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Quando aveva sette anni e mezzo e creava una quantità enorme di problemi al suo insegnante di terza, mandarono il piccolo David dallo psichiatra scolastico, il dottor Hittner, per un controllo. L’istituto era uno di quelli privati, costosi, su una tranquilla stradina tutta coperta di foglie, nella zona di Park Slope a Brooklyn; l’orientamento era socialista-progressista, con una pesante base pedagogica marxista, freudiana e deweyana, e lo psichiatra, uno specialista nei disturbi dei ragazzi della classe media, veniva ogni mercoledì pomeriggio per scrutare nell’animo di bambini difficili. Adesso era la volta di David. I suoi genitori diedero il loro consenso, naturalmente.

Erano molto preoccupati per il suo comportamento. Tutti erano d’accordo che lui era un ragazzino brillante: era straordinariamente precoce, dotato di una capacità di capire quel che leggeva pari a quella di un ragazzo di dodici anni; gli adulti lo trovavano intelligente da far paura. Però, in classe, era indisciplinato, rumoroso, maleducato; i compiti in classe, inevitabilmente elementari per lui, lo portavano all’esasperazione; suoi unici amici erano i disadattati, che lui perseguitava crudelmente. La maggioranza dei bambini lo odiava e tutti gli insegnanti avevano paura della sua imprevedibilità. Un giorno aveva scaricato tutto un estintore solo per vedere se spruzzava schiuma, come prometteva. La spruzzava. Portò a scuola alcune bisce e le lasciò libere nell’auditorium. Scimmiottava i compagni di classe e anche gli insegnanti con maligna precisione.

— Al dottor Hittner piacerebbe fare una piccola chiacchierata con te — gli disse sua madre. — Ha sentito dire che tu sei proprio un ragazzo speciale e gli piacerebbe poterti conoscere meglio -. David si oppose, prendendo come bersaglio il nome dello psichiatra: — Hitler? Hitler? Non ho bisogno di parlare con Hitler!

Si era alla fine del 1942 e quell’infantile gioco di parole era inevitabile; lui, però, vi si aggrappò con irritante testardaggine. — Il dottor Hitler ha bisogno di vedermi. Il dottor Hitler ha bisogno di conoscermi -. Sua madre disse: — No, David, è Hittner, Hittner, con la n.

Alla fine ci andò. Nell’ufficio dello psichiatra si irrigidì, e quando il dottor Hittner sorrise benignamente e disse: — Eccoci qui, David — David alzò di colpo un braccio, rigido, e scattò: — Heil!

Il dottor Hittner trattenne una risata.

— Ti sbagli, ragazzo — disse. — Io sono Hittner, con la n. — Forse aveva già sentito prima battute del genere. Era un uomo enorme con una lunga faccia da cavallo, un’ampia bocca carnosa, una fronte ampia sporgente. Occhi d’un azzurro acquoso brillavano dietro occhiali senza montatura. Le pelle era morbida e rasata, e lui aveva un odore penetrante, e stava sforzandosi, anche se con fatica, di apparire amichevole e divertito, quasi un fratello maggiore; però David non poté fare a meno di avvertire che l’atteggiamento fraterno del dottor Hittner era soltanto una messinscena. Era una sensazione che aveva provato con la maggioranza degli adulti: facevano un mucchio di sorrisi, ma dentro di loro pensavano cose come: “Che marmocchio terribile, dannato ragazzino!” Perfino sua madre e suo padre, talvolta, pensavano cose del genere. Lui non riusciva proprio a capire perché gli adulti dicessero una cosa con la faccia e un’altra con la mente, ma ci si era abituato. Era qualcosa che ormai si aspettava e accettava.

— Facciamo qualche gioco, vuoi? — disse il dottor Hittner.

Dalle tasche della sua giacca di tweed tirò fuori un piccolo globo di plastica attaccato a una catena di metallo. Lo fece vedere a David; poi lo sospinse lungo la catena e il globo si smembrò in otto o nove pezzi di colori diversi. — Adesso guarda attentamente, intanto che li rimetto insieme — disse il dottor Hittner. Le sue grosse dita ricomposero abilmente il globo. Poi di nuovo lo divise in tante parti e lo spinse verso David, attraverso la scrivania. — È il tuo turno. Sei capace anche tu di rimetterlo insieme?

David ricordava che il dottore era partito prendendo un pezzo bianco a forma di E e adattando, in una delle sue scanalature, il pezzo azzurro a forma di D. Poi era stata la volta del pezzo giallo, ma David non riusciva a ricordare che cosa bisognava farne; ristette un attimo, imbarazzato, finché il dottor Hittner cortesemente gli proiettò un’immagine mentale della soluzione. David eseguì, e il resto fu facile. Rimase incastrato un paio di volte, però riuscì sempre a tirar fuori la risposta giusta dalla mente del dottore. “Perché mi fa fare un test,” si chiedeva stupito David, “se poi continua a darmi tanti suggerimenti? Che cosa sta saggiando?” Quando il globo fu rimesso a posto, David lo restituì. — Ti piacerebbe tenertelo? — chiese il dottor Hittner.

— Non mi serve — rispose David. Comunque se lo mise in tasca.

Fecero vari altri giochetti. Ce n’era uno con alcune piccole carte più o meno delle dimensioni delle carte da gioco, con disegni di animali, uccelli, alberi e case; David doveva disporli in modo che formassero una piccola storia, e poi dire al dottore qual era la storia. Lui le sparpagliò a casaccio sulla scrivania e ci imbastì sopra una storia via via che procedeva: — L’anatra va nella foresta, come vedi, e incontra il lupo, così si trasforma in rana e salta via dal lupo dritto dritto nella bocca di un elefante; sfugge alle zanne dell’elefante e casca in un lago, e quando viene a galla vede la bellissima principessa, che dice: vieni a casa, che ti darò pan di zenzero; lui però sa leggere nella sua mente e vede che in realtà quella è una strega malvagia, che…

Un altro gioco implicava strisce di carta sulle quali c’erano grosse macchie di inchiostro azzurre. — Qualcuna di queste forme ti ricorda qualche cosa di concreto? — chiese il dottore. — Sì — rispose David — questo è un elefante, vede, qui c’è la coda e qui è tutto accasciato, e queste sono le zanne, e qui è dove lui fa pipì. — Ormai aveva scoperto che il dottor Hittner diventava molto interessato quando lui parlava di zanne e di pipì, perciò gli offrì ampie possibilità di interesse, andando a scovare cose di quel tipo in ogni macchia. A David questo sembrava proprio un gioco scemo, però, a quel che pareva, era importante per Hittner, che prendeva appunti su tutto quello che David diceva. David studiava la mente del dottor Hittner mentre lo psichiatra annotava. La maggior parte delle parole che coglieva erano incomprensibili, ma ne riconobbe alcune; i termini adulti delle parti del corpo che sua madre gli aveva insegnato: pene, vulva, natiche, retto, cose di questo genere. Era ovvio che al dottor Hittner queste parole piacevano moltissimo, così David cominciò a servirsene. — Questo è il disegno di un’aquila che ha afferrato una piccola pecora. E in questa successiva c’è un uomo e una donna, e tutti e due sono nudi, e l’uomo sta tentando di mettere il suo pene dentro la vulva della donna però non ci passa, e… — David osservò la penna stilografica che volava sopra il foglio. Fece un largo sorriso al dottor Hittner e passò alla macchia seguente.

Poi fecero dei giochi di parole. Il dottore diceva una parola e chiedeva a David di dire la prima parola che gli veniva in mente. David trovava molto più divertente dire la prima parola che veniva in mente al dottor Hittner. Impiegava soltanto una frazione di secondo per afferrarla, e non sembrava che il dottor Hittner si rendesse conto di quello che succedeva. Il gioco si svolse più o meno così:

— Padre.

— Pene.

— Madre.

— Letto.

— Bambino.

— Morto.

— Acqua.

— Ventre.

— Tunnel.

— Vagina.

— Cassa da morto.

— Madre.

Erano le parole giuste da dire? Chi era il vincitore in quel gioco? Perché il dottor Hittner appariva così sconvolto?

Finalmente smisero di fare giochi e si limitarono a chiacchierare. — Tu sei un ragazzino molto intelligente — disse il dottor Hittner. — Non ti faccio del male dicendotelo, perché lo sai già. Che cosa vuoi fare da grande?

— Niente.

Niente?

— Mi piace soltanto giocare e leggere un mucchio di libri e nuotare.

— Ma come ti guadagnerai da vivere?

— Mi farò dare i soldi dalla gente quando ne avrò bisogno.

— Se trovi il modo, spero proprio che mi svelerai il segreto — disse il dottore. — Ci stai bene qui a scuola?

— No.

— Perché no?

— I maestri sono troppo severi. Lo studio è troppo stupido. Ai ragazzi non piaccio.

— Non ti sei mai chiesto perché non ti vogliono bene?

— Perché sono più intelligente di loro — rispose David. — Perché io… — Ahi! Quasi lo diceva. “Perché io posso vedere quello che stanno pensando”. Non devi mai dirlo a nessuno. Il dottor Hittner stava aspettando che lui finisse la frase.

— Perché io faccio un mucchio di casino in classe.

— E perché fai così, David?

— Non lo so. Mi dà qualcosa da fare, credo.

— Forse se tu non disturbassi tanto, loro ti vorrebbero bene. Non vuoi che gli altri ti vogliano bene?

— Non mi interessa. Non ne ho bisogno.

— Tutti hanno bisogno di avere degli amici, David.

— Io ho degli amici.

— La signora Fleischer dice che non ne hai poi tanti, e che li picchi moltissimo e li fai piangere. Perché picchi i tuoi amici?

— Perché non mi piacciono. Perché sono stupidi.

— Allora non sono amici sul serio, se è questo che provi per loro.

Scrollando le spalle, David disse: — Posso andare avanti anche senza di loro. Mi diverto soltanto a stare con me stesso.

— Ci stai bene a casa?

— Credo di sì.

— Vuoi bene alla mamma e al papà?

Una pausa. Un senso di enorme tensione che proveniva dalla mente del dottore. Questa è una domanda importante. Dai la risposta giusta, David. Dagli la risposta che vuole.

— Sì — disse David.

— Hai mai desiderato avere un fratellino o una sorellina?

Adesso niente esitazioni. — No.

— Proprio no? Ti piace startene tutto solo?

David annuì. — Il pomeriggio è il tempo migliore. Quando sono a casa da scuola e non c’è nessuno in giro. Sto per avere un fratellino o una sorellina?

Una risatina soffocata da parte del dottore. — Questo proprio non lo so. Dovresti chiederlo alla mamma o al papà, non credi?

— Lei non dirà loro di andare a prenderne uno per me, vero? Voglio dire, potrebbe dire loro che sarebbe bene per me averne uno, e allora loro andrebbero a prenderlo; ma io invece non lo voglio… — Sono turbato, si accorse improvvisamente David.

— Che cosa ti fa pensare che io direi ai tuoi genitori che sarebbe una bella cosa per te avere un fratellino o una sorellina? — chiese il dottore, tutto tranquillo; però, adesso, non sorrideva per niente.

— Non lo so. Era soltanto un’idea. — Che ho trovato nella tua mente, dottore. E adesso sento il bisogno di uscire di qui. Non voglio più parlare con te. — Ehi! il suo nome non è sul serio Hittner, vero? Con la n? Ci scommetto che io lo conosco il suo vero nome. Heil!

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