Janet Kagan METTERE LE ALI

Titolo originale: Winging it


— Harriet, ho bisogno di te — disse El Presidente appena lei rispose, senza accennare all’ombra di un saluto.

Harriet Kingsolver conosceva sufficientemente bene Wanwadee Li da considerare una richiesta d’aiuto da parte sua come la cosa più folle da accettare; l’aveva già messa in una serie di situazioni incredibilmente assurde sufficienti per una vita intera. Studiò il viso sullo schermo, e rimase in silenzio.

Wanwadee s’era fatto dipingere le rughe d’espressione del viso con un colore scuro e insolitamente molto grosso per un’occasione come quella, ma c’era anche vera ansietà in lui. E, man mano che il tempo ticchettava via senza una risposta da parte di Harriet, quelle rughe s’andavano approfondendo. Poiché aveva fatto una lunga pratica col suo gatto, Harriet riusciva sempre a prevenirlo.

Alla fine, come lei ben sapeva, non ce la fece più e sbottò. — Harriet, tu hai già lavorato coi Crotoniti…

— Ho lavorato coi Crotoniti di Pssstwhit — disse, pronunciando quel nome che stava a metà fra un sibilo e uno sputo. Ammetterlo non comportava nulla per lei, e in più la divertiva pronunciare parole in quella lingua, anche dopo così tanto tempo.

Ne fu divertito anche il siamese che teneva in grembo. Sua Altezza degnò Harriet di un lungo sguardo che l’ammoniva a ricordarsi delle buone maniere e a tenere a bada la bocca.

— Pastwit — disse Wanwadee, macellando la pronuncia com’era costume della maggior parte degli Erthumoi. — M’accorgo che ho molto più bisogno di te di quanto pensassi. Da Pastwit ci mandano un ambasciatore.

Harriet si chinò in avanti. — Mi scusi?

— Mi hai sentito bene. Per qualche ragione che loro solo conoscono, i Crotoniti di Pastwit hanno deciso di mandare un ambasciatore con tutte le credenziali qui a RosePasse.

Più stravagante del solito. Si appoggiò allo schienale, immersa in meditazione.

RosePasse era abitata da cinquemila Erthumoi, cento più cento meno. Le uniche merci che esportava erano due tipi di spezie e la galla di una foglia che, tagliata e ripulita, produceva un’essenza minerale dal cui profumo il pianeta prendeva il nome. Nel momento in cui avvenisse un cambiamento nella moda galattica o nei gusti, RosePasse si sarebbe trasformato in un mondo fantasma.

A meno che i Crotoniti non avessero acquisito istantaneamente un’inclinazione per le rosepasse, mandare un ambasciatore da loro non aveva alcun senso. In più, a giudicare da quel che aveva visto del carattere dei Crotoniti, uno dì loro che facesse il diplomatico era una contraddizione in termini.

Strano quanto interessante, concluse. Lasciò che Wanwadee cuocesse ancora un po’ a fuoco lento, poi disse: — Non voglio rimandare troppo i miei affari per una cosa del genere. Mi potrai usare per i prossimi tre mesi, poi il mio tempo torna mio.

— Grazie, Harriet — rispose lui e, se si eccettuano le rughe dipinte, il cipiglio cominciò visibilmente a defluire. — Dobbiamo incontrarci con lui alle dieci al Campo di St. Elsie.

— Ci sarò.

Spense il comunic e grattò Sua Altezza dietro le orecchie. — No, non è Wanwadee Li che mi mette nelle situazioni più folli — gli disse. — Sono io che mi ci metto da sola.

Sua Altezza le comunicò, senza mezzi termini, quanto folle la considerasse. In perfetto siamese le miagolò cosa ne pensava dei modi di Wanwadee, de! suo parentado putativo, e delle sue attuali tendenze sessuali. Poi ronfò con aria di sfida e le sfregò la testa sotto il mento.

Quale risposta alla sua sfida, Harriet disse: — Bene, gli metteremo le ali ai piedi.

Quando Harriet s’arrestò al limite del Campo di St. Elsie, non c’era alcuna nave Crotonita in vista. Lei però era convinta che fossero già atterrati, che avessero aperto il portello, sbattuto giù l’ambasciatore (senza preoccuparsi della parte che arrivava prima a terra) e avessero ripreso il volo come pipistrelli in fuga dall’inferno ai quali così tanto assomigliavano.

C’era un unico posto in cui tutti s’incontravano all’astroporto, ed era la Casa del Passeggero di Sylvaine, la cosa più prossima a un bar, albergo, deposito bagagli, ufficio immigrazione e Studio del Presidente che si trovasse su RosePasse. Avanzò in quella direzione.

Capì, prima ancora che la sua carrozzella arrivasse sulla superficie coperta da un lucido parquet, che l’ambasciatore era già arrivato. Poteva sentirlo che sputava e sibilava e scaracchiava come grasso versato su una piastra rovente. Nulla e nessuno poteva lanciare a lungo insulti senza ripetersi o senza apparire prima o poi estremamente ripugnante quanto un Crotonita.

Tranne forse un gatto siamese; Harriet era quasi dispiaciuta che Sua Altezza avesse declinato (enfaticamente) di accompagnarla. Uno scontro fra i due sarebbe stato estremamente divertente.

Sylvaine, molto divertito, stava occhieggiando al di sopra di un enorme assortimento di container dall’aria insolita, bagagli stranamente impacchettati, attrezzature dall’aria stravagante. Guardò Harriet abbastanza a lungo da dedicarle un cenno di saluto, poi tornò alle sue osservazioni.

Buona cosa che lei fosse già lì. Avrebbe avuto bisogno di una mano con tutto quel bagaglio, perché la carrozzella di Harriet era stata ricavata da un container di nave. Questo era la forza di Wanwadee: lui le cose le pensava in anticipo. Era per questo che la gente che abitava RosePasse gli affibbiava la carica di El Presidente anno dopo anno.

Da un luogo imprecisato all’interno della massa dei bagagli veniva il rumore di scatole che venivano aperte, di qualcuno che ci frugava dentro, risistemava le cose, le richiudeva sbattendole rabbiosamente, assieme al flusso costante di invettive crotonite. Harriet si portò più vicina e rimase in ascolto di quei suoni noti con un sorriso stampato in faccia.

— Lumaconi — diceva la voce. — Che possano strisciare sbavando per l’eternità sulle loro facce. Che le loro bocche si riempiano di fango, e le narici di erbacce. Che la loro discendenza voli sempre più in basso, finché le loro ali strisceranno nel fango. Possano… — Le imprecazioni s’interruppero di colpo.

Harriet sapeva per esperienza diretta che non poteva aver abbandonato quel corso così presto. Doveva essersi addormentato prima di quanto Wanwadee si fosse aspettato. Quale che ne fosse la causa, sapeva cos’era un’opportunità quando ne vedeva una, e approfittò di quella breve pausa per presentarsi.

— Che possano mangiare cibo avariato e strangolarsi — disse nella stessa lingua dell’altro. — Che le loro dita si coprano di muffa, e che le loro ali imputridiscano. Che le correnti ascendenti li spiaccichino contro il Dirupo Seghettato, e quelle discendenti li conficchino nelle Paludi dei Pozzi Neri.

Non aveva perso il tocco. Con un sibilo sorpreso, il Crotonita balzò su da dietro una pila di ceste e si guardò attorno con occhi vigili.

Erano occhi di un vivace color arancio, un colore che lei non vedeva da almeno tre anni. Ma lasciò subito perdere i ricordi.

Quando si fu rassicurato che Sylvaine non ospitava nessun altro Crotonita, posò io sguardo su Harriet, e anche la maschera trasparente per filtrare l’aria non riuscì a nascondere lo sguardo di sorpresa (almeno così Harriet l’aveva sempre interpretato) su quel viso uccellesco.

Da parte sua, anche lei era sorpresa: il Crotonita non aveva ombra di ali.

Da dove stava lei si vedevano chiaramente le cicatrici sulle spalle, come se le ali fossero state rimosse chirurgicamente. Si chiese quale genere di malattia o di incidente avesse resa necessaria quell’amputazione. Le ali dovevano essere state gravemente danneggiate, altrimenti gliele avrebbero lasciate, anche se inutilizzabili, se non altro per motivi estetici. L’apertura alare rappresentava il novanta per cento dell’orgoglio di un Crotonita.

Si presentò. — Sono Harriet Kingsolver. Posso esserle utile in qualche modo?

Lui aveva ripreso la sua compostezza e, con essa, la sua arroganza Crotonita. La guardò dalle mote della carrozzella alla cima dei capelli, poi disse, in tono acido: — Può volare?

— Sì — rispose lei. Non gli pose la stessa domanda.

Di nuovo quell’espressione di stupore sul suo viso, ma questa volta c’era qualcosa di nuovo, qualcosa che Harriet non aveva mai visto prima, e che non riusciva a interpretare. Dopo un attimo, lui disse qualcosa che lei non riuscì a capire.

Allora scosse la testa, sorridendo, e disse in nevelse, che era la lingua franca di RosePasse: — Mi dispiace. Ho imparato solo a imprecare in crotonita, non a conversare.

Lui rispose in nevelse: — Lei vola… con un congegno meccanico.

Il tono diceva chiaramente che gli aeroplani non contavano. Harriet era l’unica che riusciva a capire la differenza. Annuì.

— Lumacona — disse lui. Era l’insulto-base crotonita per tutte le specie non-volatili.

— Stupidaggini — controbatté lei. — Prima impari a conoscermi e le prometto che capirà. — Poi fissò i moncherini delle ali sufficientemente a lungo per richiamare la sua attenzione sul fatto che non si era preoccupata di cercare la più ovvia risposta possibile al suo insulto. — Aspetto qualcosa che valga la mia reputazione.

E di nuovo ottenne un’espressione indecifrabile, questa volta diversa da quella precedente. Non era una sorta di ammirazione, era, come dire? neutra, perché puntò un dito unghiuto contro Sylvaine e disse: -

Quest’essere che striscia nel fango voleva ficcanasare nei miei bagagli privati. — E aggiunse in crotonita: — Che possa ficcare le dita in un buco tritacarne che gliele consumi fino alla radice.

— Sylvaine? Cosa stavi cercando?

— Se aveva con sé semi, piante… le solite cose di contrabbando.

Harriet sventolò la mano per indicare la pila degli averi del Crotonita e disse: — Ha portato qualcosa di vivo con sé, che so, animali o vegetali?

— No — disse il Crotonita. — Che il suo becco a causa della nebbia possa sbattere contro la cima di un monte e sfrangiarsi in mille schegge.

— Adesso è tutto chiaro — disse Harriet a Sylvaine. — Garantisco io per lui. Adesso, che ne dici di una birra per me e di un bicchiere di glavsa per l’ambasciatore?

— E vabbene.

— Sylvaine? Prendi quella sedia scassata, quella senza sedile.

Credo che l’ambasciatore starà meglio appollaiato che seduto.

Ancora nessun segno di Wanwadee Li. Harriet non era affatto sorpresa: Wanwadee Li si spostava al ritmo di Wanwadee Li, che era in ritardo di tre quarti d’ora su quello degli altri. Lei si spinse fino a! tavolo più vicino mentre indicava a Sylvaine quale sedia intendeva.

Fiero, l’ambasciatore avviluppò gli aguzzi artigli sulla traversa superiore della sedia rotta e vi si appollaiò. Aveva visto giusto: lì era all’altezza giusta per il tavolo.

Premuroso come non mai, Sylvaine portò la glavsa in una pipetta di terracotta; maschera respiratoria o no, l’ambasciatore poteva succhiare la sua bevanda. Sylvaine le posò davanti la birra e fece cenno che non voleva essere pagato. — Metterò tutto sul conto di Wanwadee — disse. — Direi che questa può essere considerata una faccenda governativa.

Poi si ritirò dietro il bancone, lasciando l’ambasciatore tutto per Harriet. Be’, avrebbe dovuto portare innanzi un’educata conversazione fino a quando non sarebbe arrivato Wanwadee Li a rendere più formale il tutto.

— E così — disse mentre alzava il boccale per brindare al nuovo arrivato su RosePasse — lei ha un nome o sua madre era troppo atterrita dal suo sguardo per rivendicarla come suo?

Si chiamava Wyss’huk — un soffio e un singhiozzo strangolato — e lei e Wanwadee in qualche modo portarono lui e i suoi bagagli nell’ambasciata Pssstwhit, che altro non era se non un cubo in ceramica vuoto che Wanwadee aveva impiegato un intero pomeriggio a formare.

— Quello che mi ha ostacolato è che doveva essere a tenuta stagna. L’ho fatto bello grosso, più che altro per una questione di prestigio, ma se lo vuole del tipo ricercato dovrà sbattere fuori tutte le sue proprietà — disse Wanwadee. — Questo è l’unico modello che sono riuscito a scovare in biblioteca e che abbia una sia pur remota somiglianza con l’architettura di Pastwit. — Le fece cenno di entrare nella sua casa di legno. — Avrei dovuto chiederti se avevi qualcosa da proporre.

— Ti avrei dato le dritte sbagliate, Wanwadee. Non mi avevi detto che è senza ali.

Wanwadee lanciò uno sguardo involontario alle gambe di Harriet poi, visibilmente imbarazzato, guardò altrove. — Bevi qualcosa? — E prima che lei potesse rispondere era già partito verso il luogo in cui teneva la sua riserva.

Harriet sospirò. — Oggi mi sembri più stupido del solito — gli disse, smorzando il tono con un sorriso. — Lo sappiamo entrambi che le mie gambe non funzionano. Che tu le guardi oppure no, non cambia un accidente. È come dispiacersi di dire «Quanto tempo che non ci vediamo» a un cieco.

— Scusami. — Tornò con un bicchiere per ognuno di loro e con un atteggiamento più normale. — È stata una giornata molto lunga, non ne capisco una cicca di quanto sta accadendo, tu hai ragione: io sono uno stupido. — Ingollò la sua razione e se ne servì una seconda. — Per la maggior parte del tempo non me ne frega niente di essere El presidente ma succede perché, la maggior parte del tempo, essere El presidente non significa un cavolo. Oggi sono un po’ fuori fase.

Si tirò vicino una sedia e si sedette pesantemente. — Ho sentito tutte le autorità possibili per avere informazioni, e tutto quanto ne ho ricevuto in risposta, in almeno trecento modi diversi, è stato: «Scopri quello che vogliono!». Mi manderanno anche qualche «esperto», ma solo il Signore sa in cosa sono «esperti».

— E così non sai come e perché ha perso le ali?

— Già — disse lui, stringendosi nelle spalle. Le righe dipinte sulla fronte gli trasformavano il viso in una maschera irosa. — Quello che posso dirti… ma tu non ci crederai, come non ci credo io. Be’, io non ho niente da ridire per quello che dice, perché sono sicuro al cento per mille che, in quelle circostanze, nessuno sarebbe carino e gentile. — Dietro la maschera, i suoi occhi erano freddi. — Farai meglio a bere quello che hai in mano. Sono certo che ne avrai bisogno.

Harriet prima inarcò un sopracciglio, poi alzò il bicchiere. Ne bevve un sorso, tanto per accontentarlo, poi gli disse: — Forza, racconta.

— Whooshuk è stato scelto quale ambasciatore, e per questo gli hanno amputato le ali.

— Cosa?

— Sembra che i Crotoniti pensino che i loro ambasciatori siano in grado di capire meglio noi che strisciamo a livello terra se sono costretti a farlo essi stessi.

Harriet trasse un lungo respiro poi abbassò lo sguardo al bicchiere che aveva in mano. — Avevi ragione — disse. — Odio quello che hai detto. — Mandò giù tutto con un sorso solo.

Harriet mise i comandi sull’automatico e lasciò che la carrozzella trovasse da sé la strada di casa. Aveva molte cose a cui pensare, cose su cui non aveva riflettuto da tempo. Eccoti la ricompensa per essere stato scelto come ambasciatore: ti seghiamo via le ali. Ma che tipo di mentalità poteva concepire una cosa simile? Lei sapeva bene cosa voleva dire essere privati delle ali. Wyss’huk avrebbe trascorso il resto della sua esistenza con lo sguardo rivolto al cielo, proprio come stava facendo lei in quel momento.

Il segnale acustico che l’avvertiva che era arrivata pose momentaneamente fine ai suoi pensieri e le fece riportare lo sguardo sulla terra. Tolse il comando automatico e diresse la carrozzella verso la tettoia del deposito. Prima le cose importanti: doveva controllare le condizioni in cui si trovava il suo equipaggiamento per…

Erano tre anni che non lo degnava di uno sguardo, ma sapeva esattamente dove Majnoun l’aveva messo. Le pinze della carrozzella le deposero delicatamente il pacco in grembo. Le sue mani esitarono sull’imballaggio accurato. Sarebbe stato in perfette condizioni; Majnoun era stato molto accorto nel riporlo.

Aveva sempre sostenuto che, un giorno, l’avrebbe usato ancora. Ovviamente era successo prima che apprendessero che le tecniche rigenerative non funzionavano con lei. Ma lei sospettava lo stesso che l’aveva riposto con tutto l’amore che era in lui.

Quel pensiero la fece sorridere, mentre le sue mani si muovevano da sole per svolgere l’involucro. Ne balzò fuori un arancione vivace che s’offrì al suo sguardo, l’uccello più pacchiano di RosePasse. Che peccato che non avesse ingentilito il cielo con la sua presenza in tutti quegli anni.

Bene Falcodifuoco, pensò, è giunto il momento di riconquistare il cielo.

Lo riavvolse con cura. Come un sole che tramonta, si disse, ma che domani sarà di nuovo fra noi. Un sorriso di soddisfazione le attraversò il viso mentre affidava l’involucro alle pinze.

Stava ancora sorridendo quando entrò in casa, e anche quando Majnoun rispose alla sua chiamata. — Ho bisogno di un favore — gli disse.

— Dimmi.

— Ho bisogno che mi prepari una bardatura per il volo a vela che si adatti a un Crotonita. Non è solo più piccolo di un uomo, ma anche il rapporto torso-gambe è molto diverso. Le braccia sono molto più tozze. Ogni mano ha solo due dita, ma non penso che questo costituisca un problema. A giudicare dai pettorali e dal modo in cui trasportava le sue ceste, deve avere una forza notevole nella parte superiore del corpo.

— Deve avercela per forza, per usare quelle ali che si ritrova. — Majnoun distolse lo sguardo per fissare con perplessità qualcosa che stava oltre la portata dello schermo. — Le sue ali sono un grosso problema, Harriet.

Harriet sentì che il sorriso le si spegneva sul viso. Scrollò la testa. No — gli disse. — Questo di cui parlo non ha le ali.

— Oh! — Era sbalordito. — Oh! Allora dobbiamo…

— Allora dobbiamo dargli le mie.

Con sorpresa, il mattino dopo Harriet non ebbe alcuna difficoltà a persuadere Wyss’huk a uscire dall’ambasciata. Il suo carattere non era migliorato, ma su tutto prevaleva la curiosità per il mondo in cui era stato inviato. Almeno un po’.

Dopo una momentanea pausa spesa a maledire il tempo, la mancanza di pressione nell’aria, la qualità generale dell’intelligenza nelle gerarchie superiori di Pssstwhit, e la stessa Harriet (se non altro perché non si sentisse esclusa) lei fece scattare in fuori il seggiolino laterale dicendo: — Salti su. Le farò vedere le cose più belle di RosePasse.

Forse avrebbe dovuto togliere la sella da amazzone, ma voleva assicurarsi della forza della parte superiore di quel corpo prima di dar vita al suo piano.

Lui s’arrampicò e, dopo essersi bene assicurato, le chiese: — Perché la medicina di Erthuma non le restituisce l’uso delle gambe?

Lei si strinse nelle spalle. — Sono una su un milione. Per qualche ragione oscura, la tecnica rigenerativa su di me non funziona. — Indirizzò la carrozzella verso ovest, diretta alle montagne che s’intravedevano a distanza, verso Fallaway Point. — Non che abbiano smesso di provarci. Ogni sei mesi circa arriva qualcuno con una nuova teoria. Per un po’ di giorni faccio da cavia, poi se ne vanno a correggere la loro teoria.

— Che la loro pelle possa cadere marcita e che siano scorticati a morte dai loro stessi colleghi — disse Wyss’huk.

Harriet rise. — C’è stato un tempo in cui gliel’auguravo anch’io, specie quando mi cavavano tutti quei campioni di sangue. Ma chi può dire? Forse, un giorno o l’altro, una di quelle teorie si dimostrerà giusta.

— Che i loro primogeniti vengano assoggettati agli stessi esperimenti e a quelli dei loro colleghi.

Per un attimo, Harriet distolse lo sguardo dalla strada. Il suo passeggero non mostrava segni di stanchezza. Nei suoi occhi arancione riluceva solo la rabbia che andava esprimendo. La sua pelliccia grigio-argentea aveva l’aspetto morbido di quella di Sua Altezza, ma i moncherini delle ali erano di un rabbioso rosa malsano. Amputate chirurgicamente, si ricordò. Aveva meno ragioni lui di amare i dottori che non lei.

— Che possano trascorrere un’esistenza da vermi, e poi un’altra come chiocciole.

Per un po’ rimasero in silenzio mentre attraversavano la foresta di Hellup. Si fermò solo un momento per tagliare una galla per lui, ma non pronunciarono una parola. Se lui mostrava un interesse così minimo per il rosepasse, si disse Harriet, allora le loro essenze minerali non erano il motivo della sua presenza lì.

Uscirono dalla foresta per trovarsi sulla compatta distesa di sabbia nera d’origine vulcanica della spiaggia sottostante Fallaway Point. Harriet s’arrestò sulla cima di una minuscola duna per gonfiare le gomme perché avessero una trazione migliore, e anche per scandagliare la spiaggia alla ricerca degli Unici Uccelli. Si voltò per dire qualcosa a Wyss’huk, e lo scoprì a fissare il cielo.

Le mancò la voce quando vide l’espressione della sua faccia. Rabbiosa, certo, ma più famelica che irata.

Senza una parola cominciò la lieve discesa fino all’altro capo della spiaggia, dove aveva individuato il gruppetto che andava cercando. Wyss’huk non distoglieva lo sguardo dal cielo.

Bene, si disse lei, tra poco avrà qualcosa su cui fissare davvero lo sguardo. I frammenti di colore sull’orlo del dirupo avvamparono, mutarono colore.

Harriet fermò la carrozzella, alzò di scatto un braccio e disse: — Lassù! — Non sapeva nemmeno se lui guardava dove gli indicava lei, era troppo assorbita da quanto vedeva per distogliere lo sguardo. Gli Unici Uccelli s’involarono dalla cima del dirupo: gialli, rossi, blu, cremisi. Tutti i colori dell’arcobaleno, ma il suo era l’arancione.

Si scoprì di nuovo a sorridere, solo per il piacere di guardare. Che sciocca era stata a negarsi per così tanto tempo quel piacere.

Calavano e s’innalzavano: il vento, il vento era con loro, oggi! Gli unici uccelli di RosePasse. Così belli…

Dovevano averla vista perché girarono, quasi in formazione, e s’abbassarono sulla spiaggia per mostrare i loro colori in tuffi aggraziati proprio sopra di loro. Harriet si scoprì a gridare e a battere le mani e ad agitare le braccia per trasmettere loro tutta la sua ammirazione.

Le correnti ascensionali sulla spiaggia nera quel giorno erano eccezionali. Isobel si esibì in un otto, e gli «occhi» neri del suo delta sfavillarono contro il verde dello sfondo, contro il blu ancora più puro del cielo. Daffyd — blumarino a strisce bianche — artigliò un’altra corrente ascensionale e salì così tanto che sarebbe potuto essere confuso con un refolo di nube. Majnoun, con le sue ali color porpora reale, si lasciò cadere lungo un’area discendente per duplicare la figura di Isobel con un’angolatura ancora più ampia.

E continuò a scendere. A pochi metri dalla carrozzella di Harriet abbandonò la corrente e toccò terra, fermandosi. Non dovette far altro che avanzare di un passo per riprendere il giusto equilibrio.

Scrollando la testa per l’ammirazione, Harriet avanzò fino a lui. — Atterraggio perfetto! — gli disse.

Lui alzò velocemente lo sguardo dalla sua positura di volo per sorridere di rimando a lei. — Grazie, Harriet. Hai scelto una giornata eccellente. Erano mesi che non si volava così bene. — Terminò i controlli all’apparecchiatura, ripiegò le ali.

Harriet fischiò un ordine e le pinze di riserva avanzarono per aiutare Majnoun a tenere ferme le ali. Lui indietreggiò protettivamente, le sorrise di nuovo, lasciò che le pinze afferrassero la bardatura. — Sali? — gli chiese lei mentre faceva uscire un secondo seggiolino.

— Certo — disse Majnoun sistemandosi dalla parte opposta dell’ambasciatore.

— Wyss’huk — disse Harriet — questo è Majnoun. Majnoun, questo è il tizio di cui ti ho parlato.

Wyss’huk distolse lo sguardo dal cielo per il tempo sufficiente a dargli una rapida occhiata, poi continuò a ignorarlo. — Un altro lumacone — disse, ma nella sua lingua, non in una che Majnoun avrebbe potuto capire.

Harriet pensò che questo fosse ciò che passava per tatto presso i Crotoniti. — No — disse. — Io sono un lumacone, lei è un lumacone, ma Majnoun no: lui vola.

Diresse la carrozzella verso il gruppo di mezzi parcheggiati. — Che ne dici, Majnoun? Puoi sistemare l’attrezzatura per la sua statura?

— No — rispose lui.

Ne rimase così sorpresa che frenò di colpo. — Non puoi? E perché no?

— Non prendertela così, Harriet. Non volevo dire quello che hai capito. Può usare l’attrezzatura in più che ha Isobel; lei è felicissima di aggiungere un altro uccello al nostro stormo. — Posò una mano sull’involto che conteneva le ali di Harriet. — Dico anche che mi rifiuto di tagliare il tuo Falcodifuoco per un’altra persona. Un giorno lo vorrai usare di nuovo. È per questo che non posso distruggerlo.

Né riusciva a guardarla negli occhi mentre lo diceva. Lei non sapeva cosa rispondere. Isobel li distolse dai loro pensieri con uno dei suoi atterraggi sgraziati per cui era diventata così famosa.

Arrivò sulla spiaggia un po’ di traverso, colpì con forza la spiaggia correndo come una furia — il che era meglio che lasciarsi trascinare, pensò Harriet — e terminò a testa in giù nella risacca, schizzandoli tutti e tre.

Majnoun bestemmiò, si liberò dall’imbracatura e corse per darle aiuto, che ne avesse bisogno o meno.

Harriet, ridendo, guardò Wyss’huk. — Noi siamo gli unici uccelli di RosePasse, e Isobel è la più goffa fra noi. È meravigliosa quando vola, ma i suoi atterraggi sono penosi. L’unica che ha fatto un atterraggio peggiore del suo sono stata io. Fortunatamente, Isobel non sembra essersi fatta male.

Majnoun aveva ripescato Isobel, ridente e sgocciolante, dal mare, e i due stavano riprendendo le rispettive ali.

Subito sopra loro un delta dipinto con ciuffi di lavanda, gli stessi da cui Lillà diceva di avere preso il nome, gridò: — Isobel! — mentre passava sui due ancora immersi nell’acqua. — Guarda come si fa!

Harriet s’aspettava di vedere un altro atterraggio perfetto, come quello di Majnoun, ma Lillà non era il tipo che faceva quanto ci si aspettava da lei.

Fece una virata stretta e scivolò lontano dalla spiaggia, fino a trovarsi molto al largo. Virò di nuovo, e prese una direzione che l’avrebbe certamente portata a fermarsi in grembo ad Harriet. Ma non avvenne.

Sempre al largo, si tuffò, perse aria e, davanti agli occhi attoniti di Harriet, abbandonò l’imbracatura tuffandosi a piedi in avanti nel mare. Le ali fiorite continuarono senza di lei, mancarono la carrozzella di Harriet di pochi centimetri e si fermarono gentilmente sulla spiaggia dietro di lei.

Harriet non riuscì a chiudere la bocca fino a quando i tre non furono usciti dall’acqua e l’ebbero spruzzata abbondantemente.

Majnoun stava ancora rimproverando Lillà per i suoi errori capitali: — Troppa faciloneria, corri stupidi rischi…

Lillà lo ignorò per sorridere a Harriet. — Dovevo fare qualcosa per darti il bentornata fra noi. — Guardò Wyss’huk e gli sorrise. — Ecco qui qualcosa di speciale per il tuo ospite d’eccezione… oops! — Venne trascinata in avanti dalle ali, che avevano cominciato a prendere vento, le strinse di nuovo, le controllò con infinita cura.

Wyss’huk disse: — Che il Suscitatore di Venti faccia volare le sue ali a qualcuno che le merita.

Harriet lo guardò, sorpresa. La scelta dell’imprecazione era tanto sorprendente quanto lo era stato l’atterraggio di Lillà. L’unica volta in cui aveva sentito una cosa del genere era rivolta a un Crotonita che, secondo gli standard dei suoi concittadini, non aveva messo la giusta cura nel lisciarsi le ali.

— Cos’ha detto? — chiese Majnoun.

— Anche lui pensa che sia troppo facilona. E convinto che abbia rischiato di rovinare le ali, facendo come ha fatto.

— Oh. — Majnoun guardò verso Lillà che, coi pollici alzati, gli faceva segno che le sue ali non erano danneggiate. Poi disse: — Sono più robuste di quanto appaiano. Lei le tiene in ottimo stato, e poi, di solito, non fa cose del genere.

Lo sguardo che rivolse a Harriet aveva in sé qualcosa in più della semplice ansia. — È più di un’occasione speciale averti fra noi di nuovo. Vuoi salire con noi e vederci partire?

Harriet guardò Wyss’huk. Lui non disse nulla, ma la bramosia che s’accendeva nei suoi occhi era ancora più accentuata. Si chiese se lui riusciva a vedere la stessa cosa nei suoi. Rispose per entrambi: — Certo. Siamo qui per questo.

Majnoun e Wyss’huk stavano seduti ai lati opposti di Harriet. Lei si mise a gareggiare con i mezzi degli altri, e vinse.

— Voglio mettermi anch’io un supplemento di potenza come il tuo — disse Lillà mentre smontava dal suo mezzo.

— Sempre se lo userai con la testa — disse Harriet — e non per fare qualche bravata.

Lillà scrollò la testa. — La mia non è stata una bravata. Ci ho lavorato a lungo e mi sono esercitata finché non ho capito che potevo farlo a dovere. Se non fossi stata nella posizione esatta per eseguirlo correttamente, avresti dovuto aspettare ancora un po’ prima di vedermelo fare.

Harriet inarcò un sopracciglio. Lillà si era certo aspettata quella domanda, perché si lanciò speditamente in una marea di descrizioni tecniche.

Quand’ebbe terminato, anche Majnoun stava annuendo. — Ritiro tutto — disse. — Ma Wyss’huk non ritirerà certo quello che ha detto. È troppo rischioso per le tue ali. — Strinse un poco le labbra ma non per disapprovare, solo perché era pensieroso. — Forse potremmo tentare di metterci una sorta di pastoia, perché tu possa guidare l’uccello a fare un atterraggio morbido. Lasciamici pensare.

— Lasciami volare mentre tu pensi — disse Lillà. Anche Isobel era arrivata, aveva scaricato il materiale ed era tornata verso la spiaggia. Tomas stava effettuando i controlli che precedono il volo sulla sua ala giallo vivo.

Majnoun rise. — Vai pure, Lillà. Io ho ancora qualcosa cui pensare.

Lillà si strinse nelle spalle, s’avvicinò all’orlo del dirupo, allargò il suo delta e si lanciò nell’aria, tutto con un unico, fluido movimento.

Il vento afferrò Harriet, le scompigliò i capelli. Le tornò tutto nel sangue di colpo, come se lei fosse al posto di Lillà in quel momento. Era un giorno perfetto per volare, tutti i suoi muscoli, persino quelli fantasma delle sue gambe, le ricordarono cosa fare. Anelava ad alzarsi, allargare le ali, e lanciarsi da dove stava seduta… Tomas si staccò dal bordo e volò via.

— Cosa ne dici, Wyss’huk? — chiese al Crotonita.

Ci volle un bel po’ prima che lui riuscisse a distogliere gli occhi da Lillà per guardarla. Le sue dita stringevano con tale forza il bracciolo della carrozzella che lei temeva che potesse spezzare qualcosa, magari anche le dita, o il braccio.

— Mi rendo conto che non sarà la stessa cosa — continuò Harriet. — Dovrà imparare un modo completamente diverso di volare, ma… — Non terminò la frase con le parole, ma lasciò che fossero i suoi occhi a proseguire, un lungo sguardo verso il mare, là dove Lillà e Tomas disegnavano con brillanti colori sul cielo.

Lui seguì quello sguardo. Lillà aveva trovato una corrente ascendente e salì, salì e salì, e il colore del suo delta svaniva per la distanza. Poi anche Tomas trovò la stessa corrente e si lanciò al suo inseguimento.

Wyss’huk si voltò bruscamente verso Harriet. Questa volta l’espressione del suo viso era pura furia. — Che tu venga fatta passare attraverso spazzole di ferro e che le tue ali si impregnino dì colla!

Anche quest’insulto venne riconosciuto da Harriet perché una volta aveva visto un Crotonita cui era stato fatto quello che le era stato augurato. Tre mesi dopo, la sua pelliccia era ancora impregnata di colla. Un Crotonita le aveva confidato che non solo quel trattamento condizionava il volo di una persona, ma che in più puzzava, almeno per un naso crotoniano.

— Tu pensi che volerei con ali artificiali? — Wyss’huk si stava scaldando al calor bianco, e questa volta parlava in nevelse. — Voi, striscianti Erthumoi, pensate di avere la tecnologia per fare qualsiasi cosa! Io usare un artificio per volare? — E alzò la mano armata di due artigli, che tenne bene estesi.

Involontariamente, Harriet si tirò indietro. Quel movimento le permise un’ampia visuale delle cicatrici che aveva sulla schiena. Dove una volta c’erano le ali.

— Le sue ali — disse. — Gliele hanno tolte coi denti?

Sapeva molto bene che non era così. Conosceva gli strumenti chirurgici crotoniti. Ma Wyss’huk venne costretto a una risposta difensiva: — Stupida lumaca! Hanno usato strumenti chirurgici…

— Esatto — disse Harriet. — Se loro possono usare strumenti — la sua pronuncia fece apparire la parola ancor più offensiva di quanto non fosse — per toglierla dal cielo, allora lei può usare un altro strumento per tornare nel luogo a cui appartiene.

— Lumacona — disse ancora lui. — Che tu possa incappare in un vuoto d’aria e venire scagliata contro gli AmmazzaGente. — Si trattava di una punta rocciosa di Pssstwhit, i cui venti capricciosi esigevano ogni anno un alto pedaggio alla popolazione del luogo.

Comunque, Wyss’huk non aveva ancora risposto alla sua domanda. Harriet seguì le sue ulteriori imprecazioni con scarsa attenzione. Non aveva intenzione di mollare. C’era solo una cosa su cui aveva abbandonato la lotta.

Ancora una volta, i suoi muscoli ricordarono. Tirati su, prendi la tua roba, e lasciati sollevare dal vento.

E le sue mani stavano già aprendo il pacco, stavano estraendo le sue ali. — Era mia intenzione — disse al crotoniano, interrompendolo a metà di un’altra accesa metafora su quelli che strisciano — di donarle queste. Ma Majnoun non vuole. — Guardò Majnoun, gli sorrise. — Grazie, amico mio. Puoi chiamare Isobel e chiederle di aspettarmi col suo gonfiabile?

Harriet aveva messo a punto Falcodifuoco la sera precedente, ma ora ripeté di nuovo la procedura. La familiarità della cosa eliminò poco alla volta il tremito alle dita.

Majnoun alzò gli occhi dalla radiolina, con un lieve cipiglio sul viso. — Harriet, sei sicura di volerlo fare?

Era la domanda giusta. Sapeva cosa rispondere. — Non ne sono mai stata più sicura in tutta la mia vita. Non posso atterrare sulla spiaggia ma posso usare il metodo di Lillà e scendere in mare.

A un suo fischio, le braccia meccaniche della carrozzella la presero gentilmente per la vita e la misero eretta. Cominciò a sistemarsi l’imbracatura.

— Va bene — disse Majnoun. — Ma sei fuori allenamento, così voglio che all’inizio tu ci vada piano. Non fare cose difficili, solo una discesa lenta verso l’acqua.

Harriet annuì, incapace di togliersi il sorriso dalla faccia anche in quel momento solenne. Majnoun ispezionò di nuovo l’apparecchiatura, controllò che la gonfiatura operata da Isobel fosse stata eseguita nel modo giusto, poi rispose al suo sorriso. — Penso che tu sappia bene come ammarare. Dimmi solo cosa vuoi che faccia per te.

— Una volta che sarò in volo, metti i comandi sull’automatico e premi B— 6. Conosce la strada; quando ammarerò, sarà già sulla spiaggia ad aspettarmi. E ora — disse spalancando le ali del suo delta in un glorioso scoppio di fiamme — se vuoi tirar via Wyss’huk dal bracciolo della mia carrozzella e farti indietro…

Wyss’huk aveva già abbandonato il suo posatoio. Harriet attese il vento giusto, rendendosi conto solo in quel momento che era un bel po’ che non sentiva più Wyss’huk imprecare. — Finita la scorta di insulti? — gli chiese.

— Non ho niente da dire a una lumacona strisciante.

Harriet rise. Eccolo, il suo vento: ne sentiva la forza. Fischiò perché le braccia meccaniche la girassero nel modo giusto. Sì! Il vento le gonfiò le ali, la strattonò perché si decidesse a lasciare il suo rifugio.

— Lei resti pure qui a terra, Wyss’huk. Che la passeggiata a piedi la diverta. Ma intanto, guardi questa lumacona che vola!

Fischiò per farsi lasciare dalle braccia meccaniche. Per un lungo momento sembrò che non dovesse succedere nulla, poi si trovò nel vento, a volare.

La sensazione era quella che aveva già avvertito migliaia di volte prima: era quella della libertà. Tutto il peso gravava sull’imbracatura, e lei avvertì che stava scivolando verso il basso. Sistemò meglio la presa delle mani, indirizzò Falcodifuoco, e lui balzò in avanti, quasi che anche lui avesse il capogiro dall’eccitazione.

Volava. Una trentina di metri più tardi, si rese conto che l’urlo trionfante che sentiva veniva proprio da lei e che, se avesse continuato su quel tono, sarebbe rimasta senza voce per una settimana. Ma anche così dovette fare uno sforzo per smettere.

E, quando tacque, poté sentire dall’orlo del dirupo la voce di Majnoun che gridava: — Vai! Vai! Vai! — accompagnandosi col vento.

C’era anche un altro suono, un sibilio, uno sputacchiamento, che si sentiva forse anche meglio delle grida di Majnoun. Harriet planò, con l’orecchio teso al sospiro del vento nelle ali e alle istruzioni che le sibilava Wyss’huk. Riusciva a sentire distintamente ogni parola, anche se ne capiva una su dieci. Wyss’huk non stava più scagliando maledizioni.

Harriet, come in un sogno, solcò l’aria, cercando di scendere. La spiaggia era sempre più vicina. Sul confine della spiaggia, Isobel gridava parole inintelligibili, si agitava, saltava senza posa.

Il sibilo alle sue spalle disse: — Accorcia… scivola verso destra… con cautela, figliola.

Angolò sulla destra, trovò l’ascensionale giusta proprio come Wyss’huk le aveva promesso, e la usò per allungare la sua inclinazione in direzione del mare. Qui trovò il refolo giusto per girare e, come aveva promesso a Majnoun, s’abbassò ancora sulla superficie del mare, alla ricerca di un posto che non fosse troppo lontano dal punto in cui c’era Isobel.

Mentre si metteva parallela al dirupo, vide Majnoun che si stava dirigendo alla sua volta. La sua carrozzella stava scendendo verso la spiaggia. Wyss’huk stava seduto al posto del conducente ma non stava guidando: la guardava e le sibilava le sue istruzioni.

Le ricordavano i versi che sua madre le aveva insegnato a fare strusciando le dita su un palloncino. Ah, si disse, mentre trovava un altro refolo d’aria che la portava ancor più vicino a Isobel, Wyss’huk mi parla come a un bambino che sta facendo il suo primo volo!

Non poteva farsi guidare da lui nel suo atterraggio, perché troppa era la concentrazione che doveva usare. Perdi aria, rallenta, perdi aria… si trovava a meno di un metro dalla superficie dell’acqua e… ora!

Lasciò l’imbracatura e si lasciò cadere a piedi in avanti: l’acqua si richiuse sopra il suo capo. Per un lungo attimo, si sentì affondare. Ma la sua gioia non si spense. Fu esaltata persino dal freddo pungente dell’acqua. Poi alzò le braccia e si lasciò portare fino alla luce.

Riaffiorò e subito scrollò la testa per liberare la vista e lanciare un altro involontario strillo di gioia. La prima cosa che vide fu il cielo, immenso e invitante.

La seconda fu Isobel, che stava nuotando furiosamente alla sua volta, poi vide Majnoun toccare terra, liberarsi dal suo equipaggiamento e correre verso il bagnasciuga. Poi scoprì la gloria arancione di Falcodifuoco che fluttuava lieve sulle onde, a pochi metri da lei. Harriet cominciò a nuotare in quella direzione per assicurarsi che non avesse subito danni. Majnoun aveva ragione, abbisognavano di una qualche pastoia per diminuire i rischi di danni alle ali.

— Direi che va benone — disse Isobel da dietro la sua spalla. — Però faremmo meglio a dargli un’occhiata sulla spiaggia. Lasciamo prima che si asciughi.

Isobel prese la punta di Falcodifuoco e la assicurò al gonfiabile. Poi allungò le mani verso Harriet. — Qual è il modo migliore per aiutarti?

— Io nuoto con le braccia, tu prendimi le gambe e spingile dietro di me.

Isobel era al suo secondo bagno per quel giorno, e stavano entrambe ridendo così tanto che non riuscivano ad avanzare di un centimetro verso la spiaggia dove le aspettava Majnoun, immerso fino alla vita, per aiutare Harriet.

Quando la rimise sulla carrozzella lei stava ancora ridendo. Le mise Falcodifuoco, ancora sgocciolante, sulle ginocchia. — Nessun danno — la rassicurò-però…

— Ci inventeremo qualcosa — convenne Harriet aggiungendo un cenno verso Wyss’huk, che si era di nuovo installato al posto al suo fianco.

Il vocabolario di Harriet era sufficiente perché potesse porgli una domanda in crotonita: — Che ne dici, figliolo? Vuoi permettere a Majnoun di insegnarti a volare, oppure vuoi trascinarti sul terreno per il resto della tua esistenza?

I suoi occhi arancione incontrarono quelli di lei, e brillavano tanto quanto Falcodifuoco. — Che un umano insegni a volare a un Crotonita… — Sputacchiò quelle parole, ma lei capì che non erano lo sprezzante rifiuto che poteva apparire; erano un sì, pieno e deciso.

Guardò Majnoun e sorrise. — Ecco fatto. Aiuta questo lumacone a volare. — Poi, rivolta a Wyss’huk, aggiunse: — Oggi è una bellissima giornata per volare.

— Sì — rispose lui.

Malgrado tutte le imprecazioni di Wyss’huk, Majnoun lo fece partire dal basso, come tutti, per poi salire piano piano. Fu su una lunga, bassa inclinazione che il Crotonita apprese a volare con le mani anziché con le sue ali mancanti, fu sempre lì che Majnoun risistemò entrambe le ali e l’imbracatura perché s’adattassero meglio al fisico dell’alieno.

Ma il Crotonita conosceva bene il vento e, una volta che ebbe appreso i principi da cui dipendeva il controllo delle ali artificiali, divenne il più bravo fra tutti gli allievi cresciuti da Majnoun.

— Se il tempo tiene anche domani, Wyss’huk, credo che sarai in grado di volare da lassù fino a Fallaway Point.

— Non oggi?

La bellicosità era stata rimpiazzata da una tranquilla ansietà che Harriet riusciva a vedere anche attraverso le ostruzioni create dalla maschera respiratoria e dalla mancanza di toni nella versione nevelse di Wyss’huk.

— Oggi no — intervenne Harriet, prima che Majnoun potesse rispondere. — L’oscurità s’avvicina, e io voglio attraversare il bosco prima che faccia buio. E poi, la sua maschera respiratoria ha bisogno di essere rinnovata. Tutta questa eccitazione l’ha sottoposta a un superlavoro più di quanto lei avesse pianificato e…

Wyss’huk le strizzò l’occhio, poi fece una specie di controllo, toccando l’equipaggiamento con le sole dita. I suoi occhi si spalancarono. — Hai ragione, Ha’rit — disse in nevelse. — Dobbiamo tornare alla svelta all’ambasciata.

Dedicò un’ultima, rabbiosa occhiata al cielo, poi aggiunse: — Che domani sia una giornata felice per il Suscitatore di Venti.

— Mi hai rubato le parole di bocca — disse Majnoun.

In un coro di saluti, Harriet partì diretta alla città, questa volta con Wyss’huk seduto sulla sella da amazzone. Stava avvertendo la stanchezza di quella giornata, e sapeva che anche Wyss’huk l’avvertiva, soprattutto per lo sforzo di volare in quel modo inusuale.

Era troppo felicemente stanca per fare qualche tentativo di conversazione. Anche Wyss’huk rimase silenzioso per tutto il tragitto. Lei gli gettò un paio d’occhiate, ma non riuscì a capire nulla dalla sua espressione. Che dipendesse dalla luce calante o dalla sua ignoranza, era una cosa che non sapeva dire.

A pochi metri dal Campo di St. Elsie, Sua Altezza balzò fuori da un folto d’erba e miagolò il suo saluto. Harriet rallentò la marcia e gli rispose nello stesso tono. Un attimo dopo Sua Altezza era seduto sul grembo di Harriet, soffiando con furia.

— Sì — disse Harriet. — Ho volato.

Ma non si trattava di Harriet, né del profumo dell’aria o dell’odore del mare quello che interessava Sua Altezza. Allungò il collo e soffiò con forza in direzione di Wyss’huk, con le labbra aperte nel tipico sogghigno gattesco.

Wyss’huk lo guardò a sua volta, affascinato.

Dopo un poco Sua Altezza disse a Wyss’huk dove poteva andare, dove doveva sedersi, e perché valeva meno di un topo in decomposizione. In gattese, Harriet gli disse che, se non chiudeva quella boccaccia, l’avrebbe infilato nel riciclatore di rifiuti della prima casa che avrebbero incontrato. Sua Altezza girò un orecchio nella sua direzione, stabilì che mentiva, e disse a Wyss’huk qual era l’orifizio in cui doveva mettere cosa.

Wyss’huk rispose: — Che la putredine abbia inizio dalla tua zampa sinistra e che si smangi il tuo corpo un centimetro alla volta. Che le tue orecchie e la coda siano le ultime a soccombere e che possano caderti dalle ossa col putrido puzzo di un’ameba in dissoluzione. E che tutti i tuoi parenti siano presenti, per apprezzare la cosa fino all’ultimo.

Harriet lo guardò ammirata. Sua Altezza ronfò e poi, delicatamente, trasmigrò dal grembo di lei a quello di Wyss’huk. — Questa me la devo ricordare — disse Harriet. — È proprio buona! — Sua Altezza si sfregò con delicatezza contro la spalla del Crotonita.

Wyss’huk si limitò a gratificarlo di un’occhiata. In quella luce fioca, i suoi occhi erano di un dorato sinistro. Sua Altezza lo fissò, ma continuò a fare le fusa.

— Non m’è mai capitato di vedere occhi color del cielo — disse Wyss’huk al gatto, parlando in nevelse. — Perché il Propagatore di Venti deve favorire in tal modo una creatura strisciante?

— Wyss’huk, deve capire che questo è un animale da compagnia. Io non so se da voi si usa fare come da noi; questa è una specie nonsenziente che teniamo con noi. A proposito, gli piace essere grattato dietro le orecchie.

— Non è senziente? Ne siamo sicuri? Dice parolacce come un qualsiasi senziente.

Harriet rise. — Questo è vero.

Ma se consideriamo tutte le risse in cui si lascia coinvolgere, se fosse senziente sarebbe un idiota.

— Come gli umani e i Crotoniti — fece notare Wyss’huk. Stava, molto delicatamente, grattando dietro le orecchie di Sua Altezza con le dita ad artiglio.

— Molto vero — convenne Harriet. Frenò davanti all’ambasciata Pssstwhit e batté con la mano sul grembo per farvi tornare Sua Altezza.

Né Sua Altezza né Wyss’huk vi fecero caso. Dopo un poco Wyss’huk parlò di nuovo, ma così piano che le sue parole si confusero con le fusa del siamese. — Tu parli un po’ della mia lingua, ma capisci molto più di quanto dici. Capisci la parola pippest?

— No, mi rincresce.

— Tradotta letteralmente in nevelse significa all’incirca «cambiatore». Indica una persona che opera un cambiamento profondo nella vita di un’altra, soprattutto un cambiamento per il meglio. Tu sei il mio pippest.

Harriet inarcò le sopracciglia.

— E lei lo è per me. Non avrei mai ripreso a volare se non fosse stato per lei. Lei me l’ha reso possibile, ha agito sulla mia testardaggine per rendermi capace di farlo.

Rimasero in silenzio per un poco. Le fusa di Sua Altezza s’ingigantirono quando l’artiglio di Wyss’huk trovò un punto particolarmente sensibile. Poi disse: — Non avrei mai creduto possibile che un Erthuma e un Crotonita divenissero pippest l’uno per l’altro.

— Non vedo perché no, Wyss’huk. Credo che abbiamo fatto una buona cosa, e adesso dobbiamo proseguire.

Lui emise un suono ticchettante, che lei aveva sempre associato al piacere per un Crotonita. — Sei consapevole che le parole «perché no?» sono intraducibili in crotonita? Voi Erthumoi lasciate aperte delle possibilità, cosa che noi non facciamo. Sto solo adesso cominciando a comprenderne il significato. Con un’alzata di spalle, giusto?

— Esatto. Con un’alzata di spalle, ma anche con un sorriso.

— Allora chissà, potremmo persino diventare amici. — La sua alzata di spalle era esagerata e, per via del becco, il sorriso era improponibile, ma Harriet sapeva che quello era il significato. — Anche se l’amicizia fra un Crotonita e una Erthuma è impensabile, perché no?

— Davvero, perché no — convenne Harriet. — E, se incontreremo qualche problema, metteremo le ali alle nostre parole.

In quel momento capì che quel suono significava davvero piacere. — «Mettere le ali»! Sì! Non avevo mai riflettuto sui significati di queste parole. — Per dimostrare che anche a lui la cosa garbava, Sua Altezza colpì Wyss’huk con una testata al petto.

— Mi piacerebbe — disse Wyss’huk — darti qualcosa in cambio di quello che mi hai dato tu.

— Gliel’ho già detto, Wyss’huk. Anche lei è stato pippest per me. Ma se davvero ne sente la necessità, allora potrebbe soddisfare la mia curiosità.

— Quale curiosità hai? A meno che non sia un soggetto tabù… ma anche in questo caso potrei provare a rispondere.

— Perché mai Pssstwhit apre un’ambasciata in un posto di poco conto come RosePasse? Mi è assolutamente incomprensibile, anche se ci ho pensato a lungo fin da quando ne ho avuto notizia. — Lo fissò negli occhi. — Se si tratta di un qualche segreto di stato, annullo la domanda. Non voglio causarle guai con la sua gente.

C’era sorpresa in quei luminosi occhi arancione. — Oh, ma… ma allora non sai nulla delle nostre fazioni. Vedi, se Pssstwhit non avesse mandato un ambasciatore, l’avrebbe potuto fare Stiss. E Stiss avrebbe potuto dichiarare che parlava per Pssstwhit. E Pssstwhit questo non può permetterlo. Ha senso tutto ciò per te?

Be’, un po’ ce l’aveva. Si mise a ridacchiare. — Sì. Temo proprio di sì. Per lo meno, ricorda molto le cose che fanno anche gli Erthumoi. Lei è qui per «stabilire una presenza». Lo stesso fa Sua Altezza quando si sdraia al centro del mio letto per dire che quel territorio è suo, non mio.

— Sei sicura che Sua Altezza non sia intelligente?

— Non del tutto — disse lei con un sorriso. — Grazie, Wyss’huk. Per sciocchi che possano essere i motivi che l’hanno portata qui, sono grata a Pssstwhit per averlo fatto.

— Anch’io.

Prese Sua Altezza e lo posò sulle ginocchia di Harriet, poi s’avviò verso la sede dell’ambasciata. Ma non entrò. Sua Altezza, che era stato spostato contro ogni suo desiderio, miagolò a Wyss’huk parecchie impubblicabili e impossibili e irriferibili cose che poteva fare con se stesso e con oggetti d’uso comune rintracciabili in qualsiasi casa.

Harriet disse a Sua Altezza qual era, fra i suoi rivali notturni, quello con cui avrebbe voluto fare un ballo di mezzanotte. Il che lo fece sdraiare con viva soddisfazione sul suo grembo.

— È questo il limite della tua curiosità, Ha’rit?

— Oh no, Wyss’huk. È solo l’inizio. Domani cominceremo le lezioni su come parlare la tua lingua senza infarcirla di parolacce. Se dobbiamo essere amici, ho bisogno di sapere.

— Bene — rispose lui. — Domani cominceremo coi nomi dei venti. Perché no?

Il cielo s’era fatto grigio. Meglio così, si disse Harriet, mentre caricava l’aereo con le derrate per le persone che abitavano nell’entroterra. Aveva sempre odiato farsi i voli commerciali quando sapeva che tutti stavano volando senza di lei. Era un pensiero egoista ma ne era compiaciuta, anche se aveva perso così tanti anni di volo.

E poi, i suoi amici avevano promesso a Wyss’huk di portarlo in cerca di minerali di rosepasse «il primo giorno di brutto tempo», e lui probabilmente si sarebbe fatto qualche idea di come si viveva su RosePasse. Nel prossimo viaggio l’avrebbe portato con sé, perché dividesse con lei quell’esperienza.

Questa volta, lui aveva declinato l’offerta con grande dispiacere. Qualche problema connesso con l’ambasciata, non le aveva spiegato molto. Aveva cominciato a farla funzionare, e lei sapeva che quando avrebbe avuto tempo si sarebbe fatto sentire.

L’ultima cosa che aveva fatto era stato lanciare un fischio a Sua Altezza e portarlo a stare da Sylvaine, come era solita fare. Come al solito, Sua Altezza non era d’accordo e aveva detto a lei — e a Sylvaine — cosa ne pensava di loro due. Harriet gli aveva grattato le orecchie dicendogli che sarebbe tornata di lì a due settimane.

Aveva appena terminato il controllo pre-volo e stava caricando se stessa e la carrozzella quando una figura attraversò di corsa il campo diretta verso di lei, agitando le braccia e gridando: — Harriet, aspetta!

Era Wanwadee Li, con la fronte dipinta a grosse righe scure. S’appese al portello del volatore, senza più fiato. — Sono contento d’averti trovata. Ho bisogno di te.

— No, non è vero. Te l’ho già detto, Wanwadee. Ho del lavoro da fare.

— Ma non capisci! Sta arrivando un altro ambasciatore crotonita, e questa volta viene da un pianeta che si chiama Stiss!

Questo avrebbe dato da pensare a Wyss’huk. Scoppiò a ridere. — Ho delle derrate da consegnare. Insegna tu all’ambasciatore di Stiss a volare. — E, sempre ridendo, chiuse il portello, evitando d’un soffio di tranciargli le dita, e s’involò.

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