16

Erano trascorsi sei giorni dall’attacco degli angeli, e sessantuno da quando si erano risvegliati su Gea.

Cirocco era sdraiata su un tavolo basso coi piedi bloccati da legacci. Calvin era lì da qualche parte, ma lei rifiutava di guardare dove fosse. Ninnananna, la guaritrice dalla bianca criniera, guardava e cantava mentre l’operazione progrediva.

Il suo era un canto lenitivo, ma nulla riusciva a calmarla del tutto.

— La cervice è dilatata — disse Calvin.

— Non so proprio cosa voglia dire.

— Scusami. — Si sdraiò un attimo e Cirocco ne vide gli occhi spuntare poco sopra la maschera chirurgica. Sudava copiosamente. Ninnananna gli asciugò la fronte, e uno sguardo di Calvin mostrò la sua gratitudine. — Puoi spostare più vicino la lampada?

Gaby sistemò meglio la luce tremolante. L’enorme ombra delle sue gambe venne proiettata sulle pareti. Cirocco sentiva il metallico tintinnio degli strumenti quando venivano tolti dalla vaschetta sterilizzata, poi il raschiatoio che strusciava sullo speculum.

Calvin avrebbe voluto strumenti d’acciaio, ma i titanidi non erano in grado di costruirne. Lui e Ninnananna avevano lavorato con i migliori artigiani perché questi gli costruissero quanto voleva in ottone.

— Mi fa male — mugolò Cirocco.

— Le fai male — ripeté Gaby, come se Calvin non riuscisse più a capire l’inglese.

— Gaby, stattene buona o mi dovrò trovare qualcun altro per reggere la lampada. — Cirocco non aveva mai sentito Calvin parlare in tono così aspro. Lui fece una pausa, si deterse il sudore con la manica.

Il dolore non era molto intenso ma persistente e difficile da placare. Lei poteva sentire e avvertire il raschio e strinse i denti fino a farli stridere.

— L’ho preso — disse Calvin a voce bassa.

— Preso cosa? Riesci a vederlo?

— Già. Sei più avanti di quanto pensavo. Hai fatto bene a insistere per intervenire subito. — Riprese il lavoro con attenzione, fermandosi di tanto in tanto per pulire lo strumento.

Gaby si voltò per poter esaminare meglio qualcosa che teneva nel palmo della mano. — Ha quattro zampe — mormorò, e si portò di scatto a fianco di Cirocco.

— Non voglio vederlo. Tienilo lontano da me.

— Posso dare io un’occhiata? — cantò Ninnananna.

— No! — Cirocco stava combattendo contro la nausea e non riusciva a cantare la risposta alla titanide, ma scosse violentemente la testa. — Gaby, distruggi quella cosa — ordinò. — Immediatamente. Chiaro?

— Fatto, Rocky.

Cirocco trasse un profondo respiro che si trasformò in singhiozzo. — Scusami, non avrei dovuto urlare. Ninnananna ha detto che voleva vederlo. Forse avrei dovuto permetterglielo. Forse lei sapeva cosa farne.


Più tardi Cirocco disse che riusciva perfettamente a camminare; ma, secondo i titanidi, per una buona guarigione erano indispensabili il calore di un altro corpo, canti rassicuranti, e il sentirsi cullati. Ninnananna l’accompagnò amorevolmente per strada, sino ai quartieri riservati ai terrestri. La mise a letto, intonando i canti più indicati per i periodi di turbamento psichico. Accanto al suo c’erano altri due letti vuoti.

— Benvenuta alla clinica veterinaria — la salutò Bill. Cirocco riuscì a sorridere, per quanto fosse debolissima, mentre Ninnananna la sistemava sotto le coperte.

— Il tuo amico sta scherzando come sempre? — cantò Ninnananna.

— Sì. Dice che questo è il posto per la cura degli animali.

— Vergogna. Guarire è sempre guarire. Bevi questo, ti calmerà.

Cirocco prese la fiaschetta di vino e bevve. Un calore piacevolissimo si diffuse nel suo corpo. Avevano scoperto che i titanidi bevevano liquidi fermentati, spinti dagli stessi motivi degli uomini, il che era l’unica scoperta gradita degli ultimi sei giorni.

— Ho l’impressione che mi abbia fatto un rimprovero — disse Bill. — Ormai conosco quel tono di voce.

— Ti vuole bene, Bill, anche quando fai il bambino cattivo.

— Speravo di distrarti.

— Grazie per il pensiero. Bill, aveva quattro zampe.

— E io che scherzavo sugli animali. — Si sporse verso di lei e le prese la mano.

— È tutto a posto. Adesso vorrei solo dormire. — Bevve altri due sorsi di vino, e si addormentò.


Gaby trascorse la prima ora dopo l’operazione a dire a tutti che stava bene; poi vomitò ed ebbe la febbre per due giorni. Agosto se la cavò senza inconvenienti. Cirocco era un po’ depressa, ma per il resto si sentiva in forma.

Bill si stava riprendendo bene, però Calvin disse che l’osso non era del tutto a posto.

— Insomma, quanto dovrò restare a letto? — gli chiese Bill. Senza televisione, senza giornali, si annoiava. L’unico svago era la finestra che dava su una strada di Titantown. Ninnananna stava imparando l’inglese, ma i suoi progressi erano molto lenti.

— Almeno altre due settimane.

— Mi dà l’impressione che potrei farlo anche subito.

— Forse potresti farlo, ma se ti alzassi e ti mettessi a camminare, l’osso si romperebbe di nuovo. No; due settimane come minimo.

— E se lo portassimo fuori? — chiese Cirocco. — Ti andrebbe, Bill?

Trascinarono Bill e il suo letto sotto una delle enormi fronde d’albero che rendevano Titantown invisibile dall’alto, e che offrivano qualcosa di vagamente simile alla notte. I titanidi, comunque, tenevano sempre illuminata la città con lampade artificiali.

— Hai visto Gene, oggi? — chiese Cirocco.

— Dipende da cosa vuoi dire con oggi — rispose Calvin con uno sbadiglio. — Dovresti avere ancora tu il mio orologio.

— Ma l’hai visto o no?

Calvin scosse la testa. — No, è un po’ di tempo che non lo vedo.

— Chissà cosa starà facendo.

Calvin aveva trovato Gene seguendo il corso dell’Ofione. Si erano incontrati sulle montagne Nemesi di Crio, la regione diurna a ovest di Rea. Gene aveva detto di essere riemerso in una zona di transizione fra notte e giorno, e di aver sempre camminato in cerca degli altri.

Sosteneva di essersi limitato a "sopravvivere", quando lo interrogavano su cosa avesse fatto. Cirocco non ne dubitava, ma si chiedeva cosa significasse esattamente quel verbo. In quanto al periodo trascorso in privazione sensoriale, Gene diceva di essersi sentito preoccupato all’inizio e di essersi poi calmato, una volta capita la situazione.

Cirocco non era sicura che lui sapesse bene cosa significava quanto andava dicendo.

All’inizio era contenta che ci fosse qualcun altro che sembrava, come lei, di aver risentito poco dal cambiamento. Gaby continuava ad agitarsi nel sonno. Bill aveva buchi di memoria, pensieri che forse tornavano lentamente. Agosto era cronicamente depressa e con tendenza al suicidio. Calvin era felice però preferiva starsene da solo. Solo lei e Gene sembravano non averne risentito.

Però anche lei aveva subito cambiamenti misteriosi: ad esempio, era in grado di comunicare coi titanidi. Era convinta che anche a Gene fosse successo qualcosa di cui non voleva parlare, e ne cercava i segni.

Lui sorrideva moltissimo. Diceva a tutti che si sentiva bene, anche se nessuno glielo chiedeva. Era amichevole, a volte fin troppo insistente.

Decise che doveva trovarlo e tentare, ancora una volta, di parlare con lui di quei due mesi trascorsi nelle tenebre.


Titantown le piaceva.

Sotto gli alberi, la temperatura era calda e secca. Poiché a Gea il calore saliva dal terreno, la volta altissima lo intrappolava all’interno. Per mantenere il corpo sufficientemente fresco l’ideale era indossare una camicia leggera e camminare a piedi scalzi. Le strade erano illuminate da lanterne di carta che le ricordavano le lanterne giapponesi. Il fondo stradale era in terra battuta, inumidito da strani vegetali che emettevano una pioggerellina sottile ogni rivoluzione di Gea, diffondendo un profumo piacevolissimo. Ai lati delle strade i fiori erano talmente numerosi che i petali cadevano a terra di continuo. Crescevano benissimo anche in quella tenebra perpetua.

I titanidi non avevano mai sentito parlare di piani regolatori. Le case sorgevano sul terreno, sottoterra, e persino sugli alberi. Le strade nascevano dóve il traffico era più intenso. Non c’erano insegne né le strade avevano nomi; un’eventuale mappa cittadina sarebbe stata ben presto coperta dalle correzioni apportate dalle case che sorgevano nel mezzo di una strada costringendo i pedoni a cercarsi nuovi varchi fino a quando si stabiliva un nuovo, precario equilibrio.

Tutti avevano una canzone di saluto per lei.

— Ciao, Mostro-della-Terra! Ancora in equilibrio, vedo.

— Oh, guarda, Due-gambe! Vuoi festeggiare con noi?

— Chiedo scusa — cantava lei in risposta. — Ho affari urgenti da sbrigare. Avete visto Maestrocantore?

Cirocco si divertiva a tradurre così le loro frasi, anche se nella lingua dei titanidi non esistevano insulti.

E poi era molto difficile rifiutare i loro inviti. Per loro, la cucina era la forma artistica più sublime; e dopo due mesi a base di frutta e carne cruda, quei cibi erano divini, considerando anche il fatto che i terrestri potevano ingerire qualsiasi cibo andasse bene per i titanidi.

Alla fine, dopo molte difficoltà, trovò l’edificio che lei chiamava municipio. Era il municipio semplicemente perché ci viveva Maestrocantore, e Maestrocantore fra i titanidi rappresentava l’autorità più alta. Era un signore della guerra, ma anche quello entro certi limiti. Il giorno dell’attacco degli angeli aveva guidato i suoi alla battaglia, ma da allora in poi si era comportato come chiunque altro.

Cirocco voleva chiedergli se sapesse dove si trovava Gene, ma non fu necessario. Gene era già lì.

— Rocky, come sono contento di vederti. — L’abbracciò e le diede un bacio sulla guancia, fatto per cui lei si sentì irritata.

— Maestrocantore e io stavamo discutendo su alcune cose che potrebbero interessarti.

— Riesci a parlare con loro?

— Il suo canto è atroce — rispose Maestrocantore — simile a quello delle genti di Crio. Ha un orribile senso del tempo… Ma riusciamo a cantare assieme, in un certo senso.

— Capisco abbastanza di quello che dice — cantò ridendo Gene. — Considera comunque che mi parla come fossi un bambino un po’ ritardato.

— Perché non me l’hai detto, Gene? — gli chiese lei, fissandolo negli occhi.

— Non credevo che fosse importante — rispose lui, e abbassò lo sguardo. — Ho avuto anch’io una dose di quello che hai avuto tu, ma con me non ha funzionato molto bene.

— Ti ho solo chiesto perché non me l’hai detto prima, tutto qui.

— Chiedo scusa, va bene? — Sembrava irritato. Ma era assurdo pensare che sperasse di conservare il segreto. Era comunque strano che l’avesse lasciata all’oscuro di quella particolarità.

— Gene mi ha raccontato cose molto interessanti — cantò Maestrocantore. — Ha tracciato linee sul mio tavolo, ma per me hanno poco senso. Amerei capire, e ti prego di dissipare le tenebre col tuo canto chiaro.

— Sì, Rocky, provaci tu. Questo scemo non capisce niente.

Cirocco lanciò un’occhiata dura a Gene, prima di ricordare che i titanidi non capivano l’inglese. Comunque restava sempre una frase infelice: Maestrocantore era tutt’altro che stupido. Il titanide era inginocchiato davanti a un tavolo basso, del tipo che la sua razza amava molto. Il suo pelo, lungo qualche centimetro, era arancione, la pelle color cioccolato, gli occhi grigi. Le facce dei titanidi, che all’inizio le sembravano tutte uguali, adesso le apparivano espressive come quelle umane; comunque ora riusciva benissimo a distinguerli senza più dover fare riferimento al colore; anche se secondo i suoi canoni le loro erano sempre facce femminili, a prescindere dal pene.

Gene aveva usato i loro colori ornamentali per tracciare una mappa sul tavolo di Maestrocantore. Due linee parallele correvano a est e a ovest, e altre linee suddividevano in rettangoli lo spazio intermedio. Era la carta di una parte di Gea vista dall’alto.

— Qui c’è Iperione — disse Gene, indicando con l’indice sporco di tintura rossa. — A ovest, Oceano; a est, Rea. Ci sono cavi di sostegno qui, qui e qui. I titanidi vivono a Iperione est e Crio ovest. Però a Rea non ci sono angeli. E lo sai perché, Rocky? Perché vivono nei raggi.

— Ma che scopo ha questa carta?

— Un attimo di pazienza. Traduci, per favore.

Lei fece del suo meglio. Dopo diversi tentativi, Maestrocantore parve interessato. Appoggiò il dito su una linea tracciata da Gene.

— Allora questa è la grande scala verso il cielo vicina al nostro villaggio?

— Sì. E questa è Titantown.

Maestrocantore aggrottò le sopracciglia. — Perché non riesco a vederla?

— Ora te lo dico — disse Gene in inglese. — Perché non l’ho ancora segnata — cantò. E con altro colore fece un’altra macchiolina accanto a quella più grande.

— Com’è possibile che queste linee uccidano tutti gli angeli? — chiese Maestrocantore.

Gene guardò Cirocco. — Ha chiesto come mai il disegno non è completo nei particolari?

— No, ha chiesto cosa c’entra la tua mappa col fatto di uccidere gli angeli. E adesso ti pongo una domanda io: cosa diavolo vuoi combinare? Ti proibisco di proseguire questa discussione. Non ricordi la Convenzione di Ginevra? Non possiamo aiutare né gli uni né gli altri.

Gene restò in silenzio per un attimo, senza guardarla. Poi le rispose con estrema tranquillità.

— E tu non ricordi la strage cui abbiamo assistito, o non te ne sei nemmeno accorta? I titanidi hanno avuto sedici morti. Gli angeli due, più un ferito.

— Tre. Tu non hai visto cos’è successo al terzo. — Il ricordo la faceva ancor star male.

— Non fa differenza. Il punto è che gli angeli hanno usato una nuova tattica. Si sono fatti portare sul dorso da Finefischio. All’inizio abbiamo pensato che si fossero alleati con gli aerostati, ma anche Finefischio era sconvolto. Gli aerostati sono neutrali. Gli angeli gli sono saltati addosso durante un temporale, e lui non se n’è nemmeno accorto, perché pensava che si trattasse di acqua, e l’acqua lo fa diventare più pesante. In genere aumentano d’almeno due tonnellate.

— Cosa stai cercando di fare? Vuoi mettere in piedi un’alleanza? Non ne hai il potere, capito? Io posso farlo, come Comandante.

— Forse dovrei ricordarti che la tua nave non esiste più.

Se avesse voluto ferirla non avrebbe potuto vibrare colpo migliore. Si rischiarò la gola e continuò: — Gene, non siamo qui nel ruolo di consiglieri militari.

— Volevo solo mostrar loro un po’ di cose. Ad esempio questa mappa. Senza una mappa non può esistere una strategia. Ci vorrà anche qualche tattica nuova, ma…

Maestrocantore uscì nel fischio acuto che era l’equivalente dello schiarirsi la gola, e Cirocco ricordò all’improvviso che c’era anche lui.

— Chiedo scusa — disse il titanide. — Questo disegno è davvero bello. Lo dipingerò sul mio petto alla prossima riunione delle tre città. Ma stavamo parlando di come uccidere gli angeli. Vorrei sapere qualcosa della polvere grigia di violenza di cui si discuteva prima.

— Gesù, Gene! — esplose Cirocco; poi rimise sotto controllo la voce. — Maestrocantore, il mio amico ha una padronanza scarsa del vostro canto. Deve essersi espresso male. Non conosco una polvere simile.

— Allora parliamo dello strumento che scaglia in aria le frecce, più in alto di quanto non arrivi la mia mano. — Gli occhi di Maestrocantore erano due polle tranquille.

— Scusami un attimo. Devi aver capito male. — Cirocco si voltò verso Gene, cercando di mantenere la calma. — Vattene. Parleremo dopo.

— Rocky, volevo solo…

— È un ordine, Gene.

Lui esitò. Tutti e due erano esperti di combattimento corpo a corpo; difficile prevedere chi potesse vincere.

Poi Gene si rilassò, picchiò il pugno sul tavolo e uscì. Maestrocantore aveva seguito tutta la scena, e ai suoi occhi non sfuggiva niente.

— Mi scuso se ho causato un flusso di sensazioni spiacevoli fra te e il tuo amico — cantò il titanide.

— Non è stata colpa tua — rispose lei. Aveva le mani gelate ora che il pericolo di uno scontro diretto con Gene era passato. — Ora ti chiedo: credi a me o a Gene?

— Ammettilo, Rah-kii, sembrava che tu avessi qualcosa da nascondere.

Cirocco si mordicchiò le nocche mentre pensava come rispondere. Il titanide era sicuro che stava mentendo. — Hai ragione — cantò lei dopo un po’, sperando che l’altro non avesse capito troppo. — Noi possediamo una forza violenta che potrebbe distruggere questa città per intero. Conosciamo segreti di distruzione di cui mi vergogno, cose che potrebbero togliere per sempre l’aria dal vostro mondo disperdendola nel freddo dello spazio.

— Queste cose non ci servono — cantò Maestrocantore. — Basterà la polvere.

— Non posso dartela. Non l’abbiamo portata con noi.

Il titanide meditò a lungo prima di rispondere.

— E il tuo amico Gene pensava che fosse possibile fabbricarla. Noi sappiamo usare molto bene la legna, e conosciamo la chimica delle cose viventi.

Cirocco sospirò. — Probabilmente hai ragione. Ma non posso svelarvi i nostri segreti.

Maestrocantore l’osservava in silenzio.

— Non è per i miei sentimenti personali — spiegò Cirocco. — Coloro che sono sopra di me, i saggi della mia gente, hanno deciso che sia così.

— Se lo comandano i tuoi saggi, non puoi decidere altrimenti. — Maestrocantore rifletté. — Il tuo amico Gene non possiede altrettanto rispetto degli anziani. Se glielo chiedessi di nuovo, potrebbe svelarmi i segreti della vittoria.

Il cuore le balzò in petto, ma cercò di non darlo a vedere.

— Gene ha dimenticato molte cose, che io gli ho ricordato. Il suo viaggio è stato difficile. I suoi pensieri si erano come dispersi, ma ho provveduto a ricordargli i suoi doveri.

— Capisco. — Il titanide restò di nuovo a riflettere, poi le offrì un bicchiere di vino, che lei accettò volentieri. — Non credo che sarebbe molto difficile costruire un lanciafrecce. Un bastone flessibile con le estremità congiunte da una striscia di pelle.

— Sono sorpresa che non lo conosciate già. Avete macchine molto più complesse.

— Abbiamo qualcosa di simile che i ragazzi usano per giocare.

— Ad ogni modo, non capisco perché combattete contro gli angeli. Qual è il motivo della vostra guerra?

Maestrocantore fece un smorfia. — Sono angeli.

— E non esiste nessun altro motivo? Ma voi non mi sembrate razzisti. Non provate nessuna avversione per me e i miei amici, o per gli aerostati, o per gli yeti di Oceano.

— Loro sono angeli — ripeté il titanide.

— Non volete vivere sulla stessa terra?

— Gli angeli non potrebbero far succhiare i seni di Gea ai loro piccoli, se lasciassero le alte torri che occupano. E noi non potremmo vivere attaccati alle pareti di Gea.

— Ma allora non combattete per alcun motivo concreto. Si tratta di una lotta religiosa? Adorano un altro Dio?

Maestrocantore rise. — Adorare? Che termine strano. Esiste una sola Dea, anche per gli angeli. Gea è nota a tutte le razze che la abitano.

— Non capisco proprio. Perché combattete?

Il titanide rifletté a lungo. Quando le rispose, la sua voce aveva un tono triste.

— Fra tutte le cose della nostra vita, questo è proprio quello che vorrei chiedere a Gea. Tutto capisco: che si debba morire e tornare a essere fango: a questo non ho nulla da obiettare, né amarezze; che il mondo sia un cerchio e che i venti soffino quando Gea respira; che si debba soffrire la fame, o che il grande Ofione si inaridisca, o che il vento gelido dell’ovest ci congeli. Queste sono cose che accetto, perché non credo che io saprei fare di meglio. Gea deve badare a molte terre, e di tanto in tanto il suo sguardo si sposta altrove. Non mi lamento quando i grandi pilastri del cielo crollano, e il mondo trema come se dovesse frantumarsi. Ma quando Gea respira e l’odio cala su di me, io non ragiono più. Ho guidato il mio popolo in battaglia senza accorgermi che la mia figlia anteriore cadeva al mio fianco. Per me era un’estranea, perché il cielo era pieno di angeli e si doveva combattere. È solo più tardi, quando l’ira ci abbandona, che contiamo i morti. E stato allora che ho scoperto che la figlia della mia carne era stata ferita dagli angeli, ma uccisa dai piedi della mia gente. Questo è successo cinque respiri fa. Il mio cuore si è ammalato, e temo che non guarirà mai più.

Cirocco, senza mormorare una parola, restò a guardare Maestrocantore che si allontanava, singhiozzando. Forse non erano singhiozzi umani, ma la differenza non era poi troppo grande. Dopo un po’ il titanide tornò a sedersi davanti a lei, stanchissimo.

— Combattiamo quando ci prende la furia. E non smettiamo fino a quando gli angeli non sono tutti morti o tornati alle loro dimore.

— Hai parlato del respiro di Gea. Non lo conosco.

— Ne hai udito il gemito. Scende dalle torri celesti. È freddo da ovest e caldo da sud.

— Non avete mai provato a parlare con gli angeli? Non ascoltano il vostro canto?

— E chi potrebbe cantare con gli angeli? E quale angelo ascolterebbe?

— Forse perché nessuno ha mai provato. Se riusciste a sedere assieme e fare ascoltare a loro i vostri canti, forse verrebbe la pace. — Fra i titanidi, "pace" era un vocabolo banale, indegno di ogni commento; ma non esisteva un sinonimo riferito anche agli angeli.

— La mia gente non ha nemici di altre specie — disse Cirocco. — Noi combattiamo fra di noi. Comunque abbiamo trovato molti sistemi per risolvere questi conflitti.

— Per noi non è un problema. Noi siamo in grado di controllare l’ostilità in seno alla nostra specie.

— Forse in questo campo potreste insegnarci qualcosa. Da parte mia, vorrei trasmettervi un poco della nostra saggezza. A volte le due parti sono talmente ostili che non riescono a parlare fra loro. In questo caso, usiamo una terza parte neutrale.

Lui inarcò un sopracciglio, poi li abbassò entrambi con aria sospettosa. — Ma se questo funziona, come mai avete bisogno di così tante armi?

Lei fu costretta a sorridere. Non era possibile che qualcosa sfuggisse ai titanidi.

— Perché non sempre funziona. A volte i nostri guerrieri cercano di distruggersi l’uno con l’altro. Ma le nostre armi sono diventate talmente potenti che da molto tempo nessuno di noi le usa più. Abbiamo imparato l’arte della pace. Ormai sono circa… sessanta miriariv che possediamo armi in grado di distruggere il nostro mondo, ma non lo abbiamo ancora fatto.

— È solo un battito della pupilla di Gea — cantò il titanide.

— Non sto parlando a vanvera. È terribile vivere con la consapevolezza che non solo… la tua madre anteriore ma anche i tuoi amici e i vicini potranno essere distrutti, e anche tutto il resto potrebbe scomparire per sempre.

Maestrocantore annuì, serio.

— Sta a te decidere. La mia gente può offrirti altre guerre, oppure una possibilità di pace.

— Capisco — cantò lui, preoccupato. — È una decisione grave.

Le ombre si addensavano nella stanza. Cirocco sapeva che nella testa del titanide si agitavano ancora le promesse di Gene.

— E dove potrei trovare una parte neutrale che tratti fra noi due? Io credo che subirebbe i colpi di entrambi.

— Ti offro i miei servigi come rappresentante legale delle Nazioni Unite — rispose Cirocco, allargando le braccia.

Il titanide la scrutò. — Non vorrei essere offensivo, ma non ho mai udito questo nome. Perché dovrebbero interessarsi alla nostra guerra?

— Alle Nazioni Unite interessano tutte le guerre. Ed è praticamente impossibile che ottenga risultati perfetti, come per tutti noi, del resto.

— Cosa vorresti fare per noi?

— Voglio arrivare a Gea, quindi devo attraversare comunque il territorio degli angeli. E odio la guerra.

Maestrocantore parve, per la prima volta, impessionato. Era chiaro che il concetto che aveva di Cirocco doveva essere cresciuto parecchio.

— Non hai mai confessato di essere una pellegrina. Questo getta una luce nuova sulle cose. Forse sei pazza, ma è una follia sacra. — Protendendosi in avanti, prese la sua testa fra le mani, le baciò la fronte. Era il gesto più rituale che Cirocco avesse mai visto compiere da un titanide, e ne fu commossa.

— Vai, dunque — disse Maestrocantore. — Non penserò più ad altre armi. La situazione è già abbastanza orribile, non occorre pregiudicare il sentiero della distruzione.

Meditò un attimo, come ritraendosi in se stesso.

— Se davvero tu riuscissi a vedere Gea, vorrei che le chiedessi perché mai la mia figlia anteriore doveva morire. Se lei non dovesse risponderti, dalle uno schiaffo in faccia e dille che lo schiaffo viene da Maestrocantore.

— Lo farò. — Sollevata, allegra, Cirocco fece per andarsene. Era stranamente meno preoccupata del futuro in quel momento di quanto lo fosse stata negli ultimi due mesi. Poi una curiosità la bloccò sulla soglia. — Cosa significa quel bacio? — chiese.

Il titanide alzò gli occhi.

— Era il bacio destinato ai morti. Se te ne vai, non ti rivedrò mai più.

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