Splendenti negli abiti uguali color turchese con i bottoni di opale, padre e figlio stavano ritti, con aria compiacente, davanti al mulino-a-parole di Gaspard. Non si era presentato un solo scrittore del turno di giorno. Joe la Guardia dormiva in piedi vicino all’orologio. Gli altri visitatori si erano allontanati. Un robot rosa era apparso all’improvviso e si era seduto quietamente su uno sgabello, all’estremità della grande sala a volta. Le sue chele si muovevano in fretta, come se lavorasse a maglia.
PADRE: Ecco qua, figliolo. Guardalo. No, no, non devi appoggiarti a questo modo.
FIGLIO: È grande papà.
PADRE: SÌ, è grande. È un mulino-a-parole, figlio, una macchina che scrive libri di narrativa.
FIGLIO: Scrive anche i miei libri di racconti?
PADRE: No, scrive romanzi per adulti. Una macchina molto più piccola, di misura adatta ai bambini, scrive i tuoi…
FIGLIO: Andiamo papà.
PADRE: No, figliolo! Volevi vedere un mulino-a-parole, hai insistito tanto, ho dovuto faticare molto per procurarmi un lasciapassare, quindi adesso devi guardare questo mulino-a-parole e ascoltare mentre io ti spiego come funziona.
FIGLIO: Sì, papà.
PADRE: Bene, vediamo, è così… No… è come…
FIGLIO: È un robot, papà?
PADRE: No, non è un robot come l’elettricista o il tuo insegnante. Un mulino-a-parole non è una persona come lo è un robot, sebbene entrambi siano fatti di metallo e funzionino grazie all’elettricità. Un mulino-a-parole è come un calcolatore elettronico, ma manipola le parole, non i numeri. È come la grande macchina che gioca a scacchi o che fa i piani di guerra, ma fa le sue mosse in un romanzo invece che su una scacchiera o su un campo di battaglia. Ma un mulino-a-parole non è vivo come un robot e non può muoversi e andare in giro. Può soltanto scrivere libri di narrativa.
FIGLIO (sferrando un calcio al mulino-a-parole): Stupida vecchia macchina!
PADRE: Non devi fare così, figliolo. Su ecco… vi sono infiniti modi di raccontare una vicenda.
FIGLIO (continuando a sferrare calci più fiacchi): Sì, papà.
PADRE: Il modo dipende dalle parole che vengono scelte. Ma una volta che è stata scelta una parola, le altre devono adattarsi a quella. Devono avere lo stesso tono o la stessa atmosfera e devono adattarsi alla catena di suspense con precisione micrometrica… te lo spiegherò più tardi.
FIGLIO: Sì, papà.
PADRE: Un mulino-a-parole viene fornito dello schema generale d’una vicenda che viene trasmessa al suo grande banco-memoria, molto più grande perfino di quello di tuo padre: e sceglie la prima parola a casaccio. Oppure il programmatore gli dà la prima parola. Ma quando sceglie la seconda parola, deve sceglierne una che abbia la stessa atmosfera, e così via. Basta fornire lo stesso schema di vicenda e cento prime parole diverse (una alla volta, naturalmente) e il mulino-a-parole scriverà cento romanzi completamente diversi. Naturalmente è molto più complicato, troppo complicato perché tu capisca, ma funziona così.
FIGLIO: Un mulino-a-parole continua a raccontare la stessa storia con parole diverse?
PADRE: Be’, in un certo senso sì.
FIGLIO: Mi sembra sciocco.
PADRE: Non è sciocco, figliolo. Tutti gli adulti leggono romanzi. Tuo padre legge romanzi.
FIGLIO: Sì, papà. Chi è quella?
PADRE: Dove?
FIGLIO: Sta venendo da questa parte. La signora con i calzoni azzurri aderenti che non si è abbottonata la camicetta.
PADRE: Ehm! Guarda da un’altra parte, figliolo. È un’altra scrittrice, figliolo.
FIGLIO (continuando a guardare): Cos’è una scrittrice, papà? È una di quelle cattive signore di cui mi hai parlato, che hanno tentato di parlare con te a Parigi, ma tu non hai voluto?
PADRE: No, no, figliolo! Una scrittrice o uno scrittore, è solo una persona che si prende cura di un mulino-a-parole, che lo spolvera e così via. Gli editori sostengono che lo scrittore aiuta il mulino-a-parole a scrivere il libro, ma è una finzione, figliolo, un modo per rendere tutto più interessante. Gli scrittori hanno il permesso di vestirsi e di comportarsi in modo bizzarro… come gli zingari: lo prevede un accordo sindacale che risale ai tempi in cui furono inventati i mulini-a-parole. Ora, non crederai…
FIGLIO: Sta mettendo qualcosa nel mulino-a-parole, papà. Una cosa nera e rotonda.
PADRE (senza guardare): Lo sta oliando o forse mette un transistor nuovo o sta facendo qualcosa che deve fare a quel mulino-a-parole. Ora, forse non crederai a quello che sta per dirti tuo padre, ma è tuo padre che te lo dice. Prima che inventassero i mulini-a-parole…
FIGLIO: La macchina sta fumando, papà.
PADRE (sempre senza guardare): Non interrompermi. Probabilmente quella signora ha rovesciato un po’ d’olio o qualcosa di simile. Prima che inventassero i mulini-a-parole, gli scrittori scrivevano veramente i romanzi e i racconti! Dovevano dare la caccia…
FIGLIO: La scrittrice corre via, papà.
PADRE: Non interrompermi. Dovevano dare la caccia, nella loro memoria, a ogni parola d’un racconto o di un romanzo. Doveva essere…
FIGLIO: Sta ancora fumando papà. E ci sono delle scintille.
PADRE: Ti ho detto di non interrompermi. Doveva essere una fatica spaventosa, come costruire le piramidi.
FIGLIO: Sì, papà. Sta ancora…
BUM! Il mulino-a-parole di Gaspard fiorì, con un rumore assordante, in una esplosione. Padre e figlio furono investiti dalla massima potenza dello scoppio e furono trasformati in pezzetti di stoffa turchese e di opali. Uscirono senza dolore dall’esistenza, vittime casuali di una strana rivolta. L’incidente nel quale perirono fu uno dei molti che si ripeterono in molti edifici vicini, fortunatamente con un numero minore di morti.
Per tutto il Viale del Lettorato, che qualcuno chiama Strada dei Sogni, gli scrittori stavano fracassando i mulini-a-parole. Dall’annerito albero di libri sotto il quale era caduto Gaspard fino alle piste di lancio delle navi di libri all’altra estremità del Viale, gli autori iscritti al sindacato stavano impazzando e distruggendo. Scendendo come un torrente per la strada centrale del colossale centro editoriale della Terra (e in realtà dell’unico centro editoriale completamente meccanizzato del Sistema Solare), una vertiginosa folla sgargiante di individui con berretti e accappatoi, toghe e collari, chimoni, cappe, camicie sportive, fluenti cravatte nere, sparati di pizzo e cappelli a cilindro, magliette e pantaloni aderenti, irruppe, carica di istinti omicidi, in ogni fabbrica narrativa, gridando morte e distruzione alle macchine gigantesche di cui erano diventati solo gli inservienti e che macinavano nelle loro mandibole elettroniche la merce narrativa che nutriva le esigenze e addolciva il subcosciente degli abitanti di tre pianeti, d’una mezza dozzina di lune e di parecchie migliaia di satelliti e astronavi in orbita e in traiettoria.
Non più contenti di essere tacitati da alti salari e dall’apparenza di essere autori (gli antichi costumi che erano un segno distintivo della loro professione, i nomi tradizionali che erano concessi e perfino imposti, le esotiche vite d’amore che erano autorizzati e incoraggiati a vivere) gli scrittori fracassavano e sabotavano, distruggevano e rovinavano, mentre la polizia di una Amministrazione del Lavoro decisa a mandare in frantumi la potenza degli editori se ne restava compiacente in disparte. I robot, assunti in fretta e furia dagli editori che si erano accorti troppo tardi del pericolo, non entrarono in azione, poiché all’ultimo momento avevano ricevuto il veto dalla Fratellanza Interplanetaria delle Macchine Libere Professioniste: se ne stavano lì attorno, statue tetre e melanconiche, il cui metallo era ammaccato dai mattoni, macchiato dagli acidi e annerito dai lanciafiamme portatili dei picchettanti, e guardavano morire i loro immobili cugini privi di mente.
Homer Hemingway sfasciò con un colpo d’ascia il grigio pannello dei comandi di una Scrivitutto della Random House e poi si occupò ferocemente dei diodi e dei transistor.
Sappho Wollstonecraft Shaw spinse un grosso badile di plastica nell’unità memoria d’uno Scriba della Scribner e versò sette litri di acido nitrico fumante nelle sue interiora indescrivibilmente delicate.
Harrier Beecher Brontë innaffiò di benzina un Romanziere Norton, e nitrì quando le fiamme esplosero alte fino al cielo.
Heloise Ibsen, con la camicia lacera, agitava la bandiera grigia con il malaugurante 30 nero, a significare la fine della letteratura fatta a macchina; balzò addosso a tre spaventatissimi vicepresidenti che erano venuti a “vedere i robot mettere in fuga quelle scimmie insolenti”. Per un attimo, Heloise somigliò in modo sorprendente alla Libertà che guida il popolo del dipinto di Delacroix.
Abelard de Musset, con il cilindro di traverso e le tasche rigonfie di proclami d’autodeterminazione e di creatività, scaricò un mitra su una Creatrice di Trame Putnam. Marcel Feodor Joyce scagliò una granata nell’associatore di idee di una Macchina per Romanzi Seri della Schuster. Dylan Bysshe Donne prese a colpi di bazooka un Bardo della Bantam.
Agatha Ngaio Sayers avvelenò un Creatore della Doubleday con polvere di ossido magnetico.
Somerset Makepeace Dickens prese a martellate uno Scrittore Prezzolato della Harcourt.
H.G. Heinlein piantò cariche di esplosivi in un Creatore di Fantascienza Appleton e per poco non perse la vita nel respingere a distanza di sicurezza il resto della turba, fino a che i terribili razzi bianchi si furono avventati come pugnali nelle leghe involute di sottilissimi fili argentei.
Norman Vincent Durant fece saltare in aria un Costruttore di Libri della Ballantine.
Talbot Fenimore Forester massacrò con la spada uno Storico della Houghton, lo spalancò con una picca, e vi scagliò dentro un fuoco greco che aveva composto secondo una formula antichissima.
Luke Van Tilburg Wister scaricò la sua pistola a sei colpi contro una Western della Whittlesey, poi la finì con sei cariche di dinamite e un “Hippiiahié”!
Fritz Ashton Eddison liberò una nube di pipistrelli radioattivi nell’interno di un Fantasizzatore della Fiction House, che era in realtà un Sognatore Dutton modificato con un Comando a Mano di Credibilità.
Edgar Allen Bloch, brandendo un bastone elettrico spaventosamente attivato da batterie isotopiche portatili, aveva fatto fuori, da solo, un intero assortimento di tagliatrici, imbottitrici, lucidatrici, addizionatrici-di-erotismo e macchine analoghe.
Conan Haggard de Camp investì un Romanziere di Cappa e Spada della Gold Medal con un camion da cinque tonnellate.
Gli Shakespeare infuriavano, i Dante davano la morte elettrochimica, gli Eschilo e i Milton combattevano fianco a fianco con gli Zola e i Farrell; i Rimbaud e i Bradbury dividevano i pericoli rivoluzionari; mentre intere tribù di Sinclair, di Balzac, di Dumas e di autori che si chiamavano White e che erano distinti solo dalle iniziali si occupavano della retroguardia.
Fu una giornata nera per gli amatori di libri. O forse fu l’alba.