla, e poi si voltò per guardarlo con aria solenne.

Kelly salì sulla scaletta e quando arrivò alla passerella Teddy saltò a terra e andò a rifugiarsi fra le braccia di Nancy.

— Cosa facevi? Gli davi la caccia? L’hai spaventato a morte.

— No. L’avevo visto là in fondo ed ero curioso. Che cos’è?

— Un orsetto narcisiano, naturalmente.

— Già, un orsetto narcisiano — disse Kelly che ne sapeva quanto prima. Avrebbe voluto chiedere altre delucidazioni, ma Nancy si stava già allontanando.

Quando arrivò al magazzino, Torwald lo accolse dicendo: — Come mai ci hai messo tanto tempo?

— Perché tutti mi dicono la stessa cosa? — ribatté Kelly irritato.

— Perché devi imparare a tenere il passo, e sei ancora troppo lento e inesperto. Una volta i marinai troppo lenti e pigri venivano puniti a suon di frustate, e così imparavano a comportarsi a dovere. Devi ricordarti sempre che non sei più sulla Terra. — Torwald si mise a frugare fra un mucchio di oggetti, e Kelly si guardò intorno. Il magazzino era un vero caos, gli pareva impossibile che si potesse rimettere tutto in ordine. A un tratto la sua attenzione fu colpita da una fila di aggeggi appoggiati a una paratia. Erano neri e lucidi, di plastica e metallo, e somigliavano un po’ a fucili a raggi pesanti, ma erano più grandi e massicci e posavano su un treppiede pieghevole. Kelly fece per prenderne uno.

— Non toccarlo! — gli gridò Torwald.

— Perché? — Kelly era rimasto interdetto dal tono severo e irato della sua voce.

— Mai toccare un apparecchio a raggi a bordo di una nave. Ricordi quando la comandante ci ha chiesto se avevamo armi e io le ho dato la mia pistola a laser? Non era soltanto un pro forma. Con un’arma del genere si può tagliare in due una nave. Perciò è severamente proibito ai membri dell’equipaggio di maneggiare congegni capaci di danneggiare la nave. Ne sono esentati solo il motorista e il medico, e solo in particolari situazioni. La comandante deve essere sempre presente quando Michelle usa il bisturi o il trapano a laser.

— Ah, capisco — mormorò Kelly mortificato.

Poi Torwald sedette davanti a un vecchia e logora consolle e premette il pulsante contrassegnato PLANCIA. Qui plancia. Parla Ham.

— Qui Torwald. Potresti farmi avere il catalogo dell’inventario?

— Subito, ma non t’invidio.

Torwald e Kelly capirono subito perché Ham aveva detto questo. Mentre file di parole e cifre sfilavano sullo schermo, l’espressione di Torwald andava facendosi sempre più allarmata. Infine tornò a chiamare la plancia.

— Ham, neanche il computer riesce a raccapezzarsi con questi dati. E gli ultimi sono stati immessi nel marzo del duemilacentottantasette! Sapevo che il mio predecessore era un ubriacone, ma non sapevo che fosse anche un sabotatore.

— Il vecchio Krilencu era un tipo tutto particolare — ammise Ham. — Pareva sempre che sapesse quanto materiale c’era in magazzino, e dove fosse questo o quell’oggetto. Aveva tutto in testa.

— Compreso un bel po’ di pigne!

— Nessuno ha mai detto che avresti avuto un lavoro facile. Se ne cercavi uno poco faticoso, dovevi imbarcarti su una nave di linea — e con questo il secondo troncò la comunicazione.

Torwald fissò per un momento l’altoparlante, infuriato, poi sospirò e disse al mozzo: — Be’, Kelly, tanto vale che cominciamo. Prima facciamo una cernita. Sgombra un tratto della paratia di fronte al portello, che ci sistemeremo le attrezzature da usare sui pianeti.

Nel corso delle sue peregrinazioni attraverso la Galassia, la Space Angel aveva raccolto un incredibile assortimento di oggetti, in massima parte sconosciuti a Kelly. C’erano tende smontabili, radiatori, picconi per il ghiaccio, asce, insetticidi ultrasonici, zaini, seghe, strumenti per l’osservazione e la sorveglianza, attrezzi di ogni specie, congegni per la sopravvivenza nei climi rigidi, respiratori, maschere antigas, insomma tutta una congerie di oggetti atti a consentire la sopravvivenza degli esseri umani in centinaia di ambienti.

— Dobbiamo catalogare tutta questa roba? — chiese Kelly sbigottito.

— No, tu la scegli, a catalogarla ci penso io. Se vuoi imparare a vivere nello spazio questa è la scuola adatta. Tutto quello che serve al funzionamento della nave prima o poi passa di qui. Il quartiermastro è responsabile di tutto il matériel exclusive del carico. Se Nancy avesse bisogno di cavi per i suoi apparecchi di comunicazione, li trova qui. Se occorre una bussola nuova io devo ordinarla.

Michelle è addetta alla cambusa, ma devo provvedere io agli acquisti dei viveri nei porti. Il quartiermastro deve registrare tutto quello che entra ed esce dal magazzino, tutte le spese, la quantità di carburante consumato e via dicendo. Cosa che, a quanto pare, non era tenuta in nessun conto dal mio predecessore.

— Non credevo che si trattasse di un lavoro così complicato — disse Kelly.

— Tutti i lavori sono complicati. Con un po’ di fortuna avremo rimesso tutto in sesto quando saremo arrivati al limite del sistema solare e potremo passare alla Propulsione Whoopee.

— Quando sarà?

— Fra un paio di mesi.

— Davvero? Ci vuole così tanto per uscire da un sistema solare?

— Dipende dalla stella e da dove si è partiti. Comunque in media ci vogliono un paio di mesi.

Kelly era un po’ deluso. Aveva creduto che la vita di uno spaziale fosse un seguito di sbarchi sui più svariati pianeti, e non aveva pensato che dovesse trascorrere tanto tempo fra la partenza e l’arrivo. — Mi sembra un’eternità! — disse.

— Non preoccuparti, non ti annoierai. Ti terremo occupato.

Arrivò finalmente il giorno in cui raggiunsero i confini del sistema solare e poterono procedere mediante la propulsione interstellare. Kelly, come del resto anche gli altri, si sentiva un po’ debole a causa del digiuno e dei purganti, ma i compagni gli avevano assicurato che quello era il sistema migliore per rendere meno sgradevole l’esperienza. Quando l’altoparlante trasmise il segnale, Kelly si ritirò nella sua cabina, si legò al gabinetto e legò un sacchetto di plastica alla bocca. Infatti uno dei più comuni effetti della Propulsione Whoopee era che le funzioni corporali si comportavano in modo convulso e intestini, stomaco e vescica tendevano a scaricare con violenza il loro contenuto. Inoltre tutto il corpo si copriva di sudore, gli occhi lacrimavano e il naso colava. In un secondo tempo sopravvenivano le allucinazioni.

La sferzata subsonica percorse tutta la nave e Kelly s’irrigidì, ma inutilmente. Dopo che si furono calmate le conseguenze fisiche, notò con orrore che la cabina si era riempita di minuscole termiti metalliche intente a rosicchiarne le pareti. Atterrito, Kelly pensava che quando avessero finito di rosicchiare la paratia esterna sarebbe stato risucchiato nel vuoto, ma al momento critico sopravvenne la seconda sferzata che, come il canto del gallo, rispedì i fantasmi dello spazio da dove erano venuti.

Dopo essersi ripulito, Kelly si avviò con passo malfermo alla mensa dove trovò gli altri, pallidi e scossi come lui. Michelle insistette perché tutti mangiassero un po’ di minestrina per rimpiazzare i liquidi che avevano perso.

— È sempre così brutto? — chiese con un filo di voce Kelly a Ham.

— Qualche volta è anche peggio. Qui te l’aspettavi e così non è stata poi tanto brutta. Comunque adesso che sai pressappoco com’è, la prossima volta il passaggio non sarà tanto sconvolgente.

— Avresti dovuto vedere cosa succedeva su un trasporto truppe con trentamila uomini a bordo — disse Michelle. — Qualche volta eravamo costretti a superare il passaggio in caduta libera, con solo una rete di protezione.

In quella entrò la comandante, brusca ed efficiente secondo il suo solito, come se niente fosse successo. Correva voce che a qualche spaziale piacesse il passaggio dalla propulsione normale alla Whoopee e forse lei era una di quelli.

— Finn — disse, — sei stato bravo, complimenti al tuo computer. Fra due ore saremo in orbita di parcheggio intorno ad Alfa Tau. — E a Popov: — La pista di atterraggio costruita dalla Flotta durante la guerra è in disuso, ma hanno lasciato un radiofaro. Vi risulta che Strelnikov avesse trovato un posto adatto all’atterraggio vicino alla miniera?

— Diceva che era possibile, ma non è un pilota. E non osava chiederlo ai piloti militari per non destare sospetti.

— Be’, allora atterreremo sulla pista — disse la comandante. — Prima manderemo un mezzo atmosferico per esplorare il posto. Mi auguro di riuscire a trovare un buon ormeggio e che non si debba trasportare il cristallo per tutto il tragitto fino alla base. Bene — concluse, — mangiate tutti abbondantemente perché ci aspetta parecchio lavoro. Tor, procura dei respiratori. Laggiù l’ossigeno è piuttosto scarso. Michelle, dal punto di vista medico bisogna prendere qualche precauzione?

— Il manuale dell’Ammiragliato dice che laggiù non esistono germi patogeni dannosi all’uomo, a meno che non ce li abbiano lasciati i nostri soldati. La stella è del tipo a basse radiazioni, quindi non pericolose. Le forme vegetali più evolute sono le felci giganti e quelle animali sono simili ai nostri insetti, innocue per noi. La forza di gravità è inferiore di circa il dieci per cento a quella terrestre. Badate a non togliervi il respiratore per più di due minuti, e non ci saranno problemi.

Dopo mangiato, Kelly andò nella cupola osservatorio per dare un’occhiata ad Alpha Tau Pi Rho 4. Anche visto dallo spazio era un pianeta poco invitante, un po’ più piccolo della Terra, ma molto più antico. I mari si erano ridotti a laghi, le nuvole erano scarse e rarefatte, la vegetazione formava anemiche chiazze di un verde sbiadito sullo sfondo di un grigiore uniforme.

Poco dopo entrò nell’osservatorio anche Torwald che, osservando a sua volta il pianeta, disse: — È uno di quei posti dove gli spaziali della Flotta temevano di essere mandati di guarnigione. Be’, pazienza, non siamo venuti qui in vacanza, e se le cose andranno a buon fine, potremo poi permetterci qualsiasi pianeta. Kelly, verrai con me sul ricognitore per esplorare la formazione cristallifera, perciò, appena saremo atterrati, raggiungimi al portello di uscita. Stai attento perché, per facilitare carico e scarico, nella stiva non funziona la gravità artificiale quando si è a terra. Tienti aggrappato ai sostegni e muoviti con cautela.

— In quella suonò la sirena. — Ecco, ci siamo. Allacciati le cinghie.

Il pianeta non era più attraente da vicino che da lontano.

— Mi aspettavo qualcosa di più esotico — disse Kelly mentre, appena sbarcati, si avviava con Hame Torwald verso il veicolo atmosferico, detto AC: Athmosfere Craft.

La superficie ricordava il più desolato deserto terrestre: pietre, sabbia e rada vegetazione stentata. Il logorio atmosferico aveva ridotto le catene di montagne a modeste protuberanze. Nessuna cima superava i mille metri. Dall’ abbondanza di giacimenti carboniferi rilevata durante i sondaggi dell’Ammiragliato risultava che un tempo la vegetazione era stata molto rigogliosa sul pianeta, ma poco a poco il vapore acqueo e l’ossigeno si erano dissolti nello spazio e solo le forme di vita più resistenti erano riuscite a sopravvivere. E, come succede sempre in questi casi, i superstiti erano gli organismi più primitivi, quelli che richiedevano meno sostanze vitali al proprio ambiente. Alpha Tau era in via di totale decadimento.

— Non c’è molto da vedere, eh, Raffen? — osservò Kelly, voltandosi. Dietro di lui c’era Popov con abbigliamento e attrezzatura da geologo e un rotolo sotto il braccio.

— Kelly ha ragione — disse Torwald. Ma non importa, Adesso capisco perché siete costretti a offrire ricompense allettanti perché i minatori accettino di venire qui. Ho lavorato in posti migliori quando ero prigioniero di guerra.

— Salite! — ordinò Ham, e i tre montarono sul veicolo. Il secondo scambiò qualche parola con Popov mentre gli altri due toglievano la copertura di protezione e avvitavano intorno al posto del pilota un basso parabrezza circolare.

— Torwald — disse poi Ham, — prendi tu i comandi, dato che sei il pilota più esperto.

Kelly prese posto dietro a Torwald per potere seguire meglio la manovra, e quando tutti ebbero allacciate le cinture di sicurezza, Torwald fece salire lentamente l’AC per un centinaio di metri, per avere una visuale d’insieme del campo. Dei prefabbricati installati un tempo e smontati alla fine della guerra restavano solo le fondamenta rettangolari. L’unico edificio esistente era la cabina del radiofaro.

— Dove andiamo ? — chiese Torwald.

— Prendendo come punto di partenza il radiofaro — disse Popov, — bisogna seguire per novantasette chilometri una rotta di ottantacinque gradi.

Torwald inserì i dati nel computer di bordo, e poi accelerò. Avrebbe potuto inserire il comando automatico, ma preferì il controllo manuale per farsi la mano.

Sorvolarono velocemente il paesaggio desolato finché Popov non ordinò di fermarsi lasciando l’AC sospeso su un tratto di terreno che sembrava identico a quello che avevano sorvolato fino a quel momento. Quindi, consultando a tratti la mappa, ordinò di dirigersi a velocità ridotta verso un piccolo canyon. Torwald avvistò il punto che cercavano e si diresse verso di esso.

Dalla parete all’estremità del canyon sporgeva come una mensola una lastra seghettata di cristallo scintillante. Al di sotto erano sparsi frammenti che si erano staccati dalla lastra. Erano pochi perché ben poche cose in natura sono in grado di frantumare il cristallo diamantifero. Torwald fece scendere l’AC il più vicino possibile al cristallo.

Scesero dal veicolo e raggiunsero a piedi il giacimento. E in quel preciso momento, si resero conto di essere di fronte alla più grande fortuna su cui avessero mai posato gli occhi.

— Assolutamente unico mormorò Popov estatico.

— Perché unico? — ribatté Kelly. — Ho sentito dire che su parecchi mondi si trovano grossi giacimenti come questo.

— Unico perché non dovrebbe essere qui... non su un mondo così piccolo. Di solito, la pressione necessaria per produrre un simile prodigio è riscontrabile soltanto su pianeti con una massa molto superiore. Come geologo, avrei detto che una cosa simile è impossibile ma, come ti hanno già detto i nostri amici, “impossibile” è una parola che gli spaziali devono dimenticare.

— Quei frammenti da cosa possono essere stati staccati? — chiese Ham.

— Da un terremoto o dall’impatto con una meteorite — opinò Popov stringendosi nelle spalle. — Forse questa lastra è rimasta esposta così per milioni e milioni di anni e quindi non c’è da stupirsi se è stata colpita un paio di volte. L’erosione è stata molto lenta nelle ultime ere, via via che si andava rarefacendo l’atmosfera.

— Be’ — s’intromise Ham, — potremo divertirci a inventare supposizioni durante il viaggio di ritorno, ma adesso sarà meglio chiamare la comandante per dirle di portare qui la nave. C’è spazio sufficiente per l’atterraggio e il fondo del canyon è abbastanza solido secondo il sismometro dell’ AC.

Quando arrivò la Space Angel, Torwald e Kelly scaricarono le attrezzature minerarie che furono poi montate in fretta sul fianco della collina con l’aiuto di argani. Bert aveva fabbricato delle mascherine per guidare i tagli. Erano sottili sagome di plastica che servivano ad aiutare i minatori a tagliare il minerale nella forma voluta. La stiva della Space Angel era cilindrica, e Bert, non voleva che andasse sprecato neanche un centimetro cubo di spazio. Quando le attrezzature furono pronte, la comandante andò a ispezionarle. Soddisfatta dell’esame, chiese a Torwald: — Come intendi organizzare il lavoro?

— Per prima cosa asporteremo le impurità superficiali. Ham, Finn e io siamo abbastanza robusti per farlo. Manovreremo a mano i coltelli a raggi e gli altri sgombreranno il materiale tagliato. Poi monteremo i coltelli sui sostegni per la parte più delicata del lavoro. Sergei Popov ci indicherà dove si deve tagliare, e Achmed, Kelly e Lafayette porteranno il minerale a bordo, Bert dirigerà le operazioni e Nancy, se vuole, potrà sostituire ogni tanto uno di noi. — Non assegnò nessun compito a Michelle perché di norma l’ufficiale medico doveva sempre restare a disposizione e non doveva essere esposto a eventuali rischi.

— Avanti, allora.

Torwald prese un coltello e praticò un taglio. Una scaglia di cristallo impuro misto a roccia si staccò nettamente. Torwald provò poi tutti gli altri coltelli. Dopo averne constatato il perfetto funzionamento, iniziarono i lavori veri e propri sotto la supervisione di Popov, mentre Achmed, Kelly e Lafayette sgombravano i detriti. Anch’essi valevano una fortuna, come diamanti industriali, ma se ne sarebbe occupata un’altra squadra. Con ogni probabilità, dopo quella prima spedizione, la Minsk Mineral avrebbe inviato altre squadre per la costruzione di un’installazione permanente che consentisse lo sfruttamento intensivo della miniera.

Dopo avere liberato la lastra dalle impurità, Torwald piazzò i coltelli sui sostegni, mentre Popov, servendosi delle mascherine di Bert, ne tracciava le sagome sull’affioramento. Dovevano tagliare una serie di lastre rettangolari lunghe cinquanta centimetri e con uno spessore di dieci, fatta eccezione per quelle che si dovevano adattare alla curvatura della stiva. Ogni lastra pesava circa venti chili ed era molto faticoso caricarle sui carrelli automatici che le trasportavano alla nave. Achmed e Ham provarono a montare un argano per facilitare il carico, ma non fu possibile a causa della superficie instabile della collina.

Dopo dieci ore di lavoro ininterrotto erano tutti esausti ma stimolati dalla prospettiva della ricchezza.

— Intervallo — annunciò di punto in bianco Torwald.— Tutti a bordo all’infuori di voi due — e indicò Kelly e Lafayette, che non riuscirono a trattenere un brontolio di protesta. — Voi date una bella ripulita qui e assicuratevi che tutto sia a posto per la ripresa del lavoro domattina.

Quando gli altri se ne furono andati, Kelly e Lafayette cominciarono a scopare e a caricare i rifiuti sulle carriole.

— Sbrigati — disse Lafayette. — Ho fame.

— Non siamo sulla nave, adesso — ribatté Kelly.

— E con questo?

— Sono costretto ad abbozzare quando siamo a bordo, ma qui no. Sulla Terra ho dovuto subire le prepotenze di un mucchio di guardiani al dormitorio, perché avevano l’autorità di trattarmi a bacchetta. Ma fuori non si azzardavano a farlo. Sapevano che non era prudente. Quindi ti avverto.

— Oh, ma davvero? E cosa mai vorresti fare? — Piantò una mano sul petto di Kelly e gli diede una spinta, ma l’aveva appena toccato che si beccò un gancio alla mascella, e cadde scivolando lungo il pendio.

— Devi piantarla di fare il bullo con me, Lafayette.

— Mi hai deluso, ragazzino — ribatté l’altro asciugandosi col dorso della mano il rivolo di sangue che gli scorreva dalla bocca. — Pensavo che cominciassi a imparare, invece pare che debba insegnarti a stare al tuo posto. — Si alzò, si diede una spolverata, e partì all’attacco. Kelly scartò di lato e gli fece lo sgambetto. Poi gli saltò sulla schiena cercando di passargli un braccio intorno alla gola. Mancò la presa mentre Lafayette, rigirandosi di scatto, lo afferrava per la nuca sollevandolo e facendolo rotolare. Colto di sorpresa, Kelly rimase per qualche istante tramortito da due pugni che gli fecero vedere le stelle, ma poi si riprese, premette con la mano sotto al mento dell’avversario costringendolo a piegare la testa all’indietro e cacciandogli in gola le dita della mano libera. Lafayette cadde ansimando, e Kelly ne approfittò per cacciargli una manata di sabbia in bocca. L’altro gli tirò un paio di calci nello stomaco, e Kelly fece un volo andando a sbattere la testa contro una sporgenza rocciosa e poi scivolò finché non riuscì a fermarsi e a mettersi a sedere. Quando riprese fiato vide che anche Lafayette stava alzandosi e sputava sabbia e sangue.

— Ne hai abbastanza, Kelly?

— Come? tu sei più malconcio di me!

— Forse — ammise Lafayette abbozzando un sorriso che gli procurò una fitta. — Facciamo pace?

— Non basta. Devi smetterla di fare il bullo con me, sempre, altrimenti finiremo ai ferri corti a ogni sbarco. Ti ho avvertito.

— E va bene — accettò Lafayette dopo averci pensato un po’ su. — D’accordo, come vuoi tu. Ma adesso finiamo di lavorare. Quando entrarono alla mensa, gli altri li guardarono stupiti. — Cosa vi è successo? — chiese la comandante.

— Siamo caduti dalle scale — spiegò Lafayette. Nessuno fece commenti.

Dopo tre settimane di faticoso lavoro, la stiva era ormai quasi colma. Lavoravano tutti senza sosta e quelli che non erano già scuri di natura, lo diventarono grazie ai raggi ultravioletti di Alpha Tau che penetravano liberamente attraverso l’atmosfera rarefatta. Gli ultimi giorni lavoravano ormai a ridosso del costone, avendo asportato quasi tutta la lastra sporgente. Durante l’ultimo turno, Kelly e Torwald stavano tagliando il cristallo quando arrivò Achmed con un vagoncino.

— Bert dice che c’è ancora posto per quindici pezzi — disse.

— Magnifico! — commentò Torwald. — Così potremo partire oggi stesso nel pomeriggio.

— Ehi, cos’è questo? — chiese stupito Kelly sollevando il pezzo che Torwald aveva appena tagliato. Al di sotto c’era la sommità di un oggetto sferico, di metallo.

Torwald lo esaminò, e senza perdere la calma ordinò al ragazzo: — Corri a bordo e di’ a tutti che vengano qui immediatamente. C’è qualcosa di strano. Dopo un paio d’ore si esaurirono tutti i tentativi escogitati per capire cosa fosse quell’oggetto. Ma nessuno aveva dato risultati apprezzabili.

— Be’, comandante, pare di metallo ma non si comporta come tale. Nessun reagente lo scalfisce e per di più il laser non lo taglia.

— Ma che razza di sostanza può essere se si lascia attraversare dal laser senza danni, mentre poi il laser taglia il cristallo che c’è dietro? — rimuginò la comandante osservando lo strato che aveva sormontato l’oggetto e che mostrava una depressione. Finn l’aveva misurata ed era risultato che si trattava di una perfetta sezione di sfera.

— Non è detto che il raggio l’abbia attraversato — ipotizzò Nancy. — Può darsi invece che l’abbia raggirato.

— Be’, se l’ha fatto una volta lo farà ancora — disse la comandante. — Tor, taglia il resto del cristallo così potremo vederlo meglio, ma bada di non sprecare più diamante del necessario.

Finn gli diede le misure, e Torwald le inserì nei comandi del coltello. Praticò tre tagli verticali che secondo i calcoli dovevano corrispondere alla lunghezza del diametro, posto che si trattasse veramente di una sfera. Poi praticò un taglio orizzontale della stessa profondità e Ham sollevò la lastra. Adesso l’oggetto sembrava un globo di mercurio, della grandezza di un pallone da football.

Dopo avere esaminato i dati forniti da due strumenti, la comandante osservò:

— Non ha carica e non emette radiazioni. Tor, vedi un po’ se riesci a estrarla.

Torwald esitò, ma poi si decise a provare. Non ebbe alcuna difficoltà, perché non doveva pesare più di cinque chili. La superficie argentea era percorsa da mobili sfumature di svariati colori. Era indubbiamente splendida, ma le emozioni che suscitò avevano ben poco a che fare con l’estetica.

La comandante prese la sfera dalle mani di Torwald e la esaminò con sospetto.

— La porto a bordo. Finite di riempire la stiva. La studieremo a fondo durante il viaggio.

Se ne andò e gli altri si rimisero al lavoro. Improvvisamente, tutti erano smaniosi di ripartire. Fin quasi al termine l’operazione era proseguita senza intralci, poi era saltato fuori quell’indecifrabile oggetto. Gli spaziali imparavano presto a diffidare delle anomalie inattese.

Tutti i membri dell’equipaggio sedevano intorno al tavolo della mensa su cui troneggiava la misteriosa sfera. La comandante si scervellava alla ricerca di una spiegazione logica che desse un senso alla struttura e all’esistenza stessa dell’oggetto misterioso.

— Sergei, quanti anni credete che possa avere quello strato di cristallo?

— Be’, la primaria del pianeta è una stella stabile gialla di tipo G, molto più antica del nostro Sole, e il diamante dev’essersi formato ai primordi della vita del pianeta... così, a occhio e croce avrà almeno un miliardo di anni. O forse anche due o tre.

— Eppure — osservò Bert dando voce a quello che tutti pensavano, — questo oggetto ha più l’apparenza di un manufatto che non di una formazione naturale. È possibile, Nancy?

— Per quanto ne so io, no. Se Sergei non sbaglia riguardo all’età risale a un’epoca enormemente anteriore a qualsiasi manufatto che sia mai stato trovato.

— Ma com’è possibile che si trovasse incastrato all’interno di un cristallo diamantifero? — chiese la comandante. — A quanto dice Sergei non avrebbe dovuto esserci nemmeno il diamante. Tu cosa ne pensi, Ham?

— Be’, Gertie, ne abbiamo viste di cose strane in tanti anni di volo spaziale, ma questa certamente è la più strana di tutte. Un enigma nell’enigma. Sono convinto che non riusciremo a scioglierlo finché non saremo tornati sulla Terra. Qui le nostre facoltà di ricerca sono molto limitate e abbiamo già tentato tutto il possibile. Dovremo farlo esaminare dagli scienziati del laboratorio Fenomeni Extraterrestri.

Quella sera Kelly era andato nella cabina di Bert, ufficialmente per ricevere lezioni di legge spaziale, ma in realtà perché la cabina dell’anziano tecnico era un vero museo dove aveva raccolto i modellini di tutte le navi su cui aveva prestato servizio nel corso della sua lunga carriera e i souvenirs di tutti i pianeti che aveva visitato.

Bert si stava riposando sdraiato sul ponte, con l’orsetto Teddy seduto sullo stomaco che era intento a smontare un modello di nave di cui poi allineava ordinatamente i pezzi sul petto dello spaziale. Bert non sgridava mai Teddy qualunque marachella commettesse, e neppure gli altri lo facevano. Kelly aveva imparato che l’orsetto narcisiano era l’unica creatura conosciuta dello spazio che si servisse dell’amorevolezza come mezzo di auto-difesa.

— Non so come la pensi tu, Kelly, ma secondo me abbiamo fatto male a portare a bordo quella sfera. E una violazione delle leggi naturali. Mi dà un senso di disagio come quando a bordo qualcuno nomina un certo quadrupede che grugnisce e da cui si ricava il prosciutto. Non che sia superstizioso, ma insomma non lo si deve fare.

— Bert, credi che si tratti di un manufatto alieno?

— Perché fabbricare una cosa e poi seppellirla nel diamante? A me sembra una volgare ostentazione. È vero che così dura infinitamente di più, ma chi mai, in tutto l’Universo conosciuto, è così assurdamente ambizioso da volere perpetuare una propria creazione per miliardi di anni?

— E proprio quello che stavo per chiederti — disse Torwald dalla soglia. Entrò, seguito da Achmed, e prese in braccio Teddy che si affrettò a sbottonargli il colletto della giacca. — Perché non stai studiando, Kelly?

— Parlavamo di quella sfera che abbiamo trovato — spiegò Kelly, subito sulla difensiva. — Mi pareva che fosse più importante.

— Infatti, ma non è un buon motivo perché tu non studi. Sentiamo cosa ne pensi tu della sfera, Bert.

— Be’, secondo me, Torwald, è una di queste tre cose: un manufatto, un prodotto naturale o un’ entità.

— Un’entità? — ripeté Achmed sorpreso. — Spiegati. Come è possibile che quell’oggetto sia una creatura senziente?

— È possibilissimo, così com’è possibile che sia un manufatto o un prodotto naturale. Non dimenticare che la nostra conoscenza dell’ordine naturale delle cose è molto limitata. Ricordati ancora una volta che nell’Universo non esiste la parola impossibile, e che noi non dobbiamo mai giudicare secondo il nostro metro.

— Hai ragione. Però resta il fatto che quel coso è rimasto sepolto nella vena diamantifera per milioni, forse miliardi di anni.

— E con questo? Le stelle si formano e formano i pianeti da un tempo incommensurabile. I pianeti producono vita intelligente da tempi incalcolabili. C’è quindi da meravigliarsi se qualcuna di queste intelligenze ha creato un oggetto indistruttibile? O che una forma di vita possa essere immortale o quasi? Sai bene quanto abbiamo cercato di scoprire questo segreto. Io sono convinto che il motivo principale per cui l’uomo si è spinto nello spazio è la ricerca del segreto dell’immortalità.

— In verità, io credevo che lo facessimo per guadagnare soldi.

— Tu sei un uomo di vedute limitate, Torwald. Cos’è il denaro se non un misero sostituto dell’ immortalità? — Bert fece l’occhiolino a Kelly.

— E tu sei un vecchio sputasentenze! — rise Torwald. — E il tuo parere qual è, Achmed?

— Non voglio sbilanciarmi prima di disporre di dati più precisi. Però confesso che non mi sono mai sentito così a disagio da quando il cugino Aladino lasciò uscire il Genio dalla famosa lampada.

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