Beonin si svegliò alle prime luci, com’era sua abitudine, anche se poco dell’alba filtrava nella sua tenda attraverso i lembi chiusi. Le abitudini erano buone quando erano quelle giuste. Ne aveva insegnate a sé stessa un bel po’ nel corso degli anni. L’aria all’interno della tenda tratteneva una punta del gelo notturno, ma lei lasciò il braciere spento. Non intendeva restare a lungo, incanalando brevemente, accese una lampada d’ottone, poi riscaldò l’acqua nella caraffa smaltata di bianco, quindi si lavò il viso al traballante lavabo col suo specchio pieno di bolle. Quasi tutto nella piccola tenda era instabile, dal tavolino alla sua stretta branda da campo, e l’unico pezzo robusto, una sedia dallo schienale basso, era tanto rozzo che proveniva da una delle cucine di campagna più povere. Lei era abituata ad adattarsi, poro. Non tutti i giudizi per i quali era stata interpellala avevano avuto luogo in palazzi. Anche il più misero villaggio aveva bisogno di giustizia. Aveva dormito in granai e perfino in stamberghe per provvedervi.
Muovendosi in modo ponderato, si mise il miglior vestito per cavalcare che aveva con sé, un semplice abito grigio dall’ottimo taglio e stivali comodi che le arrivavano alle ginocchia, poi iniziò a pettinarsi i capelli con una spazzola dal manico d’avorio che era appartenuta a sua madre. Il suo riflesso nello specchio era leggermente distorto. Per qualche motivo, quella mattina questo la irritava.
Qualcuno scosse il lembo della tenda e un uomo chiamò allegramente con un forte accento murandiano: «Colazione, Aes Sedai, se ti aggrada.» Beonin abbassò la spazzola e aprì sé stessa alla Fonte.
Non si era procurata una servitrice personale e spesso pareva che fosse sempre una faccia nuova a portarle i pasti, eppure si ricordava del robusto uomo brizzolato dall’incrollabile sorriso che entrò al suo ordine portando un vassoio ricoperto da un panno bianco.
«Lascialo sul tavolo, per favore, Ehvin» disse lasciando andare saidar, e venne ricompensata da un sorriso più ampio da parte dell’uomo, un profondo inchino sopra il vassoio e un altro prima di andarsene. Troppe Sorelle dimenticavano le piccole gentilezze con quelli inferiori a loro. Le piccole gentilezze erano il lubrificante della vita.
Scrutando il vassoio senza entusiasmo, riprese a spazzolarsi, un rituale che eseguiva due volte al giorno e che lei trovava rilassante. Invece di trovare conforto nella spazzola che le scivolava tra i capelli, però, dovette sforzarsi per completare le cento passate prima di appoggiare la spazzola sul lavabo accanto al pettine e allo specchietto di foggia simile. Una volta avrebbe potuto insegnare la pazienza alle colline, tuttavia era diventato sempre più difficile da Salidar. E quasi impossibile dal Murandy. Perciò si convinse a farlo, proprio come si era convinta ad andare alla Torre Bianca contro il rigido volere di sua madre e si era convinta ad accettare la disciplina della Torre assieme ai suoi insegnamenti. Come ragazza era sempre stata ostinata, aveva sempre aspirato al meglio. La Torre le aveva insegnato che si poteva ottenere molto se ci si sapeva controllare. Era orgogliosa di quella sua capacità.
Autocontrollo o meno, soffermarsi sulla sua colazione di prugne cotte e pane si rivelò difficile quanto completare il suo rituale con la spazzola. Le prugne erano state secche e forse troppo vecchie fin dall’inizio; erano state cotte fino a renderle una poltiglia ed era sicura che le fossero sfuggiti alcuni dei puntini neri che si trovavano sulla crosta del pane. Cercò di convincersi che quello che sgranocchiava fra i suoi denti fosse un chicco d’orzo o un seme di segala. Quella non era la prima volta che mangiava pane e larve, eppure non era certo una cosa che le piacesse. Anche il té aveva uno strano retrogusto, come se pure quello stesse iniziando a guastarsi.
Quando rimise infine il panno di lino sopra il vassoio di legno intagliato, per poco non sospirò. Quanto tempo sarebbe passato prima che nell’accampamento non rimanesse nulla di commestibile? Lo stesso stava accadendo dentro Tar Valon? Doveva essere così. Il tocco del Tenebroso stava contagiando il mondo, un pensiero tetro quanto un campo di rocce frastagliate. Ma la vittoria sarebbe giunta. Lei si rifiutava di contemplare qualunque altra possibilità. Il giovane al’Thor aveva molto di cui rispondere, davvero molto, eppure in qualche modo ci sarebbe riuscito... doveva riuscirci! In qualche modo. Ma il Drago Rinato andava oltre il suo campo d’influenza; tutto quello che poteva fare era guardare lo svolgimento degli eventi da lontano. Non le era mai piaciuto starsene seduta in disparte a guardare.
Tutte quelle riflessioni amare erano inutili. Era tempo di muoversi. Si alzò così rapidamente che la sedia si ribaltò, ma la lasciò stesa lì sul terreno ricoperto di tela.
Facendo capolino dal lembo della tenda, trovò Tervail su uno sgabello sulla passerella, col mantello scuro gettato all’indietro, appoggiato sulla spada inguainata puntellata fra i suoi stivali. Il sole si trovava all’orizzonte, duo terzi di una grande palla dorata, eppure nell’altra direzione delle nubi scure che si ammassavano attorno a Montedrago lasciavano presagire altra neve entro non molto tempo. O forse pioggia. Il sole pareva quasi tiepido dopo la notte. A ogni modo, presto sarebbe potuta essere di nuovo comoda all’interno.
Tervail fece un piccolo cenno col capo per farle capire di averla vista senza interrompere quello che pareva un ozioso esame di chiunque si muoveva entro la sua visuale. Al momento non c’era nessuno tranne alcuni operai, uomini in rozzi vestiti di lana che portavano canestri sulla schiena, uomini e donne dagli abiti altrettanto grezzi che guidavano carri dalle grandi ruote, cariche di fascine di legna da ardere, sacchi di carbone e barili d’acqua, che sbatacchiavano lungo i solchi della strada. Perlomeno quel suo sguardo sarebbe stato ozioso per coloro che non possedevano un legame da Custode con lui. Il suo Tervail era concentrato come una freccia pronta a essere scagliata. Erano solo gli uomini quelli che esaminava, e il suo sguardo si soffermava su quelli che non conosceva di persona. Con due Sorelle e un Custode morti per mano di un uomo in grado di incanalare — pareva improbabile che esistessero due assassini del genere — tutti erano guardinghi verso uomini estranei. Tutti quelli che lo sapevano, almeno. Quelle notizie non erano certo state sbandierate in giro.
Come Tervail pensava di poter riconoscere l’assassino andava oltre la sua comprensione, a meno che quell’uomo non portasse uno stendardo, ma lei non lo avrebbe rimproverato o sminuito solo perché cercava di eseguire il suo dovere. Snello come la corda di una frusta, con un naso pronunciato e una evidente cicatrice lungo la mascella che si era procurato al suo servizio, era poco più di un ragazzo quando lo aveva trovato, veloce come un gatto e già uno dei migliori spadaccini nella sua natia Tarabon, e per tutti gli anni in cui era stato con lei non aveva mai fatto nulla di meno. Le aveva salvato la vita almeno venti volte. A parte briganti o tagliagole troppo ignoranti per riconoscere una Aes Sedai, la legge poteva essere pericolosa quando una parte o l’altra diventava tanto disperata da non voler accettare che il giudizio le fosse avversi, e spesso Tervail aveva notato tale pericolo prima di lei.
«Sella Winterfinch per me e porta il tuo cavallo» gli disse. «Andiamo a fare una breve cavalcala.» Tervail sollevò un poco un sopracciglio, rivolgendo una mezza occhiata nella sua direzione, poi assicurò il fodero al lato destro della sua cintura e si avviò lungo la passerella di legno verso le linee dei cavalli, camminando a passo svelto. Lui non poneva mai domande non necessarie. Forse dentro di sé lei era più agitata di quanto credesse.
Ritornando dentro, avvolse con cautela lo specchietto in una sciarpa di seta intessuta con un labirinto tarenese bianco e nero e infilata in una delle due grosse tasche cucite all’interno del suo buon mantello grigio, assieme alla spazzola e al pettine. Il suo scialle accuratamente ripiegato e una scatolina di legno nero dall’intarsio intricato andarono nell’altra. La scatola conteneva alcuni gioielli, in parte lasciati da sua madre e il resto da sua nonna materna. Di rado lei indossava preziosi, eccezion fatta per l’anello del Gran Serpente; tuttavia portava sempre con sé scatola e spazzola, pettine e specchietto quando viaggiava, ricordi delle donne le cui memorie aveva amato e onorato e di quello che le avevano insegnato. Sua nonna, un famoso avvocato a Tanchico, le aveva trasmesso un amore per le tortuosità della legge, mentre sua madre le aveva dimostrato che era sempre possibile migliorare sé stessi. Gli avvocati di rado diventavano ricchi, anche se Collaris di certo aveva vissuto in condizioni più che agiate. Tuttavia, nonostante la sua disapprovazione, sua figlia Aledrine era diventata un mercante e aveva ammassato una considerevole fortuna con la compravendita di tinture. Sì, era sempre possibile migliorare sé stessi, se coglievi l’opportunità quando si presentava, come aveva fatto lei quando Elaida a’Roihan aveva deposto Siuan Sanche. Le cose da allora non erano andate affatto come lei aveva previsto, naturalmente. Di rado lo facevano. Ecco perché una donna saggia pianificava sempre dei percorsi alternativi.
Meditò se aspettare all’interno il ritorno di Tervail — poteva metterci più di qualche minuto per prendere due cavalli —, ma ora che il momento era davvero giunto, le sue ultime riserve di pazienza parevano essere svanite. Sistemandosi il mantello attorno alle spalle, spense la lampada con un senso di qualcosa di definitivo. Fuori, però, si costrinse a rimanere in un punto solo piuttosto che camminare su e giù lungo le scabre assi della passerella. Un comportamento del genere avrebbe attratto gli sguardi e forse qualche Sorella che pensava che avesse paura di stare da sola. A dire la verità un poco spaventata lo era. Quando un uomo poteva ucciderti senza essere visto né individuato, era più che ragionevole avere paura. Non voleva compagnia, però. Alzò il cappuccio, indicando il desiderio di rimanere sola, e avvolgendo il mantello attorno a sé.
Un gatto grigio, magro e con le orecchie lacere, iniziò a strofinarsi contro le sue caviglie. C’erano gatti dappertutto nel campo: apparivano ovunque le Aes Sedai si radunavano, docili come animaletti domestici per quanto prima potessero essere stati selvatici. Dopo qualche momento, quando non ricevette nessuna granatina alle orecchie, il gatto si allontanò altezzoso come un re in cerca di qualcuno che vi potesse provvedere. Aveva candidati in abbondanza.
Fino a qualche momento prima si vedevano solo operai e carrettieri vestiti in modo rozzo, ma ora l’accampamento iniziava a brulicare di gente. Capannelli di novizie in bianco, le cosiddette ‘famiglie’, si affrettavano lungo le passerelle per raggiungere le loro lezioni, tenute in tende abbastanza ampie per ospitarle o perfino all’aperto. Quelle che passavano davanti a lei interrompevano il loro infantile chiacchiericcio per offrirle perfette riverenze. Quella vista non cessava mai di stupirla. O farla arrabbiare. Un discreto numero di quelle ‘bambine’ erano di mezz’età o più vecchie — non poche avevano almeno un po’ di grigio fra i capelli, e alcune erano nonne! —, eppure si stavano piegando alle antiche abitudini così come qualunque ragazza lei aveva visto arrivare alla Torre, lì così tante. Una fiumana apparentemente senza fine che si riversava per le strade. Quanto aveva perduto la Torre concentrandosi ad accogliere ragazze nate con la scintilla o già sul punto di incanalare per tentativi, lasciando invece le altre a trovare la strada per Tar Valon come volevano o potevano? Quanto aveva perduto ostinandosi sul fatto che nessuna ragazza sopra i diciottenni potesse sottomettersi alla disciplina? Lei non aveva mai cercato il cambiamento — la legge e le usanze governavano la vita di una Aes Sedai, un basamento di stabilità e alcuni mutamenti come quelle famiglie di novizie parevano fin troppo radicali, ma quanto aveva perduto la Torre?
Anche le Sorelle procedevano lungo le passerelle, di solito a gruppi di due o anche tre, abitualmente seguite dai loro Custodi. Il flusso di novizie si separava attorno a loro in increspature di riverenze, rese irregolari dagli sguardi diretti alle Sorelle, le quali fingevano di non notarli. Pochissime Aes Sedai andavano in giro senza il bagliore di saldar attorno a sé. Beonin per poco non schioccò la lingua dall’irritazione. Le novizie sapevano che Anaiya e Kairen erano morte — nessuno si era sognato di nascondere le pire funebri — ma dire loro com’era successo le avrebbe semplicemente spaventate. Le più recenti, aggiunte nel libro delle novizie nel Murandy, portavano il bianco da un tempo sufficiente per sapere che Sorelle che se ne andavano in giro avvolte dal Potere non erano affatto insolite, però. Prima o poi quel solo fatto le avrebbe spaventate, e senza nessuno scopo. Era improbabile che l’assassino avrebbe colpito in pubblico, con dozzine di Sorelle nei paraggi.
Cinque Sorelle a cavallo che procedevano lentamente verso est, nessuna delle quali recava la luce di saidar, attirarono la sua attenzione. Dietro ciascuna c’era un piccolo seguito, in genere una segretaria, una servitrice, e forse un servitore, nel caso fosse necessario sollevare carichi pesanti, e alcuni Custodi. Tutti cavalcavano con i cappucci alzati, ma lei non ebbe difficoltà a distinguere chi era chi. Varilin, della Grigia come lei, era quella alta come un uomo, mentre Takima, la Marrone, era un donnina minuta. Il mantello di Saroiya aveva uno sgargiante ricamo bianco — di sicuro usava saidar per mantenerlo così scintillante — e un paio di Custodi che seguivano Faiselle la contraddistinguevano con la medesima chiarezza del suo mantello verde brillante. Il che voleva dire che l’ultima, avvolta in grigio scuro, era Magla della Gialla. Cos’avrebbero trovato una volta raggiunto Darein? Di certo non negoziatrici della Torre, non ora. Forse pensavano di dover agire comunque come al solito. La gente continuava ad andare avanti come prima dopo che l’intero scopo di qualcosa era andato perduto. Questo di rado durava a lungo con le Aes Sedai, però.
«Non sembrano un gruppo compatto, vero, Beonin? Si potrebbe pensare che stiano solo cavalcando per caso nella stessa direzione.»
E menomale che il cappuccio avrebbe dovuto garantirle un po’ di riservatezza. Per fortuna era abituata a reprimere dei sospiri o qualunque altra cosa che avrebbe potuto lasciar trasparire più di quello che lei desiderava. Le due Sorelle che le si erano fermate accanto erano piuttosto alte, entrambe dall’ossatura esile, con i capelli scuri e gli occhi castani, ma la somiglianza terminava lì. Il volto stretto di Ashamanaille, col suo naso a punta, di rado mostrava qualche emozione. Il suo abito di seta sferzato d’argento poteva aver lasciato le mani di una lavandaia solo pochi istanti prima, e un motivo a volute argentee decorava i bordi del suo mantello con cappuccio foderato di pelliccia. L’abito di lana scura di Phaedrine recava un discreto numero di grinze, per non parlare di diverse macchie, e indossava un mantello di lana disadorno che aveva bisogno di essere rammendato, e si accigliava fin troppo spesso, proprio come stava facendo in quel momento. Se così non fosse stato, sarebbe potuta essere graziosa. Una strana coppia di amiche, la solitamente trascurata Marrone e la Grigia che prestava attenzione tanto ai suoi vestiti quanto a tutto il resto.
Beonin lanciò un’occhiata alle Adunanti che si allontanavano. Sembravano cavalcare nella stessa direzione per caso, più che assieme. La diceva lunga sul suo turbamento il fatto che non l’avesse notato. «Forse» disse voltandosi per guardare le sue sgradite interlocutrici «stanno meditando sulle conseguenze della scorsa notte, sì, Ashamanaille?» Sgradite o no, le formalità andavano rispettate.
«Perlomeno l’Amyrlin è viva» replicò l’altra Grigia «e da ciò che mi è stato raccontato, rimarrà viva e... in salute. Sia lei che Leane.» Nemmeno il fatto che Nynaeve avesse Guarito Siuan e Leane poteva far sì che qualcuno parlasse dell’essere quietale con facilità.
«Viva e prigioniera è meglio che decapitata, suppongo. Ma non di molto.» Quando Morvrin l’aveva svegliata per dirle le novità, era stato difficile condividere l’eccitazione della Marrone. Recitazione per Morvrin, perlomeno. La donna aveva avuto un sorrisetto sulla faccia. Beonin non aveva mai meditato di cambiare i propri piani, però. Bisognava affrontare i fatti, Egwene era prigioniera: questo era un fatto. «Non sei d’accordo, Phaedrine?»
«Ma certo» replicò la Marrone seccamente. Seccamente! Ma quella era Phaedrine, sempre così immersa in qualunque cosa attirasse la sua attenzione che si dimenticava le buone maniere. E non aveva finito. «Ma non è questo il motivo per cui ti abbiamo cercato. Ashamanaille dice che tu sei al corrente di molte cose sugli omicidi.» Un’improvvisa folata di vento sferzò i loro mantelli, ma Beonin e Ashamanaille afferrarono agilmente i loro. Phaedrine lo lasciò mulinare dietro di sé, i suoi occhi fissi su Beonin.
«Forse hai avuto modo di ripensare agli omicidi, Beonin» disse Ashamanaille in tono pacato. «Vuoi condividere le tue ipotesi con noi? Phaedrine e io ci abbiamo riflettuto assieme, ma non ne abbiamo cavato nulla. La mia esperienza riguarda più questioni civiche. So che tu hai risolto parecchi casi di morti non naturali.»
Ma certo che aveva pensato agli omicidi. Quale Sorella nell’accampamento non l’aveva fatto? Lei stessa non avrebbe potuto evitarlo nemmeno se ci avesse provato. Trovare un assassino era una soddisfazione, molto più che risolvere una disputa sui confini. Era il più atroce dei crimini, il furto di qualcosa che non poteva essere recuperato, tutti gli anni che non sarebbero mai stati vissuti, tutto ciò che si sarebbe potuto fare con quel tempo. E quelle morti erano di Aes Sedai, il che di certo le rendeva una questione personale per ogni Sorella nel campo.
Attese che un ultimo gruppetto di donne in bianco, un paio delle quali con i capelli grigi, rivolgesse le proprie riverenze per poi procedere. Il numero di novizie sulle passerelle si stava finalmente assottigliando. I gatti sembravano seguire loro. Le novizie erano più disposte a coccolarli di molte Sorelle.
«L’uomo che pugnala per cupidigia,» disse una volta che le novizie furono fuori portata d’udito «l’uomo che avvelena per gelosia, quelli sono una cosa. Questa è del tutto diversa. Ci sono due omicidi, probabilmente da parte dello stesso uomo, ma a distanza di oltre una settimana. Questo implica sia pazienza che pianificazione. Il movente è incerto, tuttavia è mollo improbabile che abbia scelto le sue vittime per caso. Non sapendo su di lui altro a parte il fatto che è capace di incanalare, dovete cominciare cercando quello che lega assieme le vittime. In questo caso, Anaiya e Kairen erano entrambe dell’Ajah Azzurra. Dunque mi chiedo, che connessione esiste tra l’Ajah Azzurra e un uomo in grado di incanalare? La risposta che ne deriva è Moiraine Damodred e Rand al’Thor. E anche Kairen era in contatto con lui, sì?»
L’espressione accigliata di Phaedrine divenne quasi uno sguardo torvo. «Non starai insinuando sia lui l’assassino?» Davvero, stava proprio esagerando.
«No» disse Beonin in tono freddo. «Sto dicendo che dovete seguire la connessione. Che conduce agli Asha’man. Uomini in grado di incanalare. Uomini che possono incanalare, che sanno come Viaggiare. Uomini che hanno alcuni motivi per temere le Aes Sedai, forse certe Aes Sedai in particolare più di altre. Una connessione non è una prova,» ammise con riluttanza «ma è indicativa, sì?»
«Perché mai un Asha’man verrebbe qui due volte uccidendo in ogni occasione una Sorella? Sembra come se l’assassino volesse quelle due e nessun’altra.» Ashamanaille scosse il capo. «Come poteva sapere quando Anaiya e Kairen sarebbero state sole? Non penserai che se ne stia in agguato travestito da operaio. Da tutto ciò che ho udito, questi Asha’man sono troppo arroganti per una cosa del genere. A me pare più probabile che ci sia qui un operaio in grado di incanalare e con un rancore di qualche tipo.»
Beonin arricciò il naso con disprezzo. Poteva percepire Tervail avvicinarsi. Doveva aver corso per essere di ritorno così in fretta. «E perché avrebbe atteso fino a ora? Abbiamo preso con noi gli ultimi operai più di un mese la, nel Murandy.»
Ashamanaille aprì la bocca, ma Phaedrine si inserì, rapida come un passero che afferra una briciola.
«Potrebbe aver appena appreso come. Un selvatico, per così dire. Ho sentito per caso alcuni operai parlare. Ve ne sono altrettanti che ammirano gli Asha’man quanto quelli che li temono. Ho perfino udito alcuni dire che vorrebbero avere il coraggio per andare loro stessi alla Torre Nera.»
Il sopracciglio sinistro dell’altra Grigia si contrasse allo stesso modo in cui entrambi sarebbero scattali all’insù per un’altra donna. Le due erano amiche, tuttavia lei non poteva essere lieta che Phaedrine le togliesse le parole di bocca a quel modo. Però tutto quello che disse fu: «Sono certa che un Asha’man potrebbe trovarlo.»
Beonin fece in modo di percepire Tervail, che ora attendeva pochi passi dietro di lei. Il legame portò un flusso costante di calma e pazienza incrollabili quanto le montagne. Desiderava poter attingere a quello, almeno quanto poteva contare sulla sua forza fisica. «E molto improbabile che questo accada, sono certa che sarete d’accordo» disse debolmente. Romanda e altre potevano essersi pronunciate a favore di quella insensata ‘alleanza’ con la Torre Nera, ma da quel momento in poi avevano dibattuto come carrettieri ubriachi su come realizzarla, su come formulare l’accordo, come presentarlo, avevano sezionato ogni singolo dettaglio, poi rimesso assieme il tutto e sezionato di nuovo. Quell’idea era condannata a fallire, che fosse ringraziata la Luce.
«Devo andare» disse loro, e si voltò per prendere le redini di Winterfinch da Tervail. Il suo alto castrone baio era lucido, vigoroso e veloce, un cavallo da guerra addestrato. La giumenta marrone di Beonin era robusta e lenta, ma lei aveva sempre preferito la resistenza alla velocità. Winterfinch poteva proseguire molto tempo dopo che animali più alti e teoricamente più forti avevano ceduto. Mettendo un piede nella staffa, si soffermò con le mani sull’alto pomolo e sull’arcione. «Due Sorelle morte, Ashamanaille, ed entrambe Azzurre. Trovate delle Sorelle che le conoscevano e apprendete cos’altro avevano in comune. Per individuare l’assassino, dovete seguire le connessioni.»
«Dubito fortemente che condurranno agli Asha’man, Beonin.»
«La cosa importante è che l’assassino venga trovato» replicò lei, montando in sella, e fece voltare Winterfinch prima che le altre donne potessero proseguire. Una brusca conclusione e pure scortese, ma non aveva altra saggezza da offrire e il tempo sembrava incalzarla. Il sole si era sollevato dall’orizzonte e continuava a salire. Dopo quella lunga conversazione il tempo la incalzava davvero molto.
La cavalcata fino al terreno di Viaggio usalo per le partenze fu breve, ma quasi una dozzina di Aes Sedai stavano aspettando in fila fuori dall’alta parete di tela, alcune che conducevano cavalli, altre senza mantello come se si aspettassero di trovarsi all’interno entro poco tempo e una o due che indossavano i loro scialli per qualche motivo. Circa metà di loro era accompagnata da Custodi, diversi dei quali avevano i loro mantelli cangianti. L’unica cosa che accomunava le Sorelle era che tutte risplendevano del bagliore del Potere. Tervail non espresse alcuna curiosità per la loro destinazione, naturalmente, ma, cosa più importante, il legame del Custode continuò a trasmettere una calma costante. Si fidava di lei. Un lampo argenteo apparve all’interno delle pareti e, dopo il tempo necessario per contare lentamente fino a trenta, un paio di Verdi che non erano in grado di creare un passaggio da sole entrarono assieme a quattro Custodi che conducevano dei cavalli. L’usanza della segretezza si era abbinata al Viaggiare. A meno che qualcuna permettesse ad altri di vederla intessere un passaggio, cercare di apprendere dove stava andando era considerato alla stregua di porre domande dirette sui suoi affari personali. Beonin attese paziente su Winterfinch, con Tervail che torreggiava sopra di lei su Martello. Almeno le Sorelle qui rispettarono il suo cappuccio sollevato. O forse avevano le proprie ragioni per rimanere in silenzio. A ogni modo, non dovette parlare con nessuno. In questo momento le sarebbe risultato insopportabile.
La coda di fronte a lei si ridusse rapidamente e presto lei e Tervail smontarono alla testa di una fila molto più corta di sole tre Sorelle. Lui tenne scostato il lembo del pesante telone affinché lei potesse entrare per prima. Sospeso tra alte pertiche, il muro racchiudeva uno spazio di venti passi per venti dove poltiglia gelala ricopriva il terreno, una superficie irregolare contrassegnata da orme sovrapposte di persone e cavalli, e incisa nel mezzo da una linea dritta come un rasoio. Tutti usavano il centro. Il terreno scintillava debolmente, forse il principio di un altro disgelo che avrebbe potuto tramutare tutto in fanghiglia che si sarebbe poi congelala di nuovo. Qui la primavera giungeva più tardi rispetto a Tarabon, ma stava per arrivare.
Non appena Tervail lasciò ricadere la tela, lei abbracciò saidar e in tosse Spirito quasi coccolandolo. Questo flusso la affascinava, una riscoperta di qualcosa ritenuta persa per sempre e di certo la più importante di Egwene al’Vere. Ogni volta che lo intesseva percepiva un senso di meraviglia, così familiare quando era stata novizia e perfino Ammessa, ma che non aveva provato dopo aver ottenuto lo scialle. Qualcosa di nuovo e strabiliante. La linea argentea verticale apparve di fronte a lei, proprio sopra l’incisione sul terreno, e tutt’a un tratto divenne un varco sempre più largo, che parve ruotare finché non divenne un foro quadrato nell’aria, più di due passi per due, oltre il quale si vedevano querce ammantate di neve con rami larghi e pesanti. Una lieve brezza spirò attraverso il passaggio, increspandole il mantello. Spesso aveva apprezzato camminare in quel boschetto o sedersi a leggere per ore su uno dei rami bassi, ma mai nella neve.
Tervail non lo riconobbe e lo attraversò di scatto, spada in mano, tirando Martello dietro di sé, con gli zoccoli del cavallo da guerra che sollevavano sbuffi di neve dall’altra parte. Lei seguì un po’ più lentamente e lasciò che il flusso si dissipasse quasi con riluttanza. Era davvero meraviglioso.
Trovò Tervail che fissava ciò che sorgeva sopra le cime degli alberi a poca distanza, uno spesso fusto bianco che si ergeva in cielo. La Torre Bianca. Il suo volto era completamente impassibile e anche il legame pareva pieno di immobilità. «Penso che tu stia progettando qualcosa di pericoloso, Beonin.» In mano teneva ancora la lama sguainata, anche se ora era abbassata.
Lei gli appoggiò una mano sul braccio sinistro. Questo sarebbe dovuto bastare a rassicurarlo: non avrebbe mai ostacolato il braccio con la spada se ci fosse stato qualche pericolo reale. «Non più pericoloso che ne...»
Le parole si smorzarono quando vide una donna a circa trenta passi di distanza, che camminava lenta verso di lei attraverso la macchia di grossi alberi. Doveva essersi trovata dietro una pianta prima. Una Aes Sedai con un abito dal taglio all’antica, con lisci capelli bianchi tirati indietro sotto una reticella argentea punteggiata di perline che le ricadevano fino in vita. Non poteva essere. Quel volto forte, con i suoi scuri occhi obliqui e il naso adunco era inconfondibile, però. Inconfondibile, ma Turanine Merdagon era morta quando Beonin era un’Ammessa. A metà strada la donna scomparve.
«Cosa c’è?» Tervail si girò e sollevò la sua spada, per fissare nella direzione in cui lei stava guardando. «Cosa ti ha spaventato?»
«Il Tenebroso, sta contaminando il mondo» disse piano. Era impossibile! Impossibile, ma lei non era propensa a illusioni o fantasie. Aveva visto quello che aveva visto. Il suo brivido non aveva nulla a che fare col fatto che era in piedi con la neve fino alle caviglie. Pregò in silenzio: Che la Luce mi illumini in tutti i miei giorni e che io possa trovare riparo nella mano del Creatore nella speranza sicura e certa di salvezza e di rinascita. Quando lei gli disse di aver visto una Sorella morta da più di quarantanni, Tervail non cercò di congedarla come un’allucinazione, ma si limitò a borbottare la propria preghiera sottovoce. Non percepiva paura in lui, però. In abbondanza dentro di sé, ma nessuna in lui. I morti non potevano spaventare qualcuno che considerava ogni giorno come se potesse essere l’ultimo. Tervail non fu così ottimista quando lei gli confidò quello che intendeva fare. In parte, perlomeno. Lo fece guardando nello specchietto e intessendo con molta attenzione. Non era esperta nell’Illusione come le sarebbe piaciuto. Il volto nello specchio cambiò quando il flusso si posò su di lei. Non fu un grande cambiamento, ma il suo volto non era più quello di una Aes Sedai, non più quello di Beonin Marinye, solo quello di una donna che le assomigliava vagamente, anche se con capelli molto più chiari.
«Perché vuoi raggiungere Elaida?» domandò con sospetto. Tutto a un tratto il legame trasmise acredine. «Intendi avvicinarti a lei poi lasciar cadere l’illusione, vero? Lei ti attaccherà e... No, Beonin. Se dev’essere fatto, lascia che vada io. Ci sono fin troppi Custodi nella torre perché lei li conosca tutti e non si aspetterà mai di essere attaccata da un Custode. Posso piantarle un pugnale nel cuore prima che sappia cosa sta accadendo.» Lo dimostrò facendo apparire una lama corta nella sua mano destra veloce come il fulmine.
«Quello che faccio, devo farlo di persona, Tervail.» Invertendo l’Illusione e legandola, preparò diversi altri flussi giusto nel caso in cui le cose si fossero messe storte, invertendo anche quelli, poi ne iniziò un altro, un flusso molto complesso che posò su sé stessa. Quello avrebbe nascosto la sua capacità di incanalare. Si era sempre domandata come mai alcuni flussi come l’Illusione potessero essere piazzati su sé stessi mentre era impossibile fare in modo che altri come la Guarigione toccassero il proprio corpo. Quando aveva posto quella domanda come Ammessa, Turanine aveva detto con quella sua memorabile voce profonda: ‘È come domandare perché l’acqua è bagnata e la sabbia è asciutta, bambina. Rivolgi i tuoi pensieri a ciò che è possibile piuttosto che al perché alcune cose non lo sono.’ Buon consiglio, tuttavia lei non era mai stata capace di accettare la seconda parte. I morti stavano camminando. Che la Luce mi illumini tutti i giorni della... Legò l’ultimo flusso e rimosse il suo anello del Gran Serpente, infilandoselo nel borsello alla cintura. Ora poteva stare accanto a qualunque Aes Sedai senza essere riconosciuta per ciò che era. «Ti sei sempre fidato che io sapessi cos’è meglio» proseguì lei. «Ti fidi ancora?»
Il volto di Tervail rimase impassibile come quello della Sorella, tuttavia il legame trasmise uno sconcerto momentaneo. «Ma certo, Beonin.»
«Allora prendi Winterfinch e va’ in città. Affitta una camera in una locanda finché non vengo a chiamarli.» Lui aprì la bocca, ma Beonin sollevò una mano ammonitrice. «Vai, Tervail.»
Lo osservò scomparire attraverso gli alberi, guidando entrambi i cavalli, poi si voltò per fronteggiare la Torre. I morti stavano camminando. Ma tutto quello che importava era che lei raggiungesse Elaida. Solo quello.
Raffiche di vento sbatacchiavano i battenti della finestra. Il fuoco nel camino di marmo bianco aveva riscaldato l’aria fino al punto che l’umidità si condensava sui pannelli di vetro e colava giù come gocce di pioggia.
Seduta dietro il suo scrittoio dorato con le mani poggiate delicatamente sopra di esso, Elaida do Avriny a’Koihan, la Custode dei Sigilli, la Fiamma di Tar Valon, l’Amyrlin Seat, manteneva un volto placido nell’ascoltare l’uomo di fronte a lei che farfugliava, con le spalle ingobbite e scuotendo i pugni.
«...stato tenuto legato e imbavagliato per buona parte del viaggio, confinato giorno e notte in una cabina che sarebbe più giusto chiamare un armadio! Per questo io esigo che il capitano di quel vascello venga punito, Elaida. Ancor di più, esigo delle scuse da te e dalla Torre Bianca. Che la buona sorte mi pungoli, l’Amyrlin Seat non ha più il diritto di rapire dei re! La Torre Bianca non ha quel diritto! Io esigo...»
Si stava ripetendo di nuovo. L’uomo si fermava a malapena per riprendere fiato. Era difficile mantenere l’attenzione su di lui. Gli occhi di Elaida vagavano sugli splendidi arazzi, sulle rose disposte in modo ordinato sui piedistalli bianchi negli angoli. Era stancante mantenere una calma apparente nel sopportare quell’invettiva. Voleva alzarsi e schiaffeggiarlo. Che impudenza! Parlare in quel modo all’Amyrlin Seat! Ma sopportare con calma era più adatto al suo scopo. Avrebbe lasciato che si stancasse da solo.
Mattin Stepaneos den Balgar era muscoloso e poteva essere stato attraente da giovane, ma gli anni sì erano rivelati inclementi. La barba bianca che gli lasciava esposto il labbro superiore era ben spuntata, ma i capelli retrocedevano da buona parte del suo scalpo, il naso era stato rotto più di una volta e il suo cipiglio accentuava rughe già profonde sul suo volto paonazzo. La giacca di seta verde, ricamata sulle maniche con le api dorate di Illian, era stata spazzolata e pulita bene — ci mancava solo che una Sorella incanalasse per renderla più linda —, ma era stata la sua unica giacca per tutto il viaggio e non tulle le macchie erano state tolte. La nave che lo portava era stata lenta, arrivando in ritardo solo il giorno prima, ma per una volta lei non era seccata per quella lentezza. Solo la Luce sapeva che confusione avrebbe fatto Alviarin di quelle faccende se lui fosse arrivato puntuale. La donna si meritava il boia per il pantano in cui aveva cacciato la Torre, un pantano da cui Elaida ora doveva tirarsi fuori, ancor più che per aver osalo ricattare l’Amyrlin Seat.
Mattin Stepaneos si interruppe all’improvviso, facendo un mezzo passo indietro sul tappeto tarabonese a motivi geometrici. Elaida scacciò il cipiglio dal proprio volto. Pensare ad Alviarin la faceva sempre accagliare a meno che non stesse attenta.
«Le tue stanze sono abbastanza confortevoli per te?» disse nel silenzio. «I servitori sono adeguati?» Lui sbatte le palpebre a quell’improvviso cambio di direzione. «Le stanze sono confortevoli e i servitori adeguati» rispose in tono molto più docile, forse ricordandosi il suo cipiglio. «Tuttavia, io...»
«Dovresti essere grato alla Torre, Martin Stepaneos, e a me. Rand al’Thor ha preso Illian solo pochi giorni dopo la tua partenza dalla città. Si è impadronito anche della Corona d’Alloro. La Corona di Spade, l’ha chiamata. Riesci a immaginarlo esitare nel tagliarti la testa per prenderla? Io sapevo che tu non ti saresti allontanato volontariamente. Ti ho salvato la vita.» Ecco, pensò. Ora avrebbe dovuto credere che era stato fatto avendo a cuore i suoi migliori interessi.
Quello sciocco ebbe la temerarietà di sbuffare e mettersi a braccia conserte. «Non sono ancora un vecchio cane sdentato, Madre. Ho affrontato la morte per difendere Illian molte volte. Credi che la tema così tanto da preferire di essere tuo ‘ospite’ per il resto della mia vita?» Tuttavia era la prima volta che si era rivolto a lei col titolo appropriato da quando era entrato nella stanza.
L’elegante orologio a cassa dorata addossalo alla parete suonò l’ora e piccole statuette d’oro, argento e smalto si mossero su tre livelli. Su quello superiore, sopra il quadrante, un re e una regina si inchinavano a una Amyrlin Seat. A differenza dell’ampia stola posata sulle spalle di Elaida, quella della statuetta aveva ancora sette strisce. Non era ancora riuscita a far venire uno smaltatore. C’era così tanto da fare di molto più importante.
Aggiustandosi la stola sulla brillante seta rossa del suo abito, si appoggiò all’indietro in modo che la Fiamma di Tar Valon, in rilievo con pietre di luna sull’alto schienale dorato, si trovasse direttamente sopra la sua testa. Intendeva fare in modo che l’uomo si rendesse conto di ogni simbolo di quello che lei era e cosa rappresentava. Se la staffa della Fiamma fosse stata a portata di mano, gliel’avrebbe tenuta sotto quel naso a becco. «Un uomo morto non può reclamare nulla, figlio mio. Da qui, col mio aiuto, potresti riuscire a reclamare la tua corona e la tua nazione.»
La bocca di Martin Stepaneos si socchiuse appena e lui inspirò profondamente, come un uomo che respirava l’odore di una casa che aveva pensato di non rivedere mai più. «E come lo organizzeresti, Madre? A quanto ho capito, la Città è in mano a questi... Asha’man» si impappinò un poco con quel nome maledetto «e Aiel che seguono il Drago Rinato.» Qualcuno gli aveva parlato, dicendogli troppo. Le sue informazioni degli eventi dovevano essere severamente razionate. A quanto pareva il suo servitore andava sostituito. Ma la speranza aveva scacciato la rabbia dalla sua voce, e quello era positivo.
«Riottenere la tua corona richiederà pianificazione e tempo» gli disse Elaida, dato che al momento non aveva idea di come si potesse ottenere. Di certo aveva intenzione di trovare un modo. Rapire il re di Illian era stato pensato per dimostrare il suo potere, ma rimetterlo su un trono rubato lo avrebbe dimostrato ancora di più. Lei avrebbe restituito la massima gloria alla Torre Bianca, come al tempo in cui i troni tremavano se l’Amyrlin Seat si accigliava.
«Sono certo che sei ancora spossato per il tuo viaggio» disse lei alzandosi. Proprio come se l’avesse intrapreso di propria volontà. Sperava che anche lui fosse abbastanza intelligente da accodarsi a quella finzione. Avrebbe giovato a entrambi mollo più della verità nei giorni a venire. «Pranzeremo assieme a mezzodì e discuteremo di ciò che può essere fatto. Cariandre, accompagna Sua Maestà alle sue stanze e provvedi a fargli mandare un sarto. Avrà bisogno di abiti nuovi. Un dono da parte mia.» La grassoccia Rossa ghealdana che era stata immobile come una roccia accanto alla porta per l’anticamera si fece avanti per toccargli il braccio. Lui esitò, riluttante ad andare, ma Elaida continuò come se si stesse già allontanando. «Dì a lama di venire da me, Cariandre. Ho molto lavoro oggi» aggiunse a beneficio dell’uomo.
Finalmente Mattin Stepaneos si lasciò condurre via ed Elaida si rimise a sedere prima che lui raggiungesse la porta. Tre scatole laccate erano disposte sulla scrivania; una era quella della sua corrispondenza, dove conservava le lettere e i rapporti arrivati di recente dalle Ajah. Le Sorelle della Rossa condividevano tutto quanto le loro spie apprendevano — lei reputava che lo facessero — ma le altre Ajah fornivano ancora solo inezie, anche se avevano riferito numerose informazioni sgradite nell’ultima settimana. Sgradite perché indicavano un contatto con le ribelli che doveva andare oltre quei ridicoli negoziati. Ma fu il grosso raccoglitore di cuoio goffrato in oro di fronte a lei quello che aprì. La Torre stessa generava così tanti rapporti che avrebbero seppellito il tavolo se lei avesse tentato di leggerli tutti da sola, e Tar Valon dieci volte tanto. Dei funzionali ne leggevano la vasta maggioranza, selezionando per lei soltanto quelli più importanti. Erano comunque una pila consistente.
«Mi volevi, Madre?» disse Tarna in tono freddo, chiudendo la porta dietro di sé. In questo non c’era mancanza di rispetto: la donna bionda era fredda di natura e i suoi occhi azzurri erano glaciali. Elaida non ci faceva caso. Quello che la irritava era che la stola rosso vivido da Custode degli Annali attorno al collo di Tarna fosse poco più di un largo nastro. Il suo vestito grigio chiaro era sferzato di abbastanza rosso da mostrare il suo orgoglio per la sua Ajah, allora perché la sua stola era così stretta? Ma Elaida nutriva una grande fiducia in quella donna, e di recente quella era una mercé rara.
«Che notizie dal porto, Tarna?» Non c’era bisogno di specificare quale. Solo il Porto Sud aveva qualche speranza di rimanere funzionante senza massicce riparazioni.
«Possono entrare solo imbarcazioni fluviali dal pescaggio poco profondo» disse Tarna, attraversando il tappeto per mettersi di fronte allo scrittoio. Dal suo tono era come se discutesse la possibilità che stesse per piovere. Nulla la turbava. «Ma le altre stanno facendo i turni a ormeggiarsi alla parte di catena che è cuendillar per poi trasferire il loro carico su chiatte. I capitani delle navi si lamentano e ci vuole un tempo considerevolmente maggiore, tuttavia per il momento può bastare.» La bocca di Elaida si strinse e lei tamburellò con le dita sulla scrivania. Per il momento. Non poteva dar ordine di iniziare le riparazioni al porto finché le ribelli non fossero finalmente capitolale. Finora non avevano lanciato nessun assalto, grazie alla Luce. Quello sarebbe potuto iniziare solo con dei soldati, tuttavia delle Sorelle di certo vi sarebbero state attratte, qualcosa che loro dovevano voler evitare tanto quanto lei. Ma demolire le torri del porto, come le riparazioni avrebbero richiesto, lasciandolo accessibile e indifeso, avrebbe potuto condurle ad azioni disperate. Per la Luce! I combattimenti dovevano essere evitati, se mai era possibile. Elaida intendeva far entrare il loro esercito nella Guardia della Torre una volta che le ribelli si fossero rese conto di essere finite e fossero tornate alla Torre. Parte di lei già pensava come se Gareth Bryne stesse comandando la Guardia della Torre per lei. Un uomo infinitamente migliore di Jimar Chubain come gran capitano. Il mondo avrebbe conosciuto l’influenza della Torre Bianca allora! Lei non voleva che i suoi soldati si uccidessero a vicenda, non più di quanto voleva che la Torre venisse indebolita dalle sue Aes Sedai che si uccidevano tra loro. Le ribelli erano sue allo stesso modo di quelle all’interno della Torre e lei aveva intenzione che loro lo riconoscessero.
Prendendo il foglio in cima alla pila dei rapporti, lo esaminò rapidamente. «A quanto pare, malgrado il mio esplicito ordine, le strade non sono ancora state ripulite. Perché?»
Una luce di disagio attraversò gli occhi di l’ama, la prima volta che Elaida la vedeva turbata. «La gente è spaventata, Madre. Non lascia le proprie case a meno che non sia assolutamente necessario, e perfino in tal caso con grande riluttanza. Dicono di aver visto i morti camminare per le strade.»
«Questo è stato confermato?» chiese Elaida con calma. Il suo sangue all’improvviso sembrava essersi gelato nelle vene. «Qualche Sorella li ha visti?»
«Nessuna della Rossa, che io sappia.» Le altre avrebbero parlato con lei come Custode degli Annali, tuttavia non liberamente, non per condividere confidenze. Come si poteva rimediare a quello, per la Luce? «Ma la gente in città ne è convinta. Hanno visto quello che hanno visto.»
Lentamente Elaida mise da parte la pagina. Voleva rabbrividire. Aveva letto tutto quello che era riuscita a trovare a proposito dell’Ultima Battaglia, perfino Predizioni e studi così vecchi che non erano mai stati tradotti dalla Lingua Antica e giacevano coperti di polvere negli angoli più scuri della biblioteca. Il ragazzo al’Thor era stato un segno, ma ora pareva che Tarmon Gai’don sarebbe giunto prima di quanto chiunque aveva pensato. Diverse di quelle antiche Predizioni, dai primi giorni della Torre, dicevano che l’apparizione dei morti era il primo segno, un assottigliamento della realtà mentre il Tenebroso raccoglieva le proprie forze. Entro poco tempo sarebbe stato peggio.
«Ordinate alle Guardie della Torre di trascinare uomini abili dalle loro case, se necessario» disse lei con calma. «Voglio quelle strade pulite e voglio i lavori iniziati già da oggi. Oggi! »
Le chiare sopracciglia dell’altra donna si sollevarono dalla sorpresa — aveva davvero perso il suo abituale gelido autocontrollo! —, ma tutto quello che disse fu, naturalmente, «Come tu comandi, Madre.»
Elaida trasmetteva serenità, ma quella era una finzione. Sarebbe accaduto quello che doveva accadere. E lei non aveva ancora assicurato la propria stretta sul ragazzo al’Thor. E pensare che una volta l’aveva avuto proprio davanti a sé! Se solo l’avesse saputo allora. Dannazione ad Alviarin e a quel tre volte maledetto proclama che invocava un anatema su chiunque si fosse avvicinato a lui. se non per conto della Torre. Lo avrebbe ritirato, ma quello sarebbe sembrato un segno di debolezza, e in ogni caso il danno era stato fatto e non era più possibile ripararlo. Tuttavia presto avrebbe avuto Elayne di nuovo in mano sua, e la Casata Reale di Andor era la chiave per vincere Tarmon Gai’don. Quello era ciò che lei aveva Predetto molto tempo prima. E le notizie su una ribellione contro i Seanchan per tutta Tarabon erano state una lettura davvero piacevole. Non tutto era un groviglio di rovi che la pungeva da ogni lato.
Esaminando il secondo rapporto, fece una smorfia. A nessuno piacevano le fogne, eppure costituivano un terzo del sangue vitale di una città; gli altri due terzi erano il commercio e l’acqua pulita. Senza le fogne, Tar Valon sarebbe caduta preda di una dozzina di malattie, che avrebbero sopraffatto qualunque cosa le Sorelle potessero fare, per non parlare di quanto le strade sarebbero state più maleodoranti di quanto l’immondizia che marciva doveva averle già rese. Anche se il commercio era ridotto all’osso per il momento, l’acqua giungeva ancora dall’estremità dell’isola a monte del fiume e veniva distribuita alle torri serbatoio sparse per la città, poi alle fontane, ornamentali e semplici, che tutti erano liberi di usare; ma ora pareva che gli sbocchi delle fogne all’estremità dell’isola a valle del fiume fossero quasi del tutto ostruiti. Intingendo la penna nella boccetta di inchiostro, scribacchiò ‘Voglio che questi siano sgombrati entro domani’ in cima alla pagina e appose lì sotto la sua firma. Se i funzionali avevano un po’ di buonsenso, i lavori erano già iniziati, ma non aveva mai ritenuto che fossero dotati di molto buonsenso.
Il rapporto successivo la stupì allo stesso modo. «Ratti all’interno della Torre?» Questo è ridicolo!, pensò. Sarebbe dovuto essere in cima! «Fai controllare gli Schermi, Tarna.» Quelle protezioni avevano tenuto fin da quando la Torre era stata costruita, ma forse potevano essersi indeboliti dopo tremila anni. Quanti di quei ratti erano spie del Tenebroso?
Qualcuno bussò alla porta e subito dopo entrò una grassoccia Ammessa di nome Anemara, che allargò le sue gonne a strisce in una profonda riverenza. «Madre, se lo desideri, Felaana Sedai e Negarne Sedai hanno portato da te una donna che hanno trovato a vagare per la Torre. Dice di voler presentare una richiesta all’Amyrlin Seat.»
«Riferiscile di aspettare e offrile del té, Anemara» disse Tarna in tono brusco. «La Madre è occupata...»
«No, no» la interruppe Elaida. «Falle entrare, bambina. Falle entrare.» Era passato troppo tempo da quando qualcuno era andato a presentarle una richiesta. Era dell’idea di concedere qualunque cosa fosse, sempre che non si trattasse di niente di troppo assurdo. Forse quello avrebbe fatto ricominciare il flusso, era passato troppo tempo anche da quando delle Sorelle erano venute da lei senza essere convocale. Forse le due Marroni avrebbero posto fine anche a quella penuria di visite. Ma fu solo la donna a entrare nella stanza, chiudendo attentamente la porta dietro di sé. A giudicare dal suo abito per cavalcare di seta e dal raffinato mantello, pareva essere una nobildonna o una facoltosa commerciante, una supposizione suffragata dal suo atteggiamento fiducioso. Elaida era certa di non avere mai incontrato prima quella donna, eppure c’era qualcosa di vagamente familiare in quel viso incorniciato da capelli più chiari perfino di quelli di Tarna.
Elaida si alzò e iniziò a girare attorno alla scrivania, allargando le mani e con in volto un sorriso a cui non era avvezza. Cercò di farlo sembrare accogliente. «Ho saputo che hai una richiesta per me, figlia mia. Tarna, versale del té.» La teiera d’argento posata su un vassoio anch’esso d’argento in cima al tavolino doveva essere ancora almeno tiepida.
«La richiesta è qualcosa che ho lasciato credere loro in modo da poterti raggiungere illesa, Madre» replicò la donna con accento tarabonese, offrendole una riverenza, e a metà di quel gesto il suo volto fu all’improvviso quello di Beonin Marinye.
Abbracciando saidar, Tarna intessé uno schermo attorno alla donna, ma Elaida si limitò a piantare i pugni contro i fianchi.
«Dire che sono sorpresa che tu osi mostrarmi la tua faccia sarebbe riduttivo, Beonin.»
«Sono riuscita a diventare parte di quello che potresti chiamare il consiglio direttivo a Salidar» disse con calma la Grigia. «Mi sono assicurata che rimanessero lì a non far niente e ho messo in giro voci che molte fra loro fossero in realtà delle tue segrete sostenitrici. Le Sorelle si stavano guardando con tale sospetto a quel punto che pensavo che sarei potuta tornare presto alla Torre, ma poi sono apparse altre Adunanti oltre alle Azzurre. In men che non si dica, avevano scelto il proprio Consiglio della torre e l’organo direttivo era stato composto. Tuttavia ho continuato a fare quello che potevo. So che mi hai ordinato di rimanere con loro finché non fossero state pronte a ritornare, ma ormai è questione di giorni. Se posso, Madre, la decisione di non processare Egwene è stata davvero superba. Innanzitutto, ha una particolare dote per scoprire nuovi flussi, ancora meglio di Elayne Trakand o Nynaeve al’Meara. Inoltre, prima che la innalzassero, Lelaine e Romanda si opponevano l’una all’altra per il ruolo di Amyrlin. Con Egwene viva, continueranno a farlo, ma nessuna riuscirà a prevalere, sì? Io penso che molto presto le Sorelle cominceranno a seguirmi. In una settimana o due, Lelaine e Romanda si ritroveranno sole con i resti del loro cosiddetto Consiglio.»
«Come hai fatto a sapere che la ragazza al’Vere non sarebbe stata processata?» domandò Elaida.
«Come hai fatto anche solo a sapere che è viva? Abbassa quello schermo, Tarna.»
Tarna obbedì e Beonin le rivolse un cenno del capo come per gratitudine. Una piccola gratitudine. Quei grandi occhi grigiazzurri facevano sembrare Beonin costantemente sbigottita, ma era una donna molto controllata. Era grazie a quella compostezza, combinata con una sincera dedizione verso la legge e anche con ambizione, che lei possedeva in larga misura, che Elaida aveva saputo fin da subito che Beonin era quella da mandare con le Sorelle che stavano abbandonando la Torre. E la donna aveva fallito completamente! Oh, apparentemente aveva seminato un po’ di dissenso, ma in realtà non aveva ottenuto nulla di quello che Elaida si era aspettata da lei. Nulla! Avrebbe trovato le sue ricompense commisurate al suo fallimento.
«Egwene, lei può entrare nel Tel’aran’rhiod semplicemente andando a dormire, Madre, lo stessa sono stata lì e l’ho vista, ma devo usare un ter’angreal. Non sono riuscita a impadronirmi di nessuno di quelli usati dalle ribelli per portarlo con me. A ogni modo, lei ha parlato a Siuan Sanche nel suo sogno, così si dice, anche se io ritengo più probabile che sia stato nel Mondo dei Sogni. A quanto pare ha riferito di essere prigioniera, ma non ha voluto dire dove, e ha proibito qualunque tentativo di salvataggio. Posso versarmi quelle?»
Elaida era così sbalordita da non riuscire a parlare. Fece un gesto a Beonin verso il tavolino laterale e la Grigia le rivolse un’altra riverenza prima di andare a tastare la teiera d’argento con cautela col dorso della mano. La ragazza poteva entrare nel Tel’aran’rhiod? E c’erano dei ter’angreal che consentivano di fare lo stesso? Il Mondo dei Sogni era quasi una leggenda. E stando a quegli inquietanti frammenti che le Ajah si erano degnale di condividere con lei, la ragazza aveva riscoperto il flusso per Viaggiare e aveva anche compiuto un gran numero di altre scoperte. Erano state il fattore determinante nella sua decisione di preservare la ragazza per la Torre, ma ora anche quello?
«Se Egwene è in grado di farlo, Madre, forse è davvero una Sognatrice» disse Tarna.
«L’avvertimento che ha dato a Silviana...»
«È inutile, Tarna. I Seanchan sono ancora nel profondo dell’Altara e hanno a malapena toccato Illian.» Perlomeno le Ajah erano disposte a trasmettere tutto quello che apprendevano dei Seanchan. O piuttosto lei sperava che trasmettessero tutto. Quel pensiero le irruvidì la voce. «A meno che loro non imparino a Viaggiare, riesci a pensare a qualche precauzione che dovrei prendere oltre a quelle che ci sono già?» Non ne era in grado, naturalmente. La ragazza aveva proibito un salvataggio. Questo a un primo sguardo era un bene, ma indicava che considerava ancora sé stessa come Amyrlin. Ebbene, Silviana avrebbe rimosso quelle sciocchezze dalla sua testa molto presto, se le Sorelle che tenevano le sue lezioni avessero fallito. «Può esserle somministrata pozione a sufficienza per tenerla fuori dal Tel’aran’rhiod?»
Tarna fece una lieve smorfia — a nessuno piaceva quell’infuso ripugnante, nemmeno alle Marroni che si erano decise a provarlo — e scosse il capo. «Possiamo farla dormire per tutta la notte, ma non riuscirebbe a far nulla il giorno dopo, e chi può dire se questo influirebbe sulle sue capacità.»
«Posso versarti del té, Madre?» disse Beonin, tenendo in equilibrio una sottile tazza bianca sulla punta delle dita. «Tarna? Le notizie più importanti che ho...»
«Non voglio nessun te» rispose in tono brusco Elaida. «Hai riportato qualcos’altro dal tuo miserabile fallimento, eccetto la tua pelle? Conosci il flusso per Viaggiare, o questo Volo Aleggiato, o...» Ce n’erano così tanti. Forse erano tutti Talenti o abilità andati persi, ma apparentemente a molti non era ancora stato dato un nome.
La Grigia la scrutò oltre la sua tazza di té, il suo volto completamente immobile. «Sì» disse infine.
«Non so fare il cuendillar, ma posso far funzionare i nuovi flussi di Guarigione per bene come buona parte delle Sorelle, e li conosco tutti.» Una punta di eccitazione si fece strada nella sua voce.
«Il più stupefacente è Viaggiare.» Senza chiedere il permesso, abbracciò la Fonte e intessé Spirito. Una linea argentea verticale comparve sulla parete e si allargò in un panorama di querce coperte di neve. Una brezza fredda spirò nella stanza, facendo danzare le fiamme nel camino. «Questo è chiamato un passaggio. Può essere usato per raggiungere un luogo che conosci bene, ma si impara un posto creandovi un passaggio, e per andare in qualche posto che non conosci bene si usa il Volo Aleggiato.» Modificò il flusso e l’apertura si ridusse di nuovo a quella linea argentea, poi si allargò ancora una volta. Le querce vennero sostituite dal buio, e una chiatta dipinta di grigio, chiusa e recintata, galleggiava sul nulla contro l’apertura.
«Lascia andare il flusso» disse Elaida. Aveva la sensazione che, se fosse salita su quella chiatta, quell’oscurità si sarebbe estesa fin dove poteva vedere, in ogni direzione. Che poteva perdersi in essa per sempre. Le dava la nausea. L’apertura — il passaggio — svanì, il ricordo rimase, però. Rimettendosi a sedere dietro il tavolo, aprì la più grande delle scatole laccate, decorata con rose rosse e motivi a volute dorati. Dal compartimento superiore prese un piccolo oggetto d’avorio ingiallito dagli anni, una rondine dalla coda a forcella, e accarezzò col pollice le sue ali curve. «Non insegnerai a nessuna queste cose senza aver ricevuto il mio permesso.»
«Ma... perché no, Madre?»
«Alcune della Ajah si oppongono alla loro Madre quasi con altrettanta forza delle Sorelle oltre il fiume» disse Tarna.
Elaida scoccò un’occhiata cupa alla sua Custode degli Annali, ma quel volto impassibile la ricevette senza scomporsi minimamente. «Io deciderò chi è abbastanza... affidabile da apprenderli, Beonin. Voglio la tua promessa. No, voglio il tuo giuramento.»
«Nell’arrivare qui, ho visto Sorelle di diverse Ajah che si rivolgevano occhiate torve. Cos’è successo nella Torre, Madre?»
«Il tuo giuramento, Beonin.»
La donna rimase a fissare dentro la sua tazza di té per così tanto tempo che Elaida stava cominciando a pensare che si sarebbe rifiutata. Ma l’ambizione ebbe la meglio. Si era legata alle gonne di Elaida nella speranza di una promozione, e non si sarebbe tirata indietro ora. «Per la Luce e la mia speranza di salvezza e rinascita, giuro che non insegnerò i flussi che ho appreso tra le ribelli a nessuna senza il permesso dell’Amyrlin Seat.» Fece una pausa, prendendo un sorso dalla tazza.
«Alcune Sorelle nella Torre sono forse meno affidabili di quanto tu pensi. Ho cercato di impedirlo, ma quel ‘consiglio direttivo’ ha inviato dieci Sorelle perché tornassero alla Torre e diffondessero la storia dell’Ajah Rossa e di Logain.» Elaida riconobbe alcuni dei nomi che lei snocciolò, fino all’ultimo. Quello la fece mettere a sedere diritta.
«Devo farle arrestare, Madre?» chiese Tanna, ancora fredda come ghiaccio.
«No. Falle sorvegliare. Controlla con chi si incontrano.» Allora c’era un tramite fra le Ajah all’interno della Torre e le ribelli. Quanto in profondità si era sparso quel marciume? Non aveva importanza, lei l’avrebbe ripulito!
«Questo potrebbe essere difficile allo stato delle cose, Madre.»
Elaida percosse il tavolo con la sua mano libera, poi la sbatte con uno schianto fragoroso. «Non ho chiesto se sarebbe stato difficile. Ho detto di farlo! E informa Meidani che è invitata a cena da me stasera.» La donna era stata insistente nel cercare di riprendere un’amicizia che era terminata molti anni prima. Ora Elaida sapeva perché. «Và e fallo ora.» Un’ombra attraversò il volto di Tarna mentre le rivolgeva una riverenza. «Non preoccuparti» disse Elaida. «Beonin è libera di insegnarti ogni flusso che conosce.» Lei si fidava di Tarna, dopotutto, e quello di certo rese la sua espressione più luminosa, anche se non più cordiale.
Mentre la porta si richiudeva dietro la sua Custode degli Annali, Elaida spinse da un lato il raccoglitore in cuoio e appoggiò i gomiti sul tavolo, concentrandosi su Beonin. «Ora. Mostrami tutto quanto.»