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David Selig

Studi su Selig n. 101, Prof. Selig

10 novembre 1976


L’entropia come fattore
della vita di ogni giorno

L’entropia, in fisica, è definita come un’espressione matematica del livello di energia in sistema termodinamico che è impossibile rinconvertire in potenza operativa. In termini metaforici più generalizzati, l’entropia può essere concepita come la tendenza irreversibile di un sistema, universo incluso, a aumentare il disordine e l’inerzia. Che è come dire che le cose vanno via via peggiorando, finché, alla fine, diventano tanto malridotte che ci mancano perfino i mezzi per riuscire a capire fino a che punto sono malridotte.

Il grande fisico americano Josiah Willard Gibbs (1839-1903) fu il primo ad applicare alla chimica la seconda legge della termodinamica, la legge che definisce il crescente disordine dell’energia in un sistema chiuso. Fu Gibbs che con maggior fermezza enunciò il principio per cui il disordine aumenta spontaneamente con l’invecchiare dell’universo. Tra coloro che estesero le vedute di Gibbs nel campo della filosofia ci fu il brillante matematico Norbert Wiener (1894-1964) il quale dichiarò, nel suo libro Introduzione alla cibernetica — L’uso umano degli esseri umani: «Col crescere dell’entropia, l’universo, come tutti i sistemi chiusi, tende spontaneamente a deteriorarsi e a perdere la sua individualità, a spostarsi dallo stato meno probabile a quello più probabile, da uno stato di organizzazione e differenziazione nel quale esistono distinzioni e forme, a uno stato di caos e di appiattimento. Nell’universo di Gibbs l’ordine ha probabilità minima, il caos ha probabilità massima. Però mentre l’universo intero, se di fatto esiste un universo intero, tende a scivolare in basso, ci sono zone la cui evoluzione sembra opporsi a quella dell’universo nel suo insieme e nelle quali c’è una limitata e temporanea tendenza all’organizzazione, alla crescita. La vita è situata in una di queste zone».

Per questo Wiener chiama gli esseri viventi in generale e gli esseri umani in particolare, eroi della guerra contro l’entropia, che, in un altro brano, paragona alla guerra contro il male: «Questo elemento casuale, questa incompletezza organica (che è, nel tessuto dell’universo, l’elemento fondamentale di probabilità), è uno di quelli che con un’immagine non eccessivamente violenta possiamo definire il male». Gli esseri umani, dice Wiener, portano con sé un processo anti-entropico. Noi possediamo i sensi. Noi ammucchiamo gli uni con gli altri. Pertanto siamo qualcosa di più che semplici vittime passive dell’espandersi spontaneo del caos universale. «Noi, come esseri umani, non siamo sistemi isolati. Noi ci cibiamo, il che genera energia, e prendiamo il cibo dall’esterno, e di conseguenza siamo parti di quel mondo più ampio che contiene le risorse della nostra vitalità. Però ancor più importante è il fatto che noi assimiliamo informazioni attraverso i nostri organi di senso, e che agiamo sulla base di queste informazioni». Ecco il feedback, in altre parole. Tramite la comunicazione impariamo a controllare quello che ci circonda, e, come dice Wiener: «Con il controllo e la comunicazione noi siamo in lotta continua con la tendenza della natura a degradare l’organizzato e a distruggere ciò che è significativo; la tendenza a crescere dell’entropia». Su tempi lunghi l’entropia dice Wiener: inevitabilmente ci inchioderà tutti; su un tempo breve possiamo combatterla. «Noi non siamo ancora spettatori degli ultimi stadi della morte del mondo.»

Ma che cosa succede se un essere umano si muta, inavvertitamente o per pura casualità, in un sistema chiuso?

Un eremita, per esempio. Vive in una caverna oscura. Nessuna informazione vi penetra. Si ciba di funghi. Gli procurano quel tanto di energia per restare in piedi, ma, d’altra parte, non ha nessun contatto. È costretto a rifugiarsi sulle proprie risorse spirituali e mentali, che, alla fine, esaurisce. Gradualmente il caos si espande in lui, gradualmente le forze entropiche prendono possesso di questo centro nervoso, di quella sinapsi. I dati sensoriali che capta decrescono in continuazione finché la sua capitolazione all’entropia è totale. Egli cessa di muoversi, di respirare, di funzionare in tutti i sensi. Questa condizione è nota con il nome di morte.

Non ci si deve nascondere in una caverna. Si possono operare migrazioni interne, allontanandosi dalle fonti di energia vitale? Spesso questo avviene perché sembra che le sorgenti di energia rappresentino una minaccia alla propria sicurezza. In verità il contatto può minacciare l’io: in genere una spinta può far perdere l’equilibrio. Ciononostante, l’equilibrio in se stesso è una minaccia per l’io, sebbene di solito questo sia trascurato. C’è gente sposata che combatte accanitamente per arrivare all’equilibrio. Costoro proiettano se stessi l’uno verso l’altro, si rinchiudono tra loro e si tagliano fuori dal resto dell’universo, facendo della coppia un sistema chiuso a due persone dal quale ogni vitalità viene espulsa con continuità inesorabile dal mortale equilibrio ottenuto. Si può morire in due esattamente come può morire uno da solo, se si è sufficientemente isolati da ogni altra realtà. Io a questo fatto dò il nome di inganno monogamico. Mia sorella Judith ha detto di aver abbandonato suo marito perché si sentiva morire, vivendo con lui. Naturalmente Judith è una sgualdrina.

L’interruzione dell’attività sensoriale non sempre è un evento controllato, naturalmente. Può succederci sia che lo vogliamo sia che non lo vogliamo. Se anche non ci andiamo a ficcare nella gabbia da soli, ci finiremmo dentro comunque. È questo che intendo dire quando parlo dell’entropia che ci afferra inevitabilmente a lungo andare. Non ha nessuna importanza quanto vitali, quanto vigorosi, quanto aggressivi noi siamo; il contatto diminuisce con il passare del tempo. Vista, udito, tatto, odorato, tutto se ne va, come ha detto quel brav’uomo di Will S., e noi finiamo senza denti, senza occhi, senza gusto, senza niente. Senza niente. Oppure, come quello stesso intelligente individuo si è espresso, di ora in ora noi continuiamo a maturare, a maturare, e poi a imputridire, a imputridire, e a questo proposito c’è un racconto.

Io offro me stesso come uno dei casi in questione. Che cosa spinge a rivelare la storia dolorosa di quest’uomo? Un’inspiegabile diminuzione di poteri una volta ragguardevoli. Un calo della ricezione. Una morte in piccolo, che dura méntre lui è ancora vivo. Io non sono una vittima delle guerre entropiche? Adesso non sto svanendo nella stasi e nel silenzio proprio davanti ai vostri occhi? Non è, la mia angoscia, evidente e commovente? Chi sarò io, quando avrò cessato di essere me stesso? Sto morendo di morte calda. Un decadimento spontaneo. Una casuale contrazione di probabilità sta annientandomi. Sto diventando cenere, cenere. Aspetterò qui la scopa che mi raccolga.


Tutto molto brillante, Selig. Eccoti un “ottimo”. Lo hai scritto con chiarezza e con forza e dimostri un eccellente possesso degli assunti filosofici che ne stanno alla base. Puoi considerarti il migliore. Adesso, ti senti meglio?

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