CAPITOLO 12


Mi svegliai con la testa abbastanza limpida. Ero disteso su una branda, in una stanzetta dove c’erano altri due letti e poco altro. Non c’era nessuno.

Mi avevano tolto gli abiti, ma li avevano ripiegati e deposti in una sorta di incrocio fra un cesto per la biancheria e uno schedario, vicino alla testata del letto. Un altro ricettacolo conteneva un paio di calzoni come quelli che avevo visto addosso a molti uomini intorno alla mia capsula. Dopo un istante di riflessione, li infilai: gli altri miei indumenti non erano fatti per nuotare. Scesi dalla branda, in piedi sul pavimento, sebbene mi sentissi la testa un po’ strana.

Pensai che non potevo sentire un peso sufficiente per permettermi di stare ritto, date le circostanze; ero presumibilmente immerso in un liquido più denso dell’acqua, e quindi più del mio corpo. Mi passò per la mente un’idea; frugai nelle tasche dei miei vecchi indumenti, trovai un coltello a serramanico e lo lasciai andare.

E difatti, cadde passando davanti alla mia faccia. Io ero in piedi sul soffitto, dov’erano sistemate anche le brande.

Provai a seguire a nuoto il coltello, che era andato a fermarsi sul pavimento-soffitto, una cinquantina di centimetri al di fuori della mia portata. Fu un grosso sforzo, ma non impossibile. Adesso capivo perché tutti quelli che avevo visto là sotto portavano le cinture zavorrate. Comunque, non ne vidi nessuna, in giro; per il momento, se volevo spostarmi dovevo camminare. Prometteva di essere una faccenda abbastanza scomoda, poiché il liquido era abbastanza viscoso, sebbene meno dell’acqua. Inoltre, la struttura architettonica non era stata progettata per i pedoni; una delle porte d’accesso alla stanza era situata in una parete ed era facilmente accessibile, ma l’altra era nel pavimento… cioè, il pavimento nella cui direzione era rivolta la mia testa e su cui era andato a finire il mio coltello a serramanico. Date le circostanze, decisi di aspettare che Bert o qualcun altro venisse a portarmi zavorra e pinne. La decisione fu facilitata dal fatto che non mi sentivo ancora a posto, a parte la differenza di opinioni tra i miei occhi ed i miei canali semicircolari circa l’ubicazione dell’alto e del basso. Anzi, i canali sembravano incapaci di decidere, e all’improvviso mi resi conto che anch’essi dovevano aver subito un intervento chirurgico. Non potevano essere stati lasciati così, pieni d’aria… o sì? Quanto era forte l’osso, e come proteggeva i canali, tra l’altro?

Tastandomi il collo e intorno alle orecchie trovai parecchi punti dove la pelle era ricoperta dalla plastica liscia delle bende adesive, ma questo non dimostrava gran che. Era sempre stata evidente la necessità di una modificazione delle orecchie.

Non sentivo il desiderio di respirare; dovevano avermi fatto ingerire un quantitativo di sostanza generatrice d’ossigeno, nel corso del procedimento. Mi chiesi per quanto tempo sarebbe durata quella riserva.

All’improvviso mi resi conto di essere completamente in balia di chiunque intendesse esercitare una supremazia su di me, perché non sapevo dove e come procurarmi la sostanza necessaria. Avrei dovuto discuterne con Bert, e al più presto.

Provai a respirare, a forza. Mi accorsi che riuscivo soltanto ad espellere lentamente il liquido dai polmoni, e a riassorbirlo altrettanto lentamente: ma era doloroso, e mi dava le vertigini, assai più che trovarmi simultaneamente a testa in giù ed a piedi in giù. Il liquido mi entrò nella trachea: lo sentii, ma non provai la tendenza a tossire. Sono ancora convinto che quella fosse stata una delle parti più difficili della procedura di conversione, considerando l’attività muscolare e nervosa che il tossire comporta.

La presenza del liquido nella mia trachea, sebbene prevista, sollevava un’altra questione. Non potevo parlare, di sicuro, e non conoscevo il linguaggio dei segni che lì era d’uso corrente… non sapevo neppure su quale lingua parlata fosse basato. Avrei avuto il mio da fare, per comunicare con gli abitanti locali. Forse sarebbe stato meglio trovare il modo di superare quella difficoltà; se avessi saputo da Bert quel che mi interessava, le lezioni di lingua sarebbero state uno spreco di tempo.

Comunque, potevo udire. I suoni erano abbastanza strani, ma uno di essi poteva essere il ronzio di motori o generatori ad alta velocità. C’erano sibili, tonfi, fischi… quasi tutto, insomma: ma non ce n’era uno che fosse esattamente familiare, e una particolare classe di rumori era del tutto assente. Mancava il brusio delle voci che permeava tutti gli altri luoghi abitati della Terra.

Passò quasi un’ora, secondo il mio orologio, prima che comparisse qualcuno (l’orologio era un congegno a stato solido e ad energia radioattiva, e non era stato creato per resistere alle profondità dei fondali oceanici, ma aveva resistito benissimo). Trascorsi gran parte di quell’intervallo maledicendo me stesso: non per essermi sottoposto alla metamorfosi, ma per non avere approfittato del tempo tra la decisione e l’azione estorcendo a Bert altre informazioni.

La nuova arrivata era giovane e molto decorativa… ma non m’innamorai di lei. La reazione fu reciproca. Mi accennò di tornare alla branda ed esaminò le mie fasciature con aria esperta ed efficiente.

Quando ebbe finito, cercai di richiamare la sua attenzione sulla mancanza di zavorra. Forse capì, perché annuì cortesemente dopo che io ebbi finito di gesticolare, ma se ne andò senza aver fatto qualcosa di costruttivo al riguardo. Sperai che andasse a chiamare Bert.

Non so se lo facesse o no; comunque, il secondo ad entrare fu proprio Bert. Non aveva portato la zavorra, ma aveva la tavoletta per scrivere. Meglio ancora. La presi e mi misi all’opera.

Mi era capitato altre volte di dover comunicare esclusivamente per iscritto: mai, però, dopo aver finito le scuole elementari. A quei tempi era un’attività che aveva un certo fascino, poiché in aula era illecita; ma adesso si rivelò un’autentica seccatura.

In poco più di due ore, chiarimmo quanto segue:

Io ero un cittadino pienamente naturalizzato, ed avevo diritto di andare dove mi pareva e di fare ciò che volevo, purché questo non contrastasse con l’interesse di altri.

Non solo ero autorizzato ad esaminare gli impianti produttori d’energia, ma dovevo familiarizzarmi con essi al più presto possibile.

Potevo andare a trovare Marie al suo sommergibile quando ne avessi voglia, e il Comitato e il resto della popolazione sarebbero stati ben felici che io discutessi con lei.

Infine, era previsto che per mantenermi mi dedicassi alle coltivazioni, fino a quando avessi dimostrato di poter contribuire al benessere comune in modo diverso e almeno altrettanto utile.

Tutto lì. Spesso, in passato, mi era capitato di sostenere una conversazione piuttosto lunga con qualcuno e, dopo averlo perso di vista, mi erano venute in mente altre cose che avrei voluto dire: ma laggiù una cosa del genere non era un incidente: era un’abitudine.

Non tanto perché si dimenticasse di affrontare questo o quell’argomento. Di regola, non c’era neppure il tempo di approfondire quelli che ci si ricordava. Non avevo mai apprezzato tanto, in tutta la mia vita, il dono della favella. Quelli di voi che, dopo aver finito il mio racconto, pensano che avrei dovuto imparare prima certi fatti fondamentali, dovrebbero tener presente questa difficoltà. Non dico che non avrei dovuto fare più in fretta: ma posso accampare qualche giustificazione, se non ci sono riuscito.

L’intera faccenda non era solo irritante: mi faceva anche sentire molto sciocco. La cosa più imbarazzante è che tante persone, arrivate a questo punto della storia, possono già capire in cosa avevo sbagliato.

Non avevo nessun entusiasmo per l’agricoltura, sebbene mi incuriosisse scoprire come veniva praticata sul fondo dell’oceano. Volevo saperne di più sulla centrale elettrica, ma rimandai a più tardi anche quello. Chiesi a Bert, per prima cosa, di guidarmi al sommergibile di Marie. Lui annuì e si avviò a nuoto.

Durante il tragitto, non facemmo conversazione. Forse Bert, ormai, era così abituato a nuotare che avrebbe potuto scrivere e leggere mentre si muoveva, come un’impiegata riesce a risolvere le parole crociate mentre esce dall’ufficio per andare a pranzo. Io, di certo, non ne ero capace. Mi limitavo a guardarmi intorno mentre lo seguivo, annotando mentalmente tutto quel che vedevo.

Le gallerie erano lunghe e quasi tutte diritte, ma per quanto mi riguardava formavano un labirinto inestricabile. Avrei impiegato molto, molto tempo per imparare ad andarmene in giro senza guida. Se anche c’era qualcosa di equivalente ai cartelli indicatori, io comunque non riuscii a vederlo. Sulle pareti c’erano motivi colorati di ogni genere, ma non riuscivo a capire se significavano qualcosa o se erano puramente decorativi. E tutto era vivacemente illuminato.

Non c’erano soltanto le gallerie. C’erano anche grandi sale di tutte le forme: alcune avrebbero potuto essere piazze o centri commerciali o teatri, o comunque posti dove si poteva aggregare un gran numero di persone. Non vidi mai una vera folla, ma in giro i sommozzatori erano abbastanza numerosi da confermare la consistenza della popolazione… e non era sorprendente, se la faccenda durava da diverse generazioni. Poco a poco, cominciai a considerare quel posto una nazione, come aveva detto Bert, anziché un’organizzazione di fuorilegge; una nazione che non aveva mai perduto la sua identità firmando il Codice Energetico. Poteva darsi che fosse proprio così: poteva esistere da più tempo dello stesso codice. Non sapevo se la sua storia durava da più degli ottant’anni cui aveva accennato Bert. Era un altro particolare che dovevo accertare.

Non sono mai stato molto abile a giudicare le distanze, a nuoto, e in certi corridoi il traffico era facilitato da una corrente creata da pompe, quindi non so esattamente quanto fu lungo il nostro percorso, prima di arrivare al sommergibile. Per la verità, ancora oggi ho un’idea molto vaga dell’ampiezza di quel posto. Comunque, uscimmo finalmente da uno stretto corridoio e ci trovammo in una delle grandi camere sotto una entrata: passammo sotto il cerchio di tenebra affacciato su un miglio d’acqua salata, scendemmo per circa duecento metri una galleria molto più larga, e ci trovammo davanti all’entrata di una camera piuttosto grande, in cui era attraccato sul pavimento uno dei comuni sommergibili da lavoro del Consiglio, caricato all’esterno di piastre di zavorra come lo era stata la mia capsula.

Bert si fermò davanti all’entrata e cominciò a scrivere. Lessi al di sopra della sua spalla: «È meglio che io resti fuori. Marie è convinta che io sia Giuda Iscariota, Benedict Arnold e Vidkun Quisling messi insieme. Avrai già abbastanza guai presentandoti così, anche senza avermi accanto. Hai deciso quale scusa addurre per giustificare la tua metamorfosi?»

Annuii; non vedevo motivo di sprecare tempo scrivendo i dettagli più di una volta, e presi tavola e stilo. Bert mi guardò con aria interrogativa, ma io gli feci un cenno di commiato e mi diressi verso il sommergibile. Quando mi voltai, poco prima di raggiungerlo, Bert era sparito. Poi ricordai che presto avrei avuto bisogno di cibo normale e, presumibilmente, anche della sostanza generatrice d’ossigeno. E non sapevo ancora come procurarmeli.



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