Harry Turtledove TRENTA PEZZI

Titolo originale: Thirty Pieces


Il manufatto del Popolo Misterioso spuntava dal suolo di La Se Da, bello e incomprensibile come tutti i manufatti del genere. Bortha il-la Naxiano-a raggiunse strisciando una serie di strumenti. Sporse una pinna frangiata dal lungo corpo serpentino e regolò un rivelatore. Malgrado la regolazione, il detector continuò a non fornire alcuna informazione utile. Bortha sospirò… una specie di lungo sibilo.

Accanto a esso-lei, Eberhard Richter incurvò le spalle. Bortha percepì le ondate di frustrazione sprigionate dall’Erthuma. La sensazione empatica fu quasi abbastanza intensa da fargli-le rizzare le scaglie. Disse: — Non disperare, Eberhard. Possiamo ancora trovare il modo di penetrare i suoi misteri.

— Ne dubito — disse cupo Richter. — Nessun altro nella galassia ci è riuscito, nonostante tutti i tentativi A volte mi chiedo perché continuiamo a provare.

— Se volete, andatevene, galattici — disse Jo Ka Le, il capo dell’équipe scientifica La Se Dana che stava lavorando con gli stranieri per cercare di scoprire a cosa fosse servito un tempo quel cimelio del Popolo Misterioso. Come Bortha e Richter, usò l’inglese standard; tra le razze stellari, gli Erthumoi visitavano La Se Da molto spesso. Proseguì: — Noi insisteremo, e un giorno trionferemo sulla nostra ignoranza.

L’emissione emozionale di Jo Ka Le era piena di determinazione. Bortha dovette compiere uno sforzo notevole per cogliere il contributo individuale dello scienziato La Se Dano; su La Se Da, la determinazione era un sostrato sempre presente, come la radiazione di microonde che echeggiava ancora nell’universo dall’antico boato del big bang.

Bortha girò un occhio dorato verso Jo Ka Le. Trovava il La Se Dano incredibilmente brutto. Jo Ka Le assomigliava più a un Erthuma che a qualsiasi altra razza galattica, il che da un punto di vista naxiano rappresentava un pessimo inizio. Ai sinuosi Naxiani, gli Erthumoi sembravano marionette goffe e impacciate. Come se non bastasse, poi, Jo Ka Le aveva pelo su tutto il corpo, non solo sulla testa. Al solo pensiero, Bortha provava una sensazione di prurito, e rabbrividiva se pensava al colore di quel pelo, uno sgradevole verde bile. Jo Ka Le era più basso di un Erthuma medio, inoltre, e più largo, più massiccio.

Ma per quanto trovasse brutti i La Se Dani, Bortha doveva rispettarli. Non c’era da meravigliarsi se proiettavano costantemente quell’aria di risolutezza implacabile. Ne avevano ben donde. Alcune centinaia d’anni prima, avevano fatto del loro meglio per distruggere se stessi, devastando il loro pianeta in una guerra termonucleare coi soliti supplementi chimici e biologici.

Le razze intelligenti a volte si suicidavano; la galassia era disseminata di mondi morti. Quando tentavano il suicidio ma fallivano, di solito le razze abbandonavano in seguito l’alta tecnologia, come se temessero una seconda opportunità distruttiva.

I La Se Dani erano diversi. Erano decisi a riacquisire tutte le conoscenze e le capacità passate, e ad ampliarle… ecco l’origine di quell’atteggiamento planetario di determinazione che infastidiva costantemente il sensorio di Bortha. L’arrivo dei viaggiatori interstellari venuti a studiare le strutture enigmatiche lasciate su La Se Da dal Popolo Misterioso non faceva che aggiungere un altro obiettivo alla frenetica riacquisizione tecnologica degli indigeni: i La Se Dani erano decisi a diventare la settima razza galattica in possesso dell’iperpropulsione.

Bortha aveva il sospetto che ci sarebbero riusciti, e probabilmente presto. Se la perseveranza contava qualcosa, ci sarebbero riusciti di certo. Una prospettiva non proprio simpatica. Un pianeta di La Se Dani ordinati, disciplinati, feroci era un’idea sopportabile, anche se a volte quegli individui gli-le facevano venire il mal di testa. Se si fossero scatenati di nuovo a casa loro, avrebbero solo rovinato se stessi. Espandendosi in libertà nella galassia, chissà quanti danni, quanta distruzione, avrebbero potuto causare?

D’altro canto, la galassia era sopravvissuta alla comparsa degli Erthumoi, quindi probabilmente poteva sopravvivere a qualsiasi cosa.

Pensando a questo, Bortha chiese a Jo Ka Le: — Come va il vostro nuovo centro di ricerca di scienze fisiche?

Ora l’irradiazione emozionale del La Se Dano cambiò, diventò di collera crescente. — Andrebbe meglio, visitatore da oltre le stelle, se una delle vostre razze dividesse con noi la vostra estesa conoscenza. Allora gran parte di quello che siamo costretti a scoprire lentamente e faticosamente si chiarirebbe presto, e potremmo conquistare la libertà di espanderci di cui abbiamo tanto bisogno.

Bortha disse: — Questa non è mai stata la politica delle razze galattiche. ognuna delle nostre specie apprezza la tecnologia soprattutto in quanto frutto di uno sviluppo autonomo. Ci siamo guadagnati il diritto di usarla, non ci siamo affidati alla carità degli altri.

La rabbia di Jo Ka Le crebbe, divenne così intensa che la testa di Bortha cominciò a pulsare. Anche se non poteva percepire quella collera, Richter intervenne come se volesse placarla, dicendo: — Comunque, tutte le nostre razze si chiedono se La Se Da non possa rappresentare un caso speciale che meriti questo aiuto. Forse presto potremo fornirvi l’assistenza che vi occorre, soprattutto dal momento che avete fatto tanta strada da soli.

Ma Jo Ka Le non era arrabbiato solo con Bortha. Disse: — E procederemmo anche più rapidamente se i terroristi di Vu Te Mi non saccheggiassero di continuo i laboratori della mia nazione per frenarci e impadronirsi intanto di queste tecnologie e arrivare così a dominare La Se Da. — Bortha sentì che la collera di Jo Ka Le si trasformava in cupa soddisfazione. — Ieri notte abbiamo catturato una squadra di incursori. Li abbiamo scorticati tutti, lentamente, e con la loro pelle abbiamo decorato le pareti del generatore di neutrini. I corpi li abbiamo fatti a pezzi e li abbiamo dati in pasto agli ha fe qo.

Gli ha fe qo erano una specie di animali domestici. Per il momento, Bortha preferiva non cercare di ricordare che tipo di animali fossero. Prima di andare su La Se Da, non aveva mai immaginato che degli esseri intelligenti potessero dedicarsi alla distruzione di altri esseri intelligenti con tanto malvagio entusiasmo. Il solo pensiero lo-la disgustava. Una cosa del genere sarebbe stata impossibile tra i Naxiani, che per natura sentivano il dolore degli avversari come se fosse loro.

Jo Ka Le disse: — Voi viaggiatori stellari, naturalmente, non rivelate gran parte di quello che fate. Il nostro obiettivo di ricerca primario riguardo questi manufatti del Popolo Misterioso è di trovare un manufatto che serva da dispositivo per focalizzare i neutrini. Possiamo produrne in quantità, ma non impedire che s’irradiino in tutte le direzioni. Con un raggio neutrinico coerente, dovremmo finalmente cominciare a realizzare le nostre potenzialità.

Bortha non disse nulla. Non solo, si assicurò che il suo corpo lungo e sottile non tradisse quel che provava… non che fosse probabile che Jo Ka Le potesse interpretare il linguaggio corporeo naxiano, in ogni caso. Era difficile per Bortha nascondere quel che sentiva, così com’era difficile per la maggior parte degli Erthumoi imparare una lingua straniera. Tra loro, i Naxiani non nascondevano — o meglio, non potevano nascondere — le proprie emozioni. Quando avevano a che fare con razze prive della facoltà empatica, però, la dissimulazione spesso si rivelava sorprendentemente preziosa.

Come in quella circostanza, per esempio, decise Bortha. Jo Ka Le aveva ragione: se i La Se Dani fossero riusciti a creare un raggio neutrinico coerente, si sarebbero avvicinati moltissimo al segreto dell’iperpropulsione. Bortha continuava a non sentirsi tranquillo-a all’idea di quei feroci alieni in espansione tra le stelle.

Rivolse il proprio senso empatico verso Eberhard Richter e constatò che l’Erthuma comprendeva e approvava le aspirazioni degli indigeni. Una scoperta per nulla rassicurante, che anzi acuì la sua preoccupazione. Gli Erthumoi e i La Se Dani si assomigliavano parecchio (almeno, agli occhi di un Naxiano) e avevano tipi di reazioni emozionali relativamente simili (almeno, se giudicati in base ai diversissimi standard naxiani). Le due specie avrebbero potuto rappresentare degli alleati naturali perfetti contro le altre razze stellari. Gli impetuosi e aggressivi Erthumoi non erano riusciti a sconvolgere la pace che regnava nella galassia. Però, unendosi agli abili e feroci La Se Dani… chissà?

Se Richter stava per rivelare il segreto dell’iperpropulsione, comunque, non lasciò trasparire nulla in presenza di Bortha. Disse a Jo Ka Le: — Non conterei sull’aiuto della tecnologia del Popolo Misterioso, se fossi in voi. In tutta la galassia, non abbiamo trovato traccia di focalizzatori neutrinici.

— È quel che dici tu — fece Jo Ka Le, la voce e i sentimenti alterati dal sospetto.

— È quel che dico io — convenne Richter senza reagire al tono di Jo Ka Le, suscitando la perplessità di Bortha. Perfino le creature mentalmente cieche come gli Erthumoi imparavano a percepire le emozioni in modo approssimativo e abbastanza fortuito. Certo, quel sistema funzionava meno tra specie diverse, ma i sentimenti di Jo Ka Le non erano né complessi né oscuri. Qualsiasi altra cosa si potesse dire di loro, i La Se Dani erano sinceri nella loro cattiveria.

Jo Ka Le borbottò qualcosa di poco lusinghiero, poi senza nemmeno un saluto volse le spalle ai due rappresentanti della civiltà galattica e s’incamminò impettito verso il veicolo da superficie che lo aspettava. Il guidatore, che aveva atteso con il mezzo (uno spreco di tempo evidente, secondo Bortha, soprattutto in una razza che sosteneva di apprezzare moltissimo l’efficienza), corse ad aprire la portiera e la richiuse quando Jo Ka Le fu a bordo. Poi tornò al proprio posto, avviò il veicolo e partì, lasciando dietro di sé un odore acre di idrocarburi parzialmente incombusti e un notevole miglioramento dell’atmosfera emozionale.

Bortha si voltò verso Eberhard Richter constatando che, pur essendo un alieno, sembrava la personificazione dell’urbanità rispetto ai La Se Dani. — Anche se non trovano un manufatto del Popolo Misterioso utilizzabile come focalizzatore, si stanno avvicinando alla realizzazione dell’iperpropulsione — disse. Un attimo dopo, aggiunse: — La cosa mi preoccupa.

— Li ammiro — disse Richter; come al solito, il suo inglese standard aveva un lieve tono gutturale. Bortha percepì che parlava sul serio. — Mi ricordano il mio popolo, i Deutsche… i tedeschi, in standard. Abbiamo avuto una lunga storia di guerre… guerre spesso perse, perché con la nostra grande determinazione a volte affrontavamo quasi tutte le altre nazioni della Terra… e dopo riacquistavamo la nostra forza. Abbiamo una volontà ferrea, come i La Se Dani.

Bortha contrasse leggermente il corpo, lasciando che Richter desumesse quel che poteva da quel gesto. Disse: — Sicuramente gli Erthumoi non hanno mostrato la ferocia che piace tanto a questi indigeni. — Nemmeno gli Erthumoi potevano essere così malvagi, rifletté.

— Quasi, data la tecnologia disponibile all’epoca di quelle guerre — osservò Richter. — È successo parecchio tempo fa, comunque.

— Mi fa piacere saperlo — disse Bortha, il tono leggermente scosso. La guerra non era una cosa naturale per i Naxiani, che di consuetudine cercavano di ottenere ciò che volevano ricorrendo al sotterfugio e non alla violenza.

Adesso, naturalmente, erano in grado di uccidere a distanze infinitamente più grandi della portata della loro facoltà empatica. Da dagli scontri con altri viaggiatori stellari meno sensibili avevano imparato che talvolta era necessario rispondere agli attacchi dell’avversario; in epoca recente, in un paio di occasioni dei Naxiani avevano addirittura combattuto contro i loro simili. Tuttavia, Bortha non poteva neppure immaginare che la propria specie agisse con la ferocia dei La Se Dani… o anche degli Erthumoi deutsche di Richter… era un’idea inconcepibile, come pensare che le stelle emettessero profumo invece di fotoni.

Disse: — Forse sarebbe stato meglio, per la tranquillità di tutti, se gli indigeni fossero riusciti a sterminarsi. Così non ci troveremmo di fronte alla prospettiva imminente della loro diffusione nella galassia.

— Non sarebbe stato meglio per loro — ribatté brusco Richter. — Anche noi Erthumoi abbiamo sfiorato l’autodistruzione; abbiamo perfino usato le armi nucleari, anche se in modo meno massiccio dei La Se Dani. Io li ammiro moltissimo per essersi ripresi così bene.

Era sempre sincero, constatò Bortha, contraendo di nuovo il corpo. Alieno, pensò. D’accordo, la specie di Richter comprendeva l’uso dell’iperpropulsione, però i caratteri mentali dell’Erthuma erano strani come la sua fisionomia ripugnante. Come poteva ammirare quei selvaggi sanguinari? No, i La Se Dani non erano selvaggi, bensì gente che possedeva una cultura elevata ma che rimaneva comunque sanguinaria. Il che era peggio, secondo il modo di pensare di Bortha.

Con un’asprezza che andava oltre le sue intenzioni, disse: — Permettimi di ricordarti che le razze galattiche sono d’accordo sul fatto che non si dovrebbe favorire la conquista del volo stellare degli indigeni.

— Lo so — disse Richter. — Eppure, mi chiedo cosa avrebbe fatto il Popolo Misterioso in questo caso…

Bortha fece guizzare la lingua tra i denti, manifestando esasperazione. Per quello che erano in grado di dire le sei specie stellari presenti, il Popolo Misterioso si era tuffato in un buco nero milioni di anni prima e lo aveva richiuso alle proprie spalle, lasciando dietro di sé solo alcuni manufatti enigmatici come quello accanto a cui erano accampati Bortha e Richter. Tutte le razze stellari erano convinte che il Popolo Misterioso fosse stato quasi onnisciente e di una benevolenza pressoché assoluta.

Secondo Bortha, però, la benevolenza pressoché assoluta non sarebbe bastata… ci sarebbe voluto qualcosa di più per decidersi ad aiutare i La Se Dani a espandersi. Disse: — Questi individui innervosirebbero perfino il Popolo Misterioso.

— Il Popolo Misterioso se la caverebbe in qualche modo. — Richter ne era più che sicuro; la sua radiazione emozionale parlava chiaro. — Dato che non è qui a guidarci, dobbiamo arrangiarci da soli. Credo che ce la faremo, in un modo o nell’altro.

Non si dovrebbe permettere agli Erthumoi di muoversi liberamente nella galassia, pensò Bortha. L’inglese standard possedeva un’espressione su cui Bortha si era scervellato-a a lungo: «cavarsela alla meno peggio». Nella lingua naxiana si traduceva come una contraddizione in termini evidente: procedere a casaccio, irriflessivamente, senza un programma definito, con forti sottintesi della mancanza di trasmissione generazionale d’esperienza tipica degli animali. Ma nel linguaggio erthuma, le connotazioni di quell’espressione erano tutte positive. La trascuratezza era una strana virtù di cui vantarsi… una virtù dimostrata ripetutamente nella storia erthuma, però.

— Guardando voi Erthumoi — disse Bortha — mi chiedo come abbiate fatto a non seguire la strada distruttiva dei La Se Dani.

— Me lo chiedo anch’io, a volte — ammise Richter. — Io…

S’interruppe di colpo, perché a breve distanza risuonò un crepitio serrato di armi da fuoco leggere. Insieme a Bortha, si affrettò a raggiungere la tenda che dividevano; era a prova di armi più pesanti dei fucili. Su La Se Da, un equipaggiamento del genere era indispensabile.

Molti altri fucili cominciarono a sparare ai margini dell’area protetta creata dai La Se Dani di Fa Na Ye attorno al manufatto del Popolo Misterioso. — Vorrei che imparassero che non tutti quelli non della loro fazione sono nemici — disse Bortha.

Richter corrugò la fronte. Bortha sapeva leggere le espressioni facciali erthuma; erano utili quando l’argomento discusso non suscitava forti reazioni emozionali negli Erthumoi. Richter disse: — Bortha, hai imparato l’inglese standard così bene che quando lo parli riesci a confondere. — Mentre Bortha cercava di capire se fosse un complimento o un’offesa, Richter proseguì: — Comunque, penso sempre che la tua severità nei confronti di questa gente sia eccessiva. Tutte le razze stellari preferiscono trattare con i loro simili. Tu non preferiresti essere qui con un altro Naxiano invece che con me?

Dato che la risposta a quella domanda era sì, Bortha non rispose. Disse: — La preferenza è una cosa, il massacro è una cosa diversa. — Richter bofonchiò. Dalle sue emozioni, Bortha capì di avere colpito nel segno, però percepì che fondamentalmente l’atteggiamento del rappresentante erthuma verso i La Se Dani non era cambiato.

Pensò di continuare a discutere, poi decise di rinunciare. Gli Erthumoi erano individui ostinati, troppo propensi ad andare nella direzione opposta a quella in cui si sperava di spingerli. Certe volte Bortha pensava che fossero ancor più strani dei Crotoniti. Forse c’entrava la loro anatomia, che presentava arti permanenti. Gli psicologi naxiani speculavano spesso su quel punto; i più ritenevano che la loro mutabilità fisica li rendesse più flessibili mentalmente, meno intransigenti di altre razze.

E questo cosa significava? Che era più probabile che Richter facesse cambiare parere a Bortha che non viceversa? Bortha si augurava di no. Gli spari ai margini dell’area protetta erano cessati, ma un La Se Dano ferito continuò a urlare. Infine echeggiò un altro colpo. Poi, il silenzio.

— Chiedo scusa per il frastuono di ieri — disse Jo Ka Le quando si unì ai galattici il mattino dopo. — Solo qualche razziatore di Vu Te Mi. Li abbiamo massacrati. — Sprizzava una soddisfazione evidentissima… almeno per Bortha.

— Perché uno ha gridato così a lungo? — chiese Bortha.

— Perché soffriva, e per permetterci di godere della sua sofferenza — rispose Jo Ka Le. La crudeltà era un vizio La Se Dano; l’ipocrisia, no. Ma la crudeltà sincera non era meno crudele di qualsiasi altro tipo di crudeltà. Bortha non trovava nulla di ammirevole in tale atteggiamento, e tornò a domandarsi come Richter potesse comprendere e giustificare quella gente. Una volta tanto, il suo senso empatico non gli-le fu di grande aiuto. Sapeva cosa provava l’Erthuma, ma non il perché.

— Dobbiamo procedere con il programma odierno? — disse Richter. — Oggi tocca a voi, Jo Ka Le.

— È tutto pronto — disse Jo Ka Le. Da quando era stato rinvenuto quel nuovo manufatto del Popolo Misterioso, galattici e La Se Dani si erano avvicendati nel tentativo di capirne la funzione. Il metodo La Se Dano — come prevedibile, secondo Bortha — consisteva nel cercare di saggiarne la resistenza. Gli indigeni avevano provato a segarlo, lo avevano bombardato con raggi x, microonde, laser militari, gas corrosivi… tutto tranne le armi nucleari, e forse avrebbero usato anche quelle se il manufatto si fosse trovato più lontano da uno dei loro centri urbani.

Con il loro approccio aggressivo non avevano scoperto nulla. Le razze stellari disponevano di sistemi d’indagine più raffinati ma, al pari dei La Se Dani, non avevano ottenuto alcun risultato. La maggior parte dei congegni lasciati nella galassia dal Popolo Misterioso erano e rimanevano incomprensibili. Ma i pochi che si riusciva ad attivare, o che funzionavano spontaneamente, facevano cose così sorprendenti e così al di là della tecnologia dei galattici che tutti i manufatti dovevano essere esaminati a fondo.

Jo Ka Le disse: — Forse dei fasci di particelle concentrati ci daranno un’idea della struttura interna del manufatto.

— Forse — disse Bortha. Non ci credeva, ma doveva ammettere di non essere completamente sicuro-a. L’energia che i La Se Dani avrebbero riversato nei fasci di particelle avrebbe provocato disturbi elettromagnetici avvertibili sulla superficie della loro luna più vicina. Gli approcci brutali alla tecnologia avevano dei limiti, però a volte consentivano di ottenere risultati importanti e impensati aprendo nuove vie quando gli sperimentatori erano sul punto di arrendersi.

Sotto la direzione di Jo Ka Le, la squadra scientifica di indigeni trascorse la mattinata installando l’apparecchiatura del raggio di particelle. A circa metà dell’operazione, qualcosa andò storto. Jo Ka Le inveì contro lo sfortunato ricercatore responsabile del settore in cui era sorto il problema. Invece di provare la rabbia che Bortha avrebbe provato per un trattamento simile, lo scienziato tremò di paura… una paura intensissima che lo paralizzò, gli impedì di sistemare le cose, e fece venire i brividi a Bortha.

Non annoverando la pazienza tra le sue doti, Jo Ka Le ignorò le spiegazioni farfugliate dal ricercatore, e lanciò un ultimo urlo di collera, chiamando due La Se Dani armati che portarono via lo sventurato subalterno.

Jo Ka Le si voltò verso i galattici che stavano osservando. — Veniva da un campo di lavori forzati, quel figlio incapace di madre mutata. Un altro periodo al campo gli ricorderà che era uscito a patto di non fallire… e lo ricorderà anche agli altri.

— Intanto, la vostra ricerca è ferma, naturalmente. — Di solito, Bortha non era sarcastico-a, ma La Se Da aveva il potere di fare affiorare i suoi lati peggiori.

In ogni caso, Jo Ka Le era inattaccabile da quel tipo di blanda ironia. — Non per molto — replicò calmo. — Le forze di sicurezza tireranno fuori qualcun altro… hanno degli elenchi di maschi con l’esperienza necessaria.

Infatti, il rimpiazzo arrivò prima di mezzogiorno. Si rivelò tremendamente servile e smanioso di accontentare Jo Ka Le, e si dimostrò anche capace di rimettere in funzione l’apparecchiatura recalcitrante, raggiungendo il proprio scopo.

— Vedi? — disse Jo Ka Le a Bortha. — Adesso possiamo iniziare, e con uno staff veramente motivato dalla voglia di riuscire.

— Vedo — disse Bortha, e lasciò perdere. Non era compito suo giudicare il modo di agire dei La Se Dani. Se lo fosse stato, Jo Ka Le e ogni membro della sua specie si sarebbero trovati in guai seri.

Dei generatori rumorosi pomparono energia nel doppio fascio di particelle. Due scie ardenti ionizzate solcarono l’aria e colpirono il manufatto lasciato sul pianeta dal Popolo Misterioso. «Manufatto» era solo un termine archeologico ricercato, pensò Bortha, un nome fine a se stesso che in realtà descriveva ben poco…

— Chissà se questo sarà completamente riflettente come tanti altri? — disse Eberhard Richter.

— Sai, io spero proprio che lo sia — rispose Bortha. Provò un piacere maligno immaginando la rabbia e lo sconcerto di Jo Ka Le. Poi il piacere svanì e subentrò la vergogna. Sicuramente, anche se l’esperimento fosse fallito, lo sfortunato ricercatore rispedito al campo di lavori forzati non sarebbe tornato in libertà, rifletté Bortha.

Comunque, il manufatto si rivelò permeabile. I La Se Dani accanto all’apparecchiatura gridarono eccitati, rizzando il pelo e sembrando grossi il doppio delle loro dimensioni reali. Jo Ka Le urlò qualcosa nella propria lingua, poi si rivolse ai galattici esprimendosi di nuovo in inglese standard. — Ho ordinato di concentrare ulteriormente i raggi per migliorare la chiarezza delle immagini che stiamo ottenendo.

Richter mosse la testa su e giù, un gesto erthuma che i La Se Dani avevano imparato a comprendere. Suo malgrado, Bortha dovette ammettere che Jo Ka Le sapeva quel che faceva. E nel constatarlo, chissà perché, si rese conto di trovarlo ancor più antipatico.

— Possiamo vedere quello che state ottenendo? — chiese. Sulla maggior parte dei mondi sarebbe stata una cosa assolutamente normale e naturale. Su La Se Da, dove la sicurezza era una mania, niente di più facile che una sbirciatina venisse considerata un atto di spionaggio.

— Guardate pure — rispose Jo Ka Le. Era riluttante, ma non osava manifestarlo, percepì Bortha, strisciando fino all’apparecchiatura e drizzandosi sulla coda per guardare oltre le spalle di un paio di La Se Dani.

Lo schermo mostrava un’immagine granulosa che mutava via via che il punto d’intersezione dei due fasci di particelle si spostava all’interno del manufatto. Da una stampante accanto allo schermo uscirono dei diagrammi con l’analisi dei cambiamenti della composizione. — Si riesce a individuare qualche traccia di struttura? — domandò Bortha.

Il La Se Dano che stava esaminando i diagrammi rispose:

— Dovrebbe esserci, pare. Apparenze ingannevoli. Il computer non ne trova nessuna.

Bortha dovette compiere uno sforzo per seguire l’inglese standard dell’indigeno. Quando ebbe decifrato la risposta, chiese:

— Non si può aumentare la risoluzione?

— Sistema al massimo — disse il La Se Dano. — Forse il computer analizza, dice qualcosa. Forse rende solo il mistero più profondo. — Bortha finse di non aver sentito. Gli Erthumoi erano l’unica razza stellare a usare intelligenze artificiali. I Naxiani preferivano pensare con la propria testa.

— Sciocchezze — dichiarò Jo Ka Le. — Un giorno capiremo perfettamente questi misteri. Appena una generazione fa, avremmo avuto poche speranze di riuscire a penetrare fino alla struttura interna di uno di questi oggetti. ora che cominciamo a scorgerla, comprenderemo sicuramente e raggiungeremo lo scopo.

— Non è detto — lo contraddisse Bortha. — Noi galattici studiamo da secoli i manufatti del Popolo Misterioso, e non abbiamo ottenuto che delusioni.

— Noi riusciremo — ribadì Jo Ka Le, irradiando la solita determinazione. Bortha sapeva benissimo che non bastava la determinazione per risolvere gli enigmi del Popolo Misterioso. Prima o poi, i La Se Dani sarebbero giunti alla stessa conclusione. Meglio non dirlo a Jo Ka Le, però, per evitare di sentire la sua ondata di collera, Bortha rimase in silenzio.

Eberhard Richter disse:-Quando la vostra analisi computerizzata sarà ultimata, Jo Ka Le, vorrei una copia dei dati, così noi umani… cioè, Erthumoi direste voi… potremo inserirli nelle nostre macchine. Forse i nostri sistemi diversi troveranno qualcosa che a voi è sfuggito.

— Forse — rispose Jo Ka Le. — Ma se troveranno qualcosa, che probabilità ci sono che comunichiate i nuovi dati anche a noi? Voi stellari siete maestri nel prendere le nostre conoscenze, frutto di duri sforzi, senza dare nulla in cambio. Prima di darvi qualcosa, vogliamo in cambio delle informazioni. Dovete imparare a trattarci da pari, perché un giorno viaggeremo tra le stelle come voi.

— Credo di avere qualcosa che v’interessa, forse — disse Richter sornione. Bortha lo guardò piuttosto allarmato-a. Sondò i suoi sentimenti, non lasciò passivamente che l’emanazione emozionale lo-la colpisse, ma la esaminò in profondità. Come aveva temuto, trovò ancora comprensione e solidarietà per i La Se Dani. Sapeva fin troppo bene cosa potesse interessare a Jo Ka Le, e pensava che non avesse il diritto di ottenerlo.

Anche il La Se Dano capì. — Allora? — disse. Tremava quasi, tanto era smanioso; perfino una creatura mentalmente cieca come l’Erthuma doveva accorgersene. Jo Ka Le proseguì. — Sai cosa vogliamo. Ce lo darai?

— In cambio dei dati importanti sul Popolo Misterioso che voi La Se Dani avete appena scoperto, sì… penso che ve lo darò — rispose Richter. Doveva essere impazzito, rifletté Bortha. Poteva anche darsi che la struttura interna del manufatto fosse interessante, però non aveva alcuna importanza immediata. I particolari dell’iperpropulsione, invece… e Jo Ka Le senza dubbio mirava proprio a quello…

Bortha sondò di nuovo Richter.

Adesso era ansioso, oltre a essere solidale coi La Se Dani. Che avesse notato qualcosa sfuggito a Bortha nell’analisi de! manufatto? Non c’era altra spiegazione che giustificasse le sue emozioni o il suo comportamento. Bortha si chiese come fare per impedirgli di tradire tutte le razze galattiche, compresa la sua.

Pensò all’assassinio, puro e semplice. Se avesse ritenuto improbabile che gli Erthumoi indagassero sulla morte improvvisa di un loro simile su un pianeta per loro importante, forse avrebbe tentato quella soluzione, o almeno non l’avrebbe accantonata subito. Ma Bortha non poteva nascondere la colpevolezza, e sicuramente gli Erthumoi avrebbero fatto in modo che tra gli inquirenti ci fosse un Naxiano di un mondo ostile al suo. Una volta scoperto che Bortha aveva ucciso Richter sarebbe potuta scoppiare una guerra non meno devastante di quella che, come temeva Bortha, avrebbero provocato i La Se Dani se fossero riusciti a spiccare il volo tra le stelle.

Che fare, dunque? Bortha non ne aveva idea. Il problema lo-la tormentò tutto il giorno, come un pezzo di tubero incastrato tra i denti palatali, ma non riuscì a risolverlo, proprio come di solito non riusciva a togliersi un pezzo di tubero senza stuzzicadenti e specchio.

Quella sera, provò a convincere Richter a non passare informazioni ai La Se Dani in cambio delle loro immagini dell’interno del manufatto del Popolo Misterioso. — ora che sappiamo che i fasci di particelle penetrano nell’oggetto possiamo ottenere i nostri dati… e probabilmente dati cento volte più precisi di quelli ricavati da questi trogloditi planetari. Forza, Erthuma, prova a darmi torto se sei capace.

Eberhard Richter si limitò a rispondere con un grugnito. Invece di parlare con la creatura naxiana, era impegnato a parlare col proprio computer, concentratissimo, e la concentrazione lo schermò dai ripetuti sondaggi di Bortha. A un certo punto, dalla disperazione, Bortha provò a sondare il computer. Un attimo fu più che sufficiente a ricordargli-le perché la propria razza non avesse mai cercato di produrre forme di intelligenza artificiale. Le strutture concettuali del computer — rigide, fredde, meccaniche, insipide — erano sconcertanti e ripugnanti. Non era vivo, e nemmeno decentemente morto. Era disgustoso.

Non per Richter. Canticchiando, l’Erthuma studiò lo schermo della macchina, ordinò un paio di cambiamenti, osservò di nuovo, ordinò un altro cambiamento e bofonchiò soddisfatto, raggelando Bortha. Quindi ordinò al computer di formattare le informazioni perché fossero compatibili con l’hardware La Se Dano.

— Hai davvero intenzione di farlo? — chiese Bortha, mentre il computer espelleva una piccola scheda dati quadrata del tipo usato dalle macchine degli indigeni.

— Sì — rispose Richter. — Ti assicuro che è a fin di bene.

Bortha sondò ancora, il più a fondo possibile. Anche volendo, l’Erthuma non avrebbe potuto nascondere nulla. Era convintissimo di quel che diceva. Doveva essere impazzito! Possibile che non si rendesse conto che i La Se Dani rappresentavano un pericolo per tutta la galassia? Bortha si rammaricò più che mai dei limiti del senso empatico; sapeva quel che provava un individuo, ma non cosa stesse pensando. I processi mentali di Richter erano e rimanevano impenetrabili. Alieni, completamente alieni…

L’Erthuma disse: — Dopo che Jo Ka Le e io avremo concluso il nostro scambio, credo che noi due dovremmo tornare in seno alla civiltà.

Bortha rimase un po’ sorpreso-a; si aspettava che Richter volesse restare ad aiutare i La Se Dani a sviluppare l’iperpropulsione, perché sicuramente avrebbero cercato di realizzarla con le informazioni fornite da lui. Disse soltanto: — Come desideri.

Se Richter non arrivava a capire che Bortha avrebbe presentato un reclamo contro di lui non solo al governo del suo mondo ma anche ad altre autorità erthuma e ad ogni altra razza stellare, peggio per lui. Bortha si sarebbe adoperato-a perché tutti gli esseri civili da quel momento in poi, e per l’eternità, maledicessero il nome dell’Erthuma. Se non poteva impedirgli di liberare i La Se Dani nella galassia, si sarebbe vendicato-a. Per un Naxiano, era quasi altrettanto importante. Pensò a come diffamare l’intera specie erthuma per avere commesso l’errore di generare quell’individuo.

La mattina dopo, Jo Ka Le consegnò i suoi dati — i suoi dati inutili, insignificanti e schifosi, pensò Bortha — a Richter. In cambio, Richter diede al La Se Dano la scheda dati elettronica che aveva fatto preparare la notte prima dalla sua (inutile, schifosa) macchina. Bortha non dovette sondare in profondità per sapere cosa stesse provando Jo Ka Le: la sua mente irradiava avidità, un’avidità vivida e ardente come il sole locale che stava salendo nel cielo.

Richter disse: — Usate questi dati con saggezza, Jo Ka Le. Mi dispiace che Bortha e io non possiamo rimanere qui ad aiutarvi a elaborarli. Abbiamo ricevuto un messaggio urgente la notte scorsa e dobbiamo tornare sui nostri mondi.

— Ce la caveremo — disse Jo Ka Le. — Prima che la nostra vita finisca, forse verrò a farti visita sul tuo mondo, un giorno. — Se di fronte a tale prospettiva l’indigeno avesse provato un senso di umiltà o di orgoglio o di soggezione, Bortha avrebbe potuto ricredersi e accettare l’iniziativa di Richter. Ma Jo Ka Le sembrava un predatore che avesse avvistato la preda… come tutti i La Se Dani subalterni lì accanto, del resto.

Sotto un certo aspetto, fu un sollievo abbandonare il pianeta, allontanandosi dalle menti fameliche e bramose che lo abitavano. D’altro canto, però, le cose non miglioravano di certo così, perché Bortha si trovava solo-a con Eberhard Richter, e Richter, lungi dal sentirsi in colpa, era soddisfatto di sé, provava un compiacimento quasi indecente.

Bortha agitò l’estremità della coda, in preda a un furore legittimo. — Sai cos’hai fatto? — sbottò. — Te ne rendi conto? Senza dubbio hai preparato il terreno per il peggior bagno di sangue che la galassia abbia mai visto.

— Oh, non accadrà nulla di così catastrofico — rispose Richter.

Incredibile! Dopo tutto quello che aveva visto su La Se Da, era convinto di quel che diceva, non pensava di mentire. Bortha si arrabbiò ancor di più. — Voi Erthumoi usate «trenta pezzi d’argento» come simbolo ricorrente del tradimento — disse. — Tu hai preso i tuoi, li hai avuti da Jo Ka Le.

— Niente argento in questo caso — replicò Richter. — Terbio, se mai.

— Terbio? — Bortha non capì l’allusione. Non solo, non capì l’improvviso cambiamento d’umore dell’Erthuma, passato a un misto di ironia e divertimento. Non poteva fare nulla a questo proposito. Riguardo la prima cosa invece… attivò un modulo di memoria organico. — Il terbio è un metallo del gruppo delle terre rare che voi Erthumoi utilizzate per il drogaggio dei semiconduttori. A parte questo, ha pochi altri usi… che io sappia, la mia razza non lo utilizza in nessun modo. Dunque, perché ne parli adesso?

— Perché ho passato una notte in bianco preparando una documentazione sull’uso del terbio come elemento catalitico in un iperpropulsore — rispose Richter. — Tutta la documentazione è nella scheda dati che ho consegnato a Jo Ka Le.

— E a cosa servirà? — disse Bortha irritato-a. — Lo sanno anche i piccoli che la catalisi dipende dal gadolinio.

— Lo sanno anche i bambini di una razza stellare, certo. Abbiamo la tecnologia da secoli… alcune delle nostre razze da millenni. I La Se Dani, no.

— Ma è una cosa ovvia — protestò Bortha. — In fin dei conti, il gadolinio è l’elemento con la più alta sezione d’urto di cattura neutronica.

— Certo… tre volte più grande di quella del più comune isotopo di terbio. Ma il terbio-158? Io ho dimostrato chiaramente che la sua sezione d’urto di cattura neutronica è dieci volte più grande di quella del gadolinio.

— Il terbio-158? — Bortha dovette riattivare il modulo di memoria, e inorridì. — Il terbio-158 ha un periodo di dimezzamento di undici secondi!

— Lo so — disse Richter. Non solo era divertito, era soddisfatto di sé.

Bortha avrebbe voluto protendere degli pseudopodi per torcergli il collo e staccargli quella testa grottesca, come se fosse un’anguilla xanas appena uscita dai mari di Naxos. Strillò: — Innanzitutto, è una bugia. In secondo luogo, a chi interessa la sezione d’urto di cattura neutronica di un isotopo che non dura abbastanza per assorbire neutroni?

Chissà perché, quella protesta indignata accentuò il divertimento di Richter. — Sarà anche una bugia — disse — ma ho fornito dei dati molto convincenti per farla sembrare vera. E per i La Se Dani non sarà facile scoprire che è una bugia. Come hai appena detto, il terbio-158 non dura abbastanza da consentire dei test accurati.

— E perché i La Se Dani dovrebbero perdere tempo con dei test? — sbottò Bortha. — Sono malvagi e barbari, ma non sono stupidi… magari lo fossero! Sono abbastanza intelligenti da capire che non serve un emettitore di neutroni se si devono assorbire neutroni.

— Oh, ma vedi, ho anche suggerito ai La Se Dani dei metodi pratici per sopprimere la radioattività, così da rendere il terbio-158 un isotopo stabile.

— Non si può sopprimere la radioattività, maledizione — imprecò Bortha. — La tua razza non è in grado di farlo, la mia razza e gli altri stellari nemmeno e, per quel che ne sappiamo, neppure il Popolo Misterioso poteva farlo. Lo sanno anche i piccoli, come sanno che…

— L’hai già detto un paio di volte — l’interruppe Richter. — Lo sapranno i bambini delle razze galattiche, ma i La Se Dani no di certo. Loro sanno solo che sei specie hanno l’iperpropulsione e loro no. Se un membro di una di queste specie… io, per esempio… gli indica come realizzarla, loro seguiranno l’indicazione, considerandola preziosissima. Con un po’ di fortuna, forse bloccheremo per parecchi anni delle ricerche che potrebbero portare davvero all’iperpropulsione.

Bortha fissò l’Erthuma come se lo vedesse per la prima volta, e percepì che parlava sul serio. Il suo piano non era nemmeno del tutto insensato; pensandoci bene, Bortha lo trovò sempre più sensato. Ed era un piano abbastanza subdolo da sembrare frutto della mente di un Crotonita. In fatto di intrighi e macchinazioni, quello era il massimo elogio — o il peggior biasimo — secondo Bortha.

— Non vuoi davvero che i La Se Dani sviluppino il volo stellare, allora? — chiese.

— Certo che no — rispose Richter. — Credi che sia pazzo?

— Ma… ma… ma… — Era rarissimo che i Naxiani balbettassero, ma Bortha era al colmo del frastornamento. Con uno sforzo deciso, cercò di connettere. — Ma… i La Se Dani ti sono simpatici. Sei pieno di comprensione per loro. Ho il senso empatico, Erthuma… non puoi ingannarmi. — Quasi volesse contraddirsi, sondò di nuovo Richter. — Sei ancora pieno di comprensione per loro. Come hai potuto imbrogliarli, allora?

— Quello che provo e quello che ritengo giusto sono due cose diverse, Bortha — rispose Richter. — Forse non sarà così per voi Naxiani, dato che potete percepire i sentimenti direttamente, ma per noi Erthumoi è così. Sì, ho simpatia per i La Se Dani. Come ti ho detto, i loro guai mi ricordano quelli affrontati dal mio popolo, i Deutsche, tanto tempo fa, prima che gli Erthumoi scoprissero l’iperpropulsione.

— Ma… — Bortha si controllò per non balbettare ancora. — I guai dei La Se Dani, come li chiami tu, sono provocati da loro stessi — riuscì a dire infine.

— Anche quelli dei Deutsche lo erano — disse Richter, e Bortha sentì l’amara determinazione che il ricordo de! passato del suo popolo suscitò in lui. — Vincemmo una guerra contro i nostri vicini e, un paio di generazioni dopo, combattemmo un’altra guerra derivata in parte dalla prima. La nostra alleanza era più debole di quella dei nostri nemici, e fummo sconfitti.

Per fortuna, rifletté Bortha, i Naxiani, come i buoni e quasi indistruttibili Samiani, sapevano ben poco della guerra. La maggior parte delle razze intelligenti non erano così fortunate, e progredivano — o regredivano — attraversando periodicamente fasi distruttive.

Richter proseguì: — Passò un’altra generazione, e i Deutsche erano assetati di vendetta verso i loro vecchi nemici. Così seguirono un leader che promise loro quella vendetta, e non si fermarono di fronte a nulla pur di ottenerla. Anche in quella circostanza, i loro alleati erano pochi… la maggior parte degli Erthumoi, anche senza il vostro senso empatico, aveva riconosciuto il leader dei Deutsche per quello che era.

— Cos’era? — chiese Bortha, provando una curiosità autentica.

Richter rifletté alcuni istanti. — Diciamo che se i Deutsche avessero vinto quella guerra guidati da quella ideologia e poi avessero scoperto l’iperpropulsione, le altre cinque razze stellari qualche secolo fa si sarebbero trovate di fronte a un problema identico a quello rappresentato oggi dai La Se Dani. I miei antenati, una popolazione relativamente poco numerosa, combatterono contro la maggior parte del nostro pianeta natio, e per poco non lo conquistarono.

Bortha captò una strana mescolanza di orgoglio e ripugnanza.

— Sei contento che non ci siano riusciti, dunque? — disse, sempre più perplesso-a… Come si poteva gioire per l’insuccesso dei propri antenati?

— Sono contento — rispose Richter. — Saremmo stati dei mostri, nient’altro che mostri. Dopo la conclusione di quella guerra, le nazioni che ci avevano sconfitto tennero divisi i Deutsche con la forza per due generazioni, temendo che trascinassero la Terra in un altro conflitto… e quando i Deutsche riuscirono poi a riunirsi, i loro vicini non erano affatto tranquilli, e stettero in ansia a lungo.

— Sia come sia — disse Bortha. — Continuo a non capire il nesso, come mai pur apprezzando i La Se Dani tu sia disposto a ostacolarli. — Li aveva ostacolati eccome spacciando delle bugie per tecnologia avanzata, pensò Bortha. Forse gli indigeni avrebbero inseguito ombre nella nebbia per generazioni!

— Apprezzo i La Se Dani perché li capisco — rispose Richter.

— Come ho cercato di spiegarti, mi ricordano i miei antenati. Ho empatia nei loro confronti, potremmo dire.

Bortha non avrebbe detto nulla del genere. Sorprendentemente, gli Erthumoi avevano sviluppato il concetto di empatia senza essere in grado di provarla direttamente. Ma quella che chiamavano empatia era solo logica camuffata da sentimento… cioè una spregevole impostura, secondo Bortha.

Fece per dirlo, perché Richter ritraesse quello pseudopodio di orgoglio. Poi cambiò idea. Grazie alla sua pseudoempatia, l’Erthuma aveva afferrato la situazione La Se Dana meglio di Bortha, che possedeva la vera facoltà empatica. Astenendosi da un commento maligno, la creatura naxiana disse semplicemente: — Continua.

— Anche se comprendo e apprezzo i La Se Dani, Bortha, mi rendo conto ugualmente che costituiscono un pericolo. E tuttavia mi dispiace per loro, ho compassione — disse Richter, e Bortha constatò che era vero. — Spero che tra qualche generazione riescano a raggiungere le stelle, unendosi alla tua razza e alla mia e alle altre quattro. Ma non sono ancora pronti, come non lo sarebbero stati i Deutsche sotto Hitler. L’ho capito, nonostante quello che provo per loro. A volte bisogna ignorare i propri sentimenti per fare quel che è giusto.

Bortha rifletté. Per un Naxiano, ignorare i sentimenti era come ignorare la luce o la gravità, cioè impossibile. Intellettualmente, Bortha sapeva che questo non valeva per gli Erthumoi e la maggior parte delle altre razze. Ora, per la prima volta, sentì (nel pieno senso naxiano della parola) cosa significasse, sentì la stranezza, l’estraneità che dimorava dietro i piccoli occhi grigi-azzurri di Eberhard Richter.

— Penso che tornerò su un mondo naxiano — disse infine. — Ho bisogno di stare tra i miei simili per un po’. Ulteriori contatti con voi Erthumoi mi provocheranno squilibri mentali. Richter contrasse la bocca, un segno esteriore del divertimento che irradiava. — oh, non voglio proprio che accada una cosa del genere — disse. — Comunque, per quanto le altre razze galattiche ci considerino pazzi, noi Erthumoi siamo riusciti a sopravvivere.

Forse ci riusciranno anche i La Se Dani, e in tal caso dovremo occuparci di loro presto o tardi. Io ho solo contribuito a fare in modo che questo avvenga non troppo presto.

Bortha avrebbe preferito non sentire le ultime due frasi. Aveva ancora intenzione di trascorrere un lungo e piacevole periodo di riposo su un tranquillo ed equilibrato pianeta naxiano. Ora, però, avrebbe avuto qualcosa di cui preoccuparsi durante la sua permanenza.

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