Aran’gar venne in risposta alla convocazione di Moridin, giunta nei suoi sogni furiosi, per scoprire che lui non era ancora arrivato. Non c’era da stupirsene: gli piaceva fare il suo ingresso. Undici alte sedie con braccioli, intagliate e dorate, erano poste in cerchio nel mezzo dello striato pavimento di legno, ma erano vuote. Semirhage, tutta in nero come sempre, si guardò attorno per vedere chi altro era entrato, poi tornò alla sua conversazione privata con Demandred e Mesaana in un angolo della stanza. La faccia dal naso aquilino di Demandred recava un’espressione di rabbia che lo rendeva ancora più attraente. Non abbastanza per lei, naturalmente. Era fin troppo pericoloso per quello. Quella giacca su misura di seta color bronzo, con sbuffi di candido merletto al collo e ai polsi, gli si addiceva, però. Anche Mesaana era abbigliala secondo lo stile di dell’Epoca, un color bronzo più scuro con ricami a motivi geometrici. Appariva pallida e sottomessa, per qualche ragione, come se stesse male. Be’, questo era possibile. In quell’epoca circolavano parecchie brutte malattie, e pareva improbabile che si sarebbe fidala a lasciarsi Guarire da Semirhage. Graendal, l’unica altra umana presente, se ne stava nell’angolo opposto, tenendo stretto un delicato calice di cristallo colmo di vino scuro, ma invece di bere osservava il terzetto. Solo gli idioti ignoravano l’essere scrutati da Graendal, eppure i tre continuavano con i loro accalorati mormoni.
Le sedie stridevano col resto dell’ambiente. La stanza sembrava avere pareti con vista, anche se l’arco di pietra di una porta distruggeva l’illusione. Le sedie potevano essere qualunque cosa lì nel Tel’aran’rhiod, allora perché non qualcosa di più adatto alla stanza, e perché undici quando ce n’erano di certo due in più del necessario? Asmodean e Sammael dovevano essere morti come Be’lal e Rahvin. Perché non la solita porta espandibile di una stanza a vista? Quell’esposizione faceva sembrare il pavimento circondato dai Giardini di Ansaline, con le immense sculture di Cormalinde Masoon raffiguranti umani e animali stilizzati che torreggiavano sopra bassi edifici, anch’essi delicate sculture in vetro soffiato. Ai Giardini venivano serviti solo i vini migliori, solo i piatti più prelibati, e quasi sempre era stato possibile impressionare una bella donna con grosse vincite alle ruote chinje, anche se barare per vincere somme consistenti era stato difficile. Difficile, ma necessario per uno studioso a corto di soldi. Tutto era svanito, in rovina al terzo anno della guerra. Uno zomara dai capelli biondi e sempre sorridente in una bianca blusa fluente e brache strette si profuse in un fluido inchino e offrì ad Aran’gar un calice di cristallo pieno di vino da un vassoio d’argento. Aggraziate e stupendamente androgine, quelle creature all’apparenza umane tranne per quegli occhi completamente neri erano state una delle creazioni meno ispirate di Aginor. Tuttavia, perfino nella loro stessa Epoca, quando Moridin si era chiamalo Ishamael — nella sua mente non c’era più alcun dubbio sulla sua identità — lui si fidava di quelle creature più di qualunque servitore umano, malgrado la loro inutilità per qualsiasi altro compito. Doveva aver trovato da qualche parte una scatola di stasi piena di quelle cose. Ne aveva a dozzine, anche se le tirava fuori di rado. Eppure ce n’erano altre dieci in attesa, aggraziate anche mentre se ne stavano in piedi immobili. Doveva considerare questo incontro molto più importante degli altri.
Prendendo il calice, fece un cenno per congedare lo zomara, anche se quello si stava già voltando prima del suo gesto. Odiava la capacità di quelle creature di leggere i suoi pensieri. Almeno non potevano comunicare a nessuno quello che sapevano. I ricordi di tutto ciò che non era un ordine svanivano entro pochi minuti. Perfino Aginor possedeva tanto buonsenso da vederne il bisogno. Sarebbe apparso oggi? Osan’gar aveva disertato ogni incontro dopo il fallimento a Shadar Logoth. Il vero dilemma era se si trovasse fra i morti oppure se si stesse muovendo in segreto, forse su indicazione del Supremo Signore. A ogni modo le sue assenze offrivano opportunità deliziose, ma l’ultima ipotesi presentava altrettanti pericoli. Di recente lei aveva pensato molto ai pericoli.
Si diresse con disinvoltura verso Graendal. «Chi pensi sia arrivato per primo, Graendal? Che l’Ombra mi prenda, chiunque sia stato ha scelto uno scenario deprimente.» Lanfear aveva preferito incontri che si svolgessero galleggiando in una notte infinita, eppure a suo modo quello era peggio, come incontrarsi in un cimitero.
Graendal esibì un sorriso sottile. Perlomeno ci provò, ma qualunque sforzo non avrebbe reso sottili quelle labbra. ‘Abbondante’ era la parola per descrivere Graendal, abbondante, pienamente sviluppata e stupenda, e a malapena nascosta dalla foschia grigia del suo abito di streith. Anche se forse non avrebbe dovuto indossare cosi tanti anelli, tutti tranne uno con gemme incastonate. Anche il diadema incrostato di rubini strideva con i suoi capelli dorati come il sole. Invece la collana di smeraldi fornita da Delana andava molto meglio con l’abito di raso verde di Aran’gar. Ovviamente, mentre gli smeraldi erano reali, il suo vestito di seta era un prodotto del Mondo dei Sogni. Avrebbe attratto troppa attenzione nel mondo della veglia con un abito dal taglio così basso, se pure fosse stato indossato lì. E poi c’era lo spacco che le metteva in mostra la gamba sinistra. Lei aveva gambe più belle di quelle di Graendal. Aveva preso in considerazione di metterci due spacchi. Le sue capacità non erano così vaste come alcuni — non riusciva a trovare i sogni di Egwene se la ragazza non era accanto a lei —, ma sapeva ottenere i vestiti che voleva. Godeva nel far ammirare il suo corpo, e quanto più lo ostentava, tanto più gli altri la ritenevano insignificante.
«Io sono arrivata per prima» disse Graendal, accigliandosi un poco verso il suo vino. «Ho piacevoli ricordi dei Giardini.»
Aran’gar rispose con una risata. «Anch’io, anch’io.» La donna era una sciocca come gli altri a vivere nel passato tra i brandelli di quello che era andato perso. «Non vedremo mai più i Giardini, ma vedremo com’erano.» Lei era l’unica di loro adatta a dominare in quell’Epoca. Era l’unica a capire le culture primitive. Erano state la sua specialità prima della guerra. Tuttavia Graendal aveva capacità utili e una schiera più vasta di contatti fra gli Amici delle Tenebre rispetto a lei, anche se l’altra donna avrebbe sicuramente disapprovato come Aran’gar intendeva usarli, se ne fosse venuta a conoscenza. «Ti è venuto in mente che tutti gli altri hanno alleanze, mentre io e te siamo sole?» Anche Osan’gar, se fosse stato vivo, ma non era necessario coinvolgerlo in quel discorso.
L’abito di Graendal divenne di un grigio più scuro, oscurando spiacevolmente la visuale. Era vero streith. Anche Aran’gar aveva trovato un paio di scatole di stasi, ma perlopiù piene di orrenda spazzatura. «E a te è venuto in mente che questa stanza deve avere orecchie? Gli zomaran erano qui quando sono arrivata.»
«Graendal» pronunciò quel nome come delle fusa. «Se Moridin sta ascoltando, supporrà che sto cercando di portarti a letto. Sa che non stipulo mai alleanze con nessuno.» In realtà lei ne aveva fatte diverse, ma i suoi alleati avevano stranamente sofferto degli incidenti fatali una volta che la loro utilità era terminata e avevano portato ogni conoscenza di quelle affiliazioni nella tomba. Quelli che venivano seppelliti, perlomeno.
Lo streith divenne nero come una notte a Lareheen e macchie di colore apparvero sulle gote vellutate di Graendal. I suoi occhi divennero ghiaccio azzurro. Ma le sue parole erano in contrasto col suo volto, e il suo vestito sbiadì fin quasi alla trasparenza mentre parlava, lentamente, in tono pensieroso. «Un’idea intrigante. Una su cui non ho mai riflettuto prima. Potrei farlo ora. Forse. Dovrai... convincermi.» Bene. L’altra donna era più sveglia che mai. Quello per lei era un monito a essere cauta. Aveva intenzione di usare Graendal e poi sbarazzarsi di lei, non rimanere invischiata in una delle sue trappole.
«Sono molto abile a convincere donne bellissime.» Protese una mano per accarezzare la guancia di Graendal. Adesso non era troppo presto per iniziare a convincere gli altri. Inoltre ne poteva derivare qualcos’altro, oltre a un’alleanza. Aveva sempre fantasticato su Graendal. Aran’gar non si ricordava davvero più di essere stata un uomo. Nei suoi ricordi, aveva lo stesso corpo di adesso, il che causava qualche stranezza, eppure l’influenza di quel corpo non aveva cambiato molto. I suoi appetiti non erano diversi, solo più ampi. Le sarebbe piaciuto davvero molto avere quell’abito di streith. E qualsiasi altra cosa utile Graendal potesse possedere, ovviamente, ma lei sognava di indossare quel vestito, a volte. L’unica ragione per cui non lo stava facendo in quel momento era che non voleva che l’altra donna pensasse che la stava imitando.
Lo streith rimaneva a malapena opaco, ma Graendal si ritrasse dalla carezza guardando oltre Aran’gar, che si voltò e vide Mesaana avvicinarsi, fiancheggiata da Demandred e Semirhage. Lui pareva ancora arrabbiato e Semirhage divertita in modo freddo. Mesaana era ancora pallida, ma non più sottomessa. No, nient’affatto sottomessa. Stava sibilando coreer, sputando veleno.
«Perché l’hai lasciata andare, Aran’gar? Avresti dovuto controllarla! Eri così occupata con i tuoi piccoli giochi onirici con lei che hai dimenticato di apprendere cosa stava pensando? La ribellione andrà in pezzi senza di lei come Amyrlin fantoccio, tutti i miei attenti piani rovinati perché non sei riuscita a mantenere la stretta su una ragazza ignorante!»
Aran’gar tenne fermamente a bada la collera. Riusciva a trattenerla quando era disposta a fare lo sforzo. Sorrise invece di ringhiare. Mesaana poteva davvero essersi stabilita all’interno della Torre Bianca? Quanto sarebbe stato meraviglioso se avesse potuto trovare un modo per separare quel terzetto. «Ho ascoltato una seduta del Consiglio delle ribelli la scorsa notte. Nel Mondo dei Sogni, così da potersi incontrare all’interno della Torre Bianca, con Egwene a capo. Non è il fantoccio che credi tu. Ho cercato di dirtelo prima, ma non mi hai mai dato ascolto.» Le uscì in tono troppo brusco. Con uno sforzo, perché fu questo che richiese, lei moderò il proprio tono. «Egwene ha detto a tutte quante della situazione all’interno della Torre, che le Ajah sono una alla gola dell’altra. Le ha convinte che è la Torre quella sul punto di andare in pezzi e che lei potrebbe essere in grado di contribuirvi da dove si trova. Se fossi in te, mi preoccuperei che la Torre riesca a restare unita il tempo necessario per continuare questo conflitto con le ribelli.»
«Sono determinate a resistere?» mormorò Mesaana, quasi sottovoce. Lei annuì. «Bene, bene. Allora tutto sta procedendo secondo i piani. Pensavo che avrei dovuto inscenare qualche tipo di ‘salvataggio’, ma forse posso aspettare finché Elaida non l’avrà spezzata. Il suo ritorno dovrebbe creare ancora più confusione, allora. Devi seminare ulteriore dissenso, Aran’gar. Prima che io abbia finito, voglio che queste cosiddette Aes Sedai si odino a morte.»
Comparve uno zomara, inchinandosi in modo aggraziato nell’offrire un vassoio con tre calici. Mesaana e i suoi compagni presero il vino senza degnare la creatura di uno sguardo, e quella si inchinò di nuovo prima di allontanarsi.
«Il dissenso è sempre stato qualcosa che lei è stata capace di causare» disse Semirhage. Demandred rise.
Aran’gar represse la propria rabbia. Sorseggiando il suo vino — era piuttosto buono, con un aroma inebriante, anche se non si avvicinava neanche alle vendemmie servite ai Giardini — appoggiò la sua mano libera sulla spalla di Graendal e giocherellò con uno di quei riccioli color del sole. L’altra donna non ebbe nemmeno un sussulto e lo streith rimase una semplice nebbia. O questo le stava piacendo, oppure aveva su di sé un maggior controllo di quanto sembrava possibile. Il sorriso di Semirhage si fece più divertito. Anche lei coglieva i propri piaceri dove li trovava, anche se i suoi non avevano mai attirato Aran’gar.
«Se avete intenzione di coccolarvi» borbottò Demandred, «fatelo in privato.»
«Geloso?» mormorò Aran’gar, e rise allegramente quando lui si accigliò. «Dov’è tenuta la ragazza, Mesaana? Lei non l’ha detto.»
I grandi occhi azzurri di Mesaana si strinsero. Erano la sua caratteristica migliore, eppure quando si accigliava erano soltanto ordinari. «Perché lo vuoi sapere? Per ‘salvarla’ tu stessa? Non te lo dirò.» Graendal sibilò e Aran’gar si accorse che la sua mano era diventata un pugno in quei capelli dorati, e piegava all’indietro la testa di Graendal. Il volto dell’altra donna rimase tranquillo, ma il suo abito era una nebbiolina rossa e si faceva rapidamente più scuro, più opaco. Aran’gar allentò la sua stretta, trattenendola leggermente. Uno dei primi passi era far abituare la preda al proprio tocco. Però quella volta non fece nulla per trattenere la rabbia dalla propria voce. I suoi denti snudati erano un ringhio manifesto. «Voglio la ragazza, Mesaana. Senza di lei ho strumenti molto più deboli con cui lavorare.»
Mesaana sorseggiò il vino con calma prima di rispondere. Con calma! «Stando a quello che dici tu stessa, non ti serve affatto, è stato il mio piano fin dall’inizio, Aran’gar. Lo adatterò a seconda delle esigenze, ma è mio. E sarò io a decidere quando e dove la ragazza verrà liberata.»
«No, Mesaana, io deciderò quando e dove, o se, lei sarà liberala» annunciò Moridin, entrando attraverso l’arco di pietra. Allora aveva davvero orecchie in quel luogo. Era vestito completamente di nero, stavolta, un nero in qualche modo più scuro di quello che indossava Semirhage. Come al solito, Moghedien e Cyndane lo seguivano, entrambe abbigliale in un identico rosso e nero che non si addiceva a nessuna delle due. Quale ascendente aveva Moridin su di loro? Moghedien, perlomeno, non aveva mai seguito nessuno spontaneamente, per quanto riguardava quella stupenda, prosperosa bambolina dai capelli chiari di Cyndane... Aran’gar l’aveva avvicinata, solo per vedere cosa poteva apprendere, e la ragazza aveva minacciato con freddezza di strapparle il cuore se l’avesse toccata di nuovo. Non erano di certo le parole di qualcuno che si sottometteva facilmente.
«Pare che Sammael sia riemerso» dichiarò Moridin, attraversando la stanza per mettersi a sedere. Era un omone e faceva sembrare un trono la sedia ornata dall’alto schienale. Moghedien e Cyndane si accomodarono ai suoi lati ma, cosa interessante, non fin quando non si fu seduto lui. Degli zomaran in bianco candido furono lì all’istante con del vino, eppure fu Moridin il primo a riceverlo. Qualunque cosa stesse accadendo lì, gli zomaran la percepivano.
«Questo non pare plausibile» disse Graendal mentre andavano rutti a prendere posto. Il suo abito era grigio scuro adesso, e nascondeva tutto quanto. «Dev’essere morto.» Nessuno si mosse rapidamente, anche se Moridin era Nae’blis, tuttavia nessuno tranne Moghedien e Cyndane era disposto a mostrare alcun accenno di sottomissione. Aran’gar no di certo.
Prese posto dal lato opposto rispetto a Moridin, dove poteva osservarlo senza dare nell’occhio. E così Moghedien e Cyndane. Moghedien era così immobile che si sarebbe confusa con la sedia se non fosse stato per il suo abito sgargiante. Cyndane era una regina, il suo viso cesellato dal ghiaccio. Cercare di deporre il Nae’blis era pericoloso, eppure quelle due potevano averne la chiave. Se lei fosse riuscita a scoprire come usarla. Graendal sedette accanto a lei e la sedia fu all’improvviso più vicina. Aran’gar avrebbe potuto appoggiare la mano sul polso dell’altra donna, ma si astenne dal fare altro se non sorridere lentamente. Era meglio tenere la mente concentrata in quel momento.
«Non avrebbe mai potuto sopportare di rimanere nascosto così a lungo» si inserì Demandred, stendendosi sulla sua sedia tra Semirhage e Mesaana, con le gambe incrociate come se fosse perfettamente a suo agio. Aran’gar aveva dei dubbi. Lui era un altro di quelli non rassegnati, lei ne era certa. «Sammael aveva bisogno di ogni occhio puntato su di lui.»
«Ciononostante, Sammael o qualcuno travestito come lui ha dato ordini ai Myrddraal e quelli hanno obbedito, perciò si trattava di uno dei Prescelti.» Moridin passò in rassegna le sedie come se fosse in grado di individuare chi era stato. Saa neri colavano nei suoi occhi azzurri in un flusso continuo. Adesso Aran’gar non rimpiangeva che fosse soltanto lui a poter usare il Vero Potere. Il prezzo era troppo alto. Di sicuro Ishamael era stato almeno mezzo pazzo, e come Moridin lo era ancora. Quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che lei potesse sbarazzarsene?
«Hai intenzione di dirci di che ordine si trattava?» Il tono di Semirhage era freddo e lei sorseggiò il suo vino con calma, osservando Moridin sopra l’orlo del calice. Sedeva molto composta, ma lo faceva sempre. Anche lei appariva del tutto a suo agio, anche se era improbabile.
La mascella di Moridin si serrò. «Non lo so» disse infine con riluttanza. Non gli piaceva mai affermarlo. «Ma hanno mandato cento Myrddraal e migliaia di Trolloc nelle Vie.»
«Questo è proprio da Sammael» disse Demandred pensieroso, facendo ruotare il suo calice ed esaminando il vino che mulinava. «Forse ero in errore.» Un’ammissione degna di nota, provenendo da lui. O un tentativo di nascondere il fatto che era stato lui a usare Sammael come travestimento. Le sarebbe piaciuto davvero molto sapere chi aveva cominciato a giocare al suo stesso gioco. O se Sammael fosse davvero vivo.
Moridin borbottò in tono amaro. «Trasmettete ordini ai vostri Amici delle Tenebre. Qualunque rapporto di Trolloc o Myrddraal fuori dalla Macchia dev’essere consegnato a me non appena lo ricevete. Il Tempo del Ritorno sta per giungere. A nessuno è più consentito correre rischi per conto proprio.» Li squadrò di nuovo, ciascuno a turno tranne Moghedien e Cyndane. Con un sorriso ancora più languido di quello di Graendal, Aran’gar incontrò il suo sguardo. Mesaana si ritrasse da esso.
«Come hai imparato a tue spese» disse lui a Mesaana e, per impossibile che sembrasse, il suo viso si fece ancora più pallido. Prese una lunga sorsata dal suo calice, con i denti che sbattevano contro il cristallo. Semirhage e Demandred evitarono di guardarla.
Aran’gar si scambiò occhiate con Graendal. Era stato fatto qualcosa per punire Mesaana per non essersi presentata a Shadar Logoth, ma cosa? Una volta una diserzione di quel genere avrebbe significato la morte. Ma ora erano troppo pochi per una punizione simile. Cyndane e Moghedien apparivano curiose quanto lei, perciò anche loro non lo sapevano.
«Possiamo vedere i segni chiaramente quanto te, Moridin» disse Demandred con irritazione. «Il Tempo è vicino. È necessario trovare il resto dei sigilli della prigione del Supremo Signore. Ho fatto cercare ovunque ai miei seguaci, ma non hanno trovato nulla.»
«Ah, sì. I sigilli. È vero, devono essere trovati.» Il sorriso di Moridin era quasi compiacente. «Ne rimangono soltanto tre, tutti in possesso di al’Thor, anche se dubito che li abbia con sé. Sono troppo predisposti a rompersi, ora. Li avrà nascosti. Indirizza i tuoi seguaci nei posti dov’è stato. Cercali tu stesso.»
«Il modo più semplice è rapire Lews Therin.» In netto contrasto con il suo aspetto da fanciulla glaciale, la voce di Cyndane era affannosa e sensuale, una voce fatta per giacere su soffici cuscini indossando molto poco. C’era un calore considerevole in quegli occhi azzurri, ora. Un calore bruciante. «Posso fargli rivelare dove sono i sigilli.»
«No!» scattò Moridin, trapassandola con uno sguardo saldo. Tu lo uccideresti ‘accidentalmente’. Quando e come morirà al’Thor saranno una mia scelta. E di nessun altro.» Stranamente mise la sua mano libera sul petto della giacca e Cyndane trasalì. Moghedien rabbrividì. «Nessun altro» ripete con voce severa.
«Nessun altro» disse Cyndane. Quando lui abbassò la mano, lei lasciò andare un lieve sospiro poi prese un sorso di vino. La sua fronte riluceva di sudore.
Aran’gar trovò illuminante quello scambio. Pareva che, una volta sbarazzatasi di Moridin, avrebbe avuto Moghedien e la ragazza al guinzaglio. Molto bene davvero.
Moridin si raddrizzò sulla sua sedia, indirizzando quello sguardo al resto di loro. «Questo vale per tutti voi. Al’Thor è mio. Voi non gli nuocerete in alcun modo!» Cyndane piegò la testa sopra il suo calice, sorseggiando, ma l’odio nei suoi occhi era evidente. Graendal aveva detto che lei non era Lanfear, che era più debole nell’Unico Potere, ma di certo aveva un’ossessione per al’Thor, e lo chiamava con lo stesso nome che aveva sempre usato Lanfear.
«Se volete uccidere qualcuno,» proseguì Moridin «uccidete questi due!» All’improvviso le sembianze di due giovani uomini in rozzi abiti da campagnoli comparvero al centro del cerchio, ruotando in modo che tutti potessero dare una bella occhiata alle loro facce. Uno era alto e grosso, con occhi gialli, addirittura, mentre l’altro era piuttosto esile ed esibiva un sorriso insolente. Creazioni del Tel’aran’rhiod, si muovevano in modo rigido e le loro espressioni non cambiavano mai. «Perrin Aybara e Mat Cauthon sono ta’veren, facili da localizzare. Trovateli e uccideteli.» Graendal rise, un suono privo di allegria. «Trovare dei ta’veren non è così semplice come dici, e ora è più complesso che mai. L’intero Disegno è in preda a un continuo mutamento, pieno di cambiamenti e picchi.»
«Perrin Aybara e Mat Cauthon» mormorò Semirhage, esaminando le due figure. «Allora è questo il loro aspetto. Chissà, Moridin. Se tu avessi condiviso questo con noi prima d’ora, potrebbero essere già morti.»
Il pugno di Moridin calò forte sul bracciolo della sua sedia. «Trovateli! Accertatevi doppiamente che i vostri seguaci conoscano le loro facce. Trovate Aybara e Cauthon e uccideteli! Il Tempo sta arrivando e loro devono essere morti!»
Aran’gar sorseggiò il proprio vino. Non aveva obiezioni a uccidere quei due se fossero capitati sulla sua strada, ma Moridin avrebbe avuto una grossa delusione riguardo Rand al’Thor.