George Alec Effinger REINVENTARE LA GUERRA

Titolo originale: The Reinvention of War


Sul poco noto pianeta Porea, su uno dei continenti dell’emisfero boreale, sorgeva una civiltà che si autochiamava Yempena. La popolazione degli Yempena era formata da ottocentomila antropoidi primitivi e un serpente.

Il serpente si chiamava Globo Nero, e lui-lei era un fuggiasco dalla giustizia naxiana. Globo Nero era giunto su Porea su una navicella d’esplorazione e aveva deciso che il posto era sufficientemente isolato da renderlo adatto come nascondiglio. Dopo di che si era dato da fare per diventare la rispettata dea serpente di quegli antropoidi semi selvaggi. Le creature indigene chiamavano il Naxiano Yersoth, ovvero dio-dea della vittoria.

I doveri di lui-lei quale dea divertivano Globo Nero, che aveva volato da un mondo all’altro della confederazione naxiana. Lui-lei aveva un’attitudine mentale che troppo spesso causava, a lui-lei, di entrare in collisione coi codici naxiani così come con gli accordi commerciali che governavano le Sei Razze. La galassia si era civilizzata nell’interesse della pace fra le varie specie, ma Globo Nero agiva solo per conseguire uno status raro in quella concordia diffusa: lui-lei era un fuorilegge.

Era l’alba, e il sole rosso arancione di Porea, che gli Yempenesi chiamavano Ksul, aveva appena raggiunto gli alti picchi dell’orizzonte settentrionale e stava cominciando a scaldarne l’aria rarefatta. Globo Nero si trovava a suo agio nel clima temperato continentale, benché lui-lei dovesse portare un apparato respiratorio assicurato al di lui-di lei corpo sinuoso. Globo Nero aveva dipinto maschera e respiratore con uno sfrenato disegno a strisce rossonere. Gli Yempeniani erano convinti che quello fosse il suo abito da combattimento.

E c’era davvero una battaglia in atto nella pianura polverosa e senza alberi. Globo Nero aveva organizzato un esercito fra la popolazione adulta di Yempena che poi aveva guidato oltre l’indifeso confine della vicina nazione di Daglawa. Non c’era mai stata una guerra fra Yempena e Daglawa, perché entrambi i paesi avevano sufficiente territorio e risorse bastevoli per soddisfare i bisogni dei loro abitanti.

Globo Nero ci aveva pensato a lungo per trovare qualcosa che potesse portare i di lui-di lei seguaci a una furia marziale. Alla fine lui-lei aveva rivelato che, prima che lui-lei benedicesse Yempena con la sua presenza, Yersoth aveva abitato a Daglawa. I brutali Daglawani avevano goduto della di lui-di lei protezione fino a quando Yersoth era stato violentato-a da Jind, il dio daglawano del mondo sotterraneo. Giurando vendetta, Yersoth era giunto in volo a Yempena, i cui primitivi abitanti erano felici di garantire con le loro la vita di lui-lei. Dopotutto, Yersoth era il dio-dea della vittoria, e quindi erano sicuri che non avrebbero perso.

Globo Nero emerse dalla navicella d’esplorazione, dove lui-lei aveva collocato il suo comando, ben protetto dalle forze yempenite. Non molto lontano da lì, i fanti stavano scaldandosi accanto ai tizzoni dei fuochi da campo mentre preparavano le loro misere razioni, e la cavalleria stava preparando le cavalcature ricoperte di un verde chitinoso.

C’erano ventiquattromila fanti e quattromila cavalieri, e ogni soldato aveva già giurato di difendere l’onore di Yersoth a prezzo della sua stessa vita. Oltre la pianura, verso est, c’era il campo dei Daglawani, composto da una miseria di quindicimila fanti e mille cavalieri, messi assieme alla meno peggio, miseramente armati e peggio addestrati. Le forze di Globo Nero avevano facilmente messo in fuga i difensori ogni volta che li avevano incontrati fino a che un Crotonita dalle ali di pipistrello si era offerto di guidare i Daglawani.

Due maschi yempeniti aspettavano all’esterno della navetta che Globo Nero si mostrasse. Uno era alto, muscoloso, indossava tunica, elmetto e gonnellino di cuoio; l’altro era parecchio più piccolo e vestiva solo una tunica blu cenciosa legata alla vita.

Il più basso s’accoccolò nella polvere e guardò in su verso l’altro. -

Generale, sta arrivando il serpente — disse. — Gli piace dormire fino a tardi. Se si fosse svegliato con l’esercito, avremmo investito i Daglawani due ore fa.

Il generale s’aggrottò. — Se tu non fossi il suo cucciolo, Daocan, saresti già stato scuoiato vivo per aver parlato così della dea.

Daocan sorrise, mettendo in mostra i grossi denti storti. — E invece sono il suo cocchino. Il che significa che posso dire quel che penso, e che nemmeno mi debbo preoccupare delle lance e delle frecce dei Daglawani.

— Ti saluto, generale Xinseus — disse Globo Nero attraverso una malconcia apparecchiatura simultraducente di origine erthumiana. L’apparecchio traduceva le parole di lui-lei nel linguaggio rozzo e gutturale degli Yempeniti, pur mantenendo sempre una traccia delle sibilanti naxiane.

Il generale emise una sorta di grugnito mentre s’inginocchiava e premeva la fronte sul terreno. — Ti ringrazio e ti lodo, O Graziosa Sola e Unica.

— Sì sì, certo — rispose Globo Nero. Lui-lei si rivolse a Daocan. — Nessun inchino, cucciolotto? Nessuna paura per tutto il dispiacere che rechi a una dea?

— Possente Yersoth — rispose Daocan — è proprio il terrore del tuo dispiacere che mi impedisce di genuflettermi. Tu vedi che gambe ho, storte e magre. Per causa loro, qualsiasi atto di sottomissione diventerebbe una parodia. In qualità di dea, tu ormai sai che hai la mia assoluta adorazione, e io so che tu sei la più magnanima delle divinità, e che quindi mi farai una volta di più la grazia di perdonarmi.

Dietro la di lui-di lei maschera respiratoria, Globo Nero sorrise. Lui-lei non si lasciava ingannare dall’elaborata eloquenza di Daocan. Lui-lei sapeva che il piccolo antropoide saggiava continuamente i limiti della propria libertà. Ciò significava che, prima o poi, Daocan avrebbe fatto una prova di troppo.

— Dea — disse il generale Xinseus, sempre col viso nella polvere — devo riunirmi coi miei subordinati e indicare loro il piano di battaglia. Vuoi garantirci la vittoria anche per oggi?

— Puoi alzarti, generale — disse distrattamente Globo Nero. — Sì, garantisco la vittoria. Le vostre perdite, oggi, saranno minime. Di’ ai tuoi valorosi guerrieri che la definitiva conquista di Daglawa è prossima.

Il generale si alzò dinnanzi alla dea della vittoria, pur tenendo sempre la testa umilmente chinata. — Ti ringrazio per avermi scelto quale strumento della tua vendetta, O Graziosa Sola e Unica.

— Adesso vai, generale. — Il Naxiano guardò Xinseus che s’affrettava alla sua tenda, dove i subordinati attendevano notizie.

— La sua devozione e la sua onestà sono certe e assolute — disse Daocan pensieroso. — Ma non lo trovi anche un po’ troppo stupido?

Globo Nero emise il lungo sibilo che era la di lui-di lei risata. — Per me, cucciolotto, siete tutti stupidi. Morire in questa guerra è stupido, eppure tutte le mattine siete ansiosi di farlo.

— Possente Yersoth, io sono felice di essere il tuo cucciolo perché non ho alcuna bramosia di morire in questa guerra. E poi, non abbiamo mai avuto guerre fino a quando tu sei arrivata su Yempena e ce l’hai insegnato.

Gli occhi a fessura di Globo Nero si spalancarono. Lui-lei si disse che forse Daocan si era spinto troppo lontano, ma poi lui-lei si dimenò un poco e scordò le parole di quella creatura stenta. Si voltò invece a guardare verso il campo daglawano dove il loro opponente, il Crotoniano, stava preparando il suo esercito. Presto sarebbe iniziato il divertimento quotidiano.

Xinseus urlò ordini agli ufficiali subordinati mentre attraversava il campo, e Globo Nero seguiva l’eccitazione che si spandeva nell’esercito che s’apprestava a radunarsi in compagnie. Non esisteva una cosa come la guerra fra le Sei Razze stellari, sicché il grande entusiasmo dei Naxiani per quanto lui-lei aveva loro istigato lo si poteva definire una perversione. Ovviamente Globo Nero non era così tanto interessato nella guerra da assumere un ruolo attivo che poteva metterlo-la in pericolo, ma lui-lei non si stancava mai di osservare gli antropoidi che si scagliavano l’uno contro l’altro in sanguinosi combattimenti. Globo Nero avvertiva che lui-lei aveva riscoperto un vizio a lungo negletto, uno di quelli deliziosamente intossicanti come mai lo era stato qualche altro.

Xinseus guidava l’esercito yempenita dalla schiena di un nahl, una creatura color verde dalle gambe lunghe e sottili. Si pose alla testa del cuneo della cavalleria e formato da duemila antropoidi a cavallo armati con mazze e lance munite di punte in pietra. Il cuneo di Xinseus si mosse verso destra, mentre sulla sinistra avanzava un’altra formazione uguale. Fra le due c’erano tre ben spaziate falangi di fanti armati di lunghe lance seguiti da arcieri e dalle riserve di fanteria e di cavalleria.

Poche erano le grida che si levavano da quegli uomini che avanzano lenti nella piana, diretti al campo daglawano. Quando un’unità dopo l’altra passavano a fianco della navicella naxiana, si sentiva un urlo che a Globo Nero ricordava qualcosa del genere «Hail, Yersoth!». Lui-lei si voltò e vide che anche il nemico si stava muovendo. Il generale daglawano aveva disposto cinquemila fanti sulla fronte come uno schermo, mentre gli altri diecimila li aveva divisi in due, con la piccola massa dei cavalieri sulla destra. Lentamente, molto lentamente, le due armate si andavano avvicinando.

— Guarda, Possente Yersoth — disse Daocan indicando. — Ecco Xinseus, il tuo nobile generale.

— Sì — disse lui-lei. — Ha la mia benedizione.

— Rischia la sua vita alla testa del tuo esercito. Invece il generale daglawano si nasconde nelle retrovie, con le sue guardie del corpo.

— I Daglawani sono vigliacchi, come il loro dio — disse Globo Nero.

— Devi odiare veramente tanto Jind, signore del mondo sotterraneo dei Daglawani — disse Daocan con una punta di malizia nella voce. — Eppure mi hai detto che ci sono sei diverse razze di dei, ma non avete mai fatto guerra tra di voi. Perché no?

Il Naxiano si stava sistemando nel modo più confortevole nel padiglione che i di lui-di lei preti-schiavi avevano eretto. Lui-lei stava cominciando a seccarsi per le continue domande di Daocan.

— Abbiamo trovato altri e diversi modi per sistemare le nostre dispute che vanno oltre la violenza fisica. Siamo superiori anche in questo alle razze mortali che ci adorano.

— Ah, capisco, Possente Yersoth. Ma perché allora non ci insegni questi metodi? Perché la mia gente deve morire in questa guerra?

Globo Nero rivolse i di lui-di lei occhi gialli distogliendoli dall’avanzante Xinseus, e fissò per un attimo Daocan. — Perché la tua gente non può capirli.

Daocan annuì. — Quel che dici è vero. Eppure, mi chiedo come mai tu hai una terribile vendetta da compiere contro Jind e poi mi dici che gli dei non si fanno guerra fra loro, perché hanno altri metodi per comporre le loro questioni. E questi metodi comprendono il fatto che il mio popolo e quello daglawano debbano macellarsi l’un l’altro? Come si concilia tutto questo con quanto ti ha fatto Jind? Come si potrà restaurare il tuo onore e punire il colpevole?

Per un lungo istante, Globo Nero si sentì sul punto di uccidere Daocan, ma poi lui-lei si rese conto che il disgustoso antropoide era probabilmente il più intelligente fra tutti i suoi sudditi. Ciò lo rendeva una minaccia possibile per il Naxiano, ma per il momento lui-lei lasciò sbollire la propria ira. — Il mio onore deve essere ripristinato — disse lui-lei — e Jind verrà punito secondo metodi che tu non puoi comprendere.

Daocan rifletté per un poco su queste parole. — Questo è quello che tu intendi per avere fede, vero?

Globo Nero annuì. — La religione è, a volte, persino più difficile della guerra — rispose lui-lei.

Le due forze opposte s’erano intanto approssimate, e adesso Xinseus stava trafiggendo il cielo con la sua lancia mentre spingeva il suo nahl alla massima velocità. Dietro di lui, i ranghi della cavalleria Yempenita, un poco allungati, s’affrettavano verso la linea frontale dei Daglawani. L’aria era lacerata dalle urla di guerra e da grida di rabbia e paura. Il secondo cuneo yempenita eseguiva la stessa manovra sulla sinistra, e un attimo dopo le due unità si trovarono a contatto della fanteria Daglawana, le cui file composte da terrorizzati soldati attraversarono senza troppa resistenza. Almeno un quarto dei Daglawani cadde a questo primo contatto.

La piccola cavalleria daglawana aveva avuto un addestramento frettoloso, e nessuno padroneggiava ancora bene l’arte di impugnare armi mentre attaccavano alla massima velocità. Globo Nero non diceva nulla, ma i di lui-di lei occhi gialli rilucevano per il piacere mentre lui-lei guardava i cavalieri nemici che roteavano debolmente le mazze, a volte persino cadendo dai loro nahl sul terreno, dove venivano impietosamente calpestati e uccisi dalla cavalleria yempenita.

Mentre Xinseus riformava l’ala destra dopo il suo passaggio attraverso la fanteria daglawana, il fianco sinistro stava decimando la cavalleria nemica. Nello stesso tempo, le falangi della fanteria yempenita cominciarono a correre per avvantaggiarsi dello scompiglio che i loro compagni avevano portato nelle file nemiche.

— Ah — disse Globo Nero, soddisfatto.

— Come ci avevi promesso, Possente Yersoth — disse Daocan. — Anch’io avevo previsto la nostra vittoria.

— Se oggi Xinseus non completa la distruzione dei Daglawani, allora domani ci sarà ancora qualche scaramuccia. Domani sera ceneremo nella capitale di Daglawa.

— E tu allora potrai dare libero sfogo alla tua vendetta. Cosa farai di preciso?

Globo Nero emise un lungo, lungo sibilo. — Farò ciò che più mi piace. Non ho ancora fatto piani. Vedrò cosa mi stimola la fantasia.

Un lampo maligno passò nello sguardo di Daocan. — A Daglawa staranno tremando in questo momento. O dea, posso chiederti un favore?

— Prova a chiedere, creatura — rispose lui-lei. — Non ti garantisco niente.

Daocan fece una lunga pausa pensierosa. — Quando entreremo a Daglawa — disse infine — potrò avere una casa per me? Solo una casa. A Yempena non ne ho. Mi sembra giusto che il cucciolo della potente dea Yempena abbia una casa tutta per lui.

Globo Nero sibilò. — Sì, puoi avere una casa tutta tua — rispose lui-lei. — Ma cosa sta succedendo?

I due cunei della cavalleria yempenita si erano riformati alle spalle della prima linea dei Daglawani, e stavano attaccando le riserve, dove lentamente, a colpi di mazza e di lancia, si stavano aprendo la strada verso il centro, dove si trovava il generale daglawano circondato dalle sue guardie del corpo. Nello stesso istante, la fanteria e gli arcieri yempeniti stavano completando la distruzione di quanti erano rimasti in piedi della prima linea.

II combattimento proseguì per tutta la mattina, senza che il risultato finale venisse mai messo in dubbio. Quando Ksul raggiunse lo zenit, la battaglia era terminata. L’arida pianura era cosparsa dei cadaveri dei Daglawani oltre che degli Yempenesi che celebravano la vittoria mutilando e spogliando i nemici uccisi. Globo Nero stava pensando che quella era la visione più terribilmente affascinante che lui-lei avesse mai contemplato. — Guarda gli antropoidi — disse piano il Naxiano — e comprenderai il comportamento degli Erthumoi.

Molto più tardi, mentre la congestionata massa di Ksul, ora color rosso cupo, cominciava ad affondare all’orizzonte, il generale Xinseus guidò una folla di guerrieri yempeniti fino al padiglione di Globo Nero. Lui-lei si era ritirato nella sua navicella, e solo Daocan e due preti-schiavi erano rimasti nella tenda ad aspettare la folla. Il cucciolo di Globo Nero era accoccolato vicino a uno dei pioli che reggevano il padiglione, al quale era incatenato. Xinseus, ritto davanti ai suoi soldati, li guidò in una solenne preghiera di ringraziamento.

— Graziosa dea della Vittoria — gridò il generale — noi ti ringraziamo per averci mostrato la via della guerra. Ti ringraziamo inoltre per averci dato i mezzi per schiacciare i nostri nemici, per proteggere il tuo onore e le nostre case, adesso e nel futuro. Ora che abbiamo appreso quest’arte sanguinosa, non temeremo alcuna nazione fintantoché tu manterrai il tuo sguardo favorevole sui nostri figli in armi. Possente Yersoth, accetta i nostri ringraziamenti, il nostro amore e la nostra adorazione.

Seguì un momento di silenzio, poi i guerrieri assemblati cominciarono a cantare: — Yersoth! Yersoth! — Globo Nero poteva sentirli anche da dentro la navetta. Lui-lei era un po’ seccato che gli Yempeniti avessero fatto un lavoro così veloce contro i Daglawani. Forse sarebbe riuscito a indurli a un’altra guerra contro uno dei confinanti.

— Yersoth! Yersoth! Yersoth!

— Il canto sembrava non voler mai cessare; anzi, diventava sempre più forte ed entusiasta. Dopo alcuni minuti, Globo Nero pensò che sarebbe potuto essere divertente uscire e farsi adorare pubblicamente da quegli antropoidi.

Il Naxiano indossò di nuovo l’apparato respiratore e cominciò il ciclo di passaggio attraverso i vari sportelli stagni. Quando lui-lei apparve, l’entusiasmo salì ancora di tono. Dopo una vita da fuorilegge, scacciato da una colonia naxiana all’altra, Globo Nero si concedeva il piacere di impersonare il ruolo di un’adorata dea, anche se i suoi adoratori erano dei piccoli primati pelosi che avevano da poco ricevuto il dono della parola. Lui-lei non si faceva illusioni su quelle creature, perché c’erano decine di migliaia d’anni di sviluppo civile fra loro e il più primitivo degli Erthumoi. Eppure, questi Yempeniti erano il di lui-di lei popolo, e lui-lei si sentiva generoso nei loro confronti. Lui-lei avanzò lentamente dalla nave fino al padiglione d’onore.

— Yersoth! Yersoth! Yersoth! — cantavano gli antropoidi. Persino il corpulento Xinseus si univa al canto con entusiasmo. Tuttavia Globo Nero non poté fare a meno di notare che l’unico antropoide che non partecipava al tripudio generale era Daocan, il suo cucciolo.

— Popolo mio! — Lui-lei urlava al massimo consentito dal simultrad erthumiano. — Ti ringrazio per l’onore che mi fai!

— Noi ti ringraziamo per il favore che ci hai donato, Possente Yersoth — disse il generale Xinseus.

— Graziosa dea — disse un soldato che era stato ferito durante la battaglia.

Globo Nero allungò il mozzicone di una delle sue pinne sfrangiate verso la creatura sanguinante.

— Figlio mio — disse lui-lei.

— Figlio mio — mormorò Daocan sottovoce. Globo Nero lo guardò ma non disse nulla.

— Molti dei miei compagni sono caduti nella lotta contro gli idolatri daglawani — disse il ferito. — Io stesso ho sentito il morso delle loro lance. Eppure so che nessuno dei miei compagni rimpiange la propria morte, così come io faccio per le mie ferite, perché abbiamo imparato, ora e per sempre, come proteggere le nostre famiglie è le nostre case. Adesso le nostre case sono al sicuro per l’eternità grazie a quello che tu ci hai insegnato. Fra molti secoli tutto ciò diventerà mito e leggenda, e i nostri discendenti si chiederanno quanto di vero c’è. Io mi sento privilegiato di aver partecipato a questi eventi che ho visto coi miei occhi.

— Possente dea, non pensi che tutto ciò sia durato a sufficienza? — disse Daocan in tono acido. Era seduto in un angolo del padiglione, con la gamba sinistra incatenata a un piolo.

— Cosa vuoi dire, cucciolo? — chiese il Naxiano, con una velata minaccia nella voce.

— Voglio dire che molti di questi uomini sono stanchi, o feriti. Le celebrazioni potrebbero continuare domani.

Globo Nero fissò gli occhi gialli su di lui. — Che differenza comporta per te, che non hai mai combattuto?

Daocan si strinse nelle spalle.

Globo Nero si sistemò meglio sul tronetto. — Figli miei — disse lui-lei. — Daocan ha fatto una giusta osservazione. Oggi abbiamo combattuto una grande battaglia, e molti di voi abbisognano di riposo e di cure per le ferite ricevute. Domani mattina riceverò il generale Xinseus al quale darò le mie istruzioni per il futuro. Questa notte la dedicherò a pensare alle nostre future azioni. Se dobbiamo dirigerci subito alla capitale daglawana e ridurla in cenere, oppure se dobbiamo mostrare clemenza al loro esercito disfatto e tornare alle nostre case. Dormite bene, con la consapevolezza che vi benedico per il coraggio e la devozione dimostratimi.

— Yersoth! — gridò di nuovo l’esercito yempenita, a lungo. Infine gli stanchi guerrieri s’allontanarono dal padiglione del Naxiano e tornarono alle loro povere tende.

— E adesso — disse Globo Nero con voce che veniva dalla sua apparecchiatura con toni bassi e minacciosi — mi occuperò di te.

— Occuparti di me, O Graziosa Dea? — disse Daocan con un sorriso forzato. — Ma io non ho fatto nulla…

Globo Nero lo ignorò. Lui-lei si rivolse ai due preti-schiavi. — Toglietegli la catena. Portatelo oltre il più lontano dei fuochi da campo, in un luogo da cui nessuno possa sentire le sue urla, e battetelo senza pietà. Non fate che muoia. Poi, riportatemelo.

— Sì, dea — dissero i preti-schiavi, col volto privo di emozione. Daocan non disse nulla mentre gli toglievano la catena dalla gamba e lo portavano con loro.

Globo Nero si rivolse agli altri preti-schiavi rimasti nel padiglione. — Desidero rimanere solo per un po’ — disse lui-lei. — Questa notte mi aspetto di ricevere notizie dalle altre divinità, e questa non è certo materia per orecchie mortali.

Gli antropoidi s’inchinarono profondamente e s’allontanarono rinculando da Globo Nero.

Passato un po’ di tempo, dopo che Globo Nero era tornato sulla navicella, lui-lei ricevette un messaggio alla radio iperspaziale del mezzo. — Naxiano — disse una voce asprigna — Mi ricevi adesso? Dovrò apparire in catene come un qualunque generale sconfitto?

Globo Nero aggrottò la fronte. Oltre alle battaglie, il suo unico reale divertimento che lui-lei aveva in quel dimenticato mondo di Porea erano i suoi segreti contatti col Crotonita. Lui-lei, in realtà, aveva sempre odiato oltre che diffidato di quella razza dalle ali di pipistrello; anzi, a dirla tutta, lui-lei aveva sempre odiato tutte le altre razze della galassia. Anzi, a lui— lei, in realtà, non piacevano nemmeno gli altri Naxiani.

— Forza, vieni, Katua — disse lui-lei, parlando nel vecchio simultrad erthumiano. — E cerca di non farti vedere. Tutti sono convinti che tu sia Jind, il dio daglawano del mondo sotterraneo. Sarebbe difficile spiegare la tua presenza nel mio tempio segreto.

Katua emise un suono strano; Globo Nero si chiese se per caso non stesse ridendo. — Non sarebbe difficile trovare una storiellina che vada bene per questi antropoidi, Naxiano. Ti preoccupi troppo.

— Tu puoi lasciare questo pianeta quando più ti aggrada, Katua. Io sono un fuggiasco. E poi, mi piace fare la dea della vittoria. E non voglio che succeda qualcosa che mi renda la vita più difficile di quanto già non lo sia.

— Ai tuoi ordini… dea! — E fece sentire di nuovo quello strano, indecifrabile suono.

Globo Nero si rilassò, compiaciuto per gli avvenimenti di quella giornata. L’invasione di Daglawa stava procedendo senza intralci particolari. Malgrado quanto aveva appena detto agli Yempeniti, lui-lei non aveva alcuna intenzione di lasciare in pace gli antropoidi confinanti. Globo Nero si divertiva in sogni a occhi aperti in cui lui-lei guidava una terribile armata in una grande crociata di conquista che, partita da una nazione poco civile, arretrata, avrebbe poco alla volta soggiogato l’intero pianeta di Porea sotto il di lui-di lei comando. Con la sua estesamente superiore conoscenza della scienza e della tattica militare, lui-lei avrebbe potuto, nel giro di pochi anni, diventare il dittatore unico di quel mondo promettente. L’unico che si poteva opporre, come Globo Nero ben sapeva, era il Crotonita, Katua.

Ma era anche sicuro-a che Katua non aveva piani su Porea. C’erano molti altri mondi che si sarebbero potuti meglio adattare alle esigenze di un Crotonita.

Un pungente odore avvertì Globo Nero che qualcuno stava tentando di entrare nella sua navicella. Lui-lei controllò i monitor di sicurezza e vide Katua, praticamente invisibile entro la sua sinistra tuta nera come la notte. Il Naxiano sbloccò il portello e rimase in ascolto dei rumori metallici prodotti dall’altro sulle passerelle di metallo che portavano al di lui-di lei pozzetto di comando.

— Naxiano, sei veramente un avversario potente — disse la creatura alata. La sua voce era distorta prima dal suo microfono incorporato nella tuta, e poi dal simultrad.

— Mettiti a tuo agio, Crotonita — disse Globo Nero, ben consapevole che comunque non c’era nulla che s’adattasse alla forma e alla statura di Katua.

Era impossibile vedere la faccia di Katua dietro il casco che portava, ma anche Globo Nero condivideva con l’altro l’invidiabile abilità di stimare lo stato mentale ed emotivo di tutte le creature senzienti. E lui-lei adesso sapeva che il Crotonita era in uno stato di grande piacere, era quasi esuberante, malgrado le terribili perdite subite dal suo esercito.

— Non ho permesso che i miei guerrieri inseguissero i tuoi — disse Globo Nero. — Sto sperimentando la galanteria e la misericordia.

Katua annuì. — Ci ho provato anch’io una volta. Immagino che i miei te ne siano grati. I miei soldati si stanno raggruppando e medicando le ferite. Più tardi m’incontrerò coi miei generali e discuterò con loro i piani per domani.

Globo Nero era perplesso. — Domani? — disse lui-lei. — Ma le tue forze devono essere completamente distrutte. Mi aspettavo che tu venissi qui a discutere le condizioni della resa delle tue città.

Il Crotonita fece sentire di nuovo quel suono-risata. — Sì — disse — ci sarà una nuova battaglia domani. Ho due armi segrete che, ne sono sicuro, volgeranno le cose a favore di Daglawa.

— Ma noi siamo molto più numerosi…

— Questo è vero. Ma, Naxiano, le nostre rispettive razze hanno messo in disparte la guerra per così tanti secoli che molte delle più importanti lezioni sono andate perse. Una cosa, per esempio: non sempre l’esercito più numeroso vince.

Globo Nero si stava irritando di nuovo. — Sì, questo lo capisco. Quindi tu pensi di avere delle armi segrete che ti ripagheranno delle perdite disastrose subite oggi.

— Sì.

— E allora perché non le hai usate oggi prevenendo in tal modo la distrazione de! tuo esercito?

Katua non rispose, ma minuscoli cambiamenti nel modo in cui teneva la testa e il corpo gli-le dissero che il Crotonita non aveva usato quelle armi di proposito. Si era divertito a guardare il macello della sua armata così come aveva fatto lui.

— Sono solo degli scava-fango — disse il Crotonita, ben conscio dell’abilità empatica del Naxiano.

— Io sono il dio dei Daglawani, ma loro non significano nulla per me, così come gli Yempeniti non significano niente per te. Sono solo selvaggi che strisciano nel fango, e la loro vita è un affronto per la mia sensibilità. L’unica cosa che posso dire di loro è che il modo in cui muoiono è, talvolta, divertente.

Rimasero a fissarsi per un lungo periodo, poi Globo Nero sibilò e fece un tentativo per onorare il ristabilimento dell’etichetta interspecie. — Purtroppo non ho cibo appropriato da offrirti — disse lui-lei.

— Ne ho portato con me — disse Katua. Globo Nero sapeva che i Crotoniti preferivano cibarsi solo di altre creature volanti, e di solito solo quelle che avevano catturato loro stessi. Si chiese che genere di creatura avesse preso l’altro; lui-lei non aveva visto molte specie alate nel cielo che sovrastava la desolata pianura del Daglawa occidentale.

Globo Nero si preparò il proprio cibo, che lui-lei prese dalla dispensa della navetta. Il Naxiano era pignolo con la di lui-di lei dieta, e non mangiava nulla di quanto cresceva su Porea. Quando la navetta avrebbe esaurito le scorte, sarebbe andato a rifornirsi nel più vicino mondo della confederazione naxiana. Se poi sarebbe tornato-a su Porea oppure si sarebbe diretto-a su un altro mondo extrafederazioni, tutto ciò sarebbe dipeso dal capriccio del momento.

Quando entrambi ebbero terminato i rispettivi pasti, rimasero seduti a guardarsi in silenzio. Parlò per primo il Crotonita. — Bene, Naxiano — disse — abbiamo pagato il dovuto rispetto alle leggi sociali che governano le nostre specie nella galassia. Adesso devo andare; nessuno di noi può continuare a lungo a fingere che stiamo godendo l’uno della compagnia dell’altro.

Globo Nero sibilò. — E allora vai, Katua, e fa’ del tuo meglio per radunare le tue sparse truppe. Comunque ti avverto: i miei seguaci odiano Jind più di quanto non ne abbiano paura e, se domani ti mostrerai, potrai scoprire da te quanto sono affilate le lance dei miei guerrieri. Che morte indecorosa per un rappresentante delle Sei Razze.

Katua rise. — Domani pensa alla tua, di pelle — rispose. Globo Nero non si alzò mentre l’altro si dirigeva verso il portello esterno.

Quando cadde la notte e le prime stelle apparvero nel cielo, i preti— schiavi di Globo Nero tornarono con Daocan, il suo cucciolo. Era stato picchiato con cura e con grande attenzione secondo gli ordini ricevuti; i preti-schiavi lo riportarono nel padiglione di lui-lei e lo incatenatone di nuovo al piolo.

Globo Nero tenne d’occhio l’operazione attraverso un monitor, e si chiese se lui-lei avrebbe dovuto ordinare cibo e acqua per il cucciolo. Ma poi lui-lei decise di no. Sarebbe stato come dimostrare una debolezza, mentre lui-lei voleva dimostrare che, benché Yersoth fosse una dea giusta, lui-lei era anche molto rigida perché ci se ne potesse approfittare. Il rinfrescante cinismo di Daocan aveva inciso un po’ troppo, e Globo Nero non voleva assolutamente che qualcuno degli altri antropoidi pensasse che certe libertà erano permesse.

La notte stava rinfrescando, e Globo Nero osservava Daocan che soffriva miserevolmente per la fame, la sete e le percosse. Gli occhi gialli del Naxiano fissavano il monitor senza un battito di ciglia, mentre l’oscurità calante rendeva le forme dell’antropoide sempre più indistinguibili. Allora Globo Nero s’immerse nelle profondità della di lui— di lei cuccetta dove, contorcendosi sinuosamente e delicatamente, s’abbandonò al sonno.

Il mattino seguente, quando lui-lei uscì dalla navetta per incontrare la luce rossa e polverosa di Ksul, ad attenderlo-a c’erano, come al solito, il generale e Daocan.

— Ho parlato con Jind — disse Globo Nero — e lui non s’è né scusato né ha chiesto la pace. Era mia intenzione lasciare che i Daglawani tornassero sani e salvi alle loro case, ma hanno respinto le mie profferte e deriso la mia potenza. Sono molto triste, ma ora altro non ci rimane se non sterminare le loro forze fino all’ultimo uomo. Dobbiamo assicurarci che la pace di Yempena non venga mai più minacciata da quei rinnegati.

Il generale Xinseus aveva un aspetto truce. — Anch’io sono-molto triste, O Possente Dea. Un tempo non molto lontano i Daglawani erano nostri fratelli. Le nostre nazioni possono guadagnare molto più da pacifici commerci che da un’incursione armata.

Globo Nero lo fissò. — Già, pacifici commerci — disse lui-lei distrattamente. Lui-lei aveva lo sguardo fisso oltre l’orizzonte, dov’era apparsa una lunga fila di fanti daglawani. — Osserva, generale Xinseus — disse lui-lei.

Lui si voltò e fissò a sua volta i lanceri nemici. — Hanno cambiato tattica — osservò. — Ogni compagnia non si butta più all’impazzata nella mischia, ma stanno marciando in ordine, disciplinatamente, come tu ci hai insegnato. Chi può aver indotto questo cambiamento nei loro schemi tattici?

— Jind — disse Globo Nero — mi ha fatto sapere di avere due armi segrete da usare contro di noi.

Xinseus lanciò un’occhiata al proprio accampamento, dove i suoi subordinati stavano radunando gli uomini per affrontare i Daglawani. — Se questa è la sua idea di un’arma segreta — osservò — i nostri arcieri gli faranno ben presto cambiare idea.

— Guarda laggiù, O Potente Yersoth! — gridò Daocan. Il suo magro corpo era interamente coperto di ferite e di terribili scorticature. Sembrava troppo debole per potersi reggere, e così se ne stava inginocchiato accanto alla dea.

— Che cosa c’è? — chiese il Naxiano.

— La loro cavalleria — disse Daocan.

— Non è niente — disse Xinseus. — La nostra cavalleria è cinque volte più potente della loro. Li scacceremo dal campo di battaglia come abbiamo fatto ieri.

— Ma guardate! — insistette Daocan. — Cavalcano i loro dahl usando strane selle. Guardate come stanno ritti e come maneggiano le loro mazze!

— Come possono stare così ritti! — disse Xinseus con espressione turbata.

— Staffe — mormorò Globo Nero. — Quel maledetto pipistrello ha dato loro le staffe. Dove mai ha imparato cos’erano? I Crotoniti volano, non cavalcano né hanno bestie da soma.

— Staffe? Che cosa sono, O Dea? — chiese il generale.

Gli occhi di Globo Nero diventarono due fessure irose. — Le ho viste usare su altri mondi — rispose lui-lei. La voce di lui-lei era venata d’ira, che traspariva malgrado il simultrad. — Però, solo gli Erthumoi e i Locriani cavalcano sul dorso delle loro stupide bestie, e qui non ci sono né Erthumoi né Locriani. Se ci fossero, lo saprei.

— Lui-lei ebbe una contrazione, più uno spasmo dovuto all’ira che ad altro. — Con le staffe, i cavalieri daglawani potranno colpire con forza maggiore con le mazze e le lance, senza correre il rischio di cadere di sella. La nostra cavalleria va bene solo per inseguire i fanti in fuga. Adesso la loro cavalleria è molto più potente della nostra; i nostri cavalieri non potranno opporlesi senza cadere a terra. Adesso, la nostra superiorità numerica non significa più nulla. E quella loro disciplina appena acquisita…

— Non ti devi preoccupare, Potente Yersoth — disse Xinseus.

— Noi oggi conquisteremo il campo di battaglia, come abbiamo fatto ieri, malgrado il loro nuovo equipaggiamento. Dopo tutto, come potrebbero sconfiggere la dea della vittoria? — E partì di slancio verso il suo nahl.

— Ah ah! — rise Daocan. Globo Nero si voltò lentamente verso di lui. — Hai bisogno di un’altra lezione per imparare il rispetto, cucciolo?

— Forse sei tu che hai bisogno di una lezione — rispose Daocan.

Gli occhi gialli del Naxiano rimasero fissi. — Cosa vorresti dire, carino?

— Questa notte, mentre tremavo per il freddo, il Crotonita è venuto da me.

Globo Nero comprese al volo sentimenti e atteggiamento dell’antropoide, e sentì un principio di paura insinuarsi in lui-lei. Daocan aveva un’aria trionfante. — Vuoi dire che hai parlato con Jind, dio del mondo sotterraneo?

Daocan sorrise ironicamente.

— Non c’è nessun dio sotterraneo. È un Crotonita. Mi ha spiegato cosa vuol dire. E mi ha anche parlato dei Naxiani. E degli Erthumoi.

Globo Nero rimase in silenzio per parecchi secondi. — Perché ti avrebbe detto tutte queste cose?

— gli chiese alla fine lui-lei. Daocan si voltò a guardare il campo di battaglia. — Abbiamo fatto un patto.

— E tu cosa gli hai dato?

— Le staffe — rispose calmo Daocan. — Grazie per avermene rivelato il nome. Non sapevo proprio come chiamarle.

— E tu, cucciolo mio, dove avresti appreso dell’esistenza delle staffe? — Le parole del Naxiano erano pericolosamente calme.

— Un’idea, un’ispirazione — disse Daocan fieramente. — Mentre guardavo i combattimenti, ieri, ho pensato che la cavalleria sarebbe potuta essere più efficiente se i cavalieri avessero potuto fare forza su qualcosa quando colpivano. Poiché non è possibile per loro mettere piede a terra, allora ho pensato a qualcos’altro che Non c’era tempo per farle come le avevo concepite io, sicché oggi la cavalleria daglawana usa corde intrecciate legate alle selle. Ma ben presto i loro artigiani e i sellai apporteranno le proprie modifiche alla mia invenzione.

— La tua invenzione! — Globo Nero era furioso. Era chiaro che aveva terribilmente sottostimato l’intelligenza primitiva di Daocan, e la sua ardente voglia di vendetta. — Quindi, è questa la seconda arma segreta del Crotonita — disse lui-lei.

— No — rispose l’antropoide — quella è la prima. A marciare in ranghi l’ha appreso dagli Yempeniti. C’è ancora una seconda arma della quale tu nulla sai.

Una lunga pausa. Il fiero clamore della battaglia riecheggiava nelle orecchie del Naxiano. — Ebbene? Qual è la seconda arma segreta? — lui-lei chiese.

Daocan sorrise. — Ha mandato un messaggio alla sua gente. Ha chiesto aiuto. Gli hanno risposto che è in arrivo un gruppo di Naxiani che si accerteranno che tu non interferisca più a lungo con gli affari di Porea. E ci sarà anche qualche Erthumoi, per accertarsi che nemmeno i Crotoniti interferiranno. Questo me l’ha donato in cambio delle staffe. I Daglawani hanno lavorato tutta notte per equipaggiare le loro cavalcature, e adesso i cavalieri dovrebbero aver già appreso a usarle, perché mi sembra che ne stiano traendo un grande vantaggio.

Globo Nero guardò la cavalleria Daglawana che percorreva in lungo e in largo le sue fila, creando una grande confusione ovunque giungesse. Lui— lei rimase pensieroso per un attimo, poi si voltò per tornare nella navicella. C’era ancora un sacco di tempo per allontanarsi da Porea, e moltissimo spazio nella galassia per ricominciare daccapo.

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