7

Sedettero in circolo e Calvin cominciò a parlare.

— Sono emerso non lontano dalla voragine in cui scompare il torrente. Sette giorni fa. Al secondo giorno vi ho sentite, ma non potevo chiamarvi perché non ho più il microfono — e così dicendo mostrò loro i rimasugli del suo casco. — Vedete? Il microfono è partito — disse districando il filo spezzato. — Vi ho ascoltato e basta. Ho aspettato. Ho mangiato frutti. Però non sono riuscito a uccidere nemmeno un animale.

— E come facevi a sapere che ci avresti trovate proprio qui? — chiese Gaby.

— Non potevo esserne certo, è ovvio.

— Ma che roba — disse Cirocco, mettendosi a ridere. — Ormai non pensavamo più di trovare qualcun altro, invece eccoti qui. È fantastico, vero Gaby?

— Eh? …Oh, certo. Fantastico.

— Anch’io sono contento di rivedervi. Sono cinque giorni che vi ascolto. È bellissimo sentire una voce familiare.

— È passato davvero tanto tempo?

Calvin mostrò l’orologio digitale che portava al polso.

— Funziona ancora perfettamente. Quando tornerò a casa, scriverò una lettera di ringraziamento alla fabbrica.

— Io ringrazierei chi ha fatto il cinturino — disse Gaby. — Il tuo è d’acciaio mentre il mio era di pelle.

Calvin scosse la testa. — Me lo ricordo. Costava di più di quanto guadagnavo io come internista.

— Cinque giorni mi sembrano troppi. Noi due abbiamo dormito solo tre volte.

— Lo so. Nemmeno Bill e Agosto riescono a tenere bene il conto del tempo.

— Bill e Agosto sono vivi? — chiese Cirocco.

— Sì. Ho sentito le loro voci. Sono giù, sul fondo del burrone. Non so indicare bene dove. Bill ha la radio intera, come voi due. Agosto ha solo il ricevitore. Bill ha continuato a trasmettere descrizioni del posto in cui si trovava, e dopo due giorni Agosto l’ha raggiunto. Adesso trasmettono regolarmente. Però Agosto continua a chiedere di Aprile e a piangere.

— Cristo — mormorò Cirocco — ci credo. Hai idea di dove siano Aprile e Gene?

— Penso di aver sentito Gene, una volta. Piangeva, come ha detto Gaby.

— Come mai Bill non ci ha sentiti? — chiese Cirocco.

— Problemi con la curvatura dell’orizzonte, immagino. Probabilmente la collina faceva da schermo. Io ero l’unico che poteva sentire i due gruppi ma senza poter fare nulla al riguardo. Da qui dovrebbe sentirvi. Però non chiamate ora, stanno dormendo tutti e due. Si sveglieranno tra cinque o sei ore. — Guardò prima una poi l’altra. — E anche voi due dovreste andare a nanna. Avete camminato per venticinque ore.

Cirocco questa volta gli credette sulla parola: era stanca morta. Ma non voleva mettersi subito a dormire.

— E tu, Calvin? — gli chiese. — Hai avuto problemi?

— Problemi? — ripeté lui, scrutandola.

— Lo sai a cosa alludo.

Calvin parve ritrarsi in se stesso.

— Non voglio parlarne, né ora né mai.

Cirocco decise che era meglio non insistere. Lui sembrava perfettamente in pace, tranquillo come se fosse giunto a qualche conclusione con se stesso.

Gaby si alzò, stiracchiandosi. — Ci mettiamo a dormire?

— Ho un posticino comodo qui sull’albero — disse Calvin — Voi andate a dormire, io resto in ascolto al ricevitore.

Era una specie di nido fatto di ramoscelli e pezzi di rampicanti. Calvin lo aveva imbottito con una sostanza morbida. Era alquanto grande, ma come sempre Gaby andò ad accoccolarsi vicino a Cirocco. Questa si chiese se non era ora di farla smettere, ma decise che non era ancora il caso.

— Rocky?

— Che c’è?

— Stai attenta a lui.

Cirocco si sforzò di uscire dalle nebbie del sonno.

— Cosa? A Calvin?

— Gli è successo qualcosa.

Cirocco guardò Gaby con occhi arrossati. — Dormi adesso Gaby, d’accordo? — Si voltò e diede una pacca al legno.

— Stai molto attenta — mormorò Gaby.


Se solo ci fosse modo di sapere quand’è mattino, pensò Cirocco sbadigliando. Avrebbe voluto svegliarsi presto. Forse ci sarebbe voluto un gallo, o che i raggi del Sole la raggiungessero con un’inclinazione differente.

Accanto a lei, Gaby dormiva ancora. L’allontanò dolcemente, senza svegliarla.

Calvin non era in vista. Il cibo per la colazione era a portata di mano: frutti rossi grandi come un ananas. Ne mangiò uno, buccia compresa.

Dato che Calvin non si vedeva ancora, decise di salire più in alto sull’albero. Il tronco offriva molti appigli, e la bassa gravità rendeva la salita facile e piacevole. Era anche meglio di qualsiasi cosa avesse fatto da quando aveva otto anni. La corteccia nodosa forniva sufficienti appigli dove i rami scarseggiavano. Si procurò una nuova serie di graffi da aggiungere alla sua collezione, ma era un prezzo che era disposta a pagare.

Per la prima volta da quando era arrivata su Temi si sentiva felice. Non contava naturalmente l’incontro con Gaby e Calvin, perché quella era stata un’emozione che aveva sfiorato l’isteria. Era così che ci si sentiva bene.

Non era mai stata una persona che si divertiva molto. C’erano stati molti momenti belli sul Ringmaster, ma pochi che fossero vero divertimento fine a se stesso. Cercando di pensare all’ultima volta che si era sentita così bene, stabilì che era stato il party in cui aveva saputo di aver ottenuto il comando per cui stava lottando da sette anni. Fece un sorrisetto al ricordo: era stato proprio un bel ricevimento.

Ma allontanò ben presto qualsiasi pensiero dalla mente e lasciò che lo spirito fluttuasse libero. Era consapevole di ogni muscolo, di ogni frammento di sé. C’era uno sconvolgente sentimento di libertà nell’arrampicarsi nuda su un albero. Fino a quel momento, la sua nudità era stata una seccatura o un pericolo. Ora l’adorava. Sentiva la pelle ruvida dell’albero sotto i piedi e la morbida flessibilità dei rami. Desiderava mettersi a urlare come Tarzan.

Avvicinandosi alla cima, udì un suono che prima non c’era, era una specie di scricchiolio continuo. Veniva da un punto coperto dalle foglie giallo-verdi davanti a lei, qualche metro più in basso.

Con cautela estrema si spostò su un ramo orizzontale e guardò.

Aveva davanti una parete grigia. Non aveva idea di cosa potesse essere. Si udì di nuovo lo scricchiolio, più forte, sopra di lei. Qualche ramo spezzato cadde in basso. Poi, improvvisamente, apparve l’occhio.

Urlò, poi chiuse subito la bocca. Senza nemmeno sapere come, era indietreggiata di tre metri, fissando sbalordita quell’occhio mostruoso. Era enorme, umido, e sorprendentemente umano.

L’occhio ammiccò.

Una membrana sottile si contrasse, come l’obiettivo di una macchina fotografica, poi si riaprì velocissima.

Batté tutti i record personali nella discesa senza badare alle spellature, e continuando a gridare. Gaby era sveglia, aveva in mano un osso di sorrisone e sembrava pronta a usarlo.

— Giù, giù! — urlò Cirocco. — Lassù c’è qualcosa che potrebbe usare questo albero come stuzzicadenti! — Superò al volo gli ultimi otto metri, arrivò a terra a quattro zampe, e stava già scendendo di corsa la collina quando andò a sbattere contro Calvin.

— Non mi hai sentita? Dobbiamo andarcene! C’è qualcosa…

— Lo so, lo so — disse lui, cercando di calmarla. — Non c’è motivo di preoccuparsi. Non ho fatto in tempo a parlarvene prima che vi metteste a dormire.

Cirocco si sentì improvvisamente svuotata, ma tutt’altro che calma. Era terribile avere quella carica nervosa e non poterla usare. I suoi piedi volevano mettersi a correre, e invece finì col prendersela con Calvin.

— Merda, Calvin! Non hai avuto il tempo di parlarmi di una cosa come quella? Cos’è, e cosa ne sai?

— È il nostro biglietto di andata da qui. Si chiama… — Fischiò tre note chiare con un trillo finale. — Ma forse il suo nome non è adatto all’inglese. Io lo chiamo Finefischio.

— Lo chiami Finefischio — ripeté Cirocco, distrutta.

— Esatto. È un aerostato.

— Un aerostato?

— Ha l’aspetto di un dirigibile, però non lo è, perché non possiede uno scheletro rigido. Adesso lo chiamo così vedi da te. — Calvin s’infilò due dita in bocca e fischiò una melodia strana, complessa, a intervalli bizzarri.

— Lo sta chiamando — disse Cirocco.

— Già, ho sentito — rispose Gaby. — Stai bene adesso?

— Credo di sì. Ma i miei capelli diventeranno grigi prima del tempo.

Dall’alto venne una serie di trilli di risposta, poi non successe niente per diversi minuti. Aspettarono.

Finefischio apparve da sinistra. Volava parallelamente alla parete del precipizio, a una distanza di tre o quattrocento metri; ma anche da lontano ne vedevano solo una parte. Era una specie di sipario blu-grigio che bloccava la loro visuale. Poi Cirocco scorse l’occhio. Calvin fischiò di nuovo, l’occhio li cercò, li trovò. Calvin le guardò al di sopra della spalla.

— Non ci vede molto bene — spiegò Calvin.

— Io sono per stargli fuori vista. Magari posso andare nella più vicina contea.

— Non sarebbe abbastanza lontano — disse Gaby, sgomenta. — Il suo posteriore sarebbe di sicuro nella più vicina contea.

Il muso scomparve e Finefischio continuò a sfilare sotto i loro occhi. E sfilare. E sfilare, e sfilare, e sfilare. Sembrava interminabile.

— Dove sta andando? — chiese Cirocco.

— Gli ci vuole un po’ per fermarsi — rispose Calvin. — Ma ce l’ha quasi fatta.

Salirono tutti e tre sull’orlo del precipizio per osservare meglio l’operazione.

Finefischio l’aerostato era lungo un chilometro da prua a poppa. Sembrava un’imitazione perfetta del dirigibile tedesco Hindenburg, molto più grande dell’originale. Gli mancava solo la svastica dipinta su una fiancata.

No, non era esatto. Somigliava di più all’LZ-129, il dirigibile che la NASA stava progettando da anni. La forma era la stessa: un sigaro oblungo, smussato, e affusolato a poppa. C’era persino una specie di navicella che pendeva da sotto il ventre, anche se in posizione più arretrata che nell’Hindenburg. Erano diversi il colore e la consistenza della pelle. Finefischio era perfettamente liscio, come i vecchi aerostati della Goodyear, e adesso che lo vedeva in piena luce si accorgeva di un’iridescenza perlacea e di una certa untuosità della pelle.

E poi l’Hindenburg non aveva peli. Finefischio invece aveva un po’ di peluria sotto il ventre, più folta e lunga a metà corpo, rada e bluastra verso coda. Un ciuffo di delicati peduncoli pendeva sotto la navicella centrale, o che altro fosse.

Poi c’erano gli occhi, e le pinne caudali. Cirocco vide un solo occhio, ma pensò che dovessero essercene altri. Dalla coda spuntavano tre pinne, due orizzontali e una verticale. Probabilmente servivano a dirigere il volo. Mentre quell’affare mostruoso cercava di rivolgere il muso verso di loro, le pinne si flettevano. Erano sottili e trasparenti, estremamente flessibili.

— Tu… ehm, tu parli con quella roba lì? — chiese a Calvin.

— Abbastanza bene. — Calvin sorrideva all’aerostato, ed era felice come Cirocco non l’aveva mai visto.

— Allora è una lingua facile da imparare.

— No, non direi.

— Eppure sei qui da quanto? Sette giorni?

— Insomma, io so come parlargli. So molte cose di lui.

— E come fai a saperle?

La domanda turbò Calvin.

— Quando mi sono svegliato, le sapevo e basta.

— Ripeti un po’?

— Lo sapevo. La prima volta che l’ho visto mi sono messo a parlargli. È molto semplice. Lui parlava, io capivo.

A Cirocco sembrava tutt’altro che semplice, ma evidentemente Calvin non voleva approfondire l’argomento.

Finefischio impiegò circa un’ora a mettersi in posizione, poi ad avvicinarsi col muso quasi sino all’orlo del precipizio. Durante tutta l’operazione Gaby e Cirocco si tirarono indietro. Cominciarono a sentirsi un po’ meglio quando videro la sua bocca: un’apertura di un metro, ridicolmente piccola per una creatura di quelle dimensioni, posta un venti metri sotto l’occhio più esterno. Dietro la bocca c’era un altro organo: uno sfintere che serviva per fischiare e per regolare la pressione interna.

Dalla bocca si protese un oggetto lungo, rigido; toccò terra.

— Forza — disse Calvin, chiamandole. — A bordo.

Gaby e Cirocco restarono a fissarlo, indecise. Lui parve irritato per un attimo, poi sorrise di nuovo.

— Penso che vi sia difficile crederlo, ma è vero. So tutto di questa creatura. Ho già fatto un viaggio. È contento di prenderci su; va dalla nostra parte. E non c’è pericolo. Mangia solo piante, in quantità alquanto scarse. Non può mangiare troppo, altrimenti precipita. — Calvin mise un piede sull’oggetto lungo e s’incamminò verso l’entrata.

— Cos’è quella roba? — chiese Gaby.

— Direi che potremmo chiamarla la sua lingua.

Gaby cominciò a ridere; ma era una risata nervosa, che terminava con un colpo di tosse. — Dio, Calvin! Te ne stai lì sulla sua lingua e mi chiedi di entrargli nella bocca! Immagino che alla fine della… Come vogliamo chiamarla? Gola?… Alla fine della gola ci sarà qualcosa che non è esattamente uno stomaco ma assolve gli stessi compiti. E probabilmente tu avrai un’ottima spiegazione anche per i succhi gastrici che ci coleranno addosso.

— Gaby, te lo giuro, non c’è pericolo…

— No, grazie! — urlò Gaby. — Sarò anche la scema del villaggio, ma nessuno potrà mai dire che non ho abbastanza buon senso da stare lontana dalla bocca di quel mostro. Cristo! Lo sai cosa mi stai chiedendo? Sono già stata mangiata viva una volta, e non lascerò che succeda di nuovo!

Gaby adesso era paonazza, scossa da brividi, e continuava a urlare. Cirocco era d’accordo con lei, a livello emotivo; comunque mise un piede sulla lingua. Era calda e secca. Si girò, tese la mano.

— Dài, vieni. Io gli credo.

Gaby cessò di tremare e la guardò attonita.

— Vuoi lasciarmi qui? — le chiese.

— Ma no. Tu verrai con noi. Dobbiamo andare da Bill e Agosto. Dov’è finito tutto il tuo coraggio?

— Non molto lontano — sospirò Gaby. — Non sono una fifona. Solo che tu mi stai chiedendo di fare questo…

— Te lo sto chiedendo, sì. Guarda, l’unica maniera per vincere certe paure è affrontarle di petto. Su.

Gaby esitò un attimo, poi abbassò le spalle e si avviò come se andasse sul patibolo. — Lo faccio per te — disse — perché ti amo. Devo restare sempre con te, anche se significa morire.

Calvin guardò Gaby in modo strano, ma non disse nulla. Entrarono nella bocca e si trovarono in uno stretto tubo traslucido. Camminarono a lungo.

Al centro dell’animale c’era la navicella che avevano visto dall’esterno. Era fatta di un materiale spesso e chiaro, lunga un centinaio di metri e larga una trentina. Il fondo era ricoperto da pezzi di legno e foglie polverizzate. Con loro c’erano parecchi animali: alcuni sorrisoni, altre specie di dimensioni inferiori, e migliaia di bestioline più piccole di un toporagno. Come al solito, non prestarono loro la minima attenzione.

La visuale sull’esterno era perfetta. Si stavano già allontanando dal precipizio.

— Se questo non è lo stomaco di Finefischio, cos’è? — chiese Cirocco.

Calvin sembrava perplesso.

— Non ho mai detto che non fosse il suo stomaco. Sotto i piedi abbiamo il suo cibo.

Gaby gemette e cercò di scappare. Cirocco la fermò, la strinse, guardò Calvin.

— Non c’è pericolo — disse lui. — Riesce a digerire solo con l’aiuto di questi animaletti. Mangia i loro prodotti finali. I suoi succhi gastrici non sono più forti del tè.

— Hai sentito Gaby? — le sussurrò Cirocco in un orecchio. — Qui staremo proprio bene. Adesso calmati, tesoro.

— Ho… ho sentito. Non arrabbiarti con me. Sono spaventata.

— Lo so. — La portò verso la parete trasparente dello stomaco. — Stai qui, guarda fuori. Vedrai che ti sentirai meglio. — Gaby schiacciò mani e naso contro la navicella e continuò a sospirare per tutto il resto del viaggio. Cirocco tornò da Calvin. Le sembrava di camminare su un trampolino.

— Devi essere più delicato con lei. È ancora molto scossa per tutto quel tempo passato al buio. E tu? — Lo scrutò in faccia. — Non so ancora bene cosa abbia significato per te il tempo trascorso al buio.

— Sono a posto — rispose lui. — Però non voglio parlare della mia vita prima di questa rinascita. È un periodo chiuso.

— Buffo. Gaby mi ha detto più o meno le stesse cose. Per me è diverso.

Calvin si strinse nelle spalle, chiaramente disinteressato a quanto le altre potessero pensare.

— In ogni modo, ti sarei grata se volessi dirmi quello che sai. Come l’hai saputo sono affari tuoi, se non vuoi parlarne.

Calvin, rifletté un attimo, poi annuì.

— Non posso farti un corso accelerato del loro linguaggio. È basato sui toni e sui tempi, e anch’io riesco a parlarne solo una versione semplificata. Gli aerostati hanno varie dimensioni. Vanno da dieci metri a qualcosa in più di Finefischio. Viaggiano spesso a gruppi. Finefischio ha qualche compagno di viaggio più piccolo che non hai visto perché stavano tutti sul lato opposto. Adesso si vedono.

Le indicò la parete trasparente della navicella. Sei aerostati lunghi una ventina di metri li seguivano. Sembravano pesci enormi. Cirocco udì qualche strillo acuto.

— Sono amichevoli e molto intelligenti. Non hanno nemici naturali. Dal cibo traggono idrogeno e lo conservano sotto leggera pressione. Se vogliono alzarsi lasciano cadere un po’ dell’acqua che portano come zavorra, se vogliono scendere emettono idrogeno. Hanno una pelle molto robusta, però se si feriscono in genere muoiono. Non possiedono una grande autonomia di manovra, e impiegano un sacco di tempo per partire. Il fuoco è il loro nemico peggiore. Se non riescono a sfuggire alle fiamme, esplodono come bombe.

— E le bestie che ci sono qui? — chiese Cirocco. — Servono tutte per digerire il cibo?

— No. Usano quegli animaletti gialli, che mangiano solo il cibo che l’aerostato prepara per loro. Infatti a terra non se ne trova nemmeno uno. Gli altri sono come noi, semplici passeggeri autostoppisti.

— Non capisco. Come mai gli aerostati danno passaggi?

— Simbiosi, unita all’intelligenza di scegliere e fare quello che preferiscono. La razza degli aerostati collabora con altre razze, in particolare con quella dei titanidi. Si scambiano favori, cioè…

— I titanidi?

Calvin sorrise, incerto, allargò la mani. — È il termine che uso per tradurre uno dei suoi fischi. Non so bene come siano fatti, perché non riesco a seguire le descrizioni complesse. Dovrebbero avere sei zampe ed essere solo di sesso femminile. Le chiamo titanidi perché è così che i greci chiamavano le femmine dei Titani. Ho dato un nome anche ad altre cose, sai? Le regioni, i fiumi, le montagne. Mi sono servito dei nomi dei Titani.

— Come? Ah, già, ricordo. — L’hobby di Calvin era la mitologia. — E chi erano questi Titani?

— I figli e le figlie di Urano e Gea. Gea apparve dal Caos. Generò Urano, lo rese suo simile, e poi generarono assieme i Titani, sei maschi e sei femmine. Dato che qui ci sono sei zone di luce e sei zone di buio, ho usato i nomi dei Titani.

Calvin sorrise. — Ho dato i nomi un po’ a caso, sai. Prendi il mare ghiacciato, ad esempio. Mi è sembrato giusto chiamarlo Oceano. La terra che stiamo sorvolando ora è Iperione, e la zona notturna che abbiamo di fronte, quella con le montagne e il mare irregolare, è Rea. Se guardi Rea da Iperione, hai il nord a sinistra e il sud a destra. Non ho mai visto tutte le terre, però so che esistono; e le ho chiamate, procedendo in cerchio da Iperione, Crio, Febe, Teti, Tia, Meti, Dione, Giapeto, Crono e Mnemosime. Mnemosine si vede anche da qui, oltre Oceano. Sembra un deserto.

Cirocco si sforzò di ficcarsi in testa quei nomi. — Non li ricorderò mai tutti — disse infine.

— Gli unici che importano in questo momento sono Oceano, Iperione e Rea. Anzi, non ho usato tutti e dodici i nomi dei Titani. Temi era un Titano, e avrebbe creato confusione. Poi… — Un sorriso timido. — Ho dimenticato due nomi. Così ho usato Meti, che significa sapienza, e Dione.

A suo modo, era una terminologia sistematica. — E i fiumi? Ancora mitologia?

— Sì. Ho scelto i nove fiumi maggiori di Iperione, che ne ha moltissimi, come puoi vedere, e ho dato loro i nomi delle Muse. Laggiù a sud ci sono Urania, Calliope, Tersicore ed Euterpe. Polimnia si trova nella zona di confine fra giorno e notte e sfocia a Rea. A nord scorre Melpomene. Più vicini a noi sono Talia ed Erato, che credo formino un unico sistema idrico. E il torrente che avete seguito voi è un affluente di Clio, che è esattamente sotto di noi.

Cirocco guardò giù. Vide una striscia blu che correva in mezzo alla foresta verde, la seguì con gli occhi fino al precipizio che adesso avevano alle spalle, e boccheggiò. Il torrente spuntava dal precipizio, circa mezzo chilometro più in basso del punto in cui si erano fermate loro. Per una cinquantina di metri sembrava duro e solido come metallo, poi la corrente d’acqua si infrangeva. Quando arrivava a terra era una nebbiolina bianca di spuma.

Dalla parete del precipizio usciva un’altra decina di corsi d’acqua, ognuno contrassegnato da un arcobaleno. Era uno spettacolo da mozzare il fiato, quasi troppo bello per essere vero.

— Mi piacerebbe avere la licenza per un ufficio turistico in questo posto — disse lei.

Calvin scoppiò a ridere.

— Tu venderesti pellicole, e io i biglietti. Che ne pensi?

Cirocco lanciò un’occhiata a Gaby, sempre immobile al suo posto d’osservazione.

— E come si chiama il fiume maggiore, quello dove confluiscono tutti gli altri?

— Ofione. Il grande serpente del vento del nord. Se guardi bene, vedrai che esce da un laghetto della zona di confine tra Mnemosine e Oceano. Quel lago deve pur avere una fonte, e io sospetto che sia Ofione stesso che scorre sotto il deserto, ma non si riesce a vedere il punto in cui scompare. A parte questo, scorre senza interruzioni. Entra nei mari ed esce dall’altra parte.

Cirocco seguì il percorso complicato del fiume. Calvin aveva ragione. — Un geografo ti direbbe che il fiume che esce da un mare è lo stesso fiume che vi entra. Però so che queste regole valgono solo sulla Terra. D’accordo, lo chiameremo fiume circolare…

— Bill e Agosto sono lì — disse Calvin, puntando l’indice. — A metà circa del percorso del Clio, dove il terzo affluente…

— Santo cielo, dovevamo chiamarli! Ce ne siamo dimenticati.

— Ti ho rubato la radio. Sono svegli e ci aspettano. Puoi chiamarli, se vuoi.

Cirocco si fece dare microfono e trasmettitore da Gaby.

— Bill, mi senti? Sono Cirocco.

— Sì, sì, ti sento! Come va?

— Non c’è male, anche se mi trovo nello stomaco di una bestia. E tu stai bene? Non sei ferito?

— No, sto benissimo. Senti, vorrei… vorrei farti capire quanto sia meraviglioso sentire la tua voce.

Cirocco sentì una lacrima scivolare sulla guancia, l’asciugò.

— È meraviglioso sentire te, Bill. Quando sei volato fuori dalla finestra… Al diavolo, non lo ricorderai.

— Ci sono un sacco di cose che non ricordo. Parleremo di tutto.

— Muoio dalla voglia di vederti.

— Ancora un po’ di pazienza. Abbiamo tante cose da dirci, tu, io, Calvin e…

— E Gaby — aggiunse lei, dopo quella che le era sembrata una pausa lunghissima.

— Gaby — disse lui senza molta convinzione. — Mi rendo conto di essere un po’ confuso riguardo a tante cose. Ma non costituiscono un problema.

— Sei sicuro di star bene? — Di colpo sentì freddo, e si sfregò le braccia vigorosamente.

— Sicurissimo. Quando arriverete qui?

Cirocco lo chiese a Calvin che fischiò un breve motivetto. Come risposta vennero altre note da qualche posto sopra la loro testa.

— I dirigibili non hanno dimestichezza col tempo — disse.

— Ci vorranno tre o quattro ore.

— Ma è così che si dirige un’aerolinea?

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