2. Sotto

Non si era sbagliato, pensò Venzeer. C’era buio, e la mancanza di stelle era spaventosa. La mancanza di orientamento era peggiore. Normalmente si poteva volare nelle nubi con la debita attenzione, questo però quando le nubi erano sospese nell’aria e il proprio peso e il senso della velocità significavano qualcosa. Lì, l’effetto dei battiti delle ali era diverso, e non si poteva muoverle molto rapidamente comunque, né avere la percezione della velocità attraverso lo scafandro.

Venzeer non poteva biasimare Rekchellet, che trascorreva la maggior parte del tempo nell’abitacolo sferico del Compromesso. Se anche lui avesse avuto una scusa valida quale il mancato funzionamento del blocco da disegno sott’acqua, l’avrebbe usata. Il fatto che ci fosse poco da disegnare era secondario; Rek era tuttora impegnato a registrare quel che poteva, pur se si trattava perlopiù di parole e cifre degli strumenti.

Da dove si trovava, Venzeer vedeva il nuovo mezzo di trasporto, naturalmente; il solo pensiero di allontanarsi e perderlo di vista suscitava… non il panico… no, semplice paura, una paura ragionevole, legittima. Sarebbe stato impossibile ritrovarlo in quell’oscurità senza stelle. Non si riusciva a individuare alcuna direzione — neppure il su e il giù — con un minimo di sicurezza.

Venzeer non capiva perché gli Erthumoi avessero voluto dare un nome al mezzo subacqueo, visto che non lo avevano fatto con la slitta, però era d’accordo sul nome scelto. Si trattava di un sottomarino minerario habra modificato, aperto alla pressione oceanica. Lo scafo era una semplice intelaiatura di polimero — il metallo era una rarità da laboratorio per gli Habra — che conteneva i serbatoi del fango e i motori. Gli indigeni avevano un tipo interessante di propulsione elettronucleare, coi conduttori perfettamente schermati per non abbacinare i sensi dell’equipaggio. La schermatura era un polimero conduttore; i sensi elettrici naturali degli indigeni avevano portato all’aggiramento di un problema a cui avrebbe potuto trovarsi di fronte una civiltà in via di sviluppo su un continente di ghiaccio.

Gli elementi del telaio erano tubolari, pieni di fluido per lo scambio termico che poteva essere pompato dove necessario. Il ghiaccio nelle profondità oceaniche di Habranha a volte aveva un punto di fusione fastidiosamente alto e si poteva trovare a distanze sorprendenti da Latoscuro.

Bill, Hugh e Janice erano disposti a trascorrere un mese o più nel liquido d’immersione e all’interno dello scafandro riciclante, ma i Crotoniti avevano dovuto improvvisare una protezione da forze brutali e non potevano rimanere continuamente dentro le loro tute. Così adesso il sommergibile, nella parte centrale, aveva due sfere trasparenti comunicanti, al posto di un paio di serbatoi originali. Una sfera serviva da camera d’equilibrio, l’altra da abitacolo… un ambiente abitabile molto angusto per un alato, nonostante gli otto metri di diametro. Perfino Rekchellet usciva abbastanza spesso, senza il suo blocco, per volare un po’ lì attorno.

Quando il mezzo viaggiava a una velocità superiore a quella che loro potevano raggiungere volando, cioè quasi sempre, gli esploratori stavano all’interno dello scafo aperto e si tenevano aggrappati. Se dovevano riposare, usavano un serbatoio. Nella fase preparatoria della missione, Venzeer e Hugh avevano suggerito di zavorrare alcuni di quei contenitori con del fango per risparmiare l’energia che altrimenti sarebbe stata necessaria per spingere verso il basso l’abitacolo galleggiante, ma gli indigeni si erano rifiutati di farlo. Il fango irriguo, che rendeva fertile il ghiaccio del continente consentendo le coltivazioni, era troppo prezioso.

Quando il centro di ricerca crotonita di Pwanpwan aveva fornito alcune centinaia di tonnellate di rame, gli Habra avevano proposto di scambiare il fango con il metallo, ma Venzeer non aveva accettato, perché i lingotti di metallo erano più maneggevoli. Per non turbare il quieto vivere, aveva parlato di un’eventuale donazione del rame a un laboratorio habra dopo il viaggio.

Il viaggio, naturalmente, sarebbe stato lungo. Come il veicolo, la missione era un compromesso tra i bisogni e gli interessi degli indigeni che avevano fornito il sottomarino e quelli dei ricercatori alieni. Questi ultimi desideravano non solo studiare il pianeta ma anche influenzare i suoi abitanti in certi casi. Dato che gli extraplanetari non miravano tutti agli stessi obiettivi, e dato che nessuno di loro osava dirlo apertamente, il compromesso finale era complesso nei suoi particolari e forse nessuno degli interessati lo comprendeva appieno. Comunque, aveva già consentito al Compromesso di spingersi verso l’Oceano Solido di Latoscuro in una zona ancora inesplorata per gli Habra.

Non che gli Habra non avessero tentato, sosteneva Bill; il fatto era che sommergibili e nuotatori non erano mai tornati da quella regione. Il perché era un mistero; là, se mai, le condizioni meteorologiche sottomarine avrebbero dovuto essere meno proibitive, dal momento che il ghiacciaio verticale era presumibilmente acqua pura senza sedimenti e soluti. Bill aveva raccontato delle storie che confermavano il quadro generale previsto da Janice: fango e «neve», correnti violente in ogni direzione, iceberg grandi e piccoli, mostri e animaletti. Avevano incontrato alcune di quelle cose dopo aver lasciato il continente anulare, tutto questo però là dove l’oceano era più caldo. Venzeer dubitava che il resto fosse vero, dato che Bill non era parso minimamente preoccupato all’idea di partecipare alla spedizione. Ben presto il Crotonita era giunto a sospettare che l’indigeno stesse cercando di spaventare gli alieni perché non esplorassero il mare e gli abissi, che per gli Habra racchiudevano le ricchezze dei pianeta. Quell’atteggiamento era decisamente familiare alla maggioranza dei Crotoniti, e non del tutto ignoto agli Erthumoi.

Bill era visibile, adesso, nuotava calmo a qualche metro di distanza. Le luci del Compromesso lo illuminavano di profilo mentre, muovendo adagio le ali, seguiva una rotta tortuosa attorno al mezzo che avanzava lentamente. Diceva che compiva dei rilevamenti quando faceva così, esaminando coi suoi strani sensi la temperatura, la densità e i soluti dell’oceano circostante, misurazioni che sarebbero state compromesse se effettuate troppo vicino allo scafo e ai suoi piloti. Dopo ogni uscita registrava effettivamente dei dati, ma nemmeno i Crotoniti sapevano decifrarli, e Venzeer conservava i propri dubbi.

Janice non dubitava, naturalmente. Prima della partenza aveva chiesto a William di riferirle tutto quello che notava durante il viaggio, e sembrava che lui stesse collaborando. La donna si rendeva conto della pericolosità della missione, e stava cercando seriamente di decidere quale potesse essere il pericolo. Era disposta a correre dei rischi, soprattutto dal momento che Hugh era con lei, ma non intendeva lasciarsi cogliere alla sprovvista. Voleva conoscere le regole locali nel miglior modo e il più rapidamente possibile.

Mentre si cercavano le informazioni sul liquido d’immersione e, in seguito, mentre si produceva la sostanza, Janice aveva trascorso parecchio tempo al comunicatore documentandosi sui fenomeni relativi all’alta pressione e memorizzando una gran quantità di dati. Delle cinque creature che viaggiavano in mezzo a una bolla di luce schiacciate — per quel che ne sapevano — da oltre cento chilometri di oceano, lei era di gran lunga la più tesa.

Hugh era abbastanza assennato da avere paura, ma non era certo in preda al panico. Il fluido d’immersione, si era scoperto, era noto e usato da anni — anche se non sul mondo di Hugh — per affrontare livelli di pressione prossimi a quelli dell’ambiente in cui si trovavano adesso. Non era stato difficile ottenere informazioni circa la natura del liquido, i metodi di fabbricazione, i problemi pratici relativi al suo impiego… per esempio; trovare o inventare, e imparare a usare, un tipo di codice di comunicazione non verbale.

Nessuno, a quanto pareva, aveva mai avuto modo di utilizzarlo nelle condizioni ambientali estreme del fondo marino di Habranha, quasi quattrocento chilometri più in basso, ma per il momento i ricercatori non avevano alcuna intenzione di spingersi a simili profondità.

Rekchellet era il più infelice. Non c’era nulla da vedere, tranne il mezzo su cui viaggiava e i suoi compagni esploratori. Aveva di segnato tutto quanto nella più ampia gamma di situazioni consentita dall’ambiente circostante. Aveva registrazioni della percentuale di ammoniaca, della temperatura e delle sostanze in sospensione, e perfino delle informazioni sulle correnti, anche se queste erano difficili da analizzare quanto la gravità in caduta libera. Tutte cose che si scrivevano, comunque… non si disegnavano.

Come se non bastasse, poi, era impossibile conoscere la loro posizione esatta, quindi anche una mappa era fuori discussione. Gli indigeni non avevano rilevatori inerziali, e a Pwanpwan non si era riusciti a procurarsene uno… non perché non esistessero, ma perché i Crotoniti e gli altri extraplanetari che studiavano i movimenti del ghiaccio che formava il continente anulare si erano rifiutati di prestare un’apparecchiatura del genere a una spedizione ad alto rischio. Rekchellet sapeva che avrebbe dovuto discutere lui, invece di lasciare che fosse Janice a provare, ma stava imparando ad apprezzarla e considerarla sempre più una persona, non una semplice creatura terricola.

Aveva delle registrazioni, ma tutte numeriche. Aveva provato a rappresentare graficamente i dati, trasformandoli così in specie di immagini, ma era deluso dai risultati. Alla profondità a cui si trovava ora il Compromesso, l’acqua aveva la sua temperatura di congelamento più bassa, circa venti gradi Kelvin al di sotto di quello che tutti i membri del gruppo consideravano normale, per cui il diagramma di Rekchellet indicava che stavano penetrando in una caverna con ghiaccio comune sopra e un tipo di ghiaccio ad alta pressione sotto. Il grafico non era realmente una mappa, però. Non significava che fossero davvero in una caverna, tanto meno che stessero per essere schiacciati da ghiaccio discendente o ascendente. In primo luogo, il ghiaccio in alto avrebbe galleggiato e quello in basso sarebbe affondato. Gli indigeni sapevano qualcosa delle fasi del ghiaccio ad alta pressione; anche gli Erthumoi, almeno la femmina. Il ghiacciaio sul fondo dell’oceano, che strisciava verso Latosole dopo secoli di viaggio dallo strato nevoso di Latoscuro lungo centinaia di chilometri di Oceano Solido, era quello che Janice chiamava ghiaccio cinque, e loro adesso si trovavano sul limite di pressione tra ghiaccio uno e ghiaccio tre, centoquindici chilometri circa sotto l’atmosfera.

Il guaio era che non si sapeva con esattezza. I manometri non avevano una precisione millesimale a quel livello di valori. I sensi di Bill erano limitati. I rilevamenti acustici erano del tutto inattendibili a causa dei vasti strati assorbenti e riflettenti di limo e plancton, e del labirinto di correnti termiche. Il globo di luce che permetteva a Rekchellet di vedere per alcune decine di metri attorno al Compromesso era una prigione, e l’abitacolo trasparente in cui trascorreva gran parte del proprio tempo era una seconda prigione, ancor più angusta. Volare era necessario di tanto in tanto, ma non era un grande sollievo. Non era volo vero, quello… no, dal momento che perfino gli Erthumoi ci riuscivano con quei loro arti ridicoli. Le alette artificiali — pinne — che portavano all’estremità delle loro appendici di deambulazione non contavano. Rekchellet si sentiva frustrato e irritato.

William era felice. Stava facendo qualcosa di nuovo e di utile in un campo che gli era sempre piaciuto. Al pari di Hugh, era abbastanza intelligente da avere paura, ma al pari di Hugh sapeva affrontare il pericolo con filosofia. Era il più calmo del gruppo, il che era prevedibile; era quello che aveva maggiore familiarità con la situazione.

Quindi era meno vigile di Janice. Si accorse per primo del pericolo solo perché il fenomeno influì su qualcosa che lo riguardava direttamente.

Notò tutt’a un tratto che muoveva le ali con maggiore difficoltà.

Quasi nello stesso istante, si rese conto che si stava formando della carica elettrica agli snodi dello scafandro, escluse le cerniere alari dove il movimento era costante. William era un subacqueo esperto, e quasi istintivamente agitò gli arti di manipolazione e piegò il corpo per controllare tutti gli snodi. La carica che stava accumulandosi scomparve… un breve flusso di corrente che William sentì. Avvertì anche una specie di lieve scricchiolio, come se ci fosse della polvere fine negli snodi. Non perse altro tempo, e nuotò frettoloso verso il Compromesso, lanciando un avvertimento.

— Venzeer! Hugh! Janice! Rientrare, presto!

I due Erthumoi obbedirono senza fare domande. Venzeer si girò in direzione del mezzo subacqueo, non vide nulla di strano, e replicò: — Qual è il problema? Cos’hai rilevato?

— Ghiaccio, penso. Muovi bene le ali?

— Mai mosse bene, quaggiù. Tutto normale, mi sembra.

— Rientra comunque, mentre controlliamo. Rek, leggi il termometro.

L’artista guardò il quadro strumenti e comunicò una cifra che giunse agli ascoltatori erthumoi come «due-quarantanove».

Janice confrontò l’informazione con i dati di fase imparati a memoria. Due gradi Kelvin sotto il punto di congelamento dell’acqua pura a questa pressione, pensò. L’acqua è tutt’altro che pura, però; dovrebbero esserci parecchia ammoniaca e una quantità notevole di altri soluti. Non dovrebbe esserci ghiaccio, non ancora. Non poteva parlare, naturalmente, con il fluido d’immersione nelle corde vocali, ma compose un conciso «Perché?» col trasmettitore-codificatore.

— Prima rientrate tutti, discuteremo dopo della parte teorica — replicò l’indigeno. — Se la situazione si complica, dobbiamo affrontarla compatti.

— C’è qualcosa che appanna lo scafo — riferì Rekchellet. — Non riesco a distinguervi bene, adesso. Venz, non ti vedo affatto. Dove sei?

— Stesso livello… circa sessanta metri… dritto dietro il sommergibile, quasi. Sto rientrando, ma muovere le ali sta diventando un problema. Meglio rallentare o arrestare il mezzo finché non arrivo.

— D’accordo. Hugh? William? Janice? Qualche difficoltà di rientro?

— A bordo, io… agganciato — rispose l’indigeno.

— Dieci metri — comunicò Hugh. — Nessun problema. Si nuota facilmente.

— Difficoltà visive? — chiese Rekchellet.

— Nessuna, a parte la luce scarsa.

— Si sta formando de! ghiaccio sugli elementi più piccoli dello scafo — annunciò Bill. — Non riesco a distinguere il tipo… i cristalli stanno crescendo rapidamente e non sono abbastanza grandi da permettere l’identificazione. Guardatevi attorno, tutti… guardate le parti dello scafo che dovrebbero raffreddarsi lentamente… gli elementi strutturali più grandi, gli involucri protettivi del motore, e via dicendo. Se qualcuno riesce a vedere se è ghiaccio esagonale o di qualche altro tipo, mi informi subito!

— Perché? — domandò Hugh. — Perché non cercare acqua più calda?

— È importante sa… — L’Habra fu interrotto.

— Sono ancora a dieci metri e ho le ali quasi bloccate — comunicò Venzeer. — Mi sembra anche di essere più pesante. Stento a mantenermi a livello del mezzo. C’è una sostanza bianca che mi copre interamente le ali, uno strato sempre più spesso.

— Non è più necessario che osserviate i cristalli — comunicò subito l’indigeno. — È ghiaccio medio. Dovremo salire per liberarcene, ma non troppo altrimenti avremo invece ghiaccio basso. Sta aumentando pure sul sommergibile. Rekchellet, inverti la rotta, in modo che possiamo raggiungere Venzeer e farlo salire a bordo prima che affondi troppo. Non sono vicino ai comandi principali. Se saremo costretti a scendere per seguirlo, il ghiaccio diventerà più spesso e pesante con l’aumento della pressione, e rischieremo di rimanere bloccati anche noi.

— Ma non vedo all’esterno, adesso. Come faccio a recuperarlo?

— Non c’è ghiaccio su di noi. Vi aiuteremo. — Era di nuovo il codificatore di Hugh. — Che succede, Bill? Sembra che tu conosca bene la situazione, ma non ci hai avvertiti di nulla.

— Prima pensiamo alle cose più importanti… Rek, avanti piano, e gira… a sinistra, è meglio. Bene. Alza un po’ la prua, stai scendendo… l’inclinazione è minima, ma non dobbiamo assolutamente abbassarci, a meno che non siamo costretti a farlo per non perdere Venz. Ecco, così va bene… Hugh, anche le mie percezioni sono molto limitate, adesso… si sta formando del ghiaccio sulle luci, e la carica corporea mi disorienta. Non sei ancora vicino a Venz?

— Ci sono… gli ho preso un’ala…

— Io, l’altra ala — annunciò Janice. — Continuate a girare… così… dritto… dritto… un po’ a destra… dritto… un po’ in basso, stiamo scendendo… quasi… ancora… ecco! Sono aggrappata allo scafo. Ha le ali aperte, ghiacciate. Dobbiamo spostarci un po’ verso poppa per entrare… aspettate… ecco, siamo al sicuro.

— Siete dentro? Bene. Rekchellet, portaci su, molto lentamente. Con un po’ di fortuna, cioè se non siamo troppo vicini all’Oceano Solido, dovremmo liberarci del ghiaccio in questo modo. Inizia la manovra; tra un attimo, prenderò io i comandi.

— Perché su’? Che è successo? Una spiegazione! — La veemenza della richiesta di Hugh non si smorzò nemmeno attraverso il codificatore.

Bill rispose calmo. — Non sono sicuro di avere ragione. Ho detto che avremo bisogno di un po’ di fortuna. Ci sono molti tipi di ghiaccio… Ecco, ora guido io, Rek… Il ghiaccio che si trova in superficie e in prossimità della superficie è meno denso dell’acqua liquida, quindi galleggia. Terra comune. Sarebbe meglio dire che galleggia se non contiene troppo fango, e che è terra se ne contiene abbastanza. A profondità medie troviamo un altro tipo di ghiaccio, e molto più in basso un terzo tipo. L’ultimo tipo è durissimo da sciogliere alle massime profondità, ed entrambi sono più densi dell’acqua liquida.

«A questa profondità, siamo vicini al limite tra i primi due tipi, e dovevo sapere che tipo di ghiaccio si stesse formando per stabilire se fosse necessario salire o scendere. Se fosse stato ghiaccio alto e fossimo saliti, con la diminuzione della pressione il suo punto di fusione sarebbe aumentato e su di noi se ne sarebbe accumulato sempre di più, e alla fine avremmo raggiunto la superficie, o più probabilmente avremmo toccato il fondo di un banco di ghiaccio, al centro di un iceberg di discrete dimensioni senza alcuna possibilità di uscirne, dato che non saremmo stati in grado di muoverci. Noi, non solo il sommergibile. Se fosse stato ghiaccio medio e fossimo scesi, l’aumento di pressione avrebbe innalzato il suo punto di fusione e anche in questo caso avremmo formato il centro di un grosso iceberg, questa volta sul fondo o sulla piattaforma glaciale sottomarina, se esiste. Dovrebbe esistere, dato che il ghiaccio si spinge per un tratto considerevole verso l’anello sul fondo. Prima di arrivare là, la trasformazione del ghiaccio medio in ghiaccio di profondità avrebbe spaccato noi e il sommergibile, per il cambiamento non omogeneo di volume in momenti diversi.

«Quando Venzeer ha detto che si sentiva trascinare verso il basso, ho pensato che dovesse trattarsi di ghiaccio medio, ed è per questo che ho ordinato di salire. La diminuzione di pressione dovrebbe abbassare il punto di fusione e liberarci abbastanza presto.»

— A meno che non oltrepassiamo il limite — osservò Hugh. — Linea interfase… Giusto?

— Giusto — rispose calmo Bill. — Credevo fosse Janice ad avere tutte queste informazioni.

— Lei ha i numeri. Io sono come Rek… solo immagini.

— Pare che il ghiaccio stia scomparendo — annunciò Janice.

— Sì. Vedo di nuovo la punta delle mie ali — confermò con gioia Venzeer.

— Riesci a muoverle? — domandò Hugh, pratico.

— Non ancora. Meglio che continuiate a tenermi. — Il Crotonita si era aggrappato alla meglio a una parte del mezzo con le chele, che a differenza delle grandi ali non erano state completamente immobilizzate, ma i suoi soccorritori lo avevano sorretto per non lasciarlo in balia delle correnti che penetravano nello scafo aperto del Compromesso.

— Non preoccuparti — lo rassicurò Janice. — Ti stai sgelando. Perché niente ghiaccio addosso a Hugh e a me?

— Il vostro scafandro è a una temperatura maggiore — rispose Bill. — Pur producendo meno calore corporeo di noi volatili, essendo privi di ali avete una superficie di dispersione molto minore.

Naturalmente. Fisica elementare, rifletté Hugh. Molto più semplice del comportamento di fase dell’acqua. Contattò la moglie. — Jan, e i solventi? Ammoniaca praticamente ovunque…

— Non qui — l’interruppe Bill. — Mai incontrato acqua così pura, se non in laboratorio. C’è della vita, ma anche i microbi devono aver fame. Che facciamo, ora? Siamo tornati indietro di circa un chilometro, e qui c’è un po’ più caldo, quindi dovremmo liberarci del ghiaccio abbastanza in fretta… credo che adesso dovresti vedere l’esterno, Rek…

— Non c’è nulla da vedere, a parte il resto del sommergibile, ma pare che tu abbia ragione. Non sono riuscito a vedere Venz con le ali gelate. Come faccio a registrarlo?

— Potresti uscire a dare un’occhiata prima che Venz si sgeli del tutto, se pensi che sia tanto importante. Gli Erthumoi non hanno mai avuto problemi, dunque non ci sono grossi rischi.

— Io ho visto. Ti farò uno schizzo di Venz, dopo — comunicò Janice.

Bill tornò a pensare al loro compito. — Se non possiamo procedere e continuare con i rilevamenti, che ne sarà della missione?

— Parecchia energia — fece notare Hugh. — Sommergibile caldo?

— Secondo me, questo renderebbe inattendibile qualsiasi rilevamento — rispose lentamente l’Habra.

— Non più della nostra presenza. Anche i nostri corpi disperdevano calore nell’oceano — osservò Venzeer. — Soprattutto il mio. Dobbiamo usare solo il calore necessario per impedire la formazione di ghiaccio.

— Ma in questo modo lasceremo dietro di noi una scia di acqua riscaldata. Basta un cambiamento di temperatura minimo per provocare instabilità convettiva. Ecco perché è tanto difficile calcolare la situazione meteorologica anche nell’aria.

— Nell’aria — sottolineò Hugh. — vp di scarsa entità nei liquidi. Espansione molto minore. Cambiamento di densità…

— Forse sarà così, però negli abissi abbiamo tempeste più violente che non nell’atmosfera — replicò Bill. — E la causa potrebbe essere proprio questa. Comunque, io sono disposto a provare se lo siete anche voi. Ma non manchiamo di controllare la quantità di energia immessa nei riscaldatori. Calcolare l’andamento di una perturbazione è già abbastanza arduo anche con tutti i dati.

— Calcolo impossibile — dichiarò Janice. — Situazione caotica.

— Non c’è nulla di fondamentalmente impossibile — ribatté l’indigeno. — Ma ammetto che è una cosa ben oltre le nostre capacità attuali.

— Impossibile — ripeté la donna. — La meteorologia avrebbe dovuto portarvi alla teoria del caos… Forse necessarie anche piste di bowling… Comunque, andiamo. L’Oceano Solido dovrebbe essere vicino.

— Perché? — chiese Rekchellet. — Non abbiamo nessun dato di superficie. Il ghiacciaio superiore si estende nell’emisfero diurno molto più in là dell’Oceano Solido, che dopo tutto è solo una teoria che stiamo verificando, però nessuno sa quale sia la differenza di estensione… e anche se la conoscessimo, non sappiamo che tratto abbiamo percorso sotto la banchisa. Certo, c’è un riflesso acustico che proviene a quanto pare da una superficie più o meno verticale davanti a noi, ma è impossibile stabilire se sia a dieci o a cinquanta chilometri, o anche se sia solida. Su cosa basi la tua ipotesi?

— La purezza dell’acqua. L’ha detto Bill. Dovrebbe essere acqua di disgelo formatasi di recente.

— Un’ipotesi valida — convenne l’indigeno. — Noi alati faremmo meglio a restare vicino al sommergibile o a bordo. Voialtri non ghiacciate così facilmente, e potete volare davanti a noi, compiendo i rilevamenti mentre procedete. Non allontanatevi troppo, però. È sempre possibile prevedere i fenomeni d’instabilità, qualunque cosa dica la vostra teoria del caos, ma non posso sempre calcolarli mentalmente, e non sono affatto sicuro di riuscire a percepirli. Tenete presente che qualche minuto fa sono stato colto di sorpresa.

— Perché non stavi pensando a quello! — obiettò Rekchellet.

— Avrei dovuto pensarci. Il fatto è che questa è una ricerca e, se sapessimo quello che probabilmente accadrà, la nostra presenza qui sarebbe superflua. Vi raccomando la massima prudenza, Erthumoi. So che siete capaci di volare, però stento a credere che i vostri arti siano davvero efficienti. Vi consiglio di usare dei cavi di sicurezza; ne abbiamo a bordo.

— Di che lunghezza? — chiese Hugh.

— Circa duecento metri. Non dovreste spingervi neppure a una distanza del genere, comunque, dato che la luce del sommergibile non vi consentirà di vedere in modo chiaro così lontano… la vista è il vostro unico senso utile, qui.

— Abbiamo delle luci — fece notare Hugh.

— Certo. Usatele. Io però userei ugualmente i cavi di sicurezza ed eviterei di allontanarmi troppo. Ecco… attaccatevi.

Hugh e Janice obbedirono, essendo creature assennate. Il Compromesso riprese il viaggio a velocità bassissima, preceduto dagli Erthumoi. Bill era ancora nella gabbia di pilotaggio, guidando il mezzo subacqueo. Rekchellet schizzò i due esploratori che svanirono a poco a poco in lontananza, ognuno spostato leggermente di lato… se non si fossero spostati lateralmente, sarebbero stati nascosti dai serbatoi del fango di prora posti davanti all’abitacolo sferico, e forse solo i sensi elettrici dell’Habra sarebbero riusciti a individuarli. A un certo punto, il Crotonita non vide altro che un tratto dei due cavi di sicurezza, che erano stati attaccati a elementi del telaio vicino alle sfere, non alla prua.

La squadra esplorativa si tenne in contatto via codice; il suono, perfino il codice, si propagava bene nell’acqua, e tutti gli scafandri tranne quello di Bill avevano rivestimenti speciali come adattatori d’impedenza per risolvere il problema dell’interfaccia. L’indigeno aveva il proprio convertitore suono-radio, e aveva imparato il codice nelle settimane in cui era stato allestito il Compromesso. Per qualche tempo, l’unico messaggio che giunse dagli esploratori fu: «Niente di nuovo». Bill comunicò con pari regolarità che l’acqua era ancora purissima.

Poi, all’improvviso, un avvertimento da parte di Janice. — Turbolenza! Attenzione, Hugh e Bill. Mi ha quasi spezzato il cavo!

— Nulla qui — trasmise suo marito. — Hai… no… Solo locale… se… — La comunicazione cessò.

— Perché locale? — chiese Janice.

— Non so. Forse… — I Crotoniti erano irritati dai simboli confusi, pur intuendone la causa. Bill non consentì loro di protestare, ammesso che intendessero farlo.

— Non è il momento di teorizzare! — intervenne l’indigeno. — Tornate verso il sommergibile. Rimanete ad appena una decina di metri di distanza, così potrete avvertirmi ma riuscirete anche a rientrare in fretta e a tenervi saldi se dovessimo incontrare una forte perturbazione.

— Non percepisci nulla? — chiese Hugh.

— No. L’acqua è troppo limpida e informe… ho notato che qualcosa distorceva le onde di calore dei vostri scafandri quando siete stati colpiti dai vortici, ma non prima. Restate qui vicino. Adesso sento della turbolenza, con lo scafo.

— Anch’io — asserì Rekchellet. — È bello. Sono mesi che non volo in un cumulo.

— Non sarà affatto bello se lo scafo verrà sottoposto a sollecitazioni troppo intense — ribatté arcigno l’indigeno. — Sento che sta aumentando, adesso. Venite a bordo, Erthumoi, presto] Ho affrontato tempeste peggiori di questa, almeno stando a quanto sembra finora… ma non con dei membri dell’equipaggio all’esterno, e di solito sapevo cosa dovevo affrontare, ero in grado di valutare l’entità della perturbazione. — Janice e Hugh obbedirono senza discutere. L’Habra continuò. — Si prosegue, immagino… Rek, registra tutti i dati che riesci a ricavare dai tuoi strumenti. Lascia perdere il disegno, puoi scrivere. Prendi degli appunti, e salvali. Stiamo…

— Jan! Il cavo! — Hugh interruppe gli ordini del pilota. — Bill! A destra!

Hugh e la moglie avevano obbedito al comando iniziale di tornare verso il sommergibile, ed erano davanti alla prua, a una ventina di metri; la donna a destra, Hugh a sinistra. All’improvviso era apparsa una cosa in lontananza: un imbuto bianco e sottile simile a un tornado che turbinava nell’oscurità di fronte. Prima che il vortice li raggiungesse, qualcosa aveva spinto Janice in avanti, a destra, e un po’ verso il basso. Hugh cercò di afferrare la moglie, ma la donna passò a una dozzina di metri da lui. Entrambi avevano avvolto i cavi rientrando, ma Janice era stata più lenta, ed era stata spaventata dall’assalto improvviso della corrente. Alcuni giri di corda le sfuggirono di mano.

Mentre entrava nel vortice e veniva trascinato via con Janice, Hugh sentì che il proprio cavo di sicurezza si tendeva, e lo lasciò scivolare piano nella mano guantata per evitare uno strappo troppo brusco. Muovendo le pinne, avanzò di due metri… quattro… sei, svolgendo di nuovo la fune dietro di sé; poi riuscì a raggiungere il cavo della moglie. Lo afferrò e cominciò ad avvolgerlo attorno a un braccio quante più volte possibile. Janice stava ancora arrotolandolo all’altro capo.

Lo strappo più violento si avvertì nel tratto di fune tra loro, ma entrambi reagirono nel modo giusto, stendendo lentamente il braccio con cui tenevano il cavo per attutire il colpo. Per il momento sembrava che non ci fosse alcun pericolo; erano attaccati l’un l’altro, e uniti al Compromesso.

Cominciarono ad avanzare insieme lungo il cavo di sicurezza di Janice. Questo impedì a Hugh di badare al proprio, e il cavo si tese all’improvviso, prima che lui raggiungesse la moglie. Hugh allentò subito la stretta, ma in quegli attimi di disattenzione il cavo gli si era attorcigliato attorno alla caviglia sinistra. Il bordo sporgente di polimero dello snodo — lo scafandro non aveva parti metalliche, per via dei problemi sensori degli Habra — non era proprio affilato, ma purtroppo era abbastanza tagliente. Ora, solo la fune di Janice li univa al sommergibile.

La donna raggiunse il marito alcuni secondi dopo, e riavvolse la corda con la massima cautela. Hugh si tenne aggrappato al suo scafandro e cercò di non intralciarla; avrebbe voluto legarsi a lei col pezzo di cavo rimastogli, ma non osava staccare neppure una mano dalla tuta della moglie. Il vortice si calmò momentaneamente, e Janice si avvicinò al mezzo subacqueo trainando Hugh. Bill percepiva in modo vago la loro posizione e li aiutò, abbassando la prua del Compromesso e spostandola verso destra. Erano ormai a breve distanza da un appiglio sicuro quando un altro vortice sballottò il sommergibile.

La prua si allontanò con uno scarto improvviso. Janice reagì con la prontezza necessaria, salvando il cavo, e ricominciò a riavvolgerlo. Poi si accorse che Hugh era stato sbalzato via — in realtà, aveva lasciato la presa per afferrare lo scafo — e allora lasciò che la fune si srotolasse e cominciò a nuotare verso di lui agitando freneticamente le gambe. La turbolenza sballottò Hugh ora in una direzione ora in quella opposta… su, giù, a destra, a sinistra. Anche lui stava nuotando con quanta forza aveva in corpo, ma sembrava che i mulinelli stessero cercando deliberatamente di tenerli separati.

Anche Bill era impegnato; stava sfruttando al massimo la sua abilità di pilota per controllare il Compromesso e farlo avvicinare a poco a poco agli esploratori in difficoltà. A un certo punto, emise una raffica di suoni radio incomprensibili quando il caso portò lo scafo vicinissimo a Hugh e l’Habra pensò che il pericolo fosse cessato, ma vide poi che l’uomo ignorava l’occasione favorevole e continuava a cercare di raggiungere la moglie. Seguirono delle parole intelligibili attraverso il traduttore crotonita.

— Idiota! Lei è ancora legata allo scafo! Lei non ha bisogno di aiuto!

Ma Hugh non era uscito completamente di senno. Alcuni istanti dopo, riuscì ad afferrare il cavo di sicurezza di Janice, e invece di andare verso di lei si spostò lungo la fune fino allo scafo. Lì, scivolò all’interno tra un paio di correnti orizzontali, si agganciò con le gambe ad altri tratti di tubatura, e solo allora cominciò a tendere piano la corda, quindi ad avvolgerla con cautela per recuperare la moglie, evitando strappi bruschi. Bill collaborò, guidando il Compromesso in direzione della donna, finché lei non si trovò che a qualche metro di distanza. Allora, temendo di avanzare troppo e provocare una collisione, l’indigeno arrestò il mezzo subacqueo. Gli Erthumoi andarono l’uno incontro all’altro lungo gli ultimi metri di cavo e si presero per mano. Un attimo dopo erano al sicuro a bordo, o almeno al sicuro nei limiti consentiti dalla struttura aperta dello scafo. Hugh non si rilassò finché non furono all’interno del serbatoio del fango che consideravano il loro abitacolo.

La voce di William era sempre calma. — Si prosegue, suppongo.

— Certo, ma niente esploratori all’esterno — rispose Janice.

Hugh si chiese se dovesse aggiungere qualche osservazione a proposito della velocità, ma decise di lasciare che fosse Bill a valutare la situazione e a regolarsi di conseguenza. Il Compromesso riprese il viaggio, tremando e sussultando mentre passava da una zona di turbolenza all’altra. Forse era una tempesta di scarsa intensità per l’indigeno, ma Janice stava domandandosi quali potessero essere gli effetti della chinetosi su un corpo erthumiano impregnato di liquido d’immersione. Lei e il marito, i caschi appena al di sopra dell’orlo del loro serbatoio, guardavano avanti come meglio potevano. C’era poco da vedere, se non qualche sporadico turbine di polvere bianca quando si formava brevemente del ghiaccio nei punti dei vortici dove la pressione era maggiore o minore. A volte il biancore svaniva quasi subito; a volte nubi candide sempre più gonfie salivano o scendevano a seconda della densità del ghiaccio formatosi. Janice si chiese se l’amico habra pensasse davvero che fosse possibile calcolare e prevedere fenomeni del genere. Si chiese inoltre quando avrebbero raggiunto l’Oceano Solido… e come sarebbe stato l’impatto.

Fu Rekchellet, guardando all’esterno speranzoso, a vedere per primo il fondo circa un’ora dopo… e forse lo avrebbe disegnato prima di avvertire il pilota, se non fosse stato così informe.

— Rallenta la discesa, William — comunicò. — La chiglia toccherà tra pochi secondi.

— A me sembra che stiamo volando orizzontali — ribatté l’Habra. — Non vedo… oh… Hai ragione. Non l’avevo percepito. Troppe scariche statiche nella turbolenza. Non stiamo andando così veloci da danneggiare qualcosa se…

Teoricamente l’indigeno aveva ragione; la velocità media del Compromesso non era elevata, pur essendo molto più alta di quando Hugh e Janice si trovavano all’esterno. La turbolenza, però, aveva componenti orizzontali oltre che verticali e laterali, e mentre William parlava il sommergibile ricevette una forte spinta in avanti. L’impatto con il fondo in pendenza non fu particolarmente violento, soprattutto dal momento che il fondo si rivelò friabile; il danno fu indiretto.

Una grande nube di sostanza bianca si levò attorno a loro, impedendo la vista e bloccando perfino i sensi di Bill con disturbi statici. Rekchellet, l’unico a essere isolato dall’ambiente circostante, sentì che l’abitacolo si inclinava, mentre il Compromesso si arrestava e cominciava poi a rotolare adagio all’ingiù, a sinistra rispetto alla direzione in cui stavano procedendo. Solo le dimensioni limitate della sfera pressurizzata — otto metri di diametro interno — gli consentirono di raggiungere i comandi quando il sommergibile si rovesciò. Il primo capovolgimento proiettò Hugh e Janice fuori dal loro serbatoio. Il secondo strappò Venzeer dal proprio appiglio; il Crotonita riuscì ad aggrapparsi momentaneamente a un corrente orizzontale esterno, ma lasciò la presa rendendosi conto che avrebbe rischiato di venire travolto dallo scafo che continuava a ruzzolare lento e maestoso. Gli elementi dell’intelaiatura, penetrando nella superficie in pendenza, sollevarono altri turbini di sostanza bianca. L’alato, scegliendo un momento in cui i suoi sensi di volo gli dissero che il movimento verso l’alto stava mutando in senso contrario e quindi lui presumibilmente si trovava sopra, scivolò fuori e salì di alcuni metri per sottrarsi al pericolo. La nube attorno a lui si oscurò mentre il sommergibile e le sue luci rotolavano lontano.

Venzeer stava per seguire la chiazza luminosa che svaniva lentamente; poi si rese conto che spostandosi di lato forse sarebbe uscito da quella zona torbida e avrebbe potuto vedere meglio. L’idea funzionò, più o meno; adesso riusciva a vedere la nube stessa, e una specie di testa di cometa più chiara… il Compromesso, presumibilmente, ora molto più in basso. Alzando lo sguardo e scrutando il pendio, scorse una cavità che avrebbe potuto essere il punto d’impatto. Accanto alla cavità, notò due macchie di luce molto più piccole, visibili probabilmente grazie all’opera delle correnti che avevano spazzato via i sedimenti. Venzeer era un esploratore esperto; contattò i compagni, prima di fare qualcosa.

— Rek? Bill? Hugh? Jan? Sono fuori. Vedo qualcosa che dovrebbe essere il sommergibile, se sta ancora rotolando verso il basso, e altre due luci. Ho ragione riguardo il sommergibile? E devo tornare al sommergibile adesso o indagare sulla natura delle altre luci?

— Occupati delle luci, per favore. — Il codice umano giunse chiaro. — Il sommergibile sta rotolando. Siamo caduti fuori. Siamo noi le luci. — Venzeer sapeva che la sommità dei serbatoi adibiti ad abitacolo era aperta; la notizia lo sorprese solo in minima parte.

— Va bene. Vi terrò d’occhio. Venite giù se potete muovervi. Forse è meglio che io rimanga in questo punto, da qui posso vedere sia voi che il sommergibile. Bill? Rek? Avete perso il controllo del mezzo, o potete fermarvi e tornare indietro?

— Non so se abbiamo perso il controllo — rispose l’Habra. — Non rotoliamo più, mi sembra… Ora provo a manovrare.

Nello stesso istante, Janice comunicò. — Direzione incerta. Scafandro neutro. Sommergibile visibile finora. Voliamo verso il sommergibile. — Nessuno sforzo era stato fatto dal gruppo per operare una distinzione tra le parole «nuotare» e «volare»; perfino gli Erthumoi ormai consideravano la differenza un semplice cavillo.

Adesso Venzeer vedeva in modo chiaro il Compromesso, a duecento o trecento metri di distanza. Il sedimento fine aveva cessato di sollevarsi; presumibilmente, il rotolamento dello scafo era cessato…

Poi, d’un tratto, il Crotonita si accorse che il sommergibile non era più sul fondo. Intuì quasi subito il perché, e si affrettò a comunicare. — Bill! Rek! State salendo! Dovete aver perso la zavorra quando il mezzo si è rovesciato!

— Serbatoi chiusi — osservò Hugh.

— Chi ha progettato i coperchi non ha tenuto conto della densità del rame, immagino, o qualcuno ha lesinato sul materiale. I lingotti probabilmente hanno sfondato i serbatoi dopo qualche ribaltamento. Bill o Rek! Avete il controllo dei mezzo?

— No — rispose calmo l’indigeno. — Pare che la maggior parte dei tubi delle eliche siano ostruiti. Sto alzando al massimo il riscaldamento; forse funzionerà. Se è fango, però, dovremo uscire a liberarli con dei getti d’acqua.

— Fango qui? Com’è possibile? — chiese Rekchellet. — Avevi detto che la materia fine si deposita vicino al lato esposto al sole del continente, a oltre duemila chilometri da qui.

— È materia finissima, in gran parte… e in un oceano profondo cinquecento chilometri le correnti possono distribuirla molto uniformemente — rispose Bill. — Io spero sia solo ghiaccio, comunque.

— Ghiaccio così polverizzato sott’acqua? Com’è possibile?

— Basta discussioni teoriche! — sbottò Venzeer. — State salendo, e presto non sarete più in vista. Devo seguirvi o devo rimanere con gli Erthumoi?

— Rimani con noi. — Il messaggio in codice fu così immediato da sembrare perentorio. Venzeer provò un impeto d’indignazione nel ricevere un ordine da una persona senz’ali; adesso però il concetto di «persona» in sé significava qualcosa per lui.

— Perché? Avete delle luci. Possiamo tornare a prendervi, sempre che il sommergibile riesca a tornare indietro. Può darsi che abbiano bisogno di me, perché li aiuti a sbloccare le eliche.

— Bisogna trovare la zavorra, innanzitutto. Non la troveremo più se non la localizziamo subito. Resta nel punto in cui il sommergibile ha iniziato a salire. Tieni accesa la luce. — Era stata la donna a comunicare. Poi fu la volta del marito.

— Bill, aziona tutte le eliche. Non importa dove sono orientate. Scalda l’ambiente circostante.

— Capisco — rispose l’indigeno. — Pensi che sia ghiaccio.

— Speranza ragionevole — confermò Janice.

— Perché?

— Non sul fondo. Probabilmente piattaforma di ghiaccio medio. Rilievo in area minor pressione, lenta trasformazione in ghiaccio alto. Microcristalli, liberi, li raccogliete e crescono. Non vero sedimento. Formazione locale.

— Può darsi — convenne l’Habra. — Ma spero non si stiano formando cristalli nei tubi delle eliche.

— Attiva le eliche bloccate alla velocità minima — suggerì Hugh. — I motori si scalderanno. Può servire.

— Se i motori non bruciano. Dovrò stare attento. Ma vale la pena di tentare.

— La schermatura è un buon conduttore. Il ghiaccio dovrebbe mantenere l’ambiente circostante al punto di fusione locale.

— Janice — chiamò Venzeer.

— Sono circa nel punto in cui il sommergibile ha cominciato a salire. Le mie luci non rivelano nessun lingotto di zavorra.

— Forse si è depositata della polvere sui lingotti. Potrebbe essere ancora ghiaccio medio in parte. Resta lì. Non rischiare di farti spostare dalle correnti, a meno che tu non riesca a vedere un punto di riferimento fisso.

— D’accordo. Vedete la mia luce?

— Sì. Presto ti raggiungeremo — rispose Hugh. — Il sommergibile ha lasciato una scia. Luce superflua, forse.

— Però non spegnerla — aggiunse sua moglie.

— Se c’è una traccia, la zavorra dovrebbe essere lungo la traccia, in qualche punto — fece notare Venzeer.

— Lo speriamo anche noi. Seguì un periodo di silenzio, rotto infine da Rekchellet. — Bill! Stando al mio quadro strumenti, sembra che un’elica principale sia bruciata.

— Temo che tu abbia ragione. Era bloccata, e probabilmente era troppo grande perché il calore si disperdesse abbastanza in fretta, nonostante il ghiaccio. L’altra principale è in funzione, e starò più attento con quelle direzionali. Sto cercando di tenere bassa la prua, in modo che il propulsore in funzione ci impedisca di salire troppo rapidamente, però temo che il ghiaccio stia ancora guadagnando terreno. Ci sentite ancora? Venzeer? Erthumoi?

— Sì. Non potete essere molto in alto. Non vedo più le vostre luci, però. E voi, Hugh e Janice? — L’idea che la capacità visiva erthumiana potesse essere in qualche modo superiore a quella di un Crotonita non avrebbe neppure sfiorato Venzeer qualche settimana addietro.

— No. Non le vediamo da un po’ — rispose Janice. — Stavamo guardando in basso, comunque… Hugh, delle masse bianche della dimensione giusta! -

Gli altri tre attesero, tesi.

— Abbiamo due lingotti — annunciò infine Hugh. — Coperti di polvere bianca. Li abbiamo puliti… potremmo trasportarli, ma aspetteremo finché non avremo trovato gli altri. Jan, lascia qui la tua luce.

— D’accordo.

— Se sono tutti nel tratto tra noi e te, Venz, dovrebbero formare un mucchio di notevoli dimensioni. Probabilmente possiamo trovarli. Vuoi ancora aiutare il sommergibile?

— E come farei a trovarlo? Adesso devo far parte della squadra recupero zavorra, mi pare.

— Vero. Errore mio. Vieni verso le nostre luci e cerca.

— Va bene. — Questa volta il risentimento suscitato dall’ordine fu di brevissima durata. Dopo tutto, il codice era scomodo, e per le richieste erano necessarie più parole… e in ogni caso quella era la cosa più logica da fare. Venzeer cominciò ben presto a trovare lingotti di rame.

A una distanza indefinita sopra di loro, l’Habra si rivolse al compagno rimastogli. — Rek, pilota tu. Tieni la prua verso il basso… riesci a distinguere in che direzione è il basso anche col globo ghiacciato, vero?

— Sì, facile. C’è dell’aria qua dentro. Il basso è dove mi poso.

— D’accordo. Io esco con un ugello. Userò una fune di sicurezza, naturalmente, ma assicurati che le luci rimangano accese.

— Bene. Continua a parlare, così saprò che non ti è successo nulla. Ho anche portato il calore al massimo nei tubi.

— Lo so. Lo scafo non sta gelando. Peccato che non possiamo scaldare la tua sfera pressurizzata.

— Ho abbastanza caldo.

— Intendo esternamente, così potresti vedere.

— Oh. Non importa adesso, basta che riesca a distinguere in che direzione è il basso.

— Ma vorrai disegnare, immagino.

— Descrivimi le cose, e farò del mio meglio.

Le descrizioni vennero udite con interesse, anche se debolmente, da Venzeer, ma non dai suoi compagni più sotto; il suono si propagava bene nell’acqua, e i Crotoniti potevano sfruttare le membrane alari per una ricezione migliore.

Le notizie, comunque, non erano incoraggianti. Il Compromesso stava ancora salendo, pur se lentamente. A ogni chilometro di salita, la pressione si abbassava di circa diciotto atmosfere, e il punto di fusione del ghiaccio alto aumentava di quasi un quinto dì grado Kelvin. I cristalli di ghiaccio si formavano di preferenza su altri cristalli di ghiaccio, e il calore sprigionato dalla cristallizzazione veniva disperso troppo rapidamente per contrastare il processo di formazione in maniera efficace. Il ghiaccio alto era meno denso dell’acqua liquida, e il Compromesso di minuto in minuto stava acquistando una galleggiabilità sempre maggiore. Se fosse giunto a un livello critico, i suoi riscaldatori non sarebbero più stati in grado di impedire che lo scafo gelasse, e un’enorme palla di neve avrebbe colpito la parte inferiore della piattaforma glaciale entro un paio di giorni.

Naturalmente, il sommergibile avrebbe potuto incontrare un’area ricca di soluti, dove il ghiaccio avrebbe cominciato a sciogliersi. Purtroppo, gli Habra non avevano carte delle correnti di una regione così vicina a Latoscuro, ed era impossibile valutare quali fossero le probabilità che tale ipotesi si verificasse. Né Bill né Rekchellet contavano minimamente su una simile eventualità; essendo esploratori, erano disposti a rischiare, però non erano né giocatori d’azzardo amanti del rischio né ottimisti patologici.

Rekchellet aveva avuto modo di impratichirsi coi comandi, anche se non quanto Bill, e fece di tutto per sfruttare al meglio i propulsori funzionanti. Di tanto in tanto, l’indigeno riusciva a riattivare un altro modulo direzionale, ma non c’era nulla da fare per il propulsore principale fuori uso. Gli era bastato uno sguardo per rendersene conto; non solo il motore era bruciato, ma quando l’Habra aveva tolto energia il modulo si era anche raffreddato piuttosto in fretta scendendo al di sotto della temperatura di congelamento locale. L’acqua all’interno era ghiacciata, e il ghiaccio alto si espandeva quando gelava…

Se solo avessero avuto qualche lingotto di zavorra, anche pochi… Non ne avevano; William aveva controllato nei serbatoi sfondati, pur sapendo già che sarebbe stata una perdita di tempo.

Aveva rimesso in funzione tre moduli direzionali e stava lavorando al quarto, quando la sua luce gli mostrò quel che temeva e si aspettava. Uno dei tubi più sottili dell’intelaiatura del mezzo subacqueo stava diventando bianco. Per un attimo, Bill non osò guardare gli altri tubi della stessa grandezza; forse era solo un blocco limitato del fluido di scambio termico. Ma la speranza, soprattutto una speranza vana, non bastava. Bill doveva sapere. Spostò la luce attorno a sé. Non era un fenomeno limitato.

— Rek, la situazione peggiora, temo. Il sommergibile sta cominciando a ghiacciare.

— E io sto sfruttando al massimo il propulsore principale che abbiamo. L’altro è proprio inutilizzabile?

— Sì.

— E se dessi energia ugualmente? Ci sarà del calore, almeno, no?

— Come minimo. Preferirei non rischiare di mandare in corto circuito un fusore.

— Cosa abbiamo da perdere?

— La capacità di pensare qualcos’altro, soprattutto.

— I tuoi pensieri saranno abbastanza pesanti? Abbiamo bisogno di peso o di potenza, di energia. Queste sfere pressurizzate… immagino che abbiano cambiato le cose abbastanza da… per l’Artefice!

— Che c’è? Rek, hai…

— Sono stato stupido come se non avessi mai avuto le ali. Pensaci un attimo, per mille ali tarpate! La sfera della camera d’equilibrio è vuota, come l’ho lasciata l’ultima volta che sono rientrato. Stai lontano… faccio entrare l’acqua! Otto metri di diametro interno… più di cento tonnellate! Ecco fatto! In che direzione stiamo andando, adesso? Devo essere una coppia di gemelli. Com’è possibile che io sia stato così stupido da solo?

— Era la procedura normale. Entrambe le sfere vuote… era l’assetto standard.

— Sono stato stupido comunque. Questa non è una situazione normale. Abbiamo smesso di salire?

— Sì. Decisamente. Stiamo scendendo… lentamente, ma stiamo scendendo. Ora dobbiamo solo trovare gli altri.

— Non dovrebbe essere difficile. Venz, ci senti, vero?

— Sì, appena appena — fu la risposta.

— Riesci a distinguere da quale direzione provengono le nostre voci?

— Non molto bene. Sento che grosso modo provengono dall’alto, e basta. Nell’acqua il suono si propaga troppo velocemente; le onde acustiche devono colpire un’ala prima dell’altra perché noi possiamo individuare la direzione precisa del suono. Quando parlate, non so da che parte stia andando il sommergibile. Sta a voi trovarmi.

— Ma nemmeno io so che direzione prendere, stando nella sfera.

— Allora quando raggiungerai il fondo… chiedo scusa, Janice, la piattaforma… dovrai uscire e ascoltare. Poi potrai dare a Bill le indicazioni necessarie… anzi, basta che tu gli dica di seguirti.

— Ma come faccio a uscire? Dovrei vuotare di nuovo la camera d’equilibrio, e cominceremmo a salire.

— Dovrai sbrigarti.

— Immagino di sì.

— Dunque i nostri guai sono finiti — esultò Venzeer. — Purché tu non diventi sordo prima di toccare il fondo.

— Le mie ali non sono certo inferiori alle tue — ribatté l’illustratore. — Avete trovato tutta la zavorra?

— Non abbiamo contato molto attentamente — rispose Hugh, senza pensare che quelle parole avrebbero messo in apprensione chi ascoltava. — C’erano cinquemila lingotti di rame da cento chili nei serbatoi, se ben ricordo. Venz ne ha trovati parecchi, una vera e propria montagna, prima che ci ricongiungessimo. I pochi che Jan e io avevamo trovato erano solo pezzi sparsi, isolati; non penso siano tanto importanti, comunque li abbiamo riportati nel mucchio principale. Continuate a scendere. Non potete esservi allontanati molto, lateralmente.

Una supposizione che si rivelò ottimistica. Il mezzo subacqueo si era allontanato a tal punto che neppure le sue luci erano visibili, e si posò bruscamente sulla superficie compatta della piattaforma senza essere stato avvistato da chi osservava dal basso. Sembrava ghiaccio scuro, duro, semitrasparente, piano, per quel che era in grado di dire Bill, molto diverso dalla parete del rilievo urtata in precedenza dal Compromesso. C’era parecchia vegetazione, che in parte stava disintegrandosi, gorgogliando e ribollendo violentemente nei punti in cui veniva schiacciata dal sommergibile. Presumibilmente l’azotidrato e gli enzimi, fuorusciti e venuti a contatto in seguito alla rottura delle membrane cellulari e degli organelli, stavano reagendo per dare azoto libero… una delle concause note delle tempeste in altre regioni oceaniche. Le bolle svanivano quasi subito, via via che il gas si raffreddava ed entrava in soluzione a duemila atmosfere di pressione.

Rekchellet non vide nulla di tutto ciò, dal momento che la sua sfera era ancora gelata, e Bill non vi fece caso; non era nulla di insolito per lui. Venzeer udì brevemente quel gorgogliare rabbioso, poi ascoltando con maggiore attenzione sentì i propulsori del sommergibile.

— Siete giù? — chiese.

— Sì — rispose Rekchellet. — Non vedete le nostre luci, immagino. Uscirò. Bill, dovrò vuotare la camera d’equilibrio, quindi per un paio di minuti probabilmente non potrai tenere il sommergibile sul fondo.

— Non importa. Perfino gli Erthumoi udirono il rumore del mare che si riversava nella sfera, ma dentro gli scafandri non riuscirono a distinguere la direzione del suono. Venzeer la individuò con sicurezza, e indicò ai compagni da che parte dovevano guardare.

— Sono fuori — annunciò infine l’artista crotonita. — Fate qualche rumore.

Venzeer cominciò a parlare. Hugh prese un lingotto di rame e lo lasciò cadere su un altro lingotto. Rekchellet sentì entrambi i suoni, ma riferì che il secondo era molto più chiaro.

— Distingui la direzione? — chiese pratico il suo compagno. Ci fu una pausa; Hugh, senza istruzioni, continuò la trasmissione percussiva metallo— contro-metallo.

— Da questa parte, credo, Bill. — Rekchellet si staccò dal sommergibile nuotando lentamente.

— Come, credi? — sbottò Venzeer.

— Ho sempre la sensazione che potreste essere dietro di me invece che davanti. Prima sono sicuro di sapere in che direzione vi trovate, un attimo dopo sono convinto del contrario.

— Senti o vedi qualche corrente? — domandò Janice.

— Certo. Basta osservare le piante. Se smetto di nuotare, vengo trasportato, mi muovo rispetto alle piante. Le piante si piegano, inoltre.

— Rispetto a voi, ti sembra che siamo a monte o a valle?

— A monte, controcorrente.

— Questo quadra. Prima, mentre eravate lontani, sarete stati trasportati lungo la corrente.

Rekchellet fu colpito da quell’osservazione; Bill, no. — È assurdo basarsi sulle correnti, pensare che possano mantenere una direzione costante per qualsiasi periodo di tempo — ribatté l’indigeno.

Janice aveva già espresso il proprio punto di vista sulla natura caotica del clima di Habranha e non se la sentiva di contraddire la voce dell’esperienza, ma suo marito diede quello che sembrava l’unico consiglio ragionevole.

— Procedi nella direzione che stai seguendo, e facci sapere se le correnti cambiano. Io continuerò a battere.

Il viaggio continuò per una buona mezz’ora. La corrente — Bill confessò il proprio stupore — rimase costante. Procedevano lentamente, a una velocità molto più bassa di quella a cui avrebbe potuto volare Rekchellet, perché non era affatto facile per Bill governare il sommergibile; la propulsione principale doveva essere usata perlopiù per tenere il mezzo in prossimità del fondo, anche con la sfera d’equilibrio piena d’acqua; e dato che il modulo propulsore era fisso, il Compromesso doveva viaggiare quasi con la prua in giù. Una volta Rekchellet riferì che il rumore guida stava diventando più debole, ma dopo qualche discussione si appurò che dipendeva da Hugh, che stava stancandosi e lasciava cadere il lingotto da un’altezza minore. Hugh e la moglie standardizzarono la distanza di caduta e si diedero il cambio regolarmente, e Rekchellet e il sommergibile continuarono ad avanzare.

Venzeer e i compagni tesero lo sguardo nella direzione da cui, secondo quanto affermato prima dal Crotonita, giungeva il rumore del propulsore, finché Hugh non notò che quella era anche la direzione da cui proveniva la corrente e lo fece notare dopo avere esitato un poco. Allora rivolsero la loro attenzione in ambo le direzioni, finché non apparve un lieve chiarore… a valle. Nessuno parlò dell’ambiguità direzionale del suono, anche se un Crotonita non si era sbagliato. Il tatto era ancora di rigore.

— L’avevo detto che le mie ali funzionavano benissimo — fu l’unico commento, fatto dall’artista-registratore, mentre Bill arrestava il sommergibile avvicinandosi il più possibile al cumulo di lingotti. Venzeer non disse nulla.

Ma le ali di Rekchellet non erano per niente adatte a qualcos’altro. Né quelle di Venzeer né quelle di Bill. Nessuno di loro riusciva a sollevare un lingotto da solo, e le varie imbracature di corda improvvisate per consentire ai Crotoniti di lavorare insieme si rivelarono molto scomode. Una massa di rame di cento chili, sott’acqua, alla gravità habra, pesava poco più di quindici chili. I volatili trasportarono alcune centinaia di lingotti, ma il resto fu portato dal mucchio ai serbatoi dai membri della squadra privi di ali. Un peso di quindici chili non era indifferente per un paio di gambe erthumiane quando dovevano muovere delle pinne, ma data la struttura di un sommergibile habra non era necessario nuotare. Ci si poteva arrampicare molto facilmente.

Fu un lavoro di parecchi giorni, e marito e moglie erano esausti alla fine. Non fecero tante obiezioni quando Bill dispiaciuto fece notare che era impossibile raggiungere l’Oceano Solido con un solo propulsore principale. Avrebbero dovuto ritentare.

Si astennero anche da qualsiasi commento sull’abilità di volo relativa.

Janice apprezzava tuttora i Crotoniti, e perfino suo marito ammise che gli alati avevano sopportato bene la propria dimostrazione di incapacità personale, anche se la cosa sicuramente non li aveva rallegrati. O anche se sicuramente non erano davvero riconoscenti per quello che gli Erthumoi avevano fatto per loro, aggiunse in seguito Hugh.

— Perché dovrebbero essere riconoscenti? — chiese sua moglie. — Noi terricoli stavamo salvando anche le nostre vite.

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