Titolo originale: Woodcraft
Dapprima il velivolo scintillò al di sopra del mare, così simile a una stella che Laurice Windfell provò come un nodo in gola. Venafer è splendida al mattino e alla sera nei cieli di Ather, ma su Venafer non si scorge mai neppure per un istante il pianeta gemello, anzi non si scorge assolutamente nulla all’infuori di un indefinito disco solare quando le nubi si riducono a un velo sottile.
Laurice era da troppo tempo su quel pianeta. Improvvisamente la nostalgia di casa divenne una fitta di dolore quasi insopportabile, nostalgia per i freddi venti che spazzavano le colline, per la cima innevata del monte Orden che si stagliava a settentrione sulla linea dell’orizzonte, e poi un’astronave, e via nello spazio, lo spazio!
Tutto a tempo debito, si disse. Prima devo finire un lavoro. Una promessa da mantenere.
Quando ebbe riconosciuto l’oggetto che si stava avvicinando, si girò e si allontanò dal promontorio verso la pista d’atterraggio. Alle sue spalle l’oceano mormorava incessante contro gli scogli. Le onde raramente si frangevano con fragore su quel mondo privo di lune, anche se l’orbita attorno a Florasol era così piccola da permettere al sole di provocare maree di considerevole entità. L’acqua scintillava di un colore verde giallastro in prossimità della riva, per poi diventare più scura e tendere al violetto in lontananza. A grande distanza si annidavano le nubi nere di un temporale solcate dai lampi dei fulmini, ma sopra di lei e verso est si stendeva un cielo color grigio argenteo. Davanti a lei, invece, la foresta si stendeva fino alla linea costiera, una muraglia fatta di grandi tronchi d’albero, di liane, cespugli, fogliame color rossiccio e terra d’ambra, fiori brillanti, ombre profonde. La foresta faceva apparire piccolissima la radura dove sorgeva la base naxiana. Nell’aria calda e umida si levavano pesanti effluvi di ogni genere.
Dalle capanne scivolavano fuori corpi serpenti lunghi quanto il suo o anche di più. Le loro pelli glabre rilucevano di una varietà di colori; i coloni di New Hallan provenivano da molte e diverse regioni ancestrali, simili solo nella fede e nelle speranze. Diversi di loro stringevano nelle pseudomani estruse attrezzi o strumenti. L’eccitazione può diffondersi con forza e velocità esplosive tra esseri che avvertono direttamente le emozioni. Non che la cosa fosse ingiustificata del resto. Anche Laurice era stata attirata dall’eccitazione verso il promontorio per guardare in direzione di sud-ovest una volta che era arrivata la secca comunicazione che gli aiuti erano per via.
Laurice raggiunse la pista di nuda terra battuta, cotta dal caldo come un mattone. Un hangar di legno col tetto in paglia mostrava il suo ventre vuoto. Il velivolo in dotazione al campo aveva trasportato via i morti e i feriti per curare i secondi ed eventualmente cremare i primi, abbandonando sul luogo coloro che non avevano subito danni. — Su, muoviti! — esclamò Laurice impaziente, strizzando gli occhi. — Che cosa aspetti? — Una goccia di sudore le scivolò giù dalle sopracciglia finendo in un occhio. Bruciava. Laurice emise una pittoresca imprecazione.
Parabola arrivò in quel momento e si unì a lei. Il botanico aveva pensato di portare con sé un simultrans. L’apparecchio serviva a tradurre fischi e sibili altrimenti incomprensibili in Merse, superfluo per lei, ma indubbiamente necessario per il nuovo arrivato.
— Questo pilota è un tipo estremamente prudente, onorevole signora.
Laurice rispose nella propria lingua, che il Naxiano comprendeva anche se non era in grado di pronunciarla in modo intelligibile. — Be’, immagino che questa zona sia nuova per lui, e non vorrà farsi sorprendere da qualche corrente d’aria strana che lo metta in difficoltà. Anch’io ho imparato a pilotare in modo prudente.
— Le costò fatica ammetterlo e capì che Parabola l’aveva compreso.
Ma quel che è giusto è giusto. Non doveva perdere la calma, né la facoltà di giudizio, adesso che doveva ancora salvare Copperhue. La realtà era che Venafer rimaneva un luogo di misteri, e all’interno di alcuni di essi si celavano trappole mortali.
Un pianeta intero, pensò. (Quante volte aveva pensato le stesse cose sia lì che altrove?) Non l’inferno globale di giungle e paludi che immaginava la maggior parte delle persone; no, un luogo vario quanto lo era Ather. Ma la cara Ather assomigliava più o meno a un’altra Terra, rinnovata e di nuovo virginale. Gli Erthumoi l’avevano presto fatta loro e lei a sua volta li aveva reclamati per sé. Per tutti i secoli che erano seguiti, pochi si erano curati di scendere su Venafer, e nessuno di stabilirvi la propria dimora. Una manciata di scienziati; due imprese che non si erano ingrandite a causa delle difficoltà e dei pericoli che avrebbe posto la loro crescita, niente di strano che la maggior parte di quel pianeta fosse ancora mundus incognitus. Le esplorazioni da lei compiute avevano riguardato mondi di altri soli, altrettanto insoliti ma senz’altro più attraenti. Fino a quel momento.
— Ssst, ecco che scende! — esclamò Parabola. La cosa, la femmina, posò il muso tozzo sulla spalla di Laurice con un gesto stranamente materno. Guardandosi attorno, l’Erthuma fissò i grandi occhi che in realtà non erano d’onice, perché tanto ricchi di calore. — Coraggio, onorevole signora. La nostra attesa è durata meno del previsto; osserva il tuo crono. Copperhue sicuramente vive ancora e presto lo troverai.
Possibile che un Erthuma potesse essere così ricco di comprensione, proprio a quel modo? — Può darsi, può darsi — pregò Laurice. — Anche e soprattutto per il vostro bene.
Parabola si ritrasse di qualche centimetro. — La sua perdita sarebbe veramente un grave colpo per noi. — Il simultrans non riuscì a tradurre il senso di gravità che Laurice comunque intuì. — Copperhue è qualcosa di più di un simbolo, l’eroe che ci ha fatto guadagnare una patria. È diventato un leader, ma temo di non riuscire a spiegare come alla tua razza. Ma anche noi, come te, saremmo molto addolorati dalla dipartita di un amico.
Ora erano circondati da tutti gli altri e rimasero a osservare il cielo. L’oggetto a forma di goccia aveva cominciato a perdere lentamente quota. Poi il carrello d’atterraggio prese contatto col terreno. Nel silenzio che seguì si udirono distintamente il vicino stridio di un’ala di Laurice si fece avanti per andare incontro al pilota. Questi aprì un portello e saltò a terra. Per un momento si soppesarono.
L’uomo era alto, magro, scuro di carnagione, con lineamenti aquilini… bello, nel complesso, pensò lei, e si immaginò come doveva vederla lui. Dopo il ringiovanimento subito qualche anno prima, il suo corpo di media statura non aveva ancora assunto una figura piena; ma Laurice riteneva che la maturità le trasparisse dal viso, abbronzato e dagli occhi castani, col suo casco di capelli ramati, forte di zigomi e, come si era sentita dire più volte, con labbra sensuali. A parte Uldor Enarsson, col quale sarebbe stato comunque poco saggio avviare una relazione troppo intima, lei aveva passato mesi e mesi da sola con i Naxiani… e loro potevano comprendere che cosa provasse. Ma non gli importava. Ciò nonostante le sue guance si accesero per una vampa di calore e lei provò un’irritazione del tutto irrazionale nei confronti del nuovo arrivato.
Del resto l’espressione di quest’ultimo era meno che cordiale.
— Salve — gli disse in tono formale. — Mi chiamo Laurice Windfell.
— Lo so, signora — rispose questi con la stessa rigidità e un accento del Westland. — Io sono Kristan Arinberg, la guida di soccorso che ha ordinato.
Laurice ebbe un sorriso forzato. — Richiesto, direi. Anche se ammetto il tono abbastanza pressante. — La loro stretta di mano fu velocissima.
— Il suo tono quando ha chiamato era tra i più perentori che abbia mai sentito — osservò l’uomo.
— C’è in gioco una vita — scattò Laurice. Ho preparato l’attrezzatura. La vado a prendere e partiremo subito. Non ci rimane ancora luce per molto.
L’uomo le tenne dietro. Quel campo l’aveva forse incuriosito? — Naturalmente ho portato la mia attrezzatura.
— È adatta per questa escursione?
L’uomo arrossì. — Ho lavorato tutta la vita su Venafer. Lei da quanto tempo è qui?
— Da circa un anno. — Naturalmente si riferiva a un anno di Ather, ma come tempo valeva all’incirca un periodo standard di Erthuma. — Sono qui per via dell’esperienza che mi sono fatta su sette pianeti diversi. Prenderemo quel che ho preparato. Durante il volo esaminerò la sua attrezzatura e se necessario faremo qualche modifica.
Il pilota si morse il labbro e Laurice si rese conto di aver dimostrato assai poco tatto, visto anche che era stata lei a chiedere aiuto. Un membro di una Casata di Ather non è abituato a sentirsi parlare in quel modo. No, nessuna persona come si deve si sarebbe mostrata così brusca con un cliente o anche semplicemente con una persona qualsiasi.
A meno che non fosse necessario. Oh, Copperhue…
Cercando un argomento per riallacciare la conversazione, Laurice domandò: — Ha qualche informazione sui nostri feriti?
— No — rispose Kristan. — Quando sono partito non erano ancora arrivati alla Stazione Forholt.
Questo Laurice se l’era aspettato. Il velivolo del suo gruppo era capace ma lento, quello di Kristan l’esatto opposto. — So solo che diversi Naxiani e un Erthuma sono feriti in modo abbastanza serio da richiedere il ricovero in ospedale, almeno per questa notte — aggiunse Kristan, forse cercando anche lui di fare la pace. — Come stanno le cose?
— Uldor Enarsson è quello messo peggio. Non al punto di essere in pericolo di morte. Gli hanno fatto una prima medicazione sommaria al campo, poi li ho seguiti quando il nostro velivolo li ha raccolti e l’ho curato un po’ io mentre tornavamo qui. Ma temo che nel migliore dei casi rimarrà fuori combattimento per qualche settimana, e probabilmente dovremo ritirarlo dal progetto e farlo rientrare su Ather. Al diavolo! — le sfuggì.
— Un cliente di Windfell, vero?
— Sì, anche se in realtà ha passato diversi decenni su Venater conducendo ricerche ed esplorazioni indipendenti.
— Lo so. Ha fatto un eccellente lavoro prima di… unirsi a lei.
Con uno sforzo la donna ignorò l’ultima osservazione. — La mia preoccupazione va oltre gli obblighi di un patron. Uldor era, è anzi, un compagno, un uguale, per quel che mi riguarda. E quasi indispensabile per di più. Senza le sue informazioni e le sue capacità i nostri progressi andranno a rilento, a meno che non riusciamo a trovare un rimpiazzo degno di questo nome.
— Un processo adatto ai serpenti, insomma.
Laurice gli rivolse un’occhiataccia e l’uomo disse: — Mi scusi, sono stato scortese, vero? — Ma non sembrava poi troppo pentito. — Sono irritato. Questa faccenda mi ha strappato alle mie ricerche, che erano a un punto critico. E non c’era a disposizione nessun altro che fosse qualificato. Ma naturalmente se c’è in pericolo una vita senziente, è mio dovere dare una mano. — Fece una pausa. — Sempre che lei abbia veramente bisogno di uno come me.
— Può rendere tutto più facile. Entrarono nella base. Laurice vide la sorpresa dipingersi sul viso di lui, evidentemente doveva avere avuto troppo poco interesse, o sentirsi troppo pieno di risentimento, per scomodarsi ad apprendere su quell’impresa qualcosa che andasse oltre la semplice constatazione della sua esistenza. È vero che i Naxiani non volevano pubblicità; si facevano gli affari loro nel modo più quieto possibile.
Una palizzata eretta per tenere lontani gli animali e riparare la base dal vento durante i temporali racchiudeva una dozzina di edifici. Alcuni erano alloggi, altri servivano da magazzini od ospitavano servizi di pubblica utilità, uno era un laboratorio. Tutti erano di forma cilindrica ed erano costruiti di sassi cementati con fango secco; il tetto era di tronchi e zolle d’erba. La presenza di camini indicava che in diversi edifici c’erano caminetti. Porte e infissi erano di legno, rivestiti di pelle di sauroidi, le intelaiature delle finestre stringevano lastre di vetro opaco, chiaramente opera di dilettanti che si erano serviti della sabbia locale.
— Accidenti! — esclamò Kristan. — Dev’essere costato parecchio lavoro, vero?
— Molto, sì — rispose Laurice., — Ma in futuro ce ne vorrà meno. Lavorando abbiamo imparato.
— Ma… perché farlo quando avreste potuto limitarvi a montare rifugi prefabbricati? Ce ne sono anche di adatti alle condizioni di Venafer.
— Lo so. Lo sapevamo tutti. Non sapeva che uno dei nostri principali obiettivi era appunto quello di scoprire che cosa si può fare sfruttando le risorse locali?
Laurice l’aveva detto in tono amichevole ma Kristan si irrigidì. — Immagino che questo accelererà il loro processo di sviluppo quando cominceranno a riprodursi sul serio. Fino a quando non saranno pronti ad aprire miniere e fabbriche e… — l’uomo si interruppe. — Ma queste costruzioni come fanno a resistere a tutta l’acqua che viene giù?
Laurice ammirò l’intelligenza di quell’uomo che le aveva rivolto una domanda non solo valida, ma anche intesa ad allontanare il pericolo di una lite che non si potevano davvero permettere. Quanti anni avrà? si chiese. Se si è sottoposto a qualche processo di ringiovanimento in più dell’unico che ho avuto io… — I Naxiani hanno condotto esperimenti sotto la direzione di Uldor prima del mio arrivo. E hanno scoperto che basta aggiungere un po’ di ghiaia alla terra che si trova da queste parti perché, dopo averla tenuta qualche ora all’asciutto, questa si consolidi come cemento. Ha notato la superficie della nostra pista d’atterraggio, no?
Ancora una volta Laurice si accorse di aver detto la cosa sbagliata. Le narici di lui fremettero. — Sì. Quando avrete abbattuto tutti gli alberi questa regione sarà sterile.
— Non intendiamo farlo.
— Forse voi no. Ma quelli che verranno dopo di voi…
— Eccoci arrivati. — Laurice lo condusse nella sua capanna. Kristan si guardò attorno, ma nella penombra vide pochi degli oggetti personali di lei prima che la donna avesse raccolto il suo sacco. Comunque non c’era molta roba: fotografie dei suoi parenti e delle sue proprietà su Windfell; un lettore e diverse cartucce di libri, spettacoli, musica; un blocco d’appunti e matite varie; un flauto; una lettera a un’amica lontana già scritta a metà. Il resto erano tutti strumenti.
Quando uscirono, gli Erthumoi videro che anche i Naxiani erano tornati. — Non sono molti — osservò Kristan.
— La maggior parte di loro sta conducendo studi sul campo — gli rispose Laurice. — Questi invece si occupano di studi in laboratorio o svolgono incombenze varie.
— E lei, che cosa faceva di preciso prima dell’incidente?
— Stavo guidando un gruppo di canoisti lungo il fiume Harmony. Insegnavo loro come fare. Il nostro lavoro consiste soprattutto di esplorazioni, ricerche e sviluppo, ma adesso cominciamo anche a svolgere una funzione istruttiva. Quando questa sarà diventata il compito principale, me ne andrò.
Kristan sorrise. Come era diventato attraente di colpo quell’uomo! — Allora lei ha ricevuto una chiamata d’emergenza e il velivolo l’ha portata sul luogo. E, mi scusi, i suoi piediteneri?
— Li ho lasciati su un’isoletta a metà del fiume. Staranno benissimo per qualche giorno, se si potrà poi provvedere con un trasporto aereo. Chissà che non imparino addirittura qualcosa per conto loro.
Di nuovo nel tono di Kristan ci fu una traccia di amarezza. — Per meglio occupare più tardi il territorio, eh? — mormorò.
Parabola e Bluefire si avvicinarono loro. — Sei sicura che non vuoi che ti accompagni uno di noi, onorevole signora? — chiese il botanico.
— Grazie, no — rispose Laurice. — Dobbiamo sbrigarci. Vista l’esperienza del mio nuovo compagno, non dovrei correre rischi e potremmo condurre tutta l’operazione noi due.
— Te ne siamo molto grati, benevolo signore — disse Bluefire rivolto a Kristan.
— Mi è stato affidato questo incarico — rispose l’uomo.
— Venga — gli disse Laurice. La donna si allontanò in fretta. I Naxiani avvertivano l’ostilità dell’uomo ancora più acutamente di quanto lei l’avesse percepita nella sua voce. Di sicuro ne erano rimasti feriti. Meglio allontanarsi quindi dal loro raggio di percezione.
In silenzio gli Erthumoi ritornarono al velivolo, depositarono il sacco di lei e si sedettero fianco a fianco nella carlinga. — Ha le coordinate? — gli chiese Laurice.
— Le ha il pilota automatico. Alle pendici dei Denti di Sega, vero? Qualunque cosa lei immagini, a Forholt non siamo poi così sprovveduti. — Le sue dita premettero alcuni pulsanti sul quadro di comando. Il motore prese a ronzare.
Laurice si rese conto che stava alimentando il suo risentimento. Dovrei evitarlo, pensò. Ho guidato spedizioni in passato, no? Io e Kristan Arinberg siamo partiti col piede sbagliato. Ma è stato lui a cominciare… basta, Windfell.
L’età dell’infanzia è ormai passata da cinquantanni. No?
— Chiedo scusa — disse la donna. — Non intendevo essere offensiva. Vede, sono ansiosa, stanca e ho i nervi a pezzi.
Il velivolo si sollevò in aria. — Allora non dovrebbe riposare prima di partire, o mandare qualcun altro al suo posto? — Il tono di Kristan era pacato. — Immagino che in questo caso si sarebbe trattato di un Naxiano, ma io… — la sua voce ebbe un attimo di esitazione. — Io non ho niente contro i Naxiani in quanto tali.
Laurice scosse la testa. — Non oso perdere altro tempo. Copperhue potrebbe trovarsi in gravi difficoltà da un momento all’altro. Fino a poco tempo fa si trovava su New Halla e non ha avuto quasi il tempo di imparare nulla sulla sopravvivenza in zone selvagge. Viste le circostanze, anzi, credo di essere l’unica persona, di qualsiasi specie tra quelle presenti su questo pianeta, in grado di trovarlo.
Sempre che ciò sia possibile, pensò la donna. La pista ormai è fredda.
Il velivolo guadagnò quota e puntò verso est. La linea costiera dell’oceano sparì alla vista. Sotto di loro comparve un altro mare, bruno rossastro, le chiome di milioni e milioni di alberi che si stendevano da un orizzonte all’altro e anche oltre. Il vento creava un lento moto ondoso di frasche. Qua e là scintillava un lago o il tracciato sinuoso di un fiume.
Comparve una palude quasi nascosta da forme che apparivano grandi quanto formiche, ma che in realtà erano enormi animali. Spesso sulla foresta sfrecciava uno sciame di migliaia di creature alate. Molto lontano c’erano banchi di nubi sotto un cielo opalescente. L’impianto di aria condizionata manteneva gradevolmente fresco l’abitacolo.
— Questo Copperhue… — Laurice capì, quasi in maniera naxiana, che Kristan stava cercando di nascondere il suo scetticismo. — Questo Copperhue, dicevo, è un tizio importante?
— Oh, sì — rispose lei sorpresa. — Credevo che se ne ricordasse. Ha fatto scalpore una ventina d’anni fa. Come, a rischio della sua vita, ci ha guidati verso quei buchi neri vicini al collasso. Fu una tale impresa scientifica che la mia Casa fu ben felice di concedergli l’isola che aveva richiesta.
— Oh, è stato lui? Naturalmente. Mi ero dimenticato il nome, ecco tutto. Ther può distare solo un battito, ma qui su Venafer siamo preoccupati… isolati. Lassù sembra che non ci sia nessuno che apprezzi quel che facciamo. — In fretta, senza dubbio per evitare il sospetto che stesse recriminando, Kristan aggiunse: — So bene che anche lei vi ha preso parte, signora. È… un onore averla incontrata. — Poi, con disperata franchezza: — Peccato che non sia avvenuto in circostanze più liete.
Quelle frasi servirono a smorzare ancora di più la collera di lei. Il dolore per la perdita subita era scomparso ormai da tempo; era subentrato l’orgoglio per l’impresa compiuta. — Spero proprio che riusciremo a migliorarli, allora. Mi racconti del suo lavoro. — Era un trucco che funzionava sempre per tenere viva una conversazione.
— Sono un regionalista. — Kristan emise un suono sordo. — L’Istituto Planetario delle Università Unite non ama quel titolo e mi qualifica come geologo. — Poi in tono serio: — Ma quando il personale scarseggia veramente ognuno di noi deve essere un po’ tutto, dal chimico al naturalista, e cercare di capire un ambiente nel suo complesso. Io mi sono specializzato nei terreni collinosi di questo continente, anche se più a sud di qui. Ecco perché il capo ha deciso che sarei stato il più indicato per accompagnarla nella sua ricerca.
— Capisco. Da parte mia… — No, non aveva importanza. Accennando alle proprie attività rischiava di irritarlo di nuovo. — Le sono grata. Ogni vita è importante, ma Copperhue significa molto per me, dopo tutto quello che abbiamo passato nello spazio, la corrispondenza che abbiamo avuto e gli incontri che ci sono stati. La sua gente poi ha un debito ancora maggiore con voi. Su New Halla lo venerano addirittura. Le sue parole, la sua guida potrebbero essere decisive per determinare quanto succederà nei prossimi secoli. Lui è venuto sul continente per scoprire da sé, direttamente, i risultati che stiamo ottenendo e come facciamo a ottenerli.
Kristan aveva stretto le mani a pugno sulle ginocchia. Nonostante le cautele, Laurice aveva evidentemente toccato un tasto delicato. L’uomo ora guardava fisso in avanti. — Immagino che sia stato lui a persuaderla a far parte del progetto.
— Sì. Ma comunque mi interessava già fin dall’inizio.
— Avrei dovuto immaginare che una che come lei è stata in molti luoghi selvaggi si sarebbe interessata a loro.
— Infatti! Ma non capisce? — No, non doveva dire altro. — Ciò che ho imparato può essere applicato su Venafer. Per esempio, quegli hogan alla nostra base sono stati costruiti su mio suggerimento e sotto la mia direzione. L’idea di base era di non distruggere l’ambiente naturale ma di adattarvisi.
— Come se fosse possibile farlo senza provocare una serie di cambiamenti epocali. — Kristan inspirò a fondo. — Guardi, non voglio litigare, veramente. Ma posso chiederle di studiare un po’ di storia? I pionieri, i voortrekker si comportano proprio in modo minimalista ed economico come lei. Non hanno i mezzi per fare di più. Ma dopo di loro vengono gli agricoltori, i minatori, le città, le fabbriche… e questa è la fine di tutto ciò che chiamiamo natura.
— Ather l’abbiamo tenuto verde. In gran parte.
— Un verde addomesticato — sbuffò lui. — Avete fatto la manicure alla natura. Quel poco che rimane della vecchia vegetazione e della vita selvatica è confinato in riserve accuratamente gestite. In ogni caso, su Venafer la faccenda è del tutto diversa e lei lo sa.
Grazie alla velocità del velivolo avevano già superato la pianura costiera. Ora il suolo si alzava in collinette e promontori ancora coperti da una vegetazione densa, ma dotata di un fogliame di tinta più chiara e con frequenti radure cespugliose. Le nubi di pioggia ammantavano i Denti di Sega e si riversavano verso ovest sotto un cielo che a grande altezza era perennemente coperto.
Dopo un silenzio in cui si udirono solo il ronzio e il sibilo del loro passaggio, Kristan disse: — Devo confessare che oggi il problema non mi è chiaro. Mi è stato detto solo che era stato attaccato un campo da predatori, e che diverse persone erano rimaste ferite, compreso il leader erthuma, e che una era scomparsa. Il suo amico naxiano si è visto poi. Ma non porta il suo radiobracciale?
Loro portano radiocollari, fu sul punto di dire Laurice, ma soffocò la correzione. — No, ma non è successo per imprudenza. Si è trattato di un imprevisto. I Naxiani avevano familiarità solo con New Halla, un’isola, e stava facendo conoscenza con parte del litorale continentale. Uldor aveva lavorato sulle colline e aveva giudicato che fosse giunto il momento di esplorare quella zona e compiervi esperimenti. Disse che forse sarebbero riusciti a dimostrare che sotto molti aspetti si trattava del luogo più adatto per fondare la prima colonia sul continente.
Kristan fece una smorfia. Laurice si affrettò a continuare: — Copperhue andò con lui per osservare. I leader naxiani hanno necessità di sapere come vengono condotti questi sforzi. La squadra di Uldor fu condotta in un punto adatto e lasciata a sé. I primi due giorni li utilizzarono per stabilirvisi. Poi, ieri sera, tutti si sono rilassati prima di dare il via agli studi. Hanno tenuto un party per festeggiare. Oh, una cosa perfettamente sobria; chi crede nella Vecchia Verità non fa uso di droghe ricreative di alcun genere e Uldor, al massimo, se si sentiva espansivo, potrebbe aver bevuto un unico whisky molto annacquato. Quando andarono a dormire non videro la necessità di mettere una sentinella, ma lo fecero lo stesso. Insomma, presero ogni possibile precauzione.
«Un po’ prima dell’alba un branco di grossi carnivori penetrò in silenzio nel campo. Erano scuri come la notte e velocissimi e la sentinella non sembra essersi accorta di nulla fino a quando non li ebbe addosso, e anche allora probabilmente li avvertì solo grazie al suo sesto senso. Non lo sappiamo, ebbe appena il tempo di lanciare un grido prima di venire dilaniato. Gli invasori correvano da tutte le parti, resi ebbri dal sangue. Uldor e un paio di altri avevano tenuto vicino le armi da fuoco cariche e spararono diversi colpi, due con esito fatale, ma le zanne li dilaniarono ugualmente. Dopo un’orribile battaglia al buio, i predatori si ritirarono e i nostri hanno chiamato la base. Noi li abbiamo fatti evacuare… e il resto lo sa anche lei.»
— No, non lo so — disse Kristan. — Che tipo di predatori? Dice che ce n’erano alcuni morti da osservare.
— Lycosauroidi. Ho chiesto dati a Forholt e dalla mia descrizione li hanno identificati, rimanendo assai stupiti. Nessuno li aveva mai visti così a nord. Perché Uldor avrebbe dovuto prendere precauzioni contro di loro? In fondo era più probabile venire colpiti da un fulmine.
— Uhm. — L’espressione di Kristan divenne pensierosa. L’uomo si strofinò il mento. — Possibile che ci sia stato un cumolo di circostanze tali da spingere un unico branco a centinaia di chilometri dai tradizionali terreni di caccia? O si tratta di un segno che indica l’inizio di una fluttuazione ecologica? I branchi di certodonti in effetti sembrano in declino nelle praterie meridionali e quelli costituiscono la principale preda dei lycosauroidi…
Laurice sospirò. — La sua scienza può aspettare. No, ritiro quanto detto. Potrebbe essere l’osservazione giusta. Un altro trucco mortale messo in atto da un mondo che non è stato fatto per noi.
Ma abbastanza simile a quello di casa da attirarci nelle sue trappole, pensò la donna. Se le forme di vita naxiane, venaferiane ed erthuma non fossero state così simili dal punto di vista biologico, in grado di fornire nutrimento indifferentemente a ognuna di quelle tre razze, nessuno di noi si sarebbe sognato di compiere un’impresa come la nostra.
Il volto di Kristan si indurì. — Avrebbero potuto lasciarlo stare, in pace.
Laurice scosse la testa. — Lei sa come i credenti della Vecchia Verità avessero bisogno di un luogo loro. Discriminati sui mondi naxiani, perfino perseguitati per secoli, anche se il loro livello di onestà, laboriosità e buon senso era più che sufficiente a far vergognare la maggior parte dei membri della nostra razza…
— Non ho niente contro il fatto di concedergli un’isola — ribatté Kristan. — Non molto almeno. Venafer può farne anche a meno, se non ci importa di perdere qualche specie affascinante. Ma adesso si propongono di spostarsi sui continenti. E non solo su terre reclamate dal suo Casato. Ho controllato una mappa prima di partire. Questo nuovo territorio che stavano esplorando appartiene ai Seaholm. Che patto segreto hanno stretto col Capo dei Seaholm? E con le altre Casate?
— Niente di importante, ritengo. Devo ricordare quanto fossero nominali quelle pretese? Ogni società atheriana che ha tentato di esplorare qualcosa è finita in fallimento, fatta eccezione per la Evenstar Minerals and Exotic Animai Products; e sono una società microscopica che tira appena fuori le spese.
— E così dovrebbe essere. No, non è necessario che mi tenga una lezione di economia elementare relativa a un ambiente inospitale sul fondo di un pozzo gravitazionale abbastanza profondo. Dopo trent’anni in questo settore ho una certa familiarità con la situazione.
Laurice cercò di soffocare l’irritazione ammettendo dentro di sé che Kristan poteva anche aver preso le sue parole come indice di presunzione, un insulto… trent’anni? Quanti processi di ringiovanimento aveva subito? Di cosa si era occupato prima di dedicarsi a quella carriera? Matrimonio, figli, nipoti? Aveva una moglie? O forse, almeno in quegli ultimi decenni, era sposato a Venafer? Certo era necessario amare non solo la scienza per dedicarvisi così totalmente, ma anche il pianeta stesso, i suoi disagi, i suoi pericoli, i suoi inganni, i suoi predatori e la straripante ricchezza delle forme vitali che generava.
Laurice soffocò il proprio orgoglio. — Mi spiace. Se l’ho di nuovo irritata, mi creda, non l’ho fatto di proposito. Nel corso di una visita a casa, ho dovuto cercare di spiegare e rispiegare le cose a gente che ignorava praticamente tutto e che non aveva alcun interesse per l’argomento fin quando non hanno sentito che avrebbero avuto dei vicini non Erthumoi. Immagino che sia diventata un’abitudine.
Il sorriso di lui sembrò forzato. Kristan tenne gli occhi fissi sulle alture che si profilavano davanti a loro, ma parlò in tono normale: — Perché non torniamo al problema principale? Che ne è stato di questo Copperhue?
Strano, ma pensarci fu quasi un sollievo. — I Naxiani si tolgono i transricevitori quando si trovano al sicuro alla base o in un campo. Come può immaginare, un collare attorno al corpo è fastidioso, non è come avere un bracciale al polso. La maggior parte di loro era disarmata e quando i predatori hanno attaccato si sono dispersi da tutte le parti. Gli alberi nelle immediate vicinanze non potevano essere scalati, perché o spinor dalla corteccia spinosa o flexor dal fusto troppo flessibile. Quando l’attacco è stato respinto ed è arrivata la prima luce, coloro che erano in grado di farlo tornarono indietro. Le squadre di ricerca trovarono subito i feriti e altri tre morti e li riportarono indietro. Copperhue no. Era scomparso. Alcuni suoi compagni hanno frugato la foresta, entro un raggio limitato, però, viste le difficoltà, e quando siamo arrivati col nostro velivolo abbiamo fatto una ricerca dall’alto prima di ritornare. Nessuna traccia.
«Io volevo rimanere e cominciare la ricerca a terra, ma sarebbe stata una follia farlo da sola. Poi c’erano anche Uldor e un paio di Naxiani che avevano bisogno di cure urgenti che solo io potevo dare come si deve. Così ho chiamato Forholt e… lei è stato così gentile da venire in aiuto.»
Kristan sorrise di nuovo, ma il sorriso era un po’ acido. Aveva giudicato la risposta sarcastica, forse? si chiese la donna. Accidenti! Era come fare il giocoliere con una cassa di fulgorite.
Il sorriso svanì. — Può darsi che Copperhue non sia ricomparso semplicemente perché era morto? — chiese Kristan a bassa voce.
Laurice deglutì. — È quello che dovremo scoprire.
— Ce la faremo?
— Potremo almeno provarci. — Laurice studiò bene le parole prima di parlare: — Immagino che lei la consideri una gran perdita di tempo. Non è che lei sia poco comprensivo, ma perché trascinarla in questa faccenda? Be’, io ho bisogno di un compagno e deve trattarsi di qualcuno che conosca bene questo tipo di regione. Io ho una certa familiarità con le pianure — queste pianure voglio dire — ma non con le colline. Uldor un po’ le conosceva, ed è per questo che guidava la spedizione, ma adesso Uldor è fuori combattimento. Perciò non resta che lei.
— Se la zona le è così sconosciuta, che cosa può sperare di fare?
— Ho alcune idee. Vedrà. Kristan rimase in silenzio per un po’ prima di dire: — Senta, neanch’io sono mai stato da queste parti. I lycosauroidi avrebbero preso anche me alla sprovvista. Non posso garantire che non si verifichi qualcosa del genere.
Maledizione, pensò Laurice. Mi fa infuriare, poi cambia atteggiamento ed è tutto fascino. Vorrei che si decidesse. — Un’altra ragione è di non andare in giro da sola. Uh, dovevo controllare il suo equipaggiamento.
— Credevo che volesse prestare ascolto alla voce dell’esperienza.
L’ho punto di nuovo. Al diavolo. — Questa missione è speciale. A lei non è mai capitato di perdere qualcuno, vero? Non certo coi loro bracciali.
— A lei è mai capitato in altre spedizioni?
Mi sta sottilmente accusando di incompetenza? — Dei nativi, un paio di volte. E non capisco proprio come il suo gruppo pensi di imparare molto sulla vita selvaggia senza ricorrere al vecchio metodo di scarpinare dietro le tracce.
Laurice slacciò la cintura e si infilò sul retro del velivolo. Lo spazio era angusto e l’ispezione fu lenta; non si accorse neppure di pensare ad alta voce all’inizio:
— …gli abiti vanno bene, ma un cambio solo è sufficiente, non staremo via molto… il fucile, certo. Lascerò la pistola, ma terrò il machete. Se quei bestioni sono ancora in zona, preferirei non finire col diventare parte dell’ecologia locale… razioni, sì, non possiamo perdere tempo a sfruttare le risorse naturali… batteria da cucina, no, un peso inutile, mangeremo cibi freddi… la tenda? Mmm, pesa ed è ingombrante, ma si fa prima a montare una tenda che a costruire un riparo. Proveremo a portarla…
Dopo il controllo Laurice ritornò al suo posto. L’aereo si inclinò leggermente verso il basso.
— Piuttosto sbrigativa, eh? — osservò Kristan. — Sia chiaro, in caso abbia qualche dubbio sul suo giudizio, seguiremo il mio.
— Oh? — Sotto il gelo, l’irritazione. Era chiaro che dovesse esserci un capo. Era stata una grave incuria da parte sua non aver chiarito fin dall’inizio chi avrebbe comandato. La fretta e l’ansietà non erano scuse valide. — Mi riservo il diritto di obiettare. Ma non litighiamo adesso. Sono convinta che ascolterà la ragione.
— Lo stesso dicasi per lei!
Il paesaggio su cui scendevano era un susseguirsi di enormi cime e profondità abissali, tutto coperto di foreste eccetto nei punti in cui i pendii avevano subito un processo d’erosione riducendosi a nuda roccia. In fondo ai canyon scorrevano fiumi spumeggianti. Volute di nebbia stagnavano negli avvallamenti e lungo i costoni irregolari di quelle colline che in molti altri posti sarebbero state definite montagne. Sopra di esse andavano alla deriva nubi basse e scure. Da ovest, dove brillavano i lampi, Laurice sentì arrivare il rombo dei tuoni. Il vento sibilava e l’aereo vibrava tutto.
Su una costa orizzontale a metà di una collina, i boschi circondavano una radura in cui ribolliva una sorgente. Era il campo di Uldor. Laurice fu costretta ad ammirare l’abilità con cui atterrò Kristan. Sotto di loro non cresceva nulla, tranne pochi cespugli sparsi, per nulla simili alle erbe che si erano evolute su Venafer, ma l’aria turbinava violentemente in quello spazio ristretto, mentre tutt’attorno i grossi alberi erano coperti di spine e quelli più piccoli flagellavano l’aria come fruste. Quando Laurice uscì dall’abitacolo il vento che la investì per poco non le fece perdere i sensi. L’odore che trasportava le ricordò un profumo di muschio, aceto e chiodi di garofano e di altre cose di cui ignorava i nomi. E in mezzo a tutto questo si udiva un forte odore d’ozono.
Kristan la seguì e si guardò attorno sbalordito. Ignorò le provviste e le attrezzature sparse per terra, tralasciate nel corso di una rapida evacuazione. Ciò che richiamò la sua attenzione fu il campo stesso, fatto di teepee di canne e un rozzo camino di sassi per cuocere alla griglia. — Niente tende? — chiese.
— Le avevo detto che una parte importante del nostro progetto consisteva nello scoprire che cosa si può fare sfruttando le risorse locali — ribatté la donna. — Questo campo l’ho progettato io ed è perfettamente adeguato. Adesso carichiamo i bagagli e chiudiamo il velivolo. Non appena avrò trovato la pista ci metteremo in marcia.
— Ha portato un chemisensore?
— Vorrei averne uno, ma non avevamo nulla che fosse adatto a questo tipo di lavoro e dubito che ne abbiano anche a Forholt. Però ho portato i miei occhi e le mie conoscenze.
Kristan fece una smorfia, ma si trattenne. Laurice andava avanti e indietro scrutando per terra. A un certo punto si mise a carponi per esaminare foglie, rametti e terreno. Completamente assorbita da quel lavoro si dimenticò del tempo e del compagno.
Finalmente emerse dal suo trance e lo vide che esaminava un sasso che teneva in mano. — Ha trovato qualcosa? — le chiese Kristan quando la donna fu vicina. Dal suo tono era evidente che non lo credeva e che quella lunga attesa l’aveva esasperato.
Laurice fece un cenno d’assenso. — Ci ho messo un po’, perché quei ricercatori dilettanti hanno rovinato molte tracce, ma ho capito che cosa dev’essere successo e da che parte si è diretto. Carichiamoci i bagagli e mettiamoci in marcia.
— Davvero? Temo che prima dovrà convincermi. Questa è una zona pericolosa, è un po’ troppo rischioso per noi avventurarci così alla cieca.
— Davvero? E lei si aspetta che possa insegnarle sui due piedi ciò che io ci ho messo anni a imparare?
— No, se in effetti si tratta di un’arte e non di una sensazione. Ma lei mi mostrerà che cosa intende fare o torneremo indietro.
— Tornare indietro? Ma senta un po’… — Laurice soffocò la bile. Che proseguisse o no, quel figlio di Venafer aveva il potere di rovinarle tutto. — E va bene. Faccia attenzione. Le spiegherò i rudimenti dell’arte di seguire le tracce.
Lo condusse in un punto scelto, si acquattò per terra e gli indicò il terreno. — Le tracce durano spesso a lungo. Anni addirittura in certe condizioni. O ere geologiche, se per caso si fossilizzano. In generale però si corrompono rapidamente, a una velocità che dipende anche dal tipo di terreno, dalla profondità dell’impressione eccetera eccetera. Così, prima di lasciare la base, mi sono presa la briga di procurarmi le registrazioni meteorologiche del satellite negli ultimi giorni. Osservi. Il vento ha sparpagliato foglie, polvere e altri detriti, ma ho scoperto una pista, una depressione ondulata e poco profonda, la distingue? Non sono in grado di identificare molti animali venaferiani in base alle impronte, non ancora, ma non mi sbaglio con quelle di un naxiano. E ora queste bucherellature… sono state fatte dalla pioggia, una pioggerella leggera, non troppo violenta, e l’ultima volta che ha piovuto è stato quattro giorni fa. Perciò questa pista è vecchia e non ci serve. Solo che in questo punto e in un momento susseguente, come può rilevare dalla nitidezza di queste impronte, l’ha attraversata un quadrupede in corsa. La disposizione delle impronte indica l’andatura. Si tratta chiaramente di una grossa bestia, un lycosauroide. Le impronte degli artigli sono leggere, ma se si mette a carponi e le osserva di striscio le può identificare. Vedrà che puntano in discesa. Perciò quella è la direzione che ha preso il branco durante la fuga, come è ovvio dal cespuglio calpestato e dalle macchioline di sangue disseccato più avanti. Ma le ho illustrato come funziona il principio. Trovare dove è andato Copperhue è stato un processo di eliminazione.
— Ho capito il concetto. — C’era forse una traccia di rispetto nella sua voce? — Non è necessario che continui. La seguirò.
Lieta di quella conclusione, Laurice balzò in piedi e andò a prendere i bagagli. — Sarà meglio prendere le debite precauzioni — aggiunse.
— Uhm. Ho effettuato un esame. Le rocce qui attorno sono friabili. La terra rossiccia è un altro indizio. Questa regione è considerevolmente ricca di ferro e il Fusillus Ferruvorus si è dato da fare. Si tratta di un microbo che ricava la sua energia dall’ossidazione del ferro. Ne conseguono formazioni friabili, facilmente vuote al di sotto. Stia molto attenta dove il pendio è forte. Anche in piano c’è rischio di cadere in una buca nascosta da rami o detriti d’altro genere.
— Capisco. Uldor non mi ha mai accennato a questo microbo. Deve essere limitato a qualche zona, così forse non l’ha mai incontrato. Be’, è evidente che ho bisogno di averla con me. Abbiamo bisogno reciproco l’uno dell’altra.
Si infilarono in spalla i sacchi.
— Quel che è accaduto a Copperhue è evidente — disse Laurice.
— È scappato nel bosco, in salita. Un lyco l’ha seguito, ma solo per poco, perché i cespugli lo impacciavano più di quanto impacciassero il Naxiano e sembrava più facile uccidere le prede nella radura. Il rumore alle spalle di Coperhue e la ferocia che avvertiva l’hanno fatto scappare il più in fretta possibile, per quanto è concesso alla sua razza, il che vuol dire abbastanza veloce, e ha continuato a scappare a lungo. Anche i filosofi possono farsi prendere dal panico. Infine, dopo essersi calmato e riposato, ritengo, deve aver cercato di tornare indietro. Del resto dove avrebbe potuto andare altrimenti? Ma in una foresta fitta, una persona priva di esperienza può perdersi completamente a meno di un chilometro dal proprio obiettivo e allontanarsi sempre più senza neanche accorgersene. Questo è particolarmente facile su Venafer, dove non esistono ombre nette o corpi celesti o comunque punti di riferimento facilmente individuabili. Spero solo che Copperhue si sia reso conto che l’unica cosa sensata era di fermarsi e aspettare di essere ritrovato. Spero solo che sopravviva all’attesa.
I due entrarono nella foresta. Per qualche metro procedere non fu difficile. Laurice si infilava agilmente in mezzo agli alberi coperti di spine simili a ganci; con le braccia davanti al viso, allontanava i vimini, passava oltre e li lasciava andare adagio dando il tempo a Kristan di intercettarli prima che lo colpissero con forza. Poi la pista, fino a quel momento chiara per un occhio esercitato, si addentrò nel macchione che aveva sconfitto il lycosauroide. No, non si trattava di un boschetto, ma piuttosto di una vera e propria muraglia, troppo ampia per aggirarla e avere ancora qualche probabilità di ritrovare le peste dall’altra parte. Bisognava procedere piegati, a volte abbassandosi sulle mani e sulle ginocchia, aprendosi un varco a colpi di machete e facendo lunghe pause per individuare un altro rametto spezzato, gli alberelli ammaccati, le zolle di terreno smosse che contrassegnavano il punto in cui la paura era scomparsa. Stavano scendendo le tenebre e si sentiva un odore rancido. Il sudore ruscellava sulla pelle, si appiccicava agli abiti e puzzava, diventava appiccicoso col freddo sempre più pungente. Grida, gracchiamenti e sibili li schernivano da bocche invisibili.
Kristan imprecò. Laurice si stupì per la ricchezza del vocabolario. Doveva cercare di ricordare qualcuna di quelle frasi. L’uomo si interruppe bruscamente, segno evidente che si era ricordato della presenza di lei. Guardandosi alle spalle, Laurice lo vide dibattersi tra i rami. — Lo temevo — sospirò. — I pali della tenda prendono dentro dappertutto. Meglio sbarazzarsene. Anzi, butti via tutta quanta la tenda.
— Merdaio che no! — ringhiò Kristan, Aveva i capelli neri incollati alla fronte. — È la migliore… sa che cosa costa? E come siamo cronicamente a corto di fondi?
— Provi a programmare i suoi computer per metterglielo nel culo a quelli dell’amministrazione. — No, approccio sbagliato. Laurice fece uno sforzo per parlare gentilmente. — Quella tenda potrebbe farci perdere ore che non abbiamo a disposizione. La lasci. La recupereremo al ritorno.
— Be’, il mio sacco a pelo è impermeabile. E il suo? — chiese Kristan alleggerendosi del carico.
Quando si liberarono del boschetto, procedere non fu molto più veloce. A quella quota leggermente più alta, gli alberi crescevano più radi e il sottobosco era meno intricato. Ma questo voleva anche dire tratti di terreno o roccia nudi, dove si potevano perdere vari minuti per cercare di individuare le tracce. Il vento ruggiva più forte adesso, le foglie frusciavano e le nubi si rincorrevano basse e nere sopra di loro.
— Avrei pensato che il serpente sarebbe ritornato sulle proprie tracce — osservò a un tratto Kristan.
Laurice si impose di non risentirsi per il termine che l’uomo aveva usato. Anche lei in passato aveva commesso di tanto in tanto quel peccato. — Io non posso fare altro che cercare di scoprire da che parte è andato — gli ricordò. — Del resto che altro avrebbe potuto fare non conoscendo i posti?
— No, no… ha ragione. Che domanda stupida. Sono stanco e il cervello comincia a non funzionare più. Come fa lei a mantenersi in forma?
Laurice fu costretta a ridere. — E fragrante? Dopo aver scorrazzato nei boschi, si impara a dosare le proprie forze. O, almeno, è il nostro corpo che lo fa.
— È notevole come se la cava. Non mi sarei aspettato che l’esperienza su un pianeta sarebbe stata utile anche su altri.
— Oh, ci sono innumerevoli differenze, naturalmente, ma i principi generali sono gli stessi e le tecniche si possono sempre adattare. Quando ne ho accennato a Copperhue, è stato proprio questo a dargli l’idea di persuadermi a entrare a far parte della sua équipe per qualche anno.
Di colpo cadde il gelo. Laurice gli aveva ricordato quanto si fosse opposto a tutta la faccenda.
Le tracce deviarono. Copperhue evidentemente aveva notato di essere salito più in alto del campo e aveva cercato di ritornare in basso. Sfortunatamente, su quel terreno così irregolare non si trattava semplicemente di scegliere una direzione piuttosto dell’altra. Un controllo col radiofaro del velivolo mostrò che la direzione del sentiero da lui preso andava in generale in senso perpendicolare a quella che avrebbe dovuto prendere. Dopo un po’ la discesa divenne più brusca. Qui i batteri e l’erosione avevano reso sottile lo strato di terra, di modo che gli alberi si ergevano a distanza di tre o quattro metri e i knorrig contorti erano più frequenti degli spinati. Tra un albero e l’altro crescevano i grigi cespugli di tridente, e ovunque c’erano detriti di ogni genere, sassi e terriccio.
— A questo punto avrebbe dovuto capire di trovarsi sul percorso sbagliato — disse Kristan con voce rauca.
— Certo — convenne Laurice. — Ma sospetto che fosse terribilmente assetato e si fosse messo alla ricerca di un ruscello o comunque di qualche pozza d’acqua. — Loro avevano vuotato le borracce durante la marcia e le avevano riempite presso una sorgente che Laurice aveva trovato e che era sfuggita al Naxiano.
L’uomo alzò lo sguardo verso il cielo scuro e rumoreggiante. — Non mancherà certo l’acqua per stasera.
— E ormai manca poco al tramonto. Oh, maledizione!
— Abbiamo le torce elettriche. Io posso ancora continuare se lei ce la fa.
Laurice ebbe l’impressione che, più che decidere liberamente, la scelta le fosse imposta. — No. Con la pioggia e le tenebre venaferiane sarebbero inutili. Meglio che ci rintaniamo da qualche parte a riposare. Riprenderemo dopo l’alba.
Ancora una volta, come avevano spesso fatto nelle ore precedenti, gridarono fino a perdere la voce. Nessuna risposta. Laurice sforzò la vista per penetrare le prime tenebre del crepuscolo. Al di là degli alberi più vicini, la sagoma del bosco si stagliava in una massa impenetrabile. Si intuiva che al di là il pendio prendeva a salire piuttosto ripido e Laurice ricordò da quanto aveva visto dal velivolo che dall’altra parte il costone dava su un canyon in cui Copperhue non si sarebbe certo avventurato.
No, non può essere lontano, pensò. Siamo arrivati tardi e abbiamo dovuto cercare le tracce e interpretarle, ma sono pronta a giurare che Copperhue ha rallentato l’andatura ed è prossimo all’esaurimento. Magari basterebbe procedere di un pezzetto soltanto. Ma in che direzione? Questo dannato vento ci ricaccia le grida in gola. Oh, povero caro Copperhue che muore di fame e di sete, tutto solo, in preda ai brividi…
— Peccato che abbiamo dovuto abbandonare la tenda — disse Kristan. — Per quanto siano robusti i nostri sacchi a pelo, se conosco le condizioni meteorologiche di queste colline un tetto non avrebbe fatto male.
Se non altro non me ne fa una colpa. Ammette che è stato necessario. — Ci arrangeremo — rispose Laurice. — Sempre che ci sbrighiamo. Scatterà ai miei ordini?
Kristan abbozzò un saluto militare. Con quell’aspetto scarmigliato e un po’ sudicio il suo sorriso aveva un che di infantile.
Laurice tagliò col machete un sottile flexor e lo ripulì dalle frasche. Poi appoggiò un’estremità nella biforcazione di un knorrig, piegò i rami più grossi contro il palo e intrecciò quelli più piccoli in modo da formare una specie di intelaiatura. Kristan intanto aveva raccolto vimini e rami spezzati ancora frondosi: tutto quello che era riuscito a trovare. Poi, sotto la direzione di Laurice, posarono le frasche sopra il graticciato in modo da intrecciarle come meglio potevano. — Non sarà un gran che come tetto — spiegò Laurice — ma ci terrà riparati.
— Sicuro. E ho visto anche come il terreno è inclinato — rispose Kristan. — Non verremo invasi dall’acqua. Bel lavoro!
Stanco o no, il pilota aveva un’intelligenza pronta. — È un sistema antico, primordiale — disse la donna. Poi, non resistendo alla tentazione di sfoggiare le sue conoscenze, aggiunse: — Di solito costruisco anche un cerchio di sassi davanti all’entrata e accendo un fuoco, in modo che il calore venga riflesso verso l’interno, ma non ne abbiamo il tempo e poi la pioggia lo spegnerebbe comunque. Ma basteranno i nostri sacchi. Ehi, passi quel viticcio sopra il tetto o il vento se lo porterà via.
Le prime gocce d’acqua erano pesanti, fredde e pungenti. — Dopo di lei — disse Kristan con un inchino. Laurice si infilò nel ristretto spazio. Meglio evitare possibili equivoci e svestirsi al buio. La donna preparò al tatto le sue cose, si tolse gli abiti che ormai puzzavano parecchio e scivolò nel proprio sacco. Niente bagno, né spazzolino da denti, niente delle solite piacevolezze. — Tocca a lei adesso — gridò dall’interno.
Kristan mostrò di capire la situazione e lasciò anche lui la torcia elettrica nel sacco. Come era inevitabile, gli capitò più di una volta nei suoi contorcimenti di urtare contro di lei. Laurice ne rimase acutamente conscia e si ordinò di pensare da adulta. Ma non è che funzionasse.
La pioggia infuriava, il vento ululava, i rami scricchiolavano. Dove si era rintanato Copperhue? Nessuno gli aveva mai insegnato a costruire un riparo, ad accendere un fuoco, a preparare trappole per la piccola selvaggina o… niente di niente…
A un tratto Laurice sentì un leggero schiocco metallico. Per contatto, più che vedendolo, capì che Kristan si era sollevato appoggiato a un gomito. — Ho tirato fuori le razioni — le spiegò. — Lei non avrà fame, ma io sto morendo!
— Uh! Come posso essermene dimenticata? Mi passi qualcosa.
— Ecco un cucchiaio… oh, mi scusi, le stavo cercando la mano.
Laurice per poco non si mise a ridacchiare. — Di solito non è quello il punto. Dia qui. Grazie.
Divisero galletta e carne in scatola. — Meglio così che stare fuori all’aperto, non importa quanto ben coperti — mormorò Kristan. — Se solo il suo amico fosse qui con noi! Ma domani lo troveremo. Ne sono sicuro.
Speriamo vivo, pensarono, ma nessuno lo disse.
— Come ha acquisito tutta questa abilità nei boschi? — le chiese il pilota. — Avevo sentito parlare di lei, e chi non la conosce? ma l’avevo sempre associata alle esplorazioni spaziali.
— Le esplorazioni spaziali si concludono da qualche parte — rispose la donna. — Ogni tanto mi annoio di essere una figlia di Casa Windfell e parto in esplorazione. Le mie preferenze vanno per i mondi più o meno simili a Ather, ma non così atheriani da essere invasi da Erthumoi.
— Non credo che lei si possa mai annoiare, signora. Nessuna Casa come si deve alleva degli oziosi.
— No, neanche gli Arinberg hanno fatto di lei un playboy, no?
Nonostante avesse i muscoli terribilmente indolenziti, Laurice non aveva ancora sonno. E parlare serviva a tenere lontano il pensiero di Copperhue. — Tempo fa avevo osservato degli aborigeni e mi sono scoperta interessata. Una volta tornata a casa ho saccheggiato tutti i data base e ho scoperto che in epoche primitive facevano cose analoghe sulla Vecchia Terra. Ho deciso che quei trucchetti sarebbero potuti tornare utili oltre a essere istruttivi. In effetti non c’è modo migliore per imparare a conoscere la natura selvaggia; e si guadagna una flessibilità che non si avrà mai se si dipende sempre da materiali già pronti. Francamente mi sorprende che voi che studiate Venafer non abbiate sviluppato nulla del genere.
— Noi siamo sempre stati troppo pochi e troppo pieni di lavoro, e per di più non avevamo sotto mano dei nativi che ci facessero lezione. Non si può pensare a tutto. Dovrò fare delle proposte alla Stazione Forholt.
— Me ne dia ufficialmente il merito — disse Laurice ridendo. — A me e ai Naxiani. Sono esseri intelligenti che hanno già elaborato diverse varianti, adattate a questo pianeta.
La riluttanza di lui era abbastanza palpabile. — Devo riconoscere loro intelligenza, coraggio e determinazione. Se avessero scelto un qualsiasi altro pianeta, gli batterei le mani.
— Questa era la loro unica possibilità. Tutti gli altri pianeti per loro abitabili sono stati reclamati da qualche nazione delle Sei Razze o ci sono i nativi.
— Sì, sì. Be’, se si tengono confinati a quell’isola che gli avete concesso voi Windfell… in fondo può sostenere una popolazione di dimensioni ragionevoli. Ma no, non terranno sotto controllo le nascite. Hanno già cominciato a riprodursi come vermi.
L’amarezza presente nel suo tono indusse Laurice a perdonargli il linguaggio. Come poteva addolcirlo? — La crescita demografica è in fortissima espansione ovunque, tra tutte le Sei Razze. Sì riempe ogni habitat disponibile. È una legge di natura.
— Sciocchezze. Le specie naturali si mantengono entro certi confini. Oh, è vero che alcune presentano cicli demografici, ma quando il numero aumenta a dismisura provvede la natura a ridurlo drasticamente. Contro i senzienti high-tech invece la natura è impotente. E i Sei non sono né vegetali né ottusi bruti. E neppure primitivi ignoranti. Non hanno nessuna scusa se distruggono i loro mondi.
Laurice aggrottò la fronte. — Se ricordo bene, nella storia è capitato di tanto in tanto che una nazione sia riuscita a mantenersi in equilibrio per un po’. Ma oggi… mi chiedo se le speculazioni della scuola Odenko non siano giuste. Le conosce? Ritengono che ci sia all’opera un istinto di base. Con i robot che prolificano alla velocità che sappiamo, gli esseri organici sono spinti a cercare di eguagliarli. Noi razionalizziamo tutto in vari modi, ma la verità è che siamo prigionieri di una forza vitale in fase di eccitazione.
— Sì, conosco questo concetto. Una speculazione piuttosto tirata, ma concettualmente esatta. Tuttavia, avremmo potuto risparmiare Venafer. Una biosfera unica, miliardi di anni di evoluzione, innumerevoli rivelazioni che ci attendono… tutto sparito, distrutto, cancellato prima ancora che ci fosse dato di conoscere un millesimo delle domande che avremmo potuto fare.
— Via, guardiamo Ather. È vero, rimane ben poco di primordiale. Come lei, anche a me sarebbe piaciuto essere tra coloro che l’hanno scoperto ed esplorato nel suo stato originario. Ma gli elementi essenziali si sono conservati. Modificati sì, ma conservati. Gli Erthumoi e le loro specie importate non hanno preso il posto della vita atheriana; si sono integrati, ne sono diventati parte, e sotto molti aspetti quel pianeta è più bello oggi di quanto fosse prima.
— Questione di gusto — osservò Kristan, un po’ esitante. — Non mi fraintenda, per favore. Anche i senzienti hanno il diritto di esistere e anche la vita non senziente provoca mutamenti ambientali. Ma alcuni di questi cambiamenti sono dei veri disastri. — Il suo tono divenne aspro. — Sa benissimo che il tipo di nuova simbiosi che dipinge per Ather è impossibile per Venafer. La civiltà industriale in scala abbastanza vasta non può coesistere con la natura di quel pianeta. Neppure l’agricoltura. La sua Casata era bene intenzionata, ma quando non siete riusciti a fare una legge che imponga ai serpenti — i Naxiani — di rimanere confinati sulla loro unica isola avete condannato questo mondo a morte. E che male vi aveva fatto?
Un ricordo si affacciò alla mente di Laurice, vivido come se si trovasse di nuovo seduta accanto a suo padre, mentre questi spiegava al consiglio le implicazioni che alcuni scienziati avevano discretamente sottoposto alla sua attenzione. — Forse avremmo dovuto studiare la situazione un po’ meglio prima di fare l’accordo — aveva detto col suo tono grave. — È stato constatato che Venafer si trova perennemente sull’orlo della catastrofe. Florasol era più freddo giga anni fa, quando la prima vita vi si è sviluppata e l’evoluzione ha tenuto il passo col lento riscaldamento del pianeta, ma oggi questo si trova al limite della zona di abitabilità. A mantenere le temperature dell’acqua liquida ci sono solo le estesissime foreste che coprono tutto il globo. La vegetazione dall’esterno non è in grado di rimpiazzarle; non c’è nulla, a nostra conoscenza, che possa assorbire il biossido di carbonio con la stessa efficienza. In questo modo le foreste riescono appena a mantenere la composizione dell’aria. Se Venafer ne perdesse una porzione significativa…
Effetto serra dilagante. Biossido di carbonio nell’atmosfera alle stelle che blocca altra energia solare. L’aumento di temperatura che fa evaporare altra acqua, il cui vapore anch’esso contribuisce all’effetto serra. Siccità, incendi, arretramento, desertificazione, mentre il calore aumenta. E mentre la vita che li rinnovava si estingue, l’ossigeno e l’azoto vengono di nuovo bloccati nei minerali. Gli oceani ribollono. Le molecole dell’acqua salgono in alta quota, dove i raggi ultravioletti le scindono; l’idrogeno fugge nello spazio, l’ossigeno in breve si trova imprigionato nelle rocce. Quando alla fine viene raggiunto un equilibrio, esso regna su un inferno incandescente, è la pace del cimitero o del deposito delle scorie.
— Non l’avevate previsto? — gridò Kristan. — Non ve ne importava?
Laurice ripeté le parole di suo padre: — Era in gioco il nostro onore. — Poi aggiunse: — Ricordi quale enorme servizio Copperhue ha reso non solo a Windfell o ad Ather o agli Erthumoi, ma a tutte le Sei Razze. Se i Pitoni avessero mantenuto il monopolio di quanto abbiamo poi appreso…
Laurice lo sentì cambiare di posizione nel sacco, ma quando Kristan parlò la sua voce era più tranquilla. — Immagino che sia così. Almeno in questo c’è forse una certa quantità di verità. Ciò nonostante una grande e fertile isola dove quel culto possa vivere come vuole è stato un pagamento piuttosto generoso. Non potevano limitarsi a quello?
— Questo è stato discusso dietro le quinte — ammise Laurice. — Alcuni dei leader Naxiani dissero che sarebbe stato giusto. Purtroppo non sarebbe stato applicabile. Le nuove generazioni in particolare finiscono con l’ignorare o disobbedire a qualsiasi proibizione in questo senso.
— Non lo farebbero se glielo imponeste — disse Kristan con voce dura. — Le armi le avete.
— Per attaccare dei civili disarmati? No! E poi le altre Case non lo permetterebbero. Anche loro hanno delle proprietà su Venafer.
— Avreste potuto condurre una politica comune.
La donna scosse la testa e i suoi capelli frusciarono contro il tessuto del sacco. — Ma lei è davvero così ingenuo? Le varie Casate spesso non sono d’accordo neppure sull’ora del giorno. Sì, avrebbero potuto formare un cartello a quello scopo, ma i cartelli sono sempre instabili. Vede, per diversi di loro una popolazione naxiana in espansione sul pianeta significa un mercato in crescita — per merci in conto capitale, servizi, per tutto — che li paga con la propria produzione. Alla fine Venafer diventerà un’impresa redditizia.
— Al prezzo della sua vita.
— Dall’estrapolazione non risulta che le conseguenze possano avere effetti radicali per almeno cinque secoli.
— Lei sarà ancora viva, signora. La maggior parte delle parti in causa lo saranno e potranno vedere quel che hanno fatto. Non guarda avanti lei?
— L’estinzione non si verificherà. Non siamo così stupidi e neanche i Naxiani. Non ha visto le proposte? — Forse no, pensò. Tutta questa faccenda è oscura, una cosa di poca importanza, sepolta da una valanga di notizie ben più importanti. E nessuno ne ha fatto un annuncio ben definito.
Perché finora nessuna decisione si è cristallizzata.
— Oh, sì. Piani grandiosi. Aumentare per compensazione l’albedo del pianeta, per esempio facendo orbitare attorno una nube di particelle riflettenti. O ridurre la luce solare piazzando un gigantesco riflettore nel punto L2, utilizzare parte dell’eccesso di energia per azionare il motore di una stazione, o… non importa. Non c’è dubbio che tutto questo si possa fare, se l’utile è sufficientemente attraente. Dal punto di vista ingegneristico, almeno, non ci sono difficoltà. Ma nessuna delle forme vitali di Venafer potrà sopravvivere a un mutamento così drastico. Non ci saranno altro che città, macchine e povere piantagioni corrette geneticamente. Un cadavere su cui banchettano vermi e funghi, un cadavere assassinato dall’avidità.
Un mondo che tu amavi, pensò Laurice.
Il vento e la pioggia cantavano la loro canzone attorno al rifugio. Attraverso gli alberi si sentiva il loro sibilo che proveniva dai monti. In un punto imprecisato risuonò il richiamo di un animale selvatico, simile a uno squillo di tromba nella notte. Sì, meraviglie, misteri e nessuno sapeva quali sarebbero stati i vantaggi e quali le conoscenze e le ispirazioni che sarebbero andate perse per sempre.
Laurice fu sul punto di dirgli qualcos’altro, ma no, non osava farlo, non doveva farlo. Lo conosceva troppo poco e quel che aveva intravisto di lui puzzava di fanatismo. Una fiamma non protetta può incendiare un’intera foresta.
— Basta, ormai siamo allo scontro frontale — disse Laurice. — Più tardi, se vuole, potremo discutere ancora, ma per ora sono esausta e domattina abbiamo un lavoro da fare. Buona notte.
Kristan mugugnò qualcosa e si girò sul fianco, voltandole le spalle. La pioggia ora cadeva più forte. La donna rimase sveglia per un po’ in preda a collera, paura e disperazione, finché non cadde in un sonno agitato.
Laurice aveva regolato il suo cervello perché la svegliasse di buonora col primo chiarore. A quelle latitudini e in quel periodo dell’anno le notti erano brevi. Quando emerse dal torpore, sussultò e si rizzò a sedere. Kristan aveva già gli occhi aperti. Occhi che si dilatarono, in segno d’apprezzamento, intuì Laurice, ma poi l’uomo passò il braccio su di essi prima che lei potesse incrociare le sue braccia sul seno. — Vuole vestirsi prima lei o lo faccio io? — mormorò Kristan. Una risata le sfuggì spontanea a quella domanda e la svegliò completamente.
La pioggia era cessata da un paio d’ore, alleviando i suoi peggiori timori. Quando uscì dalla tenda vide che la nebbia fumava sopra il suolo e tra gli alberi. Il freddo non apparteneva all’immaginario popolare di Venafer. Un mondo intero, un intero assortimento di miracoli quali non ne esistevano nell’universo… Come stava Copperhue? Si affrettò a controllare le ultime tracce che aveva rilevato la sera prima.
— Io preparo la colazione — si offerse Kristan alle sue spalle. Laurice annuì distrattamente, con la mente concentrata sul sottobosco, le foglie morte, il fango. Non era facile seguire ancora le tracce, la pioggia aveva cancellato quasi tutto. Si accorse vagamente che Kristan stava raccogliendo legna secca e usava l’accendino per accendere un fuoco, preparando una griglia di rametti verdi su cui scaldare il cibo dei contenitori. Era chiaro che doveva possedere certe capacità di sopravvivenza.
Quando la colazione fu pronta le portò una porzione, tenendone una per sé. Laurice, che stava acquattata sui calcagni, lo guardò dal basso in alto. Neanche lui aveva l’aria di aver dormito bene, ma, se era in grado di sorridere, l’avrebbe fatto anche lei. — Tenga. — Gli porse un ramo carico di bacche scarlatte che aveva tagliato da un cespuglio incontrato per caso. — Rossoline per dolcificante.
— Ne ha già mangiate? — esclamò lui.
— Non ancora. Volevo dividerle. Perché, qualcosa che non va?
— Fiuuu! Quelle non sono vere rossoline, ma una specie di montagna, strettamente imparentata, per noi velenosa. A contraddistinguerla sono quei puntolini gialli. L’assicuro che sarebbe stata molto male.
— Grazie. — Accidenti sei davvero necessario, pensò. E stai cercando di nuovo di essere cordiale. E penso anche che ci stai riuscendo… e perché accidenti lo fai, visto che la tua collera è ben giustificata? Laurice prese il secondo contenitore, lo posò per terra e ne spazzò il contenuto col cucchiaio impugnato con la destra, mentre con la sinistra rivoltava i detriti per terra.
— Riesce ancora a trovare qualche traccia? — chiese incuriosito l’uomo.
— Sì. Le tracce in terra non vengono tutte lavate via dalla pioggia. Molte raccolgono acqua prima che i detriti comincino a riempirle e per un po’ sono ancora più visibili. Le foglie vengono spinte dal vento su altre tracce e le proteggono. I rametti piegati o spezzati non spariscono in una notte. Il problema si fa solo più complicato. La pista presenta molte interruzioni. Ma in ogni caso riesco a ricavarne la direzione generale. Quando si sarà sollevata questa nebbia del cavolo avrò indizi migliori. Vede, Copperhue non si muoverebbe puramente a caso. Nessun animale lo fa. Sia che fosse ancora molto cosciente o anche solo un poco, il suo corpo tenderebbe a seguire il percorso meno faticoso. Così se ci guardiamo attorno e studiamo l’ambiente… ah! — Una leggera brezza cominciò a lacerare la coltre grigia. Gli alberi sgocciolanti ingemmarono i cespugli e apparvero sassi lucenti di pioggia.
Dopo avere trangugiato le razioni, ingollato un po’ di latte ed essersi separati per esigenze personali, i cacciatori ripresero il cammino. Laurice stava in testa, procedeva lentamente, spesso fermandosi per guardarsi attorno o per studiare con gli occhi e le mani il terreno, sempre animata da una sicurezza che le procurava un brivido di eccitazione. Risalirono fino in cima al pendio, e sulla cresta esaminarono l’immenso spazio aperto.
L’aria si era schiarita anche se rimaneva opaca e il cielo era informe e incolore, fatta eccezione dove il sole invisibile lo ravviva leggermente di colore, basso sui contrafforti orientali. Il terreno era inclinato verso il basso, cosparso di cespugli e alberi nani ben distanziati, oppure nudo e rossastro, fino ad arrivare a uno stretto cornicione. Sotto il cornicione una scarpata di detriti scendeva a profondità invisibili. L’estremità opposta del canyon sorgeva a circa un chilometro di distanza. La gola procedeva a zig zag in direzione sud. Una barriera tra una lontana pianura e montagne altrettanto lontane.
— Guardi! — esclamò Laurice. — Qui la pista è chiara! — La pioggia aveva riempito il leggero incavo a ogni zig zag sempre più profondo. Non era la normale traccia lasciata da un Naxiano, sinuosa come le impronte di un Erthuma barcollante al limite della resistenza, e confermava l’ipotesi di Laurice.
Kristan le afferrò il braccio. — Calma — le disse. — Ricordi che suolo e che rocce abbiamo da queste parti. Nel migliore dei casi potrebbe perdere l’appoggio, nel peggiore provocare una piccola valanga.
— A Copperhue non è successo. — Tuttavia Laurice posò gli scarponi con grande prudenza, uno alla volta, mentre scendeva.
Il lungo corpo rossastro giaceva avvolto in spire in un ammasso di cespugli. Laurice si lasciò cadere in ginocchio, schiantando rami, per allacciare con le braccia quel tronco di muscoli. — Copperhue, Copperhue, come stai, amico mio, sono qui, come stai?
Con la guancia appoggiata alla sua pelle, Laurice non avvertì l’usuale calore, ma un debole e incessante brivido. Il Naxiano si mosse appena. Occhi vitrei si volsero verso di lei e s’abbassarono di nuovo. Alle sue orecchie arrivò un sibilo appena percettibile.
Laurice si rizzò in piedi. — Ipotermia — sentì che diceva la sua voce e il suono le si ripercosse nel cranio. — Estrema. Fatale, credo, se non provvediamo immediatamente.
— Niente vestiti? — chiese Kristan incredulo. Doveva essere rimasto scosso a quella vista.
— I Naxiani ne indossano raramente — rispose in fretta la donna. — Non sono pratici quando ci si muove sul ventre. E non sono rettili. Neanche mammiferi, ma sono animali a sangue caldo con un termostato più efficiente del nostro. Il fattore di raffreddamento del vento durato tutta notte, però, ha avuto il sopravvento. Io o lei saremmo morti. Lui sta andando.
— Lo so, so tutte queste cose. Ma…
— Qui non abbiamo un’unità termica e neanche le sue fantastiche attrezzature. Non c’è che una semplice terapia. Svelto! Apra il sacco a pelo. Lo apra completamente, allargandolo. — Laurice si liberò del proprio sacco, lo lasciò cadere e si acquattò per sciogliere i lacci che tenevano arrotolato il proprio sacco.
Lui l’imitò mentre le chiedeva:
— Che ha in mente di fare?
— Riscaldarlo, naturalmente. Metterlo tra i nostri sacchi e i nostri corpi. — Si guardò attorno, vide un punto che non era del tutto in piano, ma neanche così inclinato da farli rischiare di rotolare in basso e vi portò il proprio sacco. Poi ritornò indietro e disse:
— Per trasportarlo dovremmo fare in due. I Naxiani sono più massicci di quel che si creda.
Kristan ebbe la forza di essere delicato mentre trasportava la forma inconscia, facendosi ricadere la parte più ampia sulle spalle. Laurice lo sorresse per la testa.
Ansimando per lo sforzo trasportarono Copperhue sul sacco steso per terra. Il peso era passivo. Kristan prese il proprio sacco a pelo e lo mise sopra la forma del Naxiano. — E adesso? — chiese.
— Via i vestiti — ordinò Laurice. Lui rimase a bocca aperta. — Si spogli, ho detto! Al diavolo la modestia! — E si strappò gli indumenti di dosso.
Kristan si tolse i propri più lentamente, tenendo dapprima gli occhi fissi in quelli di lei. Poi, rendendosi indubbiamente conto della propria espressione, volse la testa. Un istante dopo le girò la schiena mentre completava l’opera. Laurice si era già infilata tra i sacchi. Quando dovette volgersi di nuovo verso di lei, Kristan cercò di coprirsi con una mano, che pur essendo grande non era sufficiente.
Laurice non riuscì a trattenersi e le sfuggì una risata. — Oh, via, non si senta così imbarazzato! — gli gridò. — Mi sentirei offesa se non avesse reagito. Forza, partecipi all’ammucchiata.
Con le guance ancora accese, Kristan obbedì. I loro corpi si strinsero uno per parte attorno a Copperhue. Questo mise la parte superiore delle loro braccia a contatto al di sopra del Naxiano mentre i loro sguardi si incontrarono al di sopra della sua testa. Quel corpo gelato fece rabbrividire anche loro. Poi, mentre il calore fluiva da loro, rigenerandosi di continuo, e il sangue del Naxiano cominciava a reagire, provarono una crescente sensazione di voluttuoso benessere.
— Un altro trucco utile — mormorò Kristan. — Devo raccontarlo ai miei colleghi. A volte contiamo troppo sulle nostre attrezzature. — E sorridendo: — Temo però che non avrò più modo di praticare questa terapia con una partner così attraente.
Ma bene, pensò Laurice. Così abbiamo superato la timidezza, eh? Non che le attuali circostanze siano molto incoraggianti. In realtà potrei immaginarmi anch’io dei partner più sgradevoli. — Grazie, gentile signore. Visto che dovremo rimanere qui per un po’, tanto vale rilassarci e godercela, ora che sappiamo che funziona.
— Fa piacere salvare una vita. Uh, sembra una massima da cioccolatino, eh? Ma non l’intendevo così.
— Naturalmente no, amico mio. Anche se ammetto di provare anch’io un tocco di presunzione e mi merito una risposta del genere. Rilassiamoci, ho detto. Le posso raccontare delle barzellette o altro. Sempre che non la scoccino.
— Mi trova davvero un tipo così quadrato? — chiese Kristan. — Sì, è inevitabile. Eppure a Forholt mi chiamano Arinberg «Caduta libera».
— Perché?
— Oh, ho combinato parecchi scherzi, ho composto alcune ballate, cose del genere.
— Caduta… ehi, un momento! Vuol dire che lei è il creatore di «Caduta libera a gogò»?
— Be’, non credevo che…
— Ah! L’ho cantata anch’io decine di volte quando le feste andavano su di giri e tutti avevano bevuto un po’. Ma guarda. Lasci che le stringa quella mano ribalda. — Le loro mani si strinsero. — Mi racconti. Con tutti i più intimi e nascosti dettagli.
— Preferirei ascoltare i suoi ricordi. Lei ha avuto una vita molto più avventurosa della mia.
— Avventurosa è dove c’è l’avventura. La gente normale non si dedica a un mondo selvaggio e spesso pericoloso. Cos’è che l’ha interessata?
In tono esitante, un pezzo dietro l’altro, emerse Sa biografia di Kristan. Era più vecchio di lei, anche se solo di quattro decenni, meno di quanto avesse immaginato. A ingannarla erano stati i suoi modi e di sicuro il suo ultimo ringiovanimento era antecedente a quello di Laurice. Si era occupato di geologia su diversi pianeti e lune, ma soprattutto aveva insegnato all’Università di Ilis, finché il suo matrimonio era andato all’aria. Era stato il suo unico vincolo ed era durato una cinquantina d’anni, insolitamente lungo per quei tempi; i genitori di Laurice erano un’eccezione. Questo fatto e tutto il resto di ciò che lo riguardava la indussero a ritenere che se fosse dipeso da lui sarebbe stato ancora sposato. Invece, visto come erano andate le cose, alla ricerca di una nuova vita, aveva raggiunto un suo figlio, anche lui scienziato su Venafer, e aveva a poco a poco scoperto che lì si trovava il significato della sua esistenza che aveva sempre cercato. Poiché non aveva accennato ad alcuna donna, tranne che a qualche collega, nonostante alcune domande che Laurice si lusingava fossero acute, era probabile che avesse solo qualche legame casuale; e quindi, pur essendo amabile e popolare tra i colleghi, doveva avvertire una solitudine interiore assai simile a quella che anche lei aveva avvertito fin troppo spesso.
Caso raro tra gli uomini, gli dava veramente fastidio parlare in prima persona singolare e desiderava sentire qualcosa di lei. Be’, lei aveva parecchie storie da raccontare e non le spiaceva farsi bella ai suoi occhi.
Copperhue si contorse un poco. Sollevò la testa, si guardò attorno, e la lasciò ricadere, sussurrando però alcune parole che a Laurice risultarono chiare.
— Va tutto bene — gli rispose in Merse. — Sta calmo. Presto ti riporteremo a casa.
— A New Halla? — chiese Kristan.
— Prima alla nostra base sulla costa, naturalmente — rispose Laurice. — Da lì se necessario potremo chiamare un altro mezzo di trasporto, non credo che ce ne sarà bisogno. Un paio di giorni dovrebbero bastare perché Copperhue si rimetta in forma perfetta.
— Ma che cosa farà? Il progetto terraferma è finito, non è vero?
— Non definitivamente. Prima potrà unirsi a un altro gruppo, magari al mio in crociera sul fiume…
— Ssst. — Laurice lo sentì. — Mi piacerebbe proprio avere la tua compagnia, caro amico. — Con la mano gli accarezzò la grande testa pelata.
— Intanto qualcuno potrebbe parlare con Uldor a Forholt — continuò la donna. — Se si è ripreso, e scommetto di sì, si potrebbe organizzare una trasmissione audiovisiva, in modo che una nuova spedizione in questa zona tragga vantaggio dai suoi consigli. Potrei guidarla io, quando avrò finito coi miei canoisti, se non ci sarà nessun altro disponibile. E dubito che ci sia qualcuno di più idoneo, visto ciò che ho imparato da lei.
Il viso di lui si irrigidì. Kristan ritirò la mano che aveva toccato quella di lei. — Un paio di dettagli, nulla più.
— Ma che mi indicano che cosa devo tener d’occhio e su cui devo informarmi meglio — rispose Laurice. — Anzi, intanto che siamo qui…
L’uomo scosse la testa. — No.
— Come?
— No. Non intendo contribuire oltre alla… alla rovina di questo pianeta.
Oh, cribbio, si disse Laurice, ecco che ho premuto di nuovo quel tasto, proprio mentre cominciavamo a capirci. — Ascolti, lei ha lamentato mancanza di fondi e di manodopera. Be’, ne potrà avere, se il suo gruppo coopererà col nostro. Noi non siamo cercatori minerari, né abbattiamo foreste, né facciamo niente del genere, lo sa benissimo. Siamo anche noi scienziati.
— A che scopo? — si infiammò lui. — Per il puro sapere? No, voi state preparando la strada ai coloni. — Inspirò a fondo. — Questo incidente… io, noi di Forholt, avevamo solo una conoscenza marginale delle vostre attività. Adesso capisco che non volevamo pensare ai serpenti e ci eravamo detti che li avremmo fermati più tardi, quando non fossimo più stati così impegnati. Bene, questo incidente mi ha reso conscio dell’immediata minaccia che rappresentano. Il momento di fermarli è adesso, prima che acquistiate troppa forza, che entrino troppi investitori nei vostri dannati progetti. Io tornerò a Ather, Milady Windfell, e condurrò una campagna. Ci vorranno anni di duro lavoro, lo so, di dure contrattazioni, ma io e coloro che sono con me vi combatteremo su ogni millimetro di terreno.
— Parla con delicatezza — sibilò Copperhue. — È davvero furioso, anche se gli spiace di esserlo.
E avrebbe anche potuto riuscirci alla fine, pensò Laurice. Oltre ai conservazionisti c’è parecchia gente che si sente a disagio coi Nexiani, per motivi più o meno validi. Non voglio credere che Kristan sia disposto a fare deliberatamente appello alla xenofobia, ma si troverebbe con alleati politici che sarebbero ben felici di attizzarla.
— Mi spiace che la pensi così — azzardò la donna.
La collera di Kristan si quietò di colpo. Per un istante apparve stranamente vulnerabile. — Lo stesso vale per lei, signora. Vorrei proprio poterla persuadere.
— E io lei. Siamo entrambi onesti e questo è già qualcosa. Be’, non siamo ancora a un punto di crisi, si ricordi. Avremo tutto il tempo di pensare, studiare e discutere. Nulla è stato ancora deciso definitivamente né lo sarà nei prossimi anni, e niente di irrevocabile succederà ancora per vari anni dopo d’allora. Forse, quando avremo appreso di più, questi suoi quadri si dissolveranno come incubi.
La tristezza lo sopraffece. — O i suoi come sogni a occhi aperti. Questi progetti per modificare la luce del sole, può giurare che funzioneranno? Noi non siamo dei; roviniamo molte più cose di quelle che creiamo. Consideri la pura massa di materia organica morta quando la vita nativa si estinguerà… con che precisione ha costruito il modello di quel processo? Come potrà influenzare l’agricoltura? Quanto può essere sicura di qualcosa?
Non sono per nulla sicura, pensò Laurice, ma si astenne dal confessarlo. Solo che… ma forse non posso dirglielo. Posso farlo, Copperhue?
— Non litighiamo. — Laurice sospirò. — Dividiamoci solo il calore.
— D’accordo. — Ma la sua voce era fredda e Kristan poi rimase in silenzio, immobile accanto alla forma serpentina tra di loro. Passò un’ora.
E alla fine: — Credo di essermi ripreso. — Dal tono di Copperhue sembrava proprio vero. — Grazie per la vostra gentilezza, onorevoli creature.
— Splendido — rispose Laurice senza particolare calore. — Uh, dottor Arinberg, il nostro paziente è guarito. Immagino però che avrà notato come sia ferito e contuso da spine e sassi. E sia troppo debole e malconcio per tornare indietro. Non potremmo prelevarlo per via aerea?
— Ci stavo appunto pensando. — Kristan rimaneva lontano e impersonale. — Posso andare a prendere l’aereo. Non so però se sia possibile atterrare senza pericolo nelle vicinanze. Se necessario posso immobilizzarmi in aria e calare un cavo con un cappio, ma sarebbe rischioso. Lasciatemi guardare in giro.
Laurice si chiese quanto avesse agito in senso di sfida quando Kristan lasciò la copertura dei sacchi per rivestirsi. Poi, mentre si rivestiva anche lei, l’uomo prese a scendere per il pendio.
A mano a mano che l’aria si era scaldata era sorto il vento. Adesso rumoreggiava, scuoteva i rami, sollevava turbinii di polvere. Sì, pensò Laurice, ha ragione. Issare un corpo con un cavo mentre il velivolo sta sospeso in aria in mezzo a turbini come questi è rischioso. Ma se atterra e poi il terreno gli frana sotto il peso…
L’alta sagoma del pilota si era spostata a destra e sinistra, fermandosi per esaminare le formazioni rocciose e infilare il tallone dello scarpone nella ghiaia, finché raggiunse il cornicione al di sopra del canyon. Laurice lo vide gettare un’occhiata al suo bracciale e quasi gli lesse nella mente. Grazie alla guida del radiofaro avrebbe potuto sfruttare quella striscia di roccia per il ritorno invece di scarpinare nella foresta. Il sorriso che le stirò le labbra era alquanto triste. Non voleva averlo come nemico.
Improvvisamente la roccia cedette sotto i piedi di Kristan. L’uomo mulinò le braccia in aria, poi precipitò in basso fuori della vista.
Laurice gettò un grido e si mise a correre. — Attenta, aspetta, sii prudente — le sibilò Copperhue alle spalle. Alt! si impose lei mentre il cuore le batteva all’impazzata. Non c’è ragione di precipitare in due. Se la roccia ha tradito uno come lui, immaginarsi con me.
Rallentò allora l’andatura, lasciandosi scivolare lungo la discesa intanto che cercava le impronte di Kristan e seguì il percorso giusto finché arrivò sull’orlo dello strapiombo. Qui si acquattò sui calcagni, esaminò la roccia per capire bene dove questa aveva ceduto, dove avrebbe potuto ancora cedere e dove appariva ragionevolmente salda. Le fratture nel terreno indicavano che in quei punti c’erano infiltrazioni d’acqua, che di tanto in tanto congelava e si espandeva, ma bisognava stare attenti anche ai blocchi friabili di ossido di ferro…
A bocconi come un Naxiano, Laurice sporse la testa oltre il bordo del dirupo e sforzò la vista. Il pendio era coperto di detriti fin sul fondo, nascosto da una nebbiolina fitta. Kristan era scivolato per quattro metri ed era andato ad arrestarsi su un tratto di terreno scuro. Non si muoveva; il suo viso, rivolto verso l’alto, era una maschera di sangue. Il filo rosso vivo che gli ruscellava lungo la coscia destra indicava però che il cuore batteva ancora.
Era evidente che la punta acuminata di un sasso aveva tranciato un grosso vaso sanguigno. Ora Kristan si stava dissanguando. Se non fosse stato soccorso in fretta sarebbe morto. Per sempre. Non era possibile resuscitarlo una volta che le cellule cerebrali che lo rendevano umano si fossero alterate in modo irreparabile.
Si sentì uno stridore di sassi sotto un forte peso che vi strisciava sopra. Copperhue l’aveva raggiunta. — Non ti saresti dovuto muovere — gli disse automaticamente.
— Si può sempre attingere alle ultime risorse quando è necessario — rispose il Naxiano. — Credo di poterti aiutare a recuperare il tuo compagno.
Ha detto «compagno» dopo aver ascoltato Kristan. Fu un pensiero rapido e fuggente. Laurice soppesò le probabilità. Il Naxiano aveva forse sopravvalutato la propria forza? In tal caso se lei fosse stata prudente non le sarebbe successo niente, ma Kristan sarebbe certo morto. Intrappolata sul fianco di una collina irraggiungibile, poteva inviare un messaggio radio alla base attraverso l’aereo e sarebbe arrivata una squadra di soccorso. Sempre che i suoi sforzi non provocassero una valanga. In tal caso sarebbe finita maciullata, sepolta dai detriti al di là di ogni possibilità di recupero.
Non c’era tempo per preoccuparsi. Guardandosi attorno, Laurice vide il cespuglio adocchiato da Copperhue. Questo sorgeva a pochi centimetri dal bordo, ma un esame mostrò che le radici, piuttosto grosse, finivano in profondità, mentre in superficie il cespuglio appariva contorto come un bonsai strapazzato da decenni o addirittura secoli di vento. Probabilmente era in grado di sopportare qualche centinaio di chili di peso.
Tornare indietro per prendere corde o cinghie avrebbe richiesto troppo tempo. Laurice tagliò un bastoncino e se lo mise tra i denti. Poi si tolse la camicetta, la tagliò in due, annodò le due metà in fondo e la manica attorno al collo di Copperhue. L’altra manica se l’avvolse attorno alla mano per rendere più sicura la presa. Copperhue a sua volta attorcigliò la coda attorno al tronchetto inferiore del cespuglio. Laurice si sedette per terra e si sporse all’indietro nel vuoto.
Una serie di spuntoncini di roccia acuminata le tagliuzzarono i pantaloni e gli stivaletti. Il Naxiano si tese all’indietro, frenandole la discesa mentre la calava lentamente fino a quando si trovò teso per tutta la sua lunghezza. Il pietrisco doveva risultare molto dolorosa contro la sua pelle, ma non gli sfuggì un lamento.
In fondo alla fune, Laurice si trovò fianco a fianco di Kristan. Non osò inginocchiarsi, ma appoggiandosi cautamente sui palmi e i gomiti riuscì a rizzarsi quel tanto da poter intervenire sul pilota. Sguainò il pugnale. Era il miglior strumento che mente umana avesse mai concepito, pensò, non per la prima volta. Lacerò la gamba dei pantaloni, espose la ferita, tagliò una striscia di stoffa, fece un tornichetto con il bastoncino e lo strinse. Il micidiale flusso di sangue cessò.
Kristan aveva il viso imperlato di sudore sotto il sangue, la pelle era appiccicosa e la respirazione difficoltosa. Sì, si trovava in stato di shock. Occorreva sollevarlo subito. Gli fece scivolare l’imbragatura di fortuna sotto la schiena, fermandola alle ascelle, e la bloccò. — Va bene, Copperhue, puoi tirare!
Ma ce l’avrebbe fatta? Se non ci fosse riuscito, avrebbe richiesto aiuto per radio e intanto avrebbe cercato di mantenere Kristan in vita. Ma era impossibile dire se avrebbe resistito per tutto quel tempo. Come era impossibile dire se il peso del pilota, mentre veniva sollevato, non avrebbe provocato una valanga di pietre per lei fatale.
Ma non avvenne. Chissà come, Copperhue trovò l’energia per sollevare Kristan, sciogliere la fune improvvisata, gettarla di nuovo nel vuoto e sollevare anche lei. Laurice risalì strisciando sulle pietre col posteriore, ma riparando così il seno nudo dagli spuntoni che l’avrebbero lacerato. Il materiale resistente dei suoi pantaloni non cedette, ma per un paio di giorni lei avrebbe dovuto sedersi con una certa cautela.
Una volta raggiunto il cornicione, rimase immobile per un istante, per riprendere fiato prima di rialzarsi. Anche Copperhue era spossato quasi quanto Kristan. — Adesso posso trascinarlo da sola — mormorò. — Tu ce la farai? Devi farcela.
— Io… posso… farlo… visto… che me lo… chiedi… tu — le sussurrò l’amico. — E poi?
— Poi… — Una risatina acuta. — Gli applicheremo i nostri corpi nudi.
Una volta tra i sacchi, i due Erthumoi nudi e Copperhue dall’altra parte di Kristan, Laurice inviò la sua richiesta di soccorso. La voce ritrasmessa dalla Stazione Forholt suonò debole ma chiara dal suo bracciale. — Invieremo immediatamente la nostra ambulanza. Dovrebbe raggiungervi nel giro di un’ora. Potete resistere fino ad allora?
— Sarà meglio per noi, non le pare? — ribatté la donna.
Ma non poteva limitarsi a rimanere a contatto di Kristan. A tratti doveva massaggiarlo, allentare il tornichetto e stringerlo di nuovo. Il sangue che era fluito aveva formato una massa appiccicosa, ma in parte continuava a scorrere nell’arto ferito per mantenere la carne in vita. Naturalmente se si fosse instaurato un processo cancrenoso, il chirurgo avrebbe dovuto amputare, poi in una clinica di Ather avrebbero rigenerato quanto era andato perduto. Ma Laurice non voleva che Kristan subisse quel trattamento.
L’uomo era sano e forte e rispondeva bene. Prima che arrivassero i paramedici, i suoi occhi si aprirono debolmente.
Laurice fu costretta ad ammirare l’abilità dei soccorritori. L’ambulanza si arrestò a mezz’aria e calò una piattaforma munita di getti per stabilizzarsi contro il vento. Un uomo cominciò subito a medicare Kristan mentre ancora lo sollevavano. — Il suo intervento è stato perfetto, signora — le disse. — L’unica cosa di cui ha bisogno adesso per metterlo fuori pericolo è questa iniezione. Grazie. Il vecchio «Caduta libera» ci è molto caro.
A bordo del veicolo fu possibile lavarsi, farsi medicare le ferite e indossare abiti puliti. Laurice non fu per nulla infastidita dalle occhiate maschili rivoltele, in effetti le notò appena, perché si sdraiò al calduccio e si addormentò accanto a Copperhue. Nessuno dei due si svegliò prima di arrivare a Forholt. Il direttore della stazione li accolse cerimoniosamente e offrì loro alloggio per la notte, affinché potessero riposare bene prima di rientrare alla base. I due accettarono e uscirono dal letto solo per cena. Nel corso di questa Laurice si divertì a raccontare quanto era successo. Ma nessuno accennò alla disputa avvenuta.
Mentre ritornavano ai loro alloggi, Copperhue chiese: — Potremmo far visita all’onorevole Kristan Arinberg domattina?
— Sono sicura di sì — rispose Laurice. — È mia intenzione farlo.
— In privato.
— Uh? — La donna colse il sottinteso di quella frase e si sentì percorrere da un fremito. — Be’, vedremo in che condizioni si trova.
L’alba portò la pioggia, la pioggia argentea dell’Ebland meridionale, satura dei profumi di piante e delle grida degli animali. Laurice e Copperhue imboccarono un percorso coperto che li portava all’infermeria. Le finestre erano aperte all’aria carica di umidità e fragranze. Kristan in quel momento era solo. I Naxiani feriti erano stati riportati a New Halla e Uldor Enarsson stava facendo terapia di riabilitazione. La sua prognosi era eccellente, aveva detto il medico.
Un po’ contrariato, forse? Uldor sarebbe stato in condizione di riprendere il suo lavoro coi coloni.
I visitatori entrarono in uno spazio di luci soffuse e letti vuoti. Kristan era ritto a sedere e leggeva un libro stampato. Quando lo depose Laurice intravide il titolo: La Saga di Rusa Irmansdrottar, ambientata nell’epoca pionieristica di Ather; sì, era anche uno dei suoi libri preferiti. Kristan era pallido in viso per la perdita di sangue subita, ma era perfettamente in sé e il suo saluto fu caloroso. — Milady! Amico!
Laurice si sedette su una sedia accanto al letto. Copperhue si raggomitolò dalla parte opposta, con la testa sollevata. Ci fu il solito scambio di convenevoli.
— Pare che vi debba la vita — osservò a un certo punto Kristan, in tono un po’ imbarazzato.
— Come io ti devo la mia — rispose Copperhue, che aveva portato un simultrans. — La tua vita non sarebbe neppure stata in pericolo se non fossi venuto a cercarmi. Laurice fece il gesto di lasciar perdere: — Bando ai sentimentalismi! — sbottò. — Ce la siamo cavata dopo aver commesso una tale serie di errori che non avremmo mai dovuto commettere. Tutto per via della nostra ignoranza, no?
— Era inevitabile — rispose Kristan. — Dobbiamo imparare di mano in mano. Io… ho imparato molto da lei.
— E io da lei, anche se in entrambi i casi è stato meno di quanto si sarebbe potuto o dovuto. Se avessimo condiviso meglio… — Laurice non finì la frase, ma rimase in attesa della risposta di lui.
L’espressione di Kristan era pensosa. — Sa bene perché è impossibile.
— Davvero? Noi, io e i Naxiani, siamo più che disposti in questo senso. La scelta sta a lei.
— Ma io sono solo uno.
— Un uomo libero. E per di più influente. Lei ritiene di poter scatenare una feroce opposizione politica contro di noi. E io sospetto che sia vero. Be’, potrebbe usare la stessa forza anche a nostro favore, se volesse.
— Mi spiace. — Kristan sospirò. — Dopo i giorni che abbiamo passato, mi spiace veramente. Ma sa benissimo che non posso farlo. — Il suo sguardo andò oltre la donna verso la pioggia e la foresta pluviale che non si vedeva. — Se lei solo capisse perché questo mondo è così importante, quel che significa…
— Noi comprendiamo — disse Laurice dolcemente. — E speriamo di conservarlo così.
Kristan sbatté le palpebre.
— Non voglio farle pressioni mentre è convalescente — continuò Laurice. — Solo che certe informazioni potrebbero aprirle una nuova visuale. Non che speri di convertirla sui due piedi. Ma io e Copperhue abbiamo cominciato a conoscerla un po’. Così se ci ascolterà e rispetterà le nostre confidenze… perché prima dobbiamo avere la sua promessa di mantenere un segreto per qualche anno…
— Mi faccia pensare. — Kristan guardò prima lei, poi Copperhue, quindi le sue mani e poi ancora fuori della finestra. Alla fine annuì. — Penso di potermi fidare — rispose.
— E noi ci fidiamo di voi — disse Copperhue a entrambi.
Era sufficiente. Essendo in grado di percepire i veri sentimenti dell’uomo, il Naxiano sapeva che questi avrebbe mantenuto la parola.
Il cuore di Laurice batté più forte. — Il motivo della segretezza è proprio quello di proteggere Venafer — cominciò. — Ci sono persone e interessi pronti ad approfittare pesantemente della sua… trasformazione, proprio quello che lei teme. Se preavvisati potrebbero bloccarci. Per esempio, disboscando o bruciando le foreste dei loro possedimenti potrebbero alterare in modo irrimediabile l’equilibrio ecologico. A quel punto non rimarrebbe altra alternativa che di procedere a tutta velocità con la costruzione di industrie in grado di poter costruire schermi contro il sole.
— Gli schifosi — sbottò Kristan.
— Di per sé non sono malvagi — osservò Copperhue. — Loro considerano benefici i loro piani.
— Lavorare bene per fare del bene — aggiunse Laurice con un sorriso forzato.
— Molti tra la mia gente considerano inevitabile questa prospettiva — continuò Copperhue. — Nelle attuali circostanze considererebbero gli industriali dei liberatori. Perché senza di loro, che altro ci sarebbe? Noi rimarremmo confinati al nostro territorio originario, per riprodurci in povertà o per cedere la libertà e la sacralità della vita familiare a favore della dittatura… sterilizzazione obbligatoria e infanticidio. Ma nessuna delle due soluzioni sarebbe stabile. In ogni caso ci sarebbero disordini, sovversione, rivoluzione e alla fine la guerra.
— Nello stesso tempo — intervenne Laurice — l’approccio industriale presenta troppe incognite. Lei aveva ragione quando diceva che non è possibile predirne gli effetti. I nostri modelli computerizzati sono inadeguati.
— Gli imprenditori stanno cercando di raffinarli — ammise Copperhue. — Ma gran parte della leadership di New Halla ha seri dubbi. Può un qualsiasi modello di un intero mondo essere completo? Il caos si annida proprio nelle equazioni. Per quanta cura poniamo nei nostri preparativi, correremmo il rischio di ritrovarci fra mille anni, o anche meno, con un pianeta inabitabile e non più recuperabile. E allora dove potremmo andare?
Kristan spostò lo sguardo da Copperhue a Laurice come per chiedere soccorso. — Come mai non ne ho mai sentito parlare? — chiese.
— Se n’è discusso, anche in modo vivace, fino al limite del litigio — rispose Laurice — ma non ufficialmente o ad alto livello. Dopo tutto la colonia è nuova, ancora piccola e poco importante per chiunque tranne che per se stessa, se non in via potenziale. E voi, lei e i suoi colleghi, siete stati troppo impegnati col vostro lavoro per seguire dibattiti che si svolgono soprattutto in una lingua e in una società aliene.
Un pensiero gli fece corrugare la fronte. — In effetti quel che ha detto non è così stupefacente — mormorò. — Ho sentito gli stessi concetti discussi abbastanza a fondo anche qui tra noi a Forholt. Il guaio è che le uniche scelte sembrano essere quelle da lei accennate. O New Halla diventerà una specie di grande campo di concentramento, o Venafer diventerà un guscio coperto di macchine, o finirà tutto in un disastro. — Raddrizzò la schiena. — C’è forse un’altra possibilità? Qual è il suo segreto? — Tornò a riadagiarsi sui cuscini.
— Questa — rispose Laurice accostandosi a lui. — È un progetto a cui stiamo lavorando, badi bene, una speranza, un sogno. Magari si dimostrerà irrealizzabile. Fra cinque o dieci anni dovremmo saperne abbastanza da rendere pubblica la cosa. Come ho detto, se l’opposizione dovesse subodorare qualcosa troppo presto, potranno rovinare tutto, classificandoci come ostruzionisti del progresso che devono essere spazzati via prima da provocare veri guai. Ma una volta annunciato il progetto, supportato da solide prove scientifiche che vale la pena di indagare più a fondo, dovranno frenarsi. Li costringerà la pressione sociale. — Laurice fece una pausa. — A me piace pensare che saranno le loro stesse coscienze a imporglielo.
— Noi Naxiani non abbiamo avvertito in quelli che abbiamo conosciuto una malvagità superiore a quella che è inevitabile tra creature mortali — osservò Copperhue.
— L’idea è questa — disse Laurice a Kristan che ascoltava attento. — I coloni nel corso del tempo finiranno col colonizzare tutto Venafer, ma vivendo nelle foreste, con le foreste.
— Come cacciatori, vuol dire? — chiese Kristan sbalordito.
— No, no. Per la maggioranza no. Non possiamo costringerli a tornare all’età della pietra, né lo faremmo se anche potessimo. Avranno tutto quel che esige una vita da esseri civilizzati: alfabetizzazione, medicine, trasporti, comunicazioni, macchine per i lavori pesanti. Ma perché non potrebbero averlo dalla natura? Case, non i rozzi ripari che impiegano le nostre spedizioni, vere case, ma fatte di legname che viene ripiantato, o magari da alberi che vengano tenuti in vita. Cibo, fibre, prodotti chimici, non ottenuti tramite l’agricoltura o le fabbriche ma dalla coltivazione della vegetazione della vita selvatica. E guadagnare coi raccolti ottenuti dalla foresta, da vendersi su Ather in modo da poter importare quei manufatti di cui hanno bisogno…
— Anche se ritengo — aggiunse Copperhue pensieroso — che a mano a mano che si svilupperà un simile tipo di vita, si troveranno nuove strade, nuove direzioni e nuove esigenze, fin quando non saremo diventati veramente figli del nostro mondo. È un ideale che ben si accorda con la Vecchia Verità.
— Naturalmente non sarà cosa semplice — disse Laurice. — Per niente. Nessuno di noi è in grado di prevedere anche solo un centesimo dei problemi, delle ramificazioni che il futuro potrebbe portarci. Stiamo solo cercando di imparare abbastanza su questo pianeta per vedere se il progetto sarà possibile. Noi riteniamo che la risposta sarà affermativa.
Kristan guardò davanti a sé con lo sguardo perso nel futuro. — Le foreste addomesticate — disse piano. — Non più un mondo selvaggio:
— Ma pur sempre Venafer — rispose Laurice. — E crede forse che se tutti lasciassero questo mondo e non tornassero mai più, Venafer rimarrebbe sempre inalterato?
— No — convenne Kristan. — Non c’è nulla che duri in eterno.
— Noi creeremmo qualcosa di assolutamente nuovo — disse Laurice. — Impossibile dire che forma prenderà questo mondo. Ma direi che l’aggettivo «addomesticate» è la parola sbagliata. Sarebbe meglio dire «in evoluzione».
Lentamente, Kristan fece un cenno d’assenso.
— Io farò da consulente per diversi anni — terminò la donna. — Poi tornerò al profondo spazio. Ma lei, se lei rimane e se deciderà di dare il suo contributo, dovrebbe avere davanti alcuni secoli veramente interessanti. Grandi cambiamenti, gran divertimento.
Ancora una volta Kristan rimase in silenzio, fin quando disse: — Devo pensarci sopra. E pensarci molto. — Il tono di voce che si indeboliva fecero capire a Laurice e a Copperhue che era ora di andarsene e lasciarlo riposare.
La donna sorrise. — Naturalmente.
Kristan la guardò. — Mi aiuterà a pensare? — le chiese. — Potremo incontrarci ancora?
— Provi a impedirmelo — rispose Laurice e lo lasciò con quella comune promessa.
FINE