Avvertì un’incalzante malevolenza. Poi, l’inderogabilità di uno scopo, di una meta. E, ancora, eoni di tempo così lunghi da perdere di significato. Poi, la coscienza — memoria, ricordo — di un compito di creazione. Poi, la lunga, lunghissima attesa. Poi, l’incontro col nemico. Poi...
Kelly si svegliò in un bagno di sudore. Il sogno era stato così assurdo, eppure così reale, che il ragazzo si chiese se avrebbe avuto il coraggio di raccontarlo agli altri nel timore che lo giudicassero pazzo. Decise di rimettersi a dormire, ma non ci riuscì e allora preferì vestirsi e andare in cambusa. Se non altro poteva preparare la colazione. Era disposto a tutto pur di non dovere pensare.
Gli altri erano già seduti al tavolo della mensa, e avevano tutti un’aria abbattuta come lui. Torwald entrò poco dopo.
— Buon Dio! — esclamò. — Ho visto facce più allegre prima di una battaglia.
— Taci, Tor — gli intimò la comandante. — E adesso confrontiamo quello che abbiamo visto. Cominciamo da te, Lafayette. Tu cos’hai visto?
— Accidenti, comandante, non lo so, però mi ha fatto una paura boia. C’era una cosa che mi dava la caccia... — s’interruppe corrugando la fronte nello sforzo di trovare le parole giuste. — No, non ero io, o almeno non proprio. Qualcuno o qualcosa di non umano. E mi pare che creasse un pianeta laggiù... — solo a parlarne gli tornava la paura.
— Tutto qui?
— No, comandante. C’era dell’ altro, molto altro, però io ho capito solo quello... Ah, sì, qualcosa che riguardava le stelle... — balbettò.
— E tu? — chiese allora la comandante a Nancy, che riferì di avere avuto pressappoco la stessa visione. Non ci volle poi molto a scoprire che tutto l’equipaggio aveva visto la stessa cosa anche se ricordi e descrizioni differivano in qualche particolare.
— Bene — commentò alla fine la comandante guardandosi intorno. — Teorie? Opinioni?
— Io avrei una domanda — disse Michelle.
— Sentiamo.
— Come mai evitiamo tutti quanti di guardare quella cosa? — E indicò la sfera in mezzo al tavolo. E appena l’ebbe detto anche gli altri la guardarono con un misto di paura e orrore.
— D’accordo — ammise la comandante. — Quel coso è in un certo senso il colpevole. Siamo tutti d’accordo su questo?
Nessuno ebbe obiezioni.
— E adesso arriva la domanda da centomila dollari — intervenne Ham. — Che cos’è?
— Posso azzardare un’opinione, comandante?
— È il massimo che si possa fare, per ora. Avanti, Bert.
— Se è stato questo oggetto a provocare le visioni e può realmente fare quello che abbiamo visto, allora può darsi che si tratti di una specie di divinità..
— Esiste un solo Dio — ribatté Achmed.
— D’accordo — disse la comandante. — Sebbene debba ammettere che la questione sia un po’ accademica trattandosi di un essere in grado di creare un pianeta dalla materia grezza e avvolgerselo intorno come una coperta. Comunque, è intelligente e potentissimo. Sentiamo il tuo parere, Torwald.
— In primo luogo può trattarsi del primo alieno vivo e intelligente in cui si sia imbattuto l’uomo.
A parte qualche raro manufatto primitivo, finora non abbiamo scoperto nessun essere più intelligente di una scimmia. Quindi ci troviamo di fronte a un evento storico, anche se piuttosto conturbante.
— Non gridiamo ancora vittoria lo ammonì la comandante. — E poi?
— Secondariamente, per quanto grande sia la potenza di questa cosa, era inseguita da qualcosa ancora più potente.
— Tutto questo accadde moltissimo tempo fa, non è vero? — chiese Kelly.
— In questo genere di cose il tempo conta poco. Sergei, secondo voi che età ha Alpha Tau? Il russo alzò le spalle allargando le braccia.
— Due miliardi di anni? Tre? Chi mai può dirlo quando le circostanze della sua nascita sono così singolari? Cifre simili sono prive di senso comunque, quando vengono applicate alla percezione umana di tempo. Poche dozzine di zeri in più o in meno non fanno differenza.
È un bene che tu riconosca i tuoi limiti mentali.
Tutti sussultarono come se fossero stati punti. Qualcuno balzò addirittura in piedi e, se i sedili non fossero stati inchiavardati al ponte, molti sarebbero caduti all’ indietro. La voce si era fatta sentire nella mente, ma non c’erano dubbi sulla sua origine.
— Che cosa sei? — chiese la comandante alla sfera sforzandosi di parlare con voce ferma.
Un’entità.
— È quello che avevamo supposto. Ti abbiamo trovato durante gli scavi e non ci siamo subito resi conto che fossi intelligente. Vuoi tornare dov’eri? No. Il rifiuto li deluse non poco.
— Noi stiamo tornando sulla Terra, il nostro pianeta d’origine, con un carico di cristalli — disse la comandante più calma. — Vuoi venire con noi? No.
— Temo che non ci siano altre alternative. Non siamo in grado di deviare verso un’altra destinazione. Dobbiamo rispettare un orario. — La comandante cominciava a sudare.
Ho una missione, e voi mi aiuterete a compierla. La voce interiore era priva d’inflessioni, ma spaventosamente imperiosa.
— Comando io questa nave, e mi rifiuto.
Preferirei che foste consenzienti, ma non avete scelta. Io posso controllare questo vascello.
— Non lo metto in dubbio. Ma come mai, dato che sei tanto potente, hai bisogno della mia nave?
Il mio potere si è molto esaurito. Forse non sarei in grado di effettuare un simile viaggio.
— Dove devi andare?
Al centro di questa Galassia.
Tutti sussultarono scambiandosi occhiate incredule, e qualcuno cominciò a protestare. Ma la comandante li zittì con un’occhiata feroce.
— Senti, Sfera, mi sembra che tu non capisca. La nostra specie non ha mai compiuto percorsi lunghi più di un millesimo di quella distanza. È perfino probabile che il nostro organismo non sopporti le radiazioni e le tensioni del Centro. Aggiungerò che secondo i nostri standard la durata della nostra vita è breve. Anche con la Propulsione Whoopee saremmo morti già tutti di vecchiaia prima di arrivare al centro della galassia.
Darò io la carica al vostro sistema di propulsione. È molto rudimentale anche come congegno meccanico. Posso proteggervi dalle radiazioni dannose e non invecchierete molto durante il viaggio. Dovete persuadervi che per me siete solo minuscole e insignificanti briciole, e che vi considero alla stregua con cui voi considerate i più infimi insetti del vostro pianeta. E io che sto comunicando con voi sono dal canto mio una minuscola suddivisione dell’intelletto dell’Entità che voi pensate sia una Sfera, e che ha preso questa forma a questo scopo. La maggior parte di questo intelletto vi ignora ed è inconsapevole delle vostre funzioni e delle mie come lo sono le cellule dei vostri corpi.
Voi siete una specie isolata e primitiva, oscura perfino in questa piccola Galassia. Al Centro le stelle sono dense, e forse poi potrete trovare molte specie di esseri planetari come voi. Sicuramente apprenderete cose che vi torneranno utili. Sarà l’inizio di una nuova era per la vostra specie. La vostra civiltà si fonda ancora sullo scambio di beni, e così troverete molto da guadagnare.
— Vade retro, Satana — mormorò Bert.
Sfera sapeva certamente come tentare gli spaziali. Infatti sentivano già tutti l’impulso, l’intossicante prospettiva di visitare zone sconosciute dello spazio. Se non fossero stati animati dallo spirito dell’avventura, non si sarebbero imbarcati su una carretta. La più tentata di tutti era la comandante, ma anche Kelly, novellino dello spazio, era tentato. Infine lei si decise a parlare. — Spiacente, Sergei — disse — temo che la Minsk riceverà i cristalli con un certo ritardo.
— Così pare. Aggiungeremo al contratto una clausola per cui avrà diritto a una percentuale su tutto quello che troveremo. Dal momento che non abbiamo alternative, tanto vale cercare almeno di ricavarne un profitto.
— Bravo, molto comprensivo — commentò Torwald. — Ma d’altra parte non ci resta che abbozzare.
— Ho la ferma convinzione che correremo grossi rischi — disse Finn. — Per esplorare pianeti sconosciuti, preferirei una nave da guerra alla vecchia Angel.
— Penso che dovremmo servirci di un Viver. — La proposta di Torwald fu accolta con sorpresa, e la comandante lo guardò sospettosamente per un attimo. I Viver erano i più famigerati contrabbandieri dello spazio. — Hai avuto a che fare con loro?
— Ho fatto un po’ di contrabbando quando era difficile trovare un ingaggio. Conosco il codice per mettersi in contatto con una delle loro navi. Se Sfera ci permetterà di fare una sosta a New Andorra o su un’altra delle basi dei contrabbandieri, potrei scoprire dove si trovano. Potremmo anche imbarcare qualche arma pesante.
Cosa sono i Viver?
— Una sottospecie della nostra razza creata prima che la tecnica genetica applicata agli esseri umani fosse dichiarata illegale — spiegò la comandante. — Sono adattati in modo da poter sopravvivere nelle condizioni più estreme e anche le nostre probabilità di sopravvivere sarebbero molto accresciute se uno di loro facesse parte dell’equipaggio. Se ci permetti di prendere con noi un Viver e una particolare attrezzatura, saremo ben lieti di aiutarti.
Bene. L’elemento tempo è insignificante, ma dobbiamo continuare a dirigerci verso il Nucleo.
— D’accordo, allora. Secondo — disse la comandante rivolgendosi ad Ham — inserisci la rotta per New Andorra.
Non sarà necessario. Indicate la posizione di questo pianeta sui vostri strumenti e io vi ci trasporterò.
— Gertie? — chiese perplesso Ham.
— Fa’ come ti dice — gli rispose la comandante. Ham andò in plancia a inserire i dati relativi a New Andorra, aspettò qualche minuto poi, vedendo che non succedeva niente, tornò alla mensa. Stava entrando quando il sommesso ronzio dei motori a propulsione normale cessò. Achmed si precipitò in sala motori tallonato da Lafayette.
— Ci siamo fermati? — chiese la comandante alla sfera.
No. Viaggiamo a una velocità molto superiore a quella che è in grado di sviluppare il tuo sistema di propulsione. Quando avrò assorbito le informazioni del vostro computer, vi fornirò velocità equivalenti comprensibili per voi.
Achmed tornò mogio mogio con un’espressione sbigottita. — Andate un po’ a vedere — disse. — È la cosa più folle che abbia mai visto.
Si avviarono tutti verso la sala motori, e dalla soglia videro che era tutta un baluginìo di abbaglianti colori. Fasci di violenta luce gialla e rossa s’inseguivano formando complesse circonvoluzioni e punti di luce verde svolazzavano come insetti. Il tutto nel più assoluto silenzio.
— Bello! — commentò Ham cercando, senza però riuscirci, di sembrare imperturbabile.
Tornati alla mensa, Michelle ricordò che non avevano ancora fatto colazione. Andò a prepararla con l’aiuto di Torwald e Kelly, mentre gli altri aspettavano in silenzio rimuginando. Avevano appena finito di bere il caffè, quando Sfera tornò a parlare.
Siamo arrivati a destinazione. Ormai nessuno dubitava più delle sue parole. La comandante andò in plancia a controllare. La nave era in orbita di parcheggio intorno a New Andorra.
Truro, l’unico centro urbano del pianeta, era un insieme di costruzioni grandi e piccole, per lo più magazzini nei paraggi dello spazioporto. La maggior parte della popolazione vi sostava solo di passaggio ed era costituita nella quasi totalità da contrabbandieri, dai loro clienti e da mediatori che combinavano affari con gli uni e con gli altri. Non esistevano né governo né leggi, ma la delinquenza non era molto diffusa, in quanto gli abitanti si consideravano pacifici uomini d’affari. Le uniche autorità erano i funzionari che sovrintendevano al funzionamento dello spazioporto.
Truro era il più grande e noto posto di contrabbando dello spazio conosciuto. Se uno voleva comprare droga, oggetti preziosi, armi, e tutto quello che poteva essere illegale, o gravato da pesanti tasse o controllato dal governo del suo paese, sapeva di potere trovare quel che voleva a Truro. Gli abitanti di New Andorra vendevano, scambiavano, trasportavano qualsiasi tipo di merci. Il pianeta era abbastanza lontano dalle normali rotte perché qualsiasi governo “legale” si desse la briga di andare a fare un po’ di repulisti. Inoltre non pochi governi trattavano clandestinamente affari con i contrabbandieri.
Kelly era felice di potere trascorrere un po’ di tempo su un pianeta. Ormai lo spazio non era più una novità, e poi aveva scoperto che vivere rinchiuso in un ambito ristretto, vedendo sempre le stesse facce, aveva smorzato alquanto il suo entusiasmo.
La comandante, Ham, Torwald e Kelly s’incaricarono dell’acquisto delle armi. Gli altri invece andarono alla ricerca di quanto potesse servire ai loro rispettivi reparti.
Prima di lasciare lo spazioporto, pagarono l’importo dovuto per l’ormeggio, e i funzionari addetti li guardarono piuttosto perplessi perché non riuscivano a capire in che modo la Space Angel fosse passata direttamente dall’iperpropulsione a un’orbita di parcheggio.
Torwald, che conosceva Truro,, guidò i compagni alla ricerca del miglior venditore di armi, e dopo una rapida indagine gli fu detto di cercare al bar Gun Runner.
New Andorra era ancora un mondo di frontiera, la maggior parte degli edifici erano di legno, le strade di terra battuta. Quanto agli abitanti, costituivano una variopinta mescolanza di uomini e donne in abiti spaziali, mercanti addobbati in ricche pellicce e stoffe costose, tipi loschi, al punto da sembrare in certi casi attori travestiti da pirati. Erano tutti armati, e anche Torwald, Ham e la comandante avevano preso la stessa precauzione. I negozi erano zeppi di articoli costosi a prezzi sospettosamente bassi. La comandante si fermò davanti a una vetrina che esponeva delicate sculture in metalli preziosi adorni di gemme, caratteristiche dell’arte di Taliesin.
— Ham, come si chiamava quella nave che trovarono in orbita intorno a Ivanhoe senza equipaggio e senza carico?
— Ebony Star della Black Star Line.
— Già. La Ebony Star portava un carico di manufatti di Taliesin. La società assicuratrice pubblicò l’avviso sul bollettino spaziale. — Fece una smorfia. — Detesto i pirati.
— Probabilmente il carico fu rubato dallo stesso equipaggio o perfino dagli ufficiali — disse Torwald. — Capita spesso.
— Non sulla Black Star Line, dove reclutano ufficiali fidati. Detesto anche gli ammutinati. Venite, andiamo a cercare quel bar.
C’erano pochissimi veri uffici a Truro perché gli affari venivano trattati nei bar. Il Gun Runner aveva un’insegna di legno intagliata a mano con la figura di un uomo che correva con in spalla un sacco da cui spuntava un fucile a raggi. All’interno il locale era fievolmente illuminato da dischi luminescenti inseriti nelle pesanti travi del soffitto. L’aria era impregnata di fumo e di strani odori.
Sulle pareti facevano bella mostra panoplie di armi antiche. La comandante scelse un tavolo contro il muro, sotto un fascio di vecchie spade-coltello della Marina Spaziale.
Torwald andò al banco a ordinare una bottiglia e quattro bicchieri. Quando il barista portò l’ordinazione gli chiese senza preamboli: — Chi vende armi, oggi?
— Be’, vediamo un po’... — Sbirciò in gira. — Ame, quello laggiù coi gradi azzurri vende armi leggere da fanteria, e Yussupov, quello al tavolo d’angolo, ha appena acquistato un carico di artiglieria pesante. Chung ha bombe di vari tipi, compreso l’ultimo Devastator...
A me occorre un armamento leggero da bordo, e qualche razzo siluro.
— Allora rivolgetevi a Sturges. Adesso non è qui, ma di solito arriva verso quest’ora. Appena arriva ve lo mando. Intanto accomodatevi.
— Bene. A proposito, vorrei sapere se Ortega si trova sempre al solito posto di fronte allo Spaziale Morto.
— Sì, che io sappia — rispose il barista con fare sospettoso.— Ma quella zona non è frequentata da persone perbene.
Torwald gli diede una lauta mancia e portò bottiglia e bicchieri al tavolo.
— Old Rocket Wash garantito di vent’anni — disse versando il liquore. — Almeno così dice l’etichetta. — Kelly ne assaggiò un sorso e subito gli si riempirono gli occhi di lacrime mentre il liquido scendeva bruciando nello stomaco.
— Vacci piano — l’ammonì Ham. Kelly si azzardò a bere un altro sorso e stavolta l’effetto fu diverso. Il liquore andava giù liscio e aveva un buon sapore.
Erano arrivati a metà bottiglia quando un tizio alto e massiccio, con un abito di sgargiante seta di ragno siriano adorno di gioielli, si fermò al loro tavolo. La camicia aderente aveva le maniche rigonfie, gli ampi calzoni finivano in un paio di stivali di rettile, e l’ampio gilè non nascondeva il laser sotto l’ascella sinistra e il pugnale a energia sotto la destra. Fece un breve inchino toccandosi il petto con la punta delle dita e sorridendo sotto i folti baffi, biondi come la barba ricciuta.
— Mi chiamo Omar Sturges e ho sentito che voi signori desiderate parlare d’affari con me.
— Capitano HaLevy della Space Angel — si presentò la comandante tendendo la mano. — Questo è Hamilton Sylvester, il mio secondo, questo Torwald Raffen, il quartiermastro, e il ragazzo, Kelly, è il nostro mozzo.
Quando gli strinse la mano Torwald si accorse che il palmo di quella di Sturges era duro e calloso, e sentì i cappucci di metallo inseriti sotto la pelle delle nocche. Non era uomo da sottovalutare.
La comandante gli offrì da bere e dopo che si fu seduto disse: — Ho sentito che trattate armi di bordo, signor Sturges.
— Infatti, capitano. Ho raggi singoli adatti a piccoli ricognitori, laser a impulsi di incrociatori andati in demolizione e così via, fino agli armamenti pesanti... L’installazione è compresa nel prezzo. A voi cosa serve?
— Qualche arma da difesa adatta a un ricognitore — rispose Ham. — Avete un perforatore a sei raggi a lunga portata col suo affusto? Potremmo montarlo sulla prua della Angel.
— Sì, ne ho parecchi. Serve altro?
— E un depolarizzatore gemello su torretta?
— Nessun problema.
— E quattro siluri subnucleari, classe M?
— Ne ho qualcuno di classe K. Quelli M me li hanno comprati tutti i Cernunnani che sono in guerra con Ganpati. Mentre Ham e la comandante discutevano sul prezzo con Sturges, Torwald si scusò e fece cenno a Kelly di seguirlo.
— Stammi sempre vicino — disse al ragazzo quando furono in strada. — Andremo in un quartiere malfamato e l’uomo che cerco è tremendamente sospettoso. Kelly si guardò attorno allarmato. Il quartiere sembrava davvero poco raccomandabile. Nonostante avesse sempre vissuto nei rioni poveri della sua città, sulla Terra, e nel quartiere notoriamente malfamato di Terraporto, qui si trovava un po’ come un pesce fuor d’acqua, nuovo com’ era in quest’ambiente dove più o meno tutti erano dei fuorilegge. Lo consolava il pensiero che Torwald portasse la pistola laser appesa alla cintura e quella a proiettili all’interno della giacca.
Man mano che procedevano i paraggi si facevano sempre più miseri e malandati. La gente non andava per i fatti suoi, ma formava capannelli davanti ai portoni e agli angoli delle strade. Non si vedevano più mercanti riccamente vestiti, e tutti quelli che incontravano li scrutavano da capo a piedi come per valutarli. Ma la vista dello spaziale armato dissuadeva quegli sfaccendati — per lo più giovani — dall’attuare i propri loschi progetti.
Finalmente i due arrivarono a un bar sulla cui insegna era dipinto uno spaziale con l’elmetto fracassato, alla deriva su uno sfondo di stelle. Non c’era dubbio, era lo Spaziale Morto. Attraversarono la strada ed entrarono in un magazzino cadente. L’interno era in penombra come al Gun Runner. Da dietro una pila di casse emerse un ometto bruno, con la faccia segnata da cicatrici e gli occhi artificiali lucidi e inespressivi. Guardò i due che erano appena entrati senza paura. Fra le casse si scorgevano delle figure indistinte. Infine l’ometto, dopo avere attentamente scrutato, disse: — È un pezzo che non ci si vede, Raffen. Stai benone. Hai fatto fortuna, eh?
— Non quanto te, Ortega — rispose Torwald girandosi per osservare i mucchi di mercanzie che riempivano il magazzino. — A quanto pare hai cambiato gli occhi dall’ultima volta che ti ho visto.
— Ne vendono di ottimi i contrabbandieri di Quetzalcoatl. Cosa ti serve? Vuoi tornare al tuo vecchio mestiere? Conosco qualche capitano che sarebbe contento di avere un esperto come te.
— Grazie, Ortega, ma stavolta mi occorre solo qualche informazione. Pagherò, naturalmente, come al solito. Ho bisogno di sapere dove si trova la K’Tchak.
— È fidato? — ribatté Ortega indicando Kelly.
— È il mio tirapiedi.
— La K’Tchak è in orbita intorno a Donar fino alla fine del ciclo — rispose Ortega. — Così hai un sacco di tempo. Poi andrà sul loro pianeta. — Nessuno, all’infuori degli interessati, sapeva quale fosse il pianeta dei Viver. Torwald porse a Ortega alcune piastre di metallo.
— Grazie. Avrei voglia di parlare dei vecchi tempi, ma devo tornare a bordo. Stiamo per partire. Sarà per il prossimo viaggio.
— Torwald — lo richiamò Ortega mentre lui e Kelly stavano per uscire — ti avverto che hai molti nemici, qui. Qualcuno si ricorda ancora della Jonah. Non abbassare la guardia finché non ti sarai imbarcato.
— Grazie, Ortega. Torwald si voltò e trasse dalla tasca interna la pistola a proiettili. — La sai usare? — chiese a Kelly.
— No.
— Ricordami di insegnartelo, una volta o l’altra. Per adesso non ti preoccupare. Se dovremo sparare in queste strade sarà a distanza ravvicinata. Basta che miri alla pancia di qualcuno e prema il grilletto. Hai trenta colpi, ma un paio dovrebbero bastare. Infilala nella cintura, sulla schiena, dove puoi estrarla con la destra o con la sinistra.
— Ma io non sono mancino. — E se prima di fare in tempo a sparare qualcuno ti colpisse al braccio destro?
Kelly ubbidì.
Quando uscirono dal magazzino stava facendosi buio. Truro era situata poco a nord dell’equatore, vicino al mare, e il passaggio dal giorno alla notte era rapido. Le strade erano in penombra e l’ombra delle case formava delle larghe chiazze scure. Si diressero verso lo spazioporto, Torwald davanti e Kelly a qualche passo di distanza, tendendo le orecchie per sentire se qualcuno li seguiva. Non aspettarono a lungo.
— Tor — sussurrò Kelly. — Due uomini ci stanno seguendo.
— E ce ne sono tre che ci vengono incontro. Cercherò di parlare con loro, ma servirà a poco. Comunque, tu non sparare finché non sparo io. I tre che camminavano verso di loro furono illuminati dalla luce di un androne. Erano tre teppisti simili a tanti altri, con abiti sgargianti e una smorfia arrogante sulle facce da viziosi. Erano stupidi, imprevedibili e pericolosi.
— Fermatevi — ordinò il più alto dei tre, un giovane con ornamenti d’oro sulla giacca.
— Cosa volete? — chiese Torwald. I due che li seguivano si erano fermati.
— Solo chiedervi della vostra nave rispose l’altro. — Forse avete bisogno di qualche paio di braccia in più. Qui manca il lavoro.
— Bene — rispose Torwald — ne parlerò al capitano... — ed estrasse fulmineamente la pistola a raggi, notando che il giovinastro stava infilando la mano all’interno della giacca. Il laser colpì il teppista al fianco. Nello stesso tempo Kelly fece un rapido dietrofront, estrasse la pistola e sparò contro il più vicino dei due inseguitori. Tornò a sparare mentre il laser di Torwald perforava il braccio di un altro dei tre. La seconda pallottola di Kelly si conficcò nella spalla dell’altro inseguitore, facendolo ruotare su se stesso. Senza por tempo in mezzo il teppista si allontanò barcollando nel buio. L’ultimo del terzetto se la diede a gambe seguito dal compagno ferito al braccio. Lo scontro era durato in tutto meno di quattro secondi.
Il rumore degli spari e il bagliore del laser attirarono la curiosità degli avventori dei bar vicini, che si accalcarono sulla soglia per guardare. Poco dopo rientrarono. Torwald e Kelly si allontanarono senza fretta, come se niente fosse successo. Alle loro spalle sentirono un aspro diverbio sul possesso della pistola del delinquente ucciso.
— Li conoscevi? — chiese Kelly cercando invano di dominare il tremito della voce.
— Mai visti prima. Erano sicari, e anche da poco prezzo, suppongo. Tipi che ammazzano per un paio di stivali. — Poi, cambiando tono: Ti sei comportato bene, Kelly. Non avrei dovuto lasciarti immischiare, ma non lo dimenticherò. — Kelly era troppo turbato per rispondere.
Tornati allo spazioporto trovarono la nave illuminata dalla luce di lampade installate da ogni lato, mentre una squadra di manovali caricava le armi appena acquistate.
— Vedo che Sturges non perde tempo — commentò Torwald. La comandante, che si trovava in cima al barcarizzo, ebbe modo di guardarli bene in faccia mentre s’imbarcavano, e, notando l’espressione di Kelly, chiese a Torwald: — Cosa gli è successo?
— Lui la mise succintamente al corrente dell’accaduto, poi andò alla mensa dove si trovavano già quasi tutti e Michelle stava distribuendo un ricostituente per il sistema nervoso. Quando Torwald entrò Michelle lo fulminò con un’occhiataccia. Per evitare rimproveri e commenti, Torwald preferì dare subito una spiegazione.
— Colpa mia — ammise — non avrei dovuto portarlo là. Ma non pensavo di avere ancora nemici a Truro.
— Altroché se è stata colpa tua! — esclamò la comandante. — Se il ragazzo si fosse fatto male ti avrei cacciato a calci nel sedere!
— Sto bene! — gridò Kelly, compiaciuto in cuor suo della sollecitudine generale. — Non esagerate. Siamo stati assaliti, ci siamo difesi. Tutto qui.
— Ha ragione — disse Ham. — Sta imparando, come abbiamo fatto noi. Non è successo niente, salvo l’eliminazione di un paio di balordi di cui nessuno sentirà la mancanza, e di un paio d’altri che per un po’ non saranno in circolazione.
— Proprio così — insisté Kelly. — Non prendetevela con Torwald a causa mia.
— E allora perché quella faccia? — gli chiese Nancy.
— Be’... è che non posso fare a meno di pensare. Se non avessi trovato un ingaggio, fra un paio d’anni forse sarei diventato come quei disgraziati. Ce n’erano molti a Terraporto. Prima o poi, se volevo sopravvivere, avrei dovuto aggregarmi a una banda, e probabilmente sarei finito ammazzato in un vicolo. Così ringraziamo la sorte che abbiano vinto i buoni, e piantiamola lì, d’accordo?
— Sì, Kelly — rispose dopo un attimo d’incertezza la comandante. — E adesso va’ nel tuo alloggio e non farti più vedere finché non saremo partiti.
— Torwald, eredi che, i tuoi ex-amici verranno a cercare te o Kelly a bordo?
— No, comandante. Qui nessuno cerca guai nel porto. È territorio neutrale. Se qualcuno tentasse di farlo, lo metterebbero subito a posto.
— Allora sei fortunato — commentò la comandante. — Bene, salperemo fra tre ore, dopo che avrò avuto il tempo di controllare l’armamento appena installato. Torwald, sei riuscito a scoprire le coordinate della nave dei Viver?
— È in orbita di parcheggio intorno a Donar.
— Bene, così non dovremo neanche cambiare rotta. Sfera ci spedirà laggiù in un batter d’occhio. La prossima fermata sarà... come si chiama quella nave, Torwald?
— La K’Tchak del clan Viver.