I baccelli crescevano sulla cima degli alberi più alti. Ogni albero ne produceva uno solo per volta, e quando arrivava a maturazione esplodeva col rumore d’una cannonata. Li avevano sentiti scoppiare a lunghi intervalli. Dopo l’esplosione restava qualcosa che sembrava un enorme guscio di noce, diviso in diverse sezioni.
Ne videro passare uno sul fiume, si gettarono a nuoto e lo portarono a riva. Vuoto, galleggiava benissimo. Pieno, teneva ancora egregiamente l’acqua.
Impiegarono due giorni a caricarlo e a costruire un timone rudimentale, ricavato da un lungo palo con una grossa lamina attaccata sul fondo. Intagliarono anche tre rozzi remi, uno per ognuno di loro, per i casi d’emergenza.
Spinta l’imbarcazione in acqua, Cirocco si sistemò a poppa e prese il comando del timone. Si alzò una brezza leggera, e lei desiderò intensamente di avere ancora i suoi capelli, per poterli sentire carezzarle la faccia.
Gaby e Bill, eccitati, dimenticarono la loro animosità. Seduti ai due lati dell’imbarcazione lanciavano richiami a Cirocco.
— Facci sentire un canto di mare, capitano! — urlò Gaby.
— Eh no — disse lei ridendo. — Il capitano non si abbassa a cantare. È l’equipaggio sempliciotto che canta. Mai visto La strega del mare?
— Mai sentito. L’hanno già dato alla Tre-D?
— Si tratte di un vecchio film con John Wayne. La sua nave si chiamava così.
— Pensavo che fosse il nome del capitano. In questo caso ti saresti già trovata il soprannome.
— Statti accorto, o ti farò fare una passeggiata fuori bordo.
— E a questa che nome diamo, Rocky? — chiese Bill.
— Ehi, dovremmo darle un nome, vero? Ho perso tanto tempo a cercare lo champagne per il varo che me ne sono scordata.
— Non parlarmi di champagne — brontolò Gaby.
— C’è qualche suggerimento? C’è in ballo una promozione.
— Io so che nome le avrebbe dato Calvin — disse Bill.
— Non parlarmi di Calvin.
— A parte lui, finora abbiamo usato sempre la mitologia greca. Questa barca dovrebbe chiamarsi Argo.
Cirocco era dubbiosa. — Era in quella storia del vello d’oro, no? Mi ricordo il film.
— Ma noi non cerchiamo niente — disse Gaby. — Sappiamo benissimo dove vogliamo arrivare.
— E allora… — Bill si mise a riflettere. — Pensavo a Ulisse. La sua nave aveva un nome?
— E chi lo sa? Il nostro esperto di mitologia se n’è andato con quel pallone gonfiato. Comunque l’idea non mi va. Ulisse ha avuto solo un sacco di guai.
Bill ghignò: — Superstiziosa, Comandante? Non l’avrei mai creduto.
— E allora io voto per chiamare Titanic la nostra barca. Mi pare che sia un nome più che adatto a te.
— Già, una nave che è colata a picco subito.
— Titanic mi piace — disse Gaby. — Anche se questo è solo un enorme guscio di noce.
Cirocco alzò gli occhi, pensosa. — Così sia, dunque. Vada per Titanic. E che il viaggio sia lungo e fortunato.
L’equipaggio lanciò tre urrà, e Cirocco s’inchinò con un sorriso.
— Lunga vita al capitano — urlò Gaby.
— Ehi — disse Cirocco — non dovremmo dipingere il nome sul parabordo o quello che è?
— Sul cosa? — Gaby aveva un’aria terrorizzata.
— Tanto vale che ve lo dica. Di imbarcazioni non so proprio niente. C’è qualcuno che è pratico di navigazione?
— Io, un po’ — rispose Gaby.
— Allora ti nomino pilota. Vieni a prendere il mio posto.
Cirocco lasciò il timone, si stese sul fondo del baccello, mise le mani sotto la testa e chiuse gli occhi. — Devo prendere decisioni importantissime — disse, con uno sbadiglio. — Nessuno mi disturbi, a meno che non scoppi un uragano. — Si addormentò tra un coro di strepiti.
Il Clio era lungo, serpeggiante, lento. Al centro del fiume, i loro remi lunghi quattro metri non toccavano il fondo. Se li mettevano in acqua, sentivano cose che andavano a sbatterci contro. Non seppero mai di cosa si trattasse. Tennero il Titanic a metà strada fra il centro del fiume e la riva.
Cirocco aveva deciso che era meglio rimanere a bordo e sbarcare solo per procurarsi il cibo, un progetto che visse non più di dieci minuti.
Spesso l’imbarcazione si incagliava, e tutti e tre dovevano mettersi al lavoro per districarla dai fondali bassi. Impararono presto che il Titanic non era molto manovrabile. Occorrevano due persone ai remi per tenerla lontana dalle secche, mentre dovevano intervenire tutt’e tre, svegliando chi stava eventualmente dormendo, per disincagliarla dai fondali fangosi.
Decisero di accamparsi a riva più o meno ogni venti ore. Cirocco studiò i turni in modo che due di loro fossero sempre svegli mentre navigavano, e uno quando erano a terra.
Date le continue anse del fiume, a volte percorrevano pochissima distanza, magari solo mezzo chilometro in linea d’aria in un giorno. Avrebbero anche perso l’orientamento, se non ci fosse stato il cavo di sostegno che partiva da terra al centro di Iperione. Cirocco sapeva, dall’esplorazione aerea, che era molto lontano dal fiume Ofione.
Rappresentava il loro est, ed era sempre lì, immobile come un grattacielo mostruoso, ingoiato alla fine dalla volta ricurva. Cirocco sperava di potergli dare un’occhiata da vicino.
Dopo un po’, impararono a governare l’imbarcazione senza nemmeno avere bisogno di parlarsi. L’unica cosa importante era stare attenti alle secche. Gaby e Bill passavano quasi tutto il tempo ad abbellire i vestiti, lavorando con aghi di spine vegetali. Bill, inoltre, cercava di rendere sempre più confortevole l’interno del baccello.
Cirocco passava il tempo a sognare a occhi aperti, immaginando le difficoltà che avrebbero incontrato all’interno del mozzo. Ma erano fantasticherie inutili, dato che non possedeva nessun elemento concreto.
Alla fine, si decise a cantare, cogliendo gli altri di sorpresa. Nessuno sapeva che possedesse una bella voce e un’ottima educazione musicale, in quanto aveva preso lezioni di piano e di canto per una decina d’anni, avendo fra i suoi programmi la carriera di cantante finché non aveva prevalso l’amore per lo spazio. Bill e Gaby restarono sbalorditi; ma cantare assieme li avvicinò ancora di più. Era bravissima in particolare con le vecchie canzoni folk, le ballate, e le canzoni di Judy Garland.
Bill costruì un liuto da un guscio di noce, pezzi di paracadute e la pelle di un sorrisone, e imparò a suonarlo. Gaby si dedicò a una batteria ottenuta anch’essa da un guscio di noce. E cantavano e suonavano tutti assieme. Gaby era un passabile soprano, e Bill una specie di tenore.
Una canzone in particolare diventò il loro inno preferito: parlava di una strada di mattoni gialli e del meraviglioso mago di Oz. La urlavano ogni mattino quando ripartivano, in risposta ai suoni della foresta.
Passarono diverse settimane prima che raggiungessero l’Ofione. In tutto quel tempo, si verificarono soltanto due incidenti.
Il primo avvenne il terzo giorno di viaggio, quando un occhio appeso a un lungo penducolo emerse dall’acqua a non più di cinque metri dal Titanic. Era un occhio, senza dubbio, formato da un bulbo di venti centimetri di diametro inserito in un’orbita verde, flessibile, che a prima vista sembrava una mano con le dita arrotolate attorno all’occhio da dietro. Il bulbo era di un verde più chiaro, con una membrana mobile.
Raggiunsero immediatamente la riva. L’occhio guardava proprio loro, senza tradire né interesse né emozioni; era solo uno sguardo fisso. Non diede importanza alla loro fuga precipitosa. Restò a guardarli per un paio di minuti, poi scomparve con tutta calma.
Una volta a riva discussero dell’accaduto e stabilirono che c’era ben poco che potessero fare in casi del genere. La creatura non aveva compiuto atti ostili nei loro confronti, anche se non potevano avere alcuna certezza sulla sua futura condotta. Comunque, decisero che non potevano interrompere la navigazione solo perché nel fiume c’erano pesci giganteschi. Col passare del tempo ne videro molti altri, e si abituarono. Quegli occhi somigliavano talmente a periscopi che Bill soprannominò quei pesci U-boat.
Il secondo incidente li trovò più preparati, perché era già successo. Era il vento foltissimo che Calvin aveva chiamato Lamento di Gea.
Fecero in tempo a portare a riva l’imbarcazione e a nascondersi sotto il baccello. Cirocco non volle andare a ripararsi sotto gli alberi, perché ricordava bene quel grosso ramo che le era caduto accanto spaventandola moltissimo.
Le condizioni di osservazione non erano ideali, ma Cirocco riuscì a dare un’occhiata. La tempesta si addensò dal cielo sopra Oceano. Le nubi scesero dal grande raggio sopra il mare ghiacciato come il fiato gelido di un dio. I venti colpirono lo strato di ghiaccio e lì si spezzarono, dando origine a uragani che da quella distanza sembravano minuscoli ma dovevano essere enormi.
Attraverso le nubi che avanzavano rapidamente verso Iperione, Cirocco riuscì a vedere i cavi di supporto inclinati che si protendevano al di sopra di Oceano. Da quella distanza non riusciva a capire bene, ma l’impressione era che rimanessero praticamente immobili, anche se era possibile che avessero qualche lieve ondeggiamento. Dai cavi usciva una nebbia fine, grigia, che cadeva a terra. Data la distanza, le particelle che la componevano dovevano essere grandi quanto alberi. Poi le nubi oscurarono la visuale, e cominciò a cadere la neve. Le acque del fiume si agitarono e si alzarono sin quasi a raggiungere il Titanic. A Cirocco sembrò di sentire il terreno tremare.
Ovviamente, tutto quello era opera di una parte del sistema di aerazione di Gea. Cirocco si chiese come facesse l’aria a entrare nei raggi, e quali meccanismi la spingessero di nuovo fuori. E si chiese anche perché il processo dovesse essere così violento.
Stando all’orologio di Calvin, erano trascorsi diciassette giorni dall’ultimo lamento. Sperò che ne mancassero altrettanti al successivo.
Come la volta precedente, il freddo non durò più di sei o sette ore, e la neve si sciolse subito. Gli abiti servirono egregiamente da protezione, quasi come giacche a vento.
Il trentesimo giorno dal risveglio su Gea fu contraddistinto da due cose: una che accadde, e una che non accadde.
La cosa che accadde fu il loro arrivo alla confluenza di Clio con Ofione. Ormai si trovavano nella zona sud di Iperione, equidistanti dal cavo verticale e da quello a sud. Tutti e due incombevano su di loro.
L’Ofione era verde-blu, più largo e più veloce del Clio. Il Titanic venne attratto al centro del fiume dove, dopo un certo periodo di tensione e di sondaggi con i remi, decisero che era meglio restare. Per dimensioni e velocità di corrente, il fiume ricordava il Mississippi; però le sue rive erano ricchissime di vegetazione, come in una giungla.
Cirocco era molto preoccupata della cosa che non accadde, dato che l’aspettava già da un paio di giorni. Le sue mestruazioni avevano sempre avuto un ciclo regolarissimo di ventotto giorni, e le sembrava allarmante saltare un ciclo.
— Lo sai che sono già passati trenta giorni? — disse a Gaby quella sera.
— Di già? Non ci avevo proprio pensato. — E si strinse nelle spalle.
— Già. E io sono più che in ritardo. Al massimo sono arrivata a ventinove giorni; più spesso prima, ma mai dopo.
— Sai, anch’io sono in ritardo.
— Lo temevo.
— Cristo, ma questo non ha senso.
— Mi stavo chiedendo che tipo di accorgimenti usavi sul Ringmaster. Te ne sei forse dimenticata?
— Ci pensava Calvin.
Cirocco sospirò. — Ho sempre temuto che le pillole che prendevo prima o poi mi avrebbero piantata in asso. Già mi ingrossavano. Ho usato anche uno di quei diaframmi. Ce l’avevo quando siamo arrivate qui… e non ho più pensato a controllare se c’era ancora fino a dopo aver incontrato Bill e Agosto, e ormai era troppo tardi. — Esitava un poco a discutere di quell’argomento con Gaby. Non era un segreto per nessuno che lei e Bill avevano fatto all’amore e che non c’era né il tempo né lo spazio per farlo di nuovo lì sul Titanic con Gaby sempre attorno.
— Comunque, non c’è più. Dev’essere stato ingoiato dalla stessa cosa che s’è divorata i nostri capelli. E che ha reso la mia pelle repellente, per di più.
Gaby ebbe un tremito.
— Per questo penso che sia stato Bill. — Si alzarono e s’avviarono verso di lui, che dormiva sdraiato a terra. Lo scossero e attesero che fosse ben sveglio.
Bill non era sveglio come s’aspettavano. Sbatté gli occhi per la sorpresa, poi aggrottò le sopracciglia.
— Be’, non guardate me. Io non c’entro. E l’ultima volta che sono stato con Gaby è stato poco dopo aver lasciato la Terra. E poi, mi sono fatto vasectomizzare.
— Buono a sapersi — mormorò Cirocco. Con Gaby, eh? Non ne sapeva proprio nulla, e sì che pensava di essere al corrente di tutto quanto accadeva a bordo del Ringmaster. - Questo significa che qualcosa di molto strano ci sta accadendo. Qualcuno o qualcosa ci ha fatto un bello scherzo, ma io non mi sto proprio divertendo.
Calvin tenne fede alla promessa. Due giorni dopo che Cirocco ebbe trasmesso il suo messaggio a un aerostato di passaggio, Finefischio spuntò sopra di loro. Calvin e Agosto, col solito paracadute blu, atterrarono sulla riva del fiume.
Cirocco dovette ammettere che Calvin aveva un ottimo aspetto. Sorrideva, appariva allegro. Salutò tutti calorosamente, per niente infastidito dal fatto di essere stato chiamato lì. Aveva una gran voglia di parlare dei suoi viaggi, ma Cirocco era troppo ansiosa di sentire cosa ne pensava della nuova situazione. Lui ascoltò tutto, diventando sempre più serio.
— Hai avuto le mestruazioni da quando siamo qui? — chiese ad Agosto.
— No.
— Sono già passati trenta giorni — disse Cirocco. — È un fatto insolito per te? — Dagli occhi sbarrati di Agosto Cirocco capì che lo era. — Quand’è stata l’ultima volta che hai avuto rapporti con un uomo?
— Non ne ho mai avuti.
Calvin rifletté un attimo, fece una smorfia.
— Cosa posso dirvi? Sappiamo che a volte il periodo mestruale salta, anche se non si capisce bene perché. Stress fisici o psicologici, in genere. Ma è quasi impossibile che sia successo a tutt’e tre contemporaneamente.
— È quello che penso anch’io — disse Cirocco.
— Potrebbe dipendere dalla dieta. Chi lo sa. D’altra parte, sul Ringmaster i vostri cicli tendevano a essere sempre più simili, come succede spesso a donne che vivono nello stesso ambiente. A volte i segnali ormonali tendono a sincronizzare le mestruazioni. Aprile e Agosto avevano un ritmo uguale da tanto tempo e Cirocco era sfalsata rispetto a loro solo di pochi giorni. Due periodi trascorsi assieme e tutti si sono sincronizzati. Se ricordi bene, Gaby, il tuo ciclo era alquanto impreciso.
— Non ci ho mai prestato molta attenzione — disse lei.
— Be’, era così. Ma non so cosa potrebbe significare attualmente. Lo dico perché vi rendiate conto che a volte accadono fatti strani. È possibile che abbiate saltato un ciclo tutt’e tre.
— Ma è anche possibile che siamo tutte e tre incinte, e rabbrividisco alla sola idea di chi potrebbe essere il padre — rifletté Cirocco, annichilita.
— Questo è impossibile — disse Calvin. — Non vorrai farmi credere che la cosa che ha ingoiato tutti noi vi abbia fecondate? E come avrebbe fatto?
— Come può aver fatto non lo so. Però sono convinta che è entrata in noi e ci ha fatto qualcosa che a lei pare perfettamente naturale, e che per noi è mostruoso. È un’idea orribile. Se fossimo incinte, tu cosa puoi fare?
Calvin sorrise debolmente. — All’università non mi hanno preparato per i parti delle vergini.
— Non ho alcuna voglia di scherzare.
— Scusami. E comunque tu e Gaby non siete vergini. — Scosse la testa perplesso.
— Noi stiamo pensando a qualcosa di molto immediato. Non vogliamo questi bambini — intervenne Gaby — ammesso che esistano e che siano bambini.
— Sentite, perché non aspettate un altro mese prima di lasciarvi prendere dal panico? Se saltate un altro ciclo, chiamatemi.
— Vorremmo liberarcene subito — disse Cirocco.
Calvin sembrò sconvolto per la prima volta. — E io ti dico che per ora non ci penso nemmeno. Troppo rischioso. Potrei costruirmi gli strumenti per un normale raschiamento, però bisognerebbe sterilizzarli. Non ho nemmeno uno speculum. Se v’immaginaste cosa non dovrei improvvisare per un aborto, vi verrebbero i brividi.
— Ho già i brividi, se penso a quello che sta crescendo nel mio ventre — ribatté Cirocco, tetra. — Calvin, in questo momento non voglio nemmeno un figlio umano, figuriamoci qualsiasi cosa questo potrebbe essere. Devi intervenire.
Gaby e Agosto erano d’accordo, anche se Gaby sembrava scossa.
— E io dico di aspettare un altro mese. Non farà nessuna differenza. L’operazione è sempre quella. Ma forse tra un mese avrete trovato il modo di accendere il fuoco, di far bollire dell’acqua, di sterilizzare gli strumenti che io riuscirò a costruire. Non vi pare una proposta sensata? Se gli strumenti non sono sterilizzati, i rischi aumentano enormemente.
— Io voglio solo liberarmi di quella cosa — disse Cirocco.
— Capitano, calmati. Rifletti. Se vi prendete un’infezione, io non posso farci niente. A est c’è un’altra terra. Forse riuscirete ad accendere un fuoco. Mi darò da fare anch’io. Ero già arrivato a Mnemosine, quando ho ricevuto il vostro messaggio. Può darsi che là viva una razza capace di fornirci strumenti decenti.
— Allora riparti? — gli chiese Cirocco.
— Temo di sì. Prima farò un controllo medico a tutti.
— Ti chiedo di nuovo di restare con noi.
— Mi spiace. Non posso.
Nulla di quello che Cirocco poteva dire gli avrebbe fatto cambiare idea, e così lei si gingillò un poco con l’idea di trattenerlo con la forza ma capì subito che era un’idea sbagliata. E poi, c’era un’altra cosa di cui tener conto: non avrebbe mai potuto far male a uno con un amico così grande come Finefischio.
Calvin disse che tutti e quattro godevano di perfetta salute, a parte il problema delle donne, e si fermò con loro qualche ora. Raccontò quello che aveva visto nei suoi viaggi.
Oceano era un posto terribile, proibitivo, tutto di ghiaccio. Lo avevano sorvolato il più in fretta possibile. Era abitato da una razza umanoide, ma Finefischio non aveva voluto fermarsi. Gli aborigeni avevano lanciato pietre con una catapulta primitiva anche quando Finefischio era mille metri sopra di loro. Calvin disse che avevano aspetto umano ed erano ricoperti da una lunga peluria bianca. Prima colpivano e poi facevano domande. Li chiamò Yeti.
— Mnemosine è un deserto — disse. — Ha un aspetto strano, perché le dune sono molto più alte che sulla Terra. Credo sia colpa della bassa gravità. C’è vita vegetale. Quando ci siamo abbassati ho visto piccoli animali, e le rovine di una grande città e di altre città di dimensioni più modeste. Ci sono posti che migliaia di anni fa potevano essere castelli, in cima a spirali di roccia, e che ora stanno andando in rovina. Per costruirli devono avere impiegato centinaia di anni di lavoro, oppure elicotteri eccezionali.
"Credo che su Gea sia successo qualcosa di terribile. Sta crollando tutto. Un tempo Mnemosine doveva essere simile a Iperione, fin nei minimi particolari. Poi il clima è cambiato, oppure i costruttori di Gea sono stati spodestati.
"Probabilmente è colpa dell’enorme verme che abbiamo visto. Finefischio dice che ne esiste uno solo. Mnemosine non potrebbe contenerne un altro. Se ne esistevano due, si sono dati battaglia molto tempo fa, e adesso ne sopravvive uno soltanto. È grande abbastanza da ingoiare Finefischio come se fosse un’oliva."
Cirocco e Bill alzarono gli occhi su Calvin.
— Non l’ho mai visto per intero ma non mi sorprenderei se fosse lungo venti chilometri. È un tubo lungo, grosso, che ha alle due estremità un buco dello stesso diametro del verme. È segmentato, e il corpo sembra duro come la corazza di un armadillo. La bocca è piena di denti come una sega elettrica, sia all’esterno che all’interno. In genere vive sotto la sabbia, ma in certi punti la sabbia non è abbastanza profonda e allora deve emergere in superficie. È per questo che l’abbiamo visto.
— Si parlava di un verme simile in un libro — disse Bill.
— Anche in un film — aggiunse Cirocco. — Dune.
Calvin parve irritato da quelle interruzioni. — A ogni modo — riprese — mi sono chiesto se è stato un verme a distruggere Mnemosine. Capite cosa potrebbe fare alle radici degli alberi? Gli basterebbero un paio d’anni per divorarle tutte. Gli alberi muoiono, il terreno si deteriora, non regge più i corsi d’acqua, e i fiumi diventano sotterranei. Ofione, ad esempio, passa sotto Mnemosine. Il suo corso non viene interrotto, ma non feconda più la terra.
"Per cui ho pensato che se qualcuno ha progettato questo pianeta non può averci messo apposta un verme come quello. Probabilmente non gli piace il buio, se no si sarebbe esteso anche sotto Oceano e avrebbe buttato tutto per aria. Credo che sia successo solo per caso, e se Gea si affida solo al caso per sopravvivere non può durare molto. Quei verme dev’essere una mutazione recessiva, il che significa che non c’è più nessuno in grado di ucciderlo e di rimettere le cose a posto. Temo che i costruttori di questo mondo siano morti, oppure regrediti a livelli primitivi come succedeva in quelle storie che ci leggevi, Bill."
— È una possibilità — annuì lui.
Cirocco tossicchiò. — Sì, è possibile. Ma forse tu vedi troppe cose in quel verme. Forse quelli che hanno costruito questo mondo adorano i vermi, se li sono portati dietro, e per mettere a suo agio il verme di cui parlavi gii hanno regalato Mnemosine. A ogni modo, noi vogliamo arrivare al mozzo.
— Certo — convenne Calvin. — Intanto io me ne vado in giro, a vedere se c’è ancora qualche sopravvissuto. Se i discendenti dei costruttori fossero in grado di fornirci una radio, ve lo faccio sapere subito e potreste tornare a casa.
— Non interessa anche a te? — gli chiese Cirocco. — Non vuoi andartene? Su, Calvin. Ci hai abbandonati, ma questo non significa che ti pianteremo qui.
Calvin fece una smorfia, e si rifiutò di proseguire la conversazione.
Prima che Finefischio ripartisse, Calvin fece lanciare col paracadute qualche sorrisone, per rifornirli di quel tessuto così prezioso. Gaby raccolse il paracadute e promise di vestire Cirocco come una regina. Cirocco accettò: bastava così poco per rendere felice Gaby.
E il Titanic riprese il suo viaggio, che ora aveva un senso d’urgenza. Dovevano trovare una razza abbastanza progredita da saper sterilizzare gli strumenti chirurgici, o comunque riuscire ad accendere il fuoco. Le cose che crescevano nei loro ventri non avrebbero aspettato.
Cirocco, nei giorni seguenti, continuò a chiedersi "cosa" si stesse formando dentro di lei. La sua ripulsa era simile a un pugno piantato nel suo stomaco. Molto del suo atteggiamento discendeva dall’ignota natura della bestia che aveva piantato in lei il suo seme.
In ogni caso, l’aborto sarebbe stato indispensabile. Già da tempo aveva deciso di avere figli solo dopo essere andata in pensione, a quaranta o quarantacinque anni. A O’Neil Uno aveva depositato una decina di cellule in sospensione criogenica. Quando si fosse sentita pronta, sarebbero state fecondate e trapiantate nel suo corpo. Era una precauzione ormai comune fra gli astronauti e i coloni lunari, per evitare che i tessuti riproduttivi venissero danneggiati dalle radiazioni.
La sua idea era di avere un figlio e una figlia più in là con gli anni.
Voleva essere lei a scegliere il momento. Che il padre fosse un umano che lei amava o una mostruosità senza forma degli oscuri meandri di Gea, era lei che voleva avere il controllo dei suoi organi riproduttivi. E ora, e per diversi anni, lei non era pronta. Senza aggiungere che Gea non era il posto per avere un figlio: aveva troppe cose da fare e un bambino sarebbe stato un problema gravoso. E lei, prima, voleva fare tutte quelle cose che s’era ripromessa di fare.