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— Qual è la resistenza dello spessore dell’armatura? — chiese Torwald a Lafayette.

— Uhm... Due tonnellate e un quarto per centimetro quadrato.

Poi Torwald passò a interrogare Nancy. — Quali sono i sintomi dell’inedia?

— Debolezza, spossatezza, diarrea, calo della temperatura corporea — rispose Nancy prontamente.

— Qual è la velocità massima della nostra nave a pieno carico nell’atmosfera? — chiese poi a Kelly.

— Quattrocento chilometri all’ ora al livello del mare — rispose senza esitare Kelly.

— Solo sulla Terra, scemo! — esclamò Torwald esasperato. — Quante volte ti devo dire che non devi attenerti alla lettera ai manuali? Sai bene che sono stati scritti in relazione a particolari condizioni. Con una diversa pressione atmosferica e una diversa attrazione gravitazionale bisogna calcolare il peso, la potenza e la resistenza del vento, e poi trarre le conclusioni.

Alzò le mani al cielo chiedendo cosa mai avesse fatto per meritarsi uno scolaro così inetto. Kelly arrossì, e non tanto perché faceva tanti errori quanto perché Torwald riservava solo a lui quei commenti sarcastici. Nancy non sbagliava quasi mai, e quando Lafayette sbagliava, Torwald si limitava a correggerlo, e questo atteggiamento, secondo Kelly, era segno di uno sfacciato favoritismo.

In quel periodo il corso di sopravvivenza li teneva occupati per la maggior parte del tempo. Secondo i cronometri di bordo si trovavano in iperspazio da almeno nove mesi. Ormai avevano esaurito tutto il fattibile, la nave era in ordine perfetto, e l’equipaggio era praticamente disoccupato. Michelle pronosticava gravi incidenti entro un mese se non interveniva qualcosa a interrompere la monotonia del viaggio.

— Tutti nell’osservatorio! — tuonò dall’altoparlante la voce eccitata della comandante.

L’intero equipaggio piantò in asso quello che stava facendo e corse verso la sala di navigazione, accalcandosi sulla soglia.

— Mi sembrate un branco di passeggeri in crociera, alle prese con la prima esercitazione di salvataggio — disse ironicamente la comandante.

— Cosa succede? — chiese Torwald senza rilevare il commento.

— C’è qualcosa sul rilevatore di vicinanza. La sonda rileva un oggetto molto grande, ma artificiale e di forma irregolare. Ci stiamo avvicinando. Fra pochi minuti entreremo in contatto visivo. Se è una nave, vuol dire che da queste parti ne costruiscono di enormi. La cosa è lunga un centinaio di chilometri.

Qualche minuto dopo comparve davanti alla nave un puntolino appena visibile nel bagliore delle stelle. Le sue dimensioni aumentarono via via che la Space Angel rallentava, finché non torreggiò grande come un asteroide di media ampiezza. Non si trattava però di una nave, ma di due: una era un lungo ovale piatto coperto di guglie e di torri contorte, l’altra un fuso tozzo, come se due coni fossero stati congiunti alla base. Le due navi dovevano essersi scontrate nel corso di un incidente o di qualche antica battaglia, e quella a fuso si era talmente incastrata nell’altra che una punta sporgeva di almeno un chilometro dal lato opposto di quella ovale. Spiccavano scure e malevole sullo sfondo sfolgorante del cielo riflettendo la luce delle stelle.

— Vedete qualche luce? — chiese Torwald.

— Niente che i nostri strumenti possano registrare — rispose il comandante.

— Il sistema di scandagli ricerca di organismi vi tali dà risposte confuse, ma in questo settore chi può mai dire? — Esaminò i due enormi vascelli. — Signore, tutte le navi che ho visto in vita mia messe insieme non riuscirebbero a formarne due di quelle dimensioni.

Negli strumenti di quelle navi possono essere archiviate informazioni utili. Salirete a bordo portandomi con voi. La portata dei miei poteri è ormai limitata.

— Vista dall’esterno si direbbe che quella a fuso abbia riportato meno danni — osservò la comandante. — Cercheremo prima di trasbordare su quella. Indossate le tute spaziali. Tutti, meno Bert e Michelle. Noi resteremo in plancia mentre voi esplorerete l’interno di quelle navi. Appena due di voi saranno stanchi, li sostituiremo. Ham, ti affido il comando. Faresti meglio a dividere gli uomini in due squadre per risparmiare tempo.

— D’accordo, Gertie. Tor, prendi qualche attrezzo in magazzino: sonde, armi a raggi corti e via dicendo. Probabilmente non c’è nessuno a bordo, ma non si sa mai. Distribuirò io le armi.

Dopo pochi minuti erano tutti nel compartimento stagno, goffi e pesanti nelle tute corazzate. I Viver invece portavano solo le leggere tute spaziali che impedivano un eccesso di perdita di liquidi, e il casco. Kelly provò per la prima volta la sgradevole sensazione di mancanza di peso, quando si aprì il portello esterno del compartimento stagno. Uno per uno, coi Viver in testa, si avviarono verso quello che sarebbe stato il primo contatto dell’uomo con una nave spaziale aliena.

Da vicino non ci si poteva rendere conto di quanto fosse enorme. La comandante aveva accostato la Space Angel a quello che sembrava lo sbocco di un compartimento stagno, per cui si vedeva solo il portello e parte dello scafo interno. La curvatura dello scafo stesso impediva di vedere il resto. La copertura esterna era di metallo color bronzo. La nave aveva una massa sufficiente per sviluppare una leggera forza di gravità, per cui attirò gli spaziali che vi si posarono in piedi. Sergei si inginocchiò per saggiare il metallo con un grosso tubo lungo un metro mentre gli altri si avviavano verso il portello, un cerchio di metallo di dieci metri di diametro, apparentemente privo di cardini e nessuna indicazione che suggerisse come si potesse aprire.

— Non c’è neanche il campanello! — esclamò Michelle.

— Bene — disse Ham — cominciate a guadagnarvi la paga, gente. Fuori qualche brillante proposta!

— Io ho portato un po’ d’esplosivo — disse K’Stin. — Ho preparato io stesso la carica. Farò un buco abbastanza grande da lasciarci entrare.

— Verifichiamo le altre eventuali possibilità prima di ricorrere agli esplosivi. Sergei, cos’avete scoperto?

— Lo scafo sembra fatto di una lega metallica, Ham, ma è una lega composta di elementi che non conosciamo e che non reagisce a nessuno dei miei acidi, anche se contiene un’elevata percentuale di rame.

Mettetemi sul portello.

Nancy ubbidì e posò la sfera vicino alla fessura che divideva il portello dallo scafo. La sfera cominciò a ruotare lentamente lungo la circonferenza del portello, e quando si fermò ci fu una leggera vibrazione. Torwald fece segno agli altri d’inginocchiarsi e di accostare il casco allo scafo. Così fecero e poterono sentire una serie di lievi scatti, cigolii e ronzii all’interno. La sfera si scostò ruotando dal portello mentre questo incominciava ad aprirsi.

Molto lentamente, un centimetro per volta, affondò all’interno dello scafo, e quando si fu ritirato di circa un metro si spostò gradualmente di lato fino a lasciar libera l’apertura.

Si poteva vedere ben poco alla luce delle torce dei caschi, solo un locale grande pressappoco come la stiva della Space Angel con sei enormi porte. Sulle paratie c’erano tubi e cavi e cassette di metallo che forse contenevano strumenti o comandi.

— Non sembra molto aliena — disse Ham.

— A un livello così funzionale — disse la voce di Bert dalla nave — è logico che non si riscontrino grandi differenze fra una civiltà e un’altra. Ma scommetto che l’interno sarà molto diverso.

— Chi si offre volontario per entrare per primo? — chiese Ham.

Kelly fece un passo avanti, ma Torwald si affrettò a trattenerlo.

— Prima lezione, ragazzo — disse Finn — sfuggì la parola “volontario” come se fosse la peste arturiana. Ham, come comandante l’onore tocca a te. Pensa alla gloria, sarai il primo terrestre a salire a bordo di una nave spaziale aliena.

— Ehi, un momento! Uno di noi deve restare fuori per stare in osservazione e decidere il da farsi nel caso che il primo resti colpito da qualche microbo alieno...

— Ham! — latrò la voce della comandante. — Salta giù subito!

— Sì, sì, Gertie — e Ham scomparve nel pozzo.

— Vedi niente?

— No. Le stesse cose che vedevo da fuori, anche se da un angolo diverso. Venite anche voi.

Gli altri lo seguirono, non senza trepidazione.

L’interno del locale era fatto dello stesso metallo dello scafo. Sulle paratie c’erano delle piastre rotonde trasparenti che forse erano lampade. Ham si avvicinò a una delle cassette metalliche e sollevò il coperchio. Dentro c’ erano diverse leve senza targhe o indicazioni. C’era una cassetta vicino a ogni portello.

— E adesso, Sfera? — chiese Ham.

Sto indagando. Quando un portello si apre entrate e seguite il percorso più facile. Se vorrò cambiare direzione vi avvertirò.

Intanto il portello esterno si richiuse, lentamente come si era aperto, e nel compartimento cominciò ad affluire aria.

— Gertie, mi senti? Ci vedi?

— Sì, Ham. Le vostre telecamere funzionano tutte perfettamente. Il metallo, qualunque sia la sua composizione, non è denso. Andate avanti e auguriamoci che quel pallone vi riporti qui tutti sani e salvi.

Pochi attimi dopo un portello si aprì su un corridoio lungo almeno un chilometro. Lo si poteva vedere per tutta la sua lunghezza perché per quanto sembrasse incredibile l’illuminazione funzionava ancora. Le piastre trasparenti inserite nelle paratie emanavano una fievole luce azzurrina.

— Hai fatto l’analisi dell’atmosfera, Michelle?

— È composta in massima parte di argon, Ham. E la luce sarebbe molto più viva se potessimo vedere gli infrarossi.

— Argon! — esclamò Ham sconcertato. — Credi che chi ha costruito questa nave potesse, metabolizzare un gas così stabile?

— Forse veniva immesso come conservarne — disse Bert — e questo potrebbe spiegare perché l’interno della nave è così ben conservato. Un gas inerte come l’argon non reagisce a niente. Doveva servire per mantenere in perfetta efficienza la nave durante i lunghi viaggi.

— Be’, può darsi — disse Ham. — Ma prima di tirare conclusioni aspettiamo di saperne di più.

Entrò in funzione un leggero campo gravitazionale cosicché si cominciò a capire meglio quale fosse il “su” e quale il “giù”. Il ponte aveva un’ampiezza di circa venti metri, e la superficie rugosa e morbida. Le pareti si curvavano verso l’interno a formare un perfetto arco semicircolare che conferiva al corridoio l’aspetto di un tunnel. Torwald si avvicinò per esaminare una delle piastre luminose, ma non riuscì a trovare l’elemento interno che forniva la luce, che pareva prodotta dalle lastre stesse.

— Bene, andiamo — disse Ham avviandosi lungo il corridoio. Gli altri lo seguirono con quell’andatura a ginocchia rigide e lunghe scivolate che costituiva il modo migliore per procedere in un ambiente a bassa attrazione gravitazionale. Percorsero più di dieci chilometri di corridoio senza trovare aperture nelle pareti o nel ponte.

— In che direzione ci muoviamo rispetto al resto della nave? — chiese Sergei.

— A quanto posso giudicare — rispose Finn — ci dirigiamo in linea retta giù al centro del fuso di cui abbiamo percorso circa un terzo della lunghezza. Approssimativamente corretto.

— Ehi! — gridò Kelly che precedeva gli altri di qualche metro.

— Vedo qualcosa laggiù. Mi sembra un portello.

Si affrettarono a raggiungerlo per vedere cosa avesse scoperto. A un centinaio di metri scorsero, sul ponte, un portello circolare uguale a quello dell’ingresso. Nella parte inferiore della paratia, vicino al portello stesso, c’era una. piastra rotonda che sporgeva per un paio di centimetri.

— Chiunque fossero, sapevano cosa sono i cerchi e le sezioni dei cerchi — osservò Nancy.

— Quel disco sulla paratia sembra una piastra a pressione — disse Ham. — Tor, prova a spingerla e vediamo cosa succede.

Tor la spinse col piede e la piastra cedette, per poi risalire quando Tor tolse il piede. Il portello si aprì lentamente di lato mettendo in luce un pozzo profondo una decina di metri. A cinque metri dal pozzo c’era un ponte con la superficie rugosa come quella del corridoio. Una rampa a spirale ampia un metro correva intorno ai bordi del pozzo cilindrico che continuava oltre il termine della rampa fino al ponte più in basso.

— Se la rampa era il loro mezzo di accesso al ponte sottostante — disse Nancy — non dovevano essere alti più un metro. Guardate come sono ravvicinati i livelli della rampa.

— E forse non erano neanche svelti — aggiunse Achmed. — Tutto quello che abbiamo visto muoversi, si muove lentamente.

— Scendiamo — concluse Ham sporgendosi sul bordo del pozzo. Gli altri lo seguirono; dopo sei secondi erano sul ponte inferiore, e si guardarono intorno con stupore.

— Credo che li abbiamo trovati — disse Michelle.

Si trovavano in una stretta corsia del locale più grande che avessero mai visto. Pareva che si stendesse all’infinito come il corridoio, ma non era confinato da pareti. Lungo i lati correvano file di cilindri fatti di una materia che sembrava vetro e che salivano fin quasi al soffitto. A intervalli regolari anguste corsie si staccavano da quella centrale snodandosi a perdita d’occhio fra le file dei cilindri.

I cilindri stessi, lunghi circa mezzo metro e con il diametro di una settantina di centimetri, erano posati sul fianco e non sulla base, una delle quali era liscia e piatta mentre dall’altra, leggermente curva, sporgevano cavi e tubi. All’interno galleggiavano diverse creature immerse in un liquido trasparente. Erano creature piatte e rotonde, con la superficie arrotondata coperta da minuscole protuberanze fungoidi che forse erano piedi. Intorno alla circonferenza del corpo c’erano dozzine di appendici di dimensioni e lunghezze diverse, alcune cortissime e sottili come un capello, altre grosse come un pollice e lunghe fino a sessanta centimetri. I tentacoli più grossi erano appiattiti nella parte inferiore e dotati di una specie di cresta, che serviva forse per afferrare, su quella superiore. L’epidermide era liscia, color pesca. I piccoli noduli che sporgevano fra i tentacoli erano forse occhi o organi di altro tipo.

— Nessuno di voi vede una bocca?

— C’è una piccola fessura fra due piccoli tentacoli, in questa — disse Nancy.

— Potrebbe essere una bocca.

— Uno di voi vorrebbe essere tanto gentile da fermarsi in modo da farmi dare un’occhiata a uno di questi così? — disse la voce della comandante. — Nancy, avvicinati, e spostati lentamente in modo da farmela vedere tutta. Ham, quei cilindri stanno sospesi da soli?

— Credo.

— Bene, portatene un paio quando tornate. Non dovrebbero essere molto pesanti con una gravità così bassa. Credete che siano state quelle creature a costruire la nave?

— Le dimensioni si accordano alla rampa a spirale — rispose Nancy.

— Sembrano ancora più molli di voi — osservò K’Stin. — Però se hanno costruito questa nave dovevano essere una razza grande e potente, da non sottovalutare.

— Poteva essere il loro bestiame — opinò Torwald. — O forse sono solo embrioni.

— È inutile cercare di indovinare — tagliò corto Ham. — Kelly, tu e Lafayette prendetene uno. Mi raccomando, fate attenzione e badate di prendere con voi anche la cassetta dove finiscono i cavi.

I due ragazzi ubbidirono e portarono il cilindro ai piedi della rampa. Poi lo legarono con corde e lo sollevarono fino al ponte superiore senza fatica, dato il campo gravitazionale molto ridotto. Poi si affrettarono a portarlo a bordo della Space Angel dove lo consegnarono alla comandante; poco dopo, Finn e Achmed ne portarono un altro.

Continuarono a esplorare la nave aliena per qualche giorno registrando tutto quello che vedevano e prendendo qualche souvenir qua e là; oggetti piccoli date le ridotte dimensioni dei loro alloggi sulla Space Angel. Sfera non trovò niente di interessante nei banchi di memorie della nave, ma li informò che i suoi costruttori erano partiti alla ricerca di un nuovo pianeta dove sistemarsi perché il loro sole stava per esplodere. Il relitto faceva parte di una flotta di migliaia di navi identiche.

La seconda nave era diversa. — Cos’è questa cosa, comandante, un palazzo volante? — chiese Torwald riprendendo con la telecamera le torri e le guglie che lo circondavano.

— Sta a voi scoprirlo, Tor.

Si trovavano al centro di quella che pareva una piazza, circondata da torri, cupole, tetraedri e strutture di ogni forma e dimensione della geometria solida. Un campo gravitazionale funzionava ancora in piena efficienza dando così agli esploratori la sensazione di trovarsi in qualche sconosciuto luogo della Terra. Erano al centro della nave piatta, dove un ammasso di strutture torreggiava per diversi chilometri. Oltre l’ammasso centrale era visibile lo scafo della nave a fuso che si era incastrata vicino alla poppa.

— Il complesso centrale mi pare il punto migliore da cui iniziare l’esplorazione disse la comandante. — Procedete.

Iniziarono il lungo tragitto verso il centro della nave, lasciando l’impronta della suola degli stivali nella polvere che la forza di gravità della nave aveva attratto nel corso di migliaia d’anni. Oltrepassarono quelli che si sarebbero detti parchi e giardini, ormai ridotti in polvere anch’essi.

Di tanto in tanto s’imbattevano in sculture, ma si trattava per lo più di opere astratte che non suggerivano alcuna idea sull’aspetto degli antichi abitanti della nave. A intervalli regolari incontravano grandi strutture scheletriche che parevano basamenti, ma non reggevano niente. Fra le varie ipotesi sull’uso di quelle strutture prevalse quella di Torwald: — Secondo me sono supporti per scialuppe di salvataggio. Passeggeri ed equipaggio devono avere avuto il tempo di mettersi in salvo prima che l’altra nave la speronasse. Ecco perché sono tutte vuote.

— Credo che tu abbia ragione — disse la comandante — ma se le cose stanno così devono aver lasciato a bordo molta roba. Su una scialuppa si può portare solo lo stretto necessario... ma lì cos’è rimasto?

Poco oltre c’era un’altra statua, su un piedestallo. Questa volta la scultura non era astratta, ma la realistica rappresentazione di un essere che all’apparenza poteva sembrare umano, anche se aveva braccia e gambe molto lunghe e il corpo eccessivamente sottile. Le mani avevano sei dita, la testa era quasi umana, solo che gli occhi erano rettangolari, il naso era costituito da due sottili fessure verticali e la bocca, larga e priva di labbra, era atteggiata a un sorriso. Sul piedestallo c’era un’iscrizione.

— Ecco com’erano — disse Torwald. — Molto meglio di quelle ostriche giganti dell’altra nave.

Il primo edificio del gruppo centrale si trovava poco oltre quella statua. Il portone era chiuso da una serratura a scatto che fu facile aprire e dava in un compartimento stagno. Superato anche il portello interno si trovarono in un ambiente dotato di atmosfera.

— Analisi — chiese la comandante.

— Respirabile — rispose Michelle. — Pressione leggermente inferiore a quella cui siamo abituati, ma più che tollerabile. Tutto regolare, niente di nocivo.

— Bene, toglietevi i caschi — ordinò la comandante — ma siate pronti a rimetterveli al primo sintomo di malessere.

L’aria era fresca e inodore. Stavano cominciando a congratularsi per tanta fortuna, quando una porta davanti a loro si aprì silenziosamente scivolando di lato, facendoli ammutolire per lo stupore.

Mentre nell’altra nave tutto era funzionale e dotato solo del necessario, in questa era l’opposto. Il primo locale era interamente tappezzato di una stoffa ormai polverosa, ricamata a stelle e fiori stilizzati. Vasi e caraffe, cuscini e strani mobili alti e sottili gareggiavano in eleganza con le sculture e i ninnoli. Era tutto così raffinato ed elegante che riusciva difficile distinguere quali oggetti erano funzionali e quali decorativi. C’era un po’ di disordine e qualche oggetto era rotto, ma non trovarono la rovina che si erano aspettati.

— Dovevano disporre di qualcosa di più potente di un campo gravitazionale — disse la comandante. — L’impatto dell’altra nave avrebbe dovuto provocare una distruzione totale.

La stanza successiva aveva le pareti coperte di affreschi che rappresentavano i sottili umanoidi occupati in svariate attività, per lo più incomprensibili. Ovunque c’erano sculture di metallo, di cristallo, di pietra, alcune mobili, altre no, alcune che proiettavano strane luci colorate, e altre che cantavano fra loro melodie su una scala musicale sconosciuta. In un’altra stanza c’erano grandi bacili e ciotole a forma di conchiglie che cominciarono a riempirsi non appena loro entrarono. Luci multicolori danzavano nel liquido che rimandava riflessi scintillanti dalle sculture appese sopra. Sergei cercò di analizzare uno dei liquidi con i suoi strumenti.

— In massima parte è composto di acqua — riferì, — ma vi sono mescolati acidi, zuccheri e carboidrati. A occhio e croce direi che si tratta di vino.

— Ma vi rendete conto? —esclamò Torwald. — Questo è il sogno di uno spaziale: il paradiso dell’edonista alla deriva nel cosmo!

— Chissà se quegli alieni erano abituati a vivere in mezzo a tutte queste meraviglie o se questa era una nave da crociera di lusso? — si chiese Finn.

Si voltarono tutti di scatto quando alle loro spalle si aprirono alcune porticine ed entrarono nel locale alcune macchine che si muovevano su ruote. Le macchine li ignorarono e si diressero verso le fontane. Alcune estrassero automaticamente dei vassoi con bicchieri di cristallo che cominciarono a riempire con un sifone.

— Erano dei pigri! — esclamò Michelle. — Non si riempivano neanche il bicchiere da soli.

— Però erano tecnici abilissimi — osservò la comandante. — Andiamo a cercare la sala comando. Là dovrebbero esserci le registrazioni e i banchi delle memorie.

Si avviò seguita dagli altri orizzontandosi col suo indicatore direzionale. Attraversarono così altre tre stanze, per poi fermarsi di colpo. La quarta era una sala da banchetti con file di tavoli bassi circondati da cuscini. I tavoli erano apparecchiati e piccoli robot si davano da fare per servire piatti e versare bibite. Tutti annusarono.

— L’odore è buono — disse Kelly, tentato. Da molto tempo, infatti, l’equipaggio della Space Angel seguiva una dieta a base di surgelati e disidratati.

— Fermo! — intimò la comandante. — Nessuno tocchi niente finché Michelle non avrà analizzato quei cibi. Il fatto che sembrino appetitosi non significa necessariamente che non siano nocivi.

— A noi non faranno certo male — osservò caustico K’Stin.

— Voi due digerireste anche una statua. Avanti, assaggiate.

I Viver cominciarono a divorare il contenuto di vari piatti. Per costituzione potevano resistere a lunghi digiuni, ma all’occorrenza erano in grado di ingurgitare quantità incredibili di cibo, che poi immagazzinavano nelle cavità addominali.

— Capisco il metallo e la plastica — osservò intanto Finn — ma come possono avere resistito così a lungo i generi commestibili? Dall’accumulo di polvere cosmica direi che questa nave è abbandonata da millenni.

— Probabilmente si tratta di cibi sintetizzati automaticamente per mezzo di serbatoi chimici — spiegò Nancy. — Noi cerchiamo da tempo di risolvere questo problema. Disponendo di riserve molecolari, si inserisce nel computer la formula adatta ed ecco che ne esce un’aragosta.

— Se riuscissimo a trovare queste formule e a portarle sulla Terra — disse la comandante — varrebbero di più dei cristalli di diamanti.

— I cibi sono commestibili, all’infuori della gelatina verde che per noi sarebbe un potente lassativo — disse Michelle dopo avere analizzato il contenuto di alcuni piatti.

— Mentre aspettiamo che analizzi gli altri potremmo continuare il nostro giro — disse la comandante. — Torwald, tu e Kelly guardate a sinistra. Finn e Nancy daranno un’occhiata verso destra. Achmed, tu e Ben salite quella scala di fronte a voi e andate a vedere cosa c’è di sopra. Prendete tutto quello che vi sembra più strano e di piccole dimensioni. Sergei, aiutate Michelle a fare le analisi.

La stanza che Torwald e Kelly esplorarono pareva vuota, a parte alcuni cuscini sparsi sul pavimento. Le pareti erano nude e mancavano le onnipresenti sculture.

— Cosa credi che... — La domanda di Torwald venne bruscamente troncata quando una figura apparve senza preavviso davanti a loro. L’alieno era alto poco più di due metri e indossava un abito aderente di colore azzurro argenteo. La pelle era giallo chiaro e gli occhi verdi e trasparenti senza sclerotica, iride e pupilla, Fece un gesto simile a un inchino, e mosse la bocca come se stesse parlando, mentre non ne uscì alcun suono. Kelly e Torwald fecero per estrarre le pistole, ma vi rinunciarono vedendo che l’alieno non compiva alcun gesto minaccioso.

— Non è possibile, Tor! Nave, arredi, forse anche il cibo, passi... ma non un alieno vivo!

— No, non credo che sia vivo — commentò Torwald senza scomporsi. Allungò la mano puntando le dita sul petto dell’alieno e le affondò senza incontrare resistenza. La figura continuò la sua pantomima come se niente fosse.

— É una specie di proiezione olografica. Dobbiamo averla attivata entrando nella stanza. — La figura scomparve e le luci si spensero.

Subito dopo le pareti si illuminarono. Cerchi e linee di luce multicolore sfrecciavano attraverso la stanza, mentre una musica aliena si diffondeva, dolce e affascinante. Torwald e Kelly si misero a sedere sui cuscini per godersi lo spettacolo. A tratti punti e linee si riunivano per formare strane creature che danzavano al suono della musica, per poi tornare a dissolversi.

Kelly era talmente affascinato che perse la nozione del tempo, finché Torwald non gli diede un colpetto sulla schiena e lo trascinò via riluttante. Tornati nella sala dei banchetti trovarono gli altri seduti sui cuscini.

— Stavamo per venirvi a cercare.

— Avete perso lo spettacolo più bello della città, comandante. Io e Kelly abbiamo scoperto una specie di teatro, con tanto di spettacolo olografico.

— Stavamo per cominciare a mangiare. Michelle ha messo su quel tavolo là in fondo i cibi che potrebbero esserci dannosi. Torwald e Kelly presero posto accanto ai loro compagni, e ognuno aspettava che fosse un altro ad assaggiare per primo le vivande.

— Andiamo, è roba buona! — disse la comandante. — Comincia tu, Kelly.

Non senza esitazione, il mozzo si decise a prendere una specie di polpetta e l’assaggiò: sapeva di carne e verdura ed era molto speziata. L’inghiottì e aspettò di vedere l’effetto. Constatato che non succedeva niente, disse: — È gustosa — e gli altri si affrettarono a imitarlo.

— Questa salsa sa di colla — commentò Nancy.

— La macedonia di frutta non è male — annunciò Torwald. Assaggiarono un po’ di tutto e trovarono alcuni piatti deliziosi, altri discreti, altri ancora disgustosi. I sapori erano quasi tutti diversi da quelli dei cibi della Terra e degli altri pianeti abitati, ma la cosa più strana di tutte era che si rendevano conto di partecipare a un banchetto allestito per alieni scomparsi da migliaia di anni.

Quando si sentirono sazi, ripresero le ricerche passando attraverso sale piene di meraviglie, e infine arrivarono in un enorme locale che era in parte biblioteca e in parte sala comando. Al centro troneggiava un insieme di apparecchi dotati di schermi, leve, pannelli e altri aggeggi sconosciuti. Le pareti erano coperte da scaffali di libri, rotoli, e oggetti che forse erano custodie di registrazioni. I libri erano scritti e a volte incisi in svariati caratteri.

— Ma quello cos’è? — chiese a un tratto la comandante indicando un’altra strana creatura che dava l’impressione di camminare verso di loro. Se volevano paragonarla a qualcosa che conoscevano ricordava un granchio, con la corazza del diametro di un metro e fra quella e il carapace un certo numero di arti, alcuni dotati di chele, altri di una specie di uncini come quelli delle mantidi religiose. Alle estremità di alcuni arti, c’erano occhi che osservavano gli intrusi senza paura né minaccia.

— Chissà come riuscivano a produrre queste immagini in modo così realistico — osservò Kelly allungando la mano convinto che attraversasse la figura come era successo a Torwald nel teatro. Invece con suo grande spavento le sue dita toccarono una corazza solida, mentre i suoi compagni indietreggiavano sfoderando le armi. Rimasero indecisi, finché il silenzio carico di tensione non fu rotto da una risata. Era Ham che li osservava dal teleschermo della Space Angel.

— Be’, Ham, cosa c’è di tanto divertente?

— Se vi vedeste, Gertie — rispose lui continuando a ridere. — Che spettacolo!... Undici persone e due Viver che guardano terrorizzati un granchio un po’ cresciuto puntandogli addosso le armi!

— Non mi pare che ci sia tanto da ridere — borbottò la comandante. — Ne parleremo poi. — Ma, nonostante tutto, il piccolo incidente allentò la tensione e tutti rinfoderarono le armi, meno i Viver.

— Non sembra che abbia cattive intenzioni — disse Michelle.

È intelligente. Molto più di voi. Non ha intenzioni cattive. Posatemi su un quadro comandi.

Era la prima volta che Sfera diceva qualcosa da quando erano saliti a bordo della seconda nave. Negli ultimi tempi aveva parlato pochissimo e anche ora non volle dire niente sulla strana creatura.

Quando Achmed e la comandante tornarono sulla Space Angel per essere sostituiti da Ham e Lafayette, il, “granchio” li seguì. Gli altri, intanto, continuarono a sfogliare i libri della biblioteca, senza più sforzarsi di trovare una spiegazione a tutte le stranezze nelle quali si erano imbattuti.

Ham e Lafayette arrivarono qualche ora dopo contenti e soddisfatti. — Grazie per la buona roba che ci avete mandato — disse Lafayette. — Ci siamo abbuffati ben bene.

— Già, voi ve la siete goduta tranquillamente, mentre noi non abbiamo potuto gustare in pieno quelle leccornie perché ci è toccato assaggiarle per primi.

— Ma cosa ne è stato del “granchio”? — s’intromise Finn. — Avete visto come ha seguito la comandante... Be’, pare incredibile ma ha superato tranquillamente il tratto di spazio fra le due navi come se si trovasse nell’acqua o all’aria aperta. O riesce a trattenere il respiro molto a lungo o può vivere anche nel vuoto.

— La mia stima per quella piccola creatura è molto aumentata — disse K’Stin con una punta d’invidia. — Certamente possiede una eccezionale facoltà di adattamento. — E, tanto per non smentirsi, lanciò l’ultima frecciata. — Vale molto più di voi.

— Cosa sta facendo adesso il “granchio” — chiese Torwald, ignorando l’osservazione del Viver.

— Quando l’ho lasciato stava divertendosi col computer. La comandante ha inserito i comandi manuali, per quel che possono servire con Sfera a bordo, ma pare che al “granchio” non interessino le operazioni meccaniche. Ha esaminato tutti i dati forniti dal computer e poi ha punzonato un codice per avere istruzioni sulla nostra lingua. Sono convinto che fra non molto sarà in grado di comprenderci. Col computer farà molto più presto che non imparando da noi. Oltre alle sue particolarissime doti atte alla sopravvivenza nello spazio, ha già dimostrato di essere un ottimo matematico.

— Se fosse anche aggressivo e bellicoso sarebbe una creatura davvero ammirevole — commentò K’Stin.

— Noi lo preferiamo così — ribatté bruscamente Nancy.

Ora torneremo alla nave. In questi strumenti non c’è rimasto alcunché che possa essermi utile. Dobbiamo proseguire verso il Centro.

— Ma abbiamo appena cominciato le registrazioni! — protestò Ham.

Questo non mi riguarda. A me occorrono altre informazioni.

Non potendo contrastare la volontà di Sfera, tornarono riluttanti sulla Space Angel portando tutti i libri di cui riuscirono a caricarsi, e parecchie piccole sculture. Saliti a bordo trovarono il “granchio” acquattato su un sedile nella mensa che allungò le antenne provviste di occhi per scrutarli.

Poco dopo furono raggiunti dalla comandante che era rimasta in plancia. — Sfera ci ha riportato nell’iperspazio. Peccato, sarei rimasta volentieri per un altro po’ su quelle navi. Pazienza...

— Se c’è qualcosa che volete sapere su quella nave o sulla gente che la costruì, basta che me lo chiediate. — Chi aveva parlato era il “granchio”.

— Caspita, che rapidità! —esclamò sorpresa la comandante.

— Ho attitudine alle lingue.

— Chi sei, e cosa facevi a bordo del relitto? — chiese Ham.

— Sarebbe difficile tradurre il mio nome nella vostra lingua. Letteralmente significa: “Colui che canta le lodi delle Grandi Entità e delle Loro Opere in eleganti versi”. Naturalmente la versione manca della musicalità e del ritmo dell’originale.

— Capisco.

— Quanto al motivo della mia presenza a bordo, è presto spiegato: raccoglievo materiale.

— Materiale per cosa?

— Per le mie poesie.

— Come hai fatto ad arrivare sulla nave?

— Stavo visitando un mondo di un sistema vicino quando i miei strumenti hanno localizzato il relitto. Ho chiesto di raggiungerlo in modo da poterlo esaminare... questo è successo qualche tempo fa, e non sono tornati a rilevarmi. Forse si sono dimenticati di me, oppure è scoppiata una guerra. — La voce del “granchio” proveniva dall’interno della corazza.

— Per quanto tempo sei rimasto là?

— Circa sei o settecento dei vostri anni.

— E quanto sarebbe secondo il tuo computo del tempo?

— Oh, un periodo brevissimo. Mi sono molto divertito a leggere tutti quei libri. Gli Hubri erano una grande razza, forse il popolo più esteta che sia mai esistito. Come artisti e protettori delle arti non hanno paragoni. Visitarono per secoli i mondi dei sistemi centrali, e poi scomparvero un migliaio di anni fa mentre erano alla ricerca di nuove esperienze artistiche. Naturalmente io non mi sono lasciato sfuggire l’occasione per esaminare una delle loro splendide navi ricche di tesori.

— Ma hai rischiato di doverci restare per sempre — commentò la comandante.

— Tutto è finito bene.

— Già — disse Torwald — comunque dovrai viaggiare per un po’ con noi. Stando così le cose sarà meglio che tu ci dica come vuoi che ti chiamiamo.

— Anticamente visse sulla Terra un grande poeta che si chiamava Omero. Potete chiamarmi così, se vi piace.

— Vada per Omero, allora — concluse Ham, e poi gli presentò Michelle che era impaziente d’intervenire.

— Io mi occupo della dieta e della salute di tutti. In primo luogo, cosa mangi?

— Tutte le sostanze originariamente composte di molecole organiche, animali o vegetali e i loro sottoprodotti. Anche il petrolio va bene...

K’Stin lo interruppe, incapace di trattenersi: — Sei in grado di sopravvivere nel vuoto senza apparato respiratorio. Come mai?

— Oh, la mia specie resiste per lunghi periodi senza respirare. In caso di necessità, restando perfettamente immobili possiamo resistere secoli senza respirare. Naturalmente è molto noioso. Posso anche respirare cloro, metano, elio e molti altri gas, oltre all’ossigeno.

K’Stin annuì palesemente ammirato davanti a quella singolare creatura che possedeva facoltà di sopravvivenza superiori perfino a quelle eccezionali dei Viver.

— Michelle — proseguì intanto Omero — non ti devi preoccupare per la mia salute. Non mi ammalo mai e se dovessi restare mutilato, le mie parti ricrescerebbero spontaneamente.

— É estremamente difficile che un solo pianeta possieda un’atmosfera adatta allo sviluppo di creature che possono respirare ogni tipo di gas — disse K’Stin. — Non siete il prodotto dell’evoluzione, vero, ma siete stati progettati come noi Viver, non è così?

— Naturalmente. In origine eravamo molluschi più o meno simili a quelli che avete trovato sull’altra nave. Poi scoprimmo che esseri più resistenti sarebbero stati più adatti all’esplorazione degli altri mondi. Avete davanti agli occhi il risultato. Sono state ideate anche molte altre forme, ma noi poeti e saggi viaggianti preferiamo questa.

— Sembra ottima per la sopravvivenza — ammise di malavoglia K’Stin, — però non adatta alla guerra come la nostra.

— Forse, ma le specie bellicose non durano a lungo. La storia della mia specie risale fino a due milioni di anni fa. A queste parole, il Viver cadde in un silenzio immusonito, con grande divertimento degli altri. Che cosa ne sai della Stella Nucleo? Sussultarono tutti, sorpresi: si erano dimenticati di Sfera.

— Chi ha parlato? — chiese Omero.

— Quella palla sul tavolo — rispose la comandante. — È lui che comanda a bordo. Ci ha costretti a intraprendere la ricerca della Stella Nucleo, che dovrebbe trovarsi al centro della Galassia.

— Sì, la conosco. Ma cosa volete sapere di preciso? Devo avvisarvi che non sono un fisico.

Voglio conoscere i fenomeni non atmosferici che sono convinto abbiano luogo nei pressi della Stella Nucleo.

— Ah! — esclamò Omero. — Alludi al Guardiano?

I membri dell’equipaggio si scambiarono occhiate stupite: si aggiungeva agli altri un ennesimo mistero!

— Il Guardiano? — sussurrò Ham.

Sì, è questo il fenomeno a cui alludevo.

— Non posso dire molto, dal momento che se ne sa così poco. Pare che sia informe e risieda nell’ampio tratto di vuoto fra le ultime stelle cosiddette normali e quella del Nucleo. Esiste da quando le prime razze intelligenti del Centro hanno imparato a volare nello spazio e non permette a nessuno di avvicinarsi a più di cento anni luce dalla Stella Nucleo. Tutte le sonde scientifiche e le spedizioni militari sono state distrutte o respinte. Questo è quanto si sa del Guardiano. Naturalmente ci sono molte teorie sulla sua natura e origine. Secondo alcune si tratta di un essere intelligente, secondo altre sarebbe un campo di forze, secondo altre ancora un congegno inventato da una razza antichissima, proveniente forse da un altro sistema galattico. Queste supposizioni si equivalgono tutte, in mancanza di dati sicuri.

È quanto volevo sapere.

E per quel giorno Sfera non disse altro.

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