CAPITOLO 15


Non mi sorpresi di trovarmi all’improvviso qualche metro al di sopra del fondo marino: ero «all’aperto».

Il corridoio che avevamo appena lasciato era scavato in un pendio roccioso… anzi, lo stesso passaggio era tutt’altro che orizzontale, come adesso potevo vedere benissimo. Non mi ero accorto di nuotare in salita, durante il percorso. A pensarci bene, non c’era motivo perché l’avessi notato.

Qualche metro sotto di me si estendeva, fino a perdita d’occhio, un tratto di fondale oceanico. Quando uscii dalla galleria potei vedere che era ben illuminato. Alzai la testa e vidi, una quindicina di metri più sopra, la superficie lucente del «tendone». In quanto al fondo, si sarebbe detto che si trovava a una profondità di un metro e mezzo d’acqua, non di oltre un chilometro e mezzo. Era coperto di vegetazione.

Non riconobbi nessuna delle piante, ma era logico. Avrei potuto imparare un po’ di biologia descrittiva, o di storia naturale, o come si chiama, se fossi nato prima che l’alterazione dei geni diventasse di dominio comune: ma così, non ne sapevo niente. Presumibilmente, quella vegetazione era stata confezionata su misura per fornire l’alimentazione alla popolazione locale, e la luce serviva per far crescere le piante.

Era una giustificazione per i chilowatt sprecati valida quasi quanto quella che mi aveva dato Bert. Una volta sola, parecchi anni prima, avevo assaggiato del cibo naturale confiscato ad uno sprecatore, e avevo capito quell’individuo. Avevo dovuto ripetermi con molta fermezza i precetti morali, parecchie volte al giorno, per settimane intere. Alla fine, avevo ritrovato il mio risentimento sano e normale nei confronti di coloro che sfruttano le risorse per concedersi piaceri negati a tutti noi: ma mi era stato difficile.

Bert e gli altri stavano scendendo verso il fondo, diviso in appezzamenti approssimativamente rettangolari, ognuno dei quali comprendeva piante di una varietà diversa. C’erano in giro molti sommozzatori. Alcuni mangiavano, altri lavoravano. L’esatta natura del loro lavoro mi restò oscura, in parte perché erano lontani, in parte perché io non m’intendevo di agricoltura più di quanto ne sapesse chiunque altro, da un secolo circa.

I miei accompagnatori, adesso, strappavano escrescenze verdognole e tondeggianti dalle piante, e le mordevano. La ragazza me ne offrì una, e stette ad osservare con aria divertita mentre io la scrutavo e provavo ad addentarla cautamente.

Non sapevo stabilire se mi piaceva o no. Era molto diversa dalle comuni alghe coltivate in vasca e non aveva nulla in comune con il sapore proibito di tanti anni prima, ma era interessante. Provai a dare un altro morso: decisi che era buona e la finii. La ragazza mi mostrò come coglierne altre dalla pianta senza troppa fatica… bisognava storcere le escrescenze in un certo modo, prima che i piccioli robusti cedessero. Poi mi lasciò a me stesso, e mangiò a sua volta alcuni di quei frutti.

Poi mi fece segno di seguirla e mi precedette verso un altro appezzamento, mi mostrò un frutto diverso. Nel giro di un quarto d’ora, consumai un pasto molto soddisfacente.

Mi chiesi quale, tra quei vegetali, era la fonte d’ossigeno, se pure era uno di essi. Forse lo erano tutti, dato che erano verdi e presumibilmente basati sulla fotosintesi; ma nessuno liberava le bollicine visibilmente, come facevano sempre le vasche delle alghe alimentari. Decisi di non preoccuparmi per l’ossigeno: gli amici di Bert non avevano ragione di uccidermi in un modo così indiretto e scomodo, privandomene. Avevano già avuto anche troppe occasioni per farlo, se avessero voluto.

All’improvviso, mi resi conto che ormai consideravo Bert tra gli abitatori del luogo. Non credo alla maggior parte di quello che ho letto a proposito del subconscio — mi sembra troppo simile all’astrologia, all’alcol e agli altri pretesti che dovrebbero servire a giustificare l’incapacità e la trascuratezza — ma quando ripensavo consciamente agli eventi di quelle ultime ore, sembrava sempre più evidente che fosse ragionevole, da parte mia, cambiare atteggiamento. Bert aveva l’aria di considerarsi più un cittadino del luogo che un dipendente del Consiglio con una missione da compiere, e forse io avevo assorbito la sua mentalità, senza neppure rendermene ben conto.

C’era il modo con cui sceglieva le parole, per esempio. Io avevo prestato attenzione a ciò che diceva, più che al modo preciso con cui lo diceva, ma adesso, a ben pensarci, avevo sentito una quantità di «noi» che non avrebbero dovuto trovar posto nei ragionamenti di un devoto funzionario del Consiglio, date le circostanze… soprattutto se era veramente sicuro che io soltanto potevo leggere quello che mi scriveva.

Forse Marie non era poi tanto irragionevole, dopotutto.

Guardai Bert. Stava mangiando, come gli altri, ma sembrava prendere scarsamente parte alla conversazione intrecciata dalle mani libere di quelli che mangiavano.

Non mi rimprovero di non aver notato niente di significativo, sul momento. Se mai, mi sentivo rassicurato: confermava quanto mi aveva detto, e cioè che non aveva imparato molto del linguaggio locale.

Ma dopo il pasto, ricominciai a sentirmi inquieto. Bert mi portava dovunque mostrassi intenzione di andare. E spiegava, in modo convincente, tutto quello che gli chiedevo. Il tendone che formava il tetto, per esempio. Quando scrissi una domanda in proposito, la sua faccia diventò di uno strano colore violaceo: quando riacquistò una tinta normale, scrisse: «Attento. Con i polmoni pieni di liquido, ridere può ucciderti. Quando ti hanno trasformato hanno reciso un nervo-chiave del riflesso della tosse, ma se non sei prudente, puoi ancora ridere.»

«Cosa c’è di strano nella mia domanda?»

«Be’, capisco da dove hai preso l’idea di un telone steso qui sopra, ma ti assicuro che nessuno si è preso un simile disturbo. Quello che tu vedi è semplicemente il contatto tra i liquidi.»

«Perché qui non sembra lo stesso che alle entrate, traslucido anziché trasparente? E perché ci sono entrate speciali, fra l’altro?»

«Manteniamo trasparenti le entrate. Ma l’area, per questo, è troppo vasta sopra le colture: parecchie miglia quadrate. I sedimenti oceanici continuano a posarsi sul fondo, e le sostanze formatesi nelle colture tendono invece a salire. Una piccola percentuale, molto piccola, per fortuna, ha un densità intermedia tra quella del nostro liquido e l’acqua, e perciò si raccoglie nel punto di contatto. Per la verità, lì cresce parecchia materia vivente, anche se si tratta solo di essermi unicellulari. Se ce ne fosse di più, dovremmo rimuoverla per permettere che la luce arrivasse fino alle piante, e non sarebbe un’impresa da poco.»

Avrei dovuto chiedergli allora, lo so, perché le lampade erano nell’acqua, anziché laggiù, più vicine alle piante. Ma fu una delle cose che non feci. Se lui mi avesse risposto, mi avrebbe risparmiato molto imbarazzo, in seguito, anche se non sono ancora certo che sarebbe stato disposto a fornirmi la spiegazione. Suppongo che l’avrebbe fatto, ora che capisco le ragioni che l’avevano indotto a comportarsi in quel modo.

Quando io accennai alla centrale elettrica, Bert si avviò immediatamente, sempre seguito dagli stessi quattro accompagnatori. Mi chiesi se erano guardie o agenti segreti, o semplicemente curiosi sfaccendati, ma non dedicai molto tempo a quel dubbio. Era impossibile accertarlo o formulare un’ipotesi decente. Comunque, ora che c’era in programma la visita alla centrale elettrica, nessun altro problema mi sembrava interessante.

Dopo un po’ raggiungemmo la prima grossa porta chiusa che avessi visto dopo essere uscito dalla capsula. Era molto simile a quella da cui la mia sfera era passata nella sala operatoria. Bert rivolse alcuni gesti ai nostri accompagnatori: quelli cominciarono a conversare tra loro piuttosto a lungo, ma lui non aspettò che avessero finito. Cominciò ad aprire piccoli sportelli nella parete della galleria, e ne tirò fuori mute simili a quelle che usavano fuori, nell’oceano. Erano munite di caschi.

«Qual è la ragione per metterle? La temperatura?» scrissi io, quando Bert mi indicò a gesti di indossarne una.

«No. Probabilmente non l’hai ancora scoperto, e per il tuo bene mi auguro che non lo scopra: ma, immersi come siamo nel liquido, siamo estremamente sensibili alle onde sonore intense.» Non lo interruppi per riferirgli la mia esperienza, ma una volta tanto ero certo che mi raccontava la verità senza abbellimenti. «La centrale elettrica è molto efficiente, ma c’è ancora una traccia di rumore… più che sufficiente per uccidere un individuo non protetto. Metti la muta e assicurati che sia stagna.»

Obbedii. Fu piuttosto difficile; l’indumento non era semplice come sembrava a prima vista. Una delle fibbie aveva un orlo tagliente, e mi aprì una ferita piuttosto profonda su una mano; mi chiesi quale servizio di controllo della qualità avrebbe potuto sopportare un simile difetto di fabbrica. Le gocce di sangue sembravano un po’ strane: globuli rossovivo che si innalzavano dalla ferita. Ma era una lesione di poco conto. Prima che Bert avesse risolto il mio problema con la fibbia, aveva già finito di sanguinare.

Lui controllò meticolosamente la mia muta, soprattutto le giunture ai polsi e al casco. Anche gli altri si erano vestiti e si stavano ispezionando a vicenda. Con gesti che persino io riuscii ad interpretare, segnalarono che il controllo era ultimato, e Bert si girò verso la porta.

Azionò un quadrante laterale, e la grande valvola, capace di lasciar passare un piccolo sommergibile da lavoro, si aprì senza difficoltà. Bert ci accennò di passare, attese che avessimo varcato la porta e poi la chiuse dietro di noi. Ebbi ancora un volta l’impressione che avesse un’aria non solo di familiarità, ma di autorità. Com’era possibile che, in un solo anno, un agente del Consiglio avesse guadagnato la fiducia completa di quella gente? Tra tutti gli abitanti della Terra, un agente del Consiglio della Commissione per l’Energia era quello che più logicamente avrebbe dovuto opporsi a loro e al modo di vita. Possibile che fosse stato in contatto con costoro prima ancora di scomparire, un anno prima? Possibile che avesse ragione Marie? E se aveva ragione lei, in che pasticcio mi stavo cacciando? Mi ero fidato completamente di Bert Wheltsrahl, quando l’avevo visto laggiù per la prima volta, ed avevo accantonato quasi tutte le affermazioni di Marie, pensando che venivano da una donna resa quasi isterica dall’angoscia. Mi era sembrato verosimile che il suo Joey (be’, anche se lui non si era mai considerato una proprietà di Marie) non fosse mai arrivato lì. Potevano capitare parecchie altre cose, per causare la scomparsa di un sommergibile monoposto nel Pacifico.

Adesso me lo domandavo, un po’ turbato. Ma c’erano altre cose che richiamavano la mia attenzione.



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