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Quando arrivò l’altro titanide, la differenza che Cirocco aveva già notato divenne evidente, e ancor più sconcertante. Tra le zampe anteriori, dove Do Diesis aveva un ciuffo di peli, Si Bemolle possedeva un pene perfettamente umano.

— Santo cielo — sussurrò Gaby, dando un colpo al gomito di Cirocco.

— Vuoi stare calma? M’innervosisci.

— Sei nervosa tu? E io? Non capisco una sola nota di quello che canti. Comunque canti bene.

A parte i genitali maschili, Si Bemolle era quasi identico a Do Diesis. Tutt’e due avevano seni alti, conici, e una pelle pallida. Le facce erano vagamente femminili, prive di barba e dalle bocche molto larghe. Si Bemolle era più dipinto, aveva più fiori nei capelli… e in più aveva un pene. Per il resto, i due titanidi erano indistinguibili.

L’estremità di un flauto di legno usciva da una specie di sacca posta dove sarebbe dovuto esserci l’ombelico. Apparentemente era un marsupio.

Si Bemolle avanzò e tese la mano. Cirocco indietreggiò e Si Bemolle corse avanti, appoggiandole le mani sulle spalle. Dopo un attimo di timore, capì che il titanide condivideva l’apprensione di Do Diesis: aveva paura che cadesse all’indietro, e voleva solo impedirglielo.

— Sto bene — cantò, nervosa. — Non cado. — Le mani del titanide erano grandi, ma perfettamente umane. Era molto strano toccarlo. Vedere una creatura impossibile era molto differente dal sentirne il calore del corpo. Improvvisamente si rese conto che quello era il primo contatto umano con una razza aliena intelligente. Si Bemolle sapeva di cannella e di mele.

— La guaritrice arriverà subito. — Cantava sul tono da pari a pari, anche se con sfumature da conversazione formale. — Nel frattempo, avete mangiato?

— Saremmo liete di offrirvi cibo — cantò Cirocco — ma in verità siamo senza scorte.

— E la mia sorella anteriore non vi ha offerto niente? — Si Bemolle lanciò un’occhiata di rimprovero a Do Diesis, che abbassò le orecchie. — È curiosa e impulsiva, ma non riflessiva. Vi prego di scusarla. — I termini che usò per descrivere la sua relazione con Do Diesis erano complessi. Cirocco capiva la lettera, ma non il significato.

— È stata molto gentile.

— La madre anteriore sarà lieta di saperlo. Volete accettare? Non so quale tipo di cibo voi preferiate, ma se abbiamo qualcosa che vi piace è vostro.

Frugò nella borsa — era di pelle e la portava legata attorno alla vita, quindi non era un marsupio come lei aveva pensato — e ne trasse una cosa marrone-rossiccia, che somigliava vagamente a un prosciutto affumicato. Poi i due titanidi sedettero, incrociando le gambe con grazia; così si sedettero anche Gaby e Cirocco, sotto l’occhio interessato dei due.

Il pezzo di carne passò di mano in mano. Do Diesis fece spuntare una gran quantità di mele verdi. I titanidi se le infilavano in bocca intere e le ingoiavano in un boccone solo. Gaby guardava le mele, perplessa. Osservò Cirocco mentre ne addentava una. All’interno c’era una polpa bianca, succosa, con piccoli semi marroni.

— Forse tra un po’ capiremo tutto — disse Cirocco.

— A me non spiacerebbe avere qualche risposta subito — ribatté Gaby. — Nessuno crederà mai che ce ne stavamo a mangiare mele verdi con due centauri in carne e ossa dalla pelle colorata.

Do Diesis rise. — Gabii intona un canto propiziatorio.

— Sta parlando con me?

— Le piaci come canti.

Gaby sorrise, timida. — Non c’è paragone con te, sembra musica wagneriana. Ma come fai a capirli? E perché hanno quell’aspetto? Anch’io ho sentito parlare di evoluzione parallela, ma dalla vita in su? Ero pronta a tutto, dai palloni gelatinosi a ragni giganti… ma quelli ci assomigliano troppo!

— Be’, c’è qualche differenza…

— Giusto! Ma guarda le facce. Non saranno proprio bellissime, ma le potresti trovare tali e quali sulla Terra. E quello? — Rabbrividì. — Guardalo, e poi dimmi se non è un pene umano.

— Chiedile se possiamo intervenire anche noi — cantò Si Bemolle, allegro. — Non conosciamo le parole, ma possiamo improvvisare un accompagnamento.

Cirocco cantò che doveva parlare ancora un po’ con la sua amica, e che più tardi avrebbe tradotto tutto. Si Bemolle annuì, ma seguì attentamente la conversazione.

— Gaby, non urlare quando mi parli.

— Scusa. — Abbassò lo sguardo e fece uno sforzo per calmarsi. — A me piacciono le cose chiare. Qui non c’è niente che abbia senso. Hai visto le loro mani? Hanno persino le impronte digitali. L’FBI le schederebbe senza fare domande. E se poi potessi spiegarmi come mai riesci a parlare nella loro lingua…

Cirocco allargò le braccia. — Non lo so. È come se la conoscessi da sempre. Cantare è più difficile che ascoltare, ma solo perché la mia gola non ha la conformazione adatta. All’inizio avevo paura, ora non più. Mi fido di loro.

— Anche Calvin si fida degli aerostati.

— È chiaro che mentre dormivamo qualcuno ci ha fatto qualcosa. A me ha dato la conoscenza di questo linguaggio, e qualcos’altro: la sensazione che questo dono non abbia uno scopo malvagio. E più parlo coi titanidi, più mi piacciono.

— Calvin diceva la stessa cosa degli aerostati — le fece notare Gaby, dura. — E tu per poco non lo arrestavi.

— Adesso credo di capirlo un po’ meglio.


Il titanide guaritore, una femmina col nome anche lei in chiave di Si Bemolle, entrò nella loro tenda ed esaminò la gamba di Bill, sotto l’occhio vigile di Cirocco.

I labbri della ferita erano gialli e nerastri. Quando la guaritrice li schiacciò, ne uscì siero.

Il titanide capiva l’apprensione di Cirocco. Frugò in una borsa di pelle che portava appesa sul dorso e tirò fuori una fiasca rotonda piena di un liquido marrone.

— Un forte disinfettante — cantò, e attese.

— Come sta, guaritrice?

— È molto grave. Senza cure, andrà con Gea in pochi decimi di rivoluzione. — Cirocco rifletté un attimo sul termine usato per indicare il tempo: usando un prefisso metrico, era meglio tradurlo con deciriv. Ogni rivoluzione di Gea durava circa un’ora.

Il significato di andrà con Gea era chiaro, anche se il titanide non usò il termine Gea. Indicò contemporaneamente il suo mondo, la Dea che era il mondo, e il concetto di fare ritorno alla terra. Non c’era la minima implicazione di immortalità.

— Forse preferiresti attendere l’arrivo di un guaritore della tua specie — cantò il titanide.

— Bill potrebbe non fare in tempo a vederlo.

— Così è. I miei rimedi dovrebbero uccidere i parassiti più piccoli. Non so se impediranno il funzionamento del suo metabolismo. Ad esempio, non posso prometterti che i miei rimedi non danneggino la pompa che spinge i suoi fluidi vitali, perché non so dove si trovi questa pompa nella tua specie.

— È qui — disse Cirocco, indicando il proprio cuore.

Le orecchie del titanide scattarono in su e in giù. La creatura appoggiò un orecchio al petto di Bill.

— È vero. Gea è saggia, eppure non ci dice perché ruota.

Cirocco era estremamente indecisa. I concetti di metabolismo e di germi non erano cose da stregone; però quei due termini, nel linguaggio dei titanidi, avevano un significato univoco. Eppure anche la guaritrice capiva che le sue medicine potevano far male a un corpo umano.

Ma Calvin non c’era, e Bill stava morendo.

— Perdonami, a cosa servono questi? — cantò la guaritrice. Stringeva il piede di Bill e ne toccava dolcemente le dita.

— Oh, sono… — Cercò invano il termine per definire un prodotto evolutivo atrofizzato. Esisteva una parola che significava evoluzione, ma non si applicava alle creature viventi. — Servono a mantere l’equilibrio, ma non sono indispensabili. Sono imperfezioni di progettazione.

— Ah — rifletté la guaritrice — Gea commette errori, è ben noto. Ad esempio, il mio primo compagno di sesso posteriore, molti miriariv fa. — Impossibile tradurre esattamente l’idea: poteva significare mio marito e al tempo stesso mia moglie, anche se nessuno dei due sensi era esatto.

D’improvviso lei ricordò il vero problema. — Fai quello che puoi per il mio amico — cantò. — Lo affido alle tue mani.

La guaritrice annuì e si mise al lavoro.

Per prima cosa bagnò la ferita col liquido marrone, vi stese sopra una gelatina gialla, e mise una grande foglia sulla pelle, "per scacciare i piccoli esseri che divorano la sua carne". Le speranze di Cirocco salivano e scendevano. Sembrava tutto così primitivo. Ma quando l’essere bendò la ferita, prese bende da pacchetti sigillati e disse che erano state "ripulite dai parassiti".

Mentre stava lavorando, esaminava con estremo interesse il corpo di Bill, emettendo di tanto in tanto un trillo di sorpresa.

— Chi avrebbe mai pensato… un muscolo qui? Con questa attaccatura? È come camminare su un piede rotto… No, non ci credo. — Parlando di Gea disse che era saggia, infinitamente creativa, inutilmente complicata, e maledettamente stupida. Disse anche che di tanto in tanto a Gea piaceva scherzare, questo fissando sbalordita le natiche di Bill.

Alla fine, Cirocco era coperta di sudore. Per lo meno la guaritrice non aveva tirato fuori sonagli o bamboline per il voodoo, né aveva tracciato segni magici sulla sabbia.

Quando ebbe terminato di fasciare la ferita, intonò un canto di guarigione. Quello di certo non poteva far male.

Poi si chinò su Bill, lo circondò con le braccia, lo sollevò dolcemente prendendolo dalla vita e lo strinse al proprio corpo. Gli fece appoggiare la testa sulla propria spalla, poi si chinò fino a che le sue labbra furono vicine all’orecchio di Bill. Lo cullò dolcemente, cantante una ninnananna senza parole.

Poco per volta Bill smise di tremare e la sua faccia riacquistò colore. Appariva tranquillo come non lo era mai stato da che si era ferito.

Dopo qualche minuto, Cirocco avrebbe giurato che sorrideva.

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