Giocattolo cavalcava a un’andatura rapida attraverso la foresta, ma Tuon si mantenne dietro di lui — con Selucia al suo fianco, naturalmente — in modo da poter ascoltare quello che lui e Talmanes dicevano. I suoi stessi pensieri interferivano con l’origliare, però. Allora era cresciuto col Drago Rinato, eh? Il Drago Rinato! E aveva negato di conoscere quell’uomo. Quella era una sua menzogna che lei non era riuscita a individuare, ed era esperta nel farlo. A Seandar una menzogna non scoperta poteva essere quella che ti uccideva o ti mandava al blocco di vendita come proprietà. Se avesse saputo della sua prevaricazione, avrebbe potuto schiaffeggiarlo piuttosto che permettergli di baciarla. Insomma, quello sì che l’aveva scossa, e non era certa di essersi ancora ristabilita. Selucia le aveva descritto com’era essere baciata da un uomo, ma la realtà dei fatti faceva impallidire le descrizioni della donna. No, doveva ascoltare.
«Hai lasciato Esterni al comando?» sbottò Giocattolo, così forte che uno stormo di colombe grigie schizzò fuori da un riparo nel rado sottobosco in un lugubre frullare d’ali. «Quell’uomo e uno sciocco!»
«Non al punto da dare ascolto a Daerid» replicò Talmanes con calma. Non sembrava un uomo che si eccitava parecchio. Manteneva una guardia attenta, con la testa che ruotava discontinuo. Ogni tanto ispezionava anche il cielo attraverso gli spessi rami sopra le loro teste. Aveva solo sentito parlare dei raken, tuttavia stava in guardia da essi. Le sue parole erano perfino più nette e rapide di quelle di Giocattolo, e difficili da seguire. Questa gente parlava così svelto! «Carlomin e Reimon non sono degli sciocchi, Mat — perlomeno, Reimon è uno sciocco solo a volte —, ma nessuno dei due darà ascolto a un comune cittadino, per quanto possa sapere più di loro di strategia militare. Edorion sì, ma lo volevo con me.»
Quel simbolo della mano rossa che Talmanes indossava era intrigante. Più che intrigante. Molto di più. Di una casata illustre e antica, eh? Ma Giocattolo era il predestinato. Si ricordava il volto di Hawkwing. Quello pareva del tutto impossibile, eppure quando lo aveva negato era palese che aveva mentito, evidente quanto le macchie su un leopardo. La Mano Rossa poteva essere il sigillo di Giocattolo? E allora il suo anello? Per poco lei non era svenuta quando lo aveva visto. Be’, vi era andata più vicino che mai dalla sua fanciullezza.
«Questo cambierà, Talmanes» borbottò Giocattolo. «L’ho lasciato passare troppo a lungo così com’è. Se Reimon e gli altri ora comandano delle compagnie, questo li rende dei generali di stendardo. E rende te un generale luogotenente. Daerid comanda cinque compagnie, e questo rende anche lui un generale luogotenente. Reimon e gli altri obbediranno ai suoi ordini oppure possono andarsene a casa. Quando arriverà Tarmon Gai’don, non ho intenzione di farmi fracassare la testa perché si rifiutano dannatamente di ascoltare qualcuno che non possiede delle maledette tenute.» Talmanes fece svoltare il suo cavallo per aggirare una macchia di rovi e tutti lo seguirono. Quei viticci aggrovigliati parevano avere spine particolarmente lunghe, e uncinate perfino. «Non gli piacerà, Mat, ma non se ne andranno nemmeno a casa. Lo sai. Ti è venuta un’idea su come fare per uscire dall’Altara?»
«Ci sto pensando» mugugnò Giocattolo. «Ci sto pensando. Quei balestrieri...» Emise un pesante sospiro. «Non è stato saggio, Talmanes. Innanzitutto sono abituali a marciare sui loro stessi piedi. Metà di loro useranno tutte le loro energie per rimanere in sella, se ci muoveremo veloci, e dovremo farlo. Possono essere utili in boschi come questi o dovunque ci siano ripari in abbondanza, ma se ci trovassimo su un terreno aperto e senza picche, verrebbero travolti prima di poter scagliare una seconda salva.»
In lontananza un leone ruggì. In lontananza, ma fu comunque sufficiente per far nitrire i cavalli nervosamente e farli sobbalzare per alcuni passi. Giocattolo si sporse in avanti sul collo del suo castrone e parve sussurrargli all’orecchio. L’animale si calmò all’istante. Allora nemmeno quella era stata una sua invenzione, dopotutto. Notevole.
«Ho scelto uomini in grado di cavalcare, Mat» disse Talmanes una volta che il suo baio ebbe smesso di saltellare. «E hanno tutti la nuova manovella.» Una punta di eccitazione si fece strada nella sua voce ora. Perfino uomini misurati avevano la tendenza ad accalorarsi per le armi. «Tre giri della manovella» la sua mano si mosse in un rapido cerchio per simularlo «e la corda è tesa. Con un po’ di allenamento, un uomo può scagliare sette o otto quadrelli in un minuto. Con una balestra pesante.»
Selucia fece un piccolo suono nella gola. Aveva ragione a essere sbigottita. Se Talmanes stava dicendo la verità, e a quanto Tuon poteva vedere non aveva motivo di mentire, allora lei doveva ottenere in qualche modo una di quelle prodigiose manovelle. Con una come modello, gli artigiani potevano farne altre, gli arcieri potevano tirare più veloci dei balestrieri, ma richiedevano anche più tempo per essere addestrati. C’erano sempre più balestrieri che arcieri.
«Sette?» esclamò Giocattolo in tono incredulo. «Questo sarebbe molto più che utile, ma non ho mai sentito di una cosa del genere. Mai.» Borbottò come se avesse qualche significato speciale, poi scosse il capo. «Come hai fatto a trovarla?»
«Sette o otto. C’era un meccanico nel Murandy che voleva portare un intero carro di cose che aveva inventato fino a Caemlyn. Lì c’è» un qualche genere di scuola per studiosi e inventori. Gli serviva denaro per il viaggio ed è stato disposto a insegnare agli armaioli della Banda a costruire certe cose. Ricopri di frecce il tuo avversario a ogni opportunità, è sempre meglio uccidere i tuoi nemici da lontano che corpo a corpo.»
Selucia sollevò le mani in modo che Tuon potesse vederle, le dita esili che si muovevano rapide. Cos’è questa banda di cui parlano? Utilizzò la forma appropriata, da inferiore a superiore, tuttavia la sua impazienza era quasi palpabile. Impazienza per tutto quello che stava accadendo. Tuon aveva pochi segreti con lei, ma alcuni parevano consigliabili per ora. Non avrebbe escluso che Selucia potesse riportarla a Ebou Dar a forza in modo da non venir meno alla sua parola. I doveri di un’ombra erano molti e a volte richiedevano di pagare il sacrificio ultimo. Lei non voleva dover ordinare l’esecuzione di Selucia.
Replicò con la forma imperativa. L’esercito personale di Giocattolo, ovviamente. Ascolta e potremmo apprendere di pili.
Il fatto che Giocattolo comandasse un esercito pareva molto strano. Era affascinante a volte, perfino spassoso e divertente, ma spesso anche un buffone e un furfante. Era sembrato proprio nel suo elemento come favorito di Tylin. Eppure era sembrato nel suo elemento anche fra gli artisti dello spettacolo, e con la marath’damane e le due damane fuggite, e nella bettola. Quella era stata una tale delusione. Nemmeno una zuffa! Gli eventi successivi erano stati una parziale compensazione. Rimanere coinvolti in un’aggressione in strada non era proprio la stessa cosa di vedere delle zuffe in una bettola. Che decisamente era stata molto più noiosa di quanto le avevano fatto supporre le voci udite a Ebou Dar. Giocattolo aveva dato mostra di un lato inatteso di sé nel corso di quell’aggressione. Un uomo formidabile, seppure con una debolezza peculiare, per qualche ragione, lei trovava ciò stranamente accattivante.
«Buon consiglio» disse lui in tono assente, strattonando la sciarpa nera legata attorno al collo. Tuon si interrogava sulla cicatrice che lui si sforzava così tanto di nascondere. Che lo facesse era comprensibile. Perché era stato impiccato e come era sopravvissuto? Non poteva chiederlo. Non le importava fargli abbassare un poco gli occhi — in effetti era piacevole vederlo contorcersi: richiedeva così poco sforzo da parte sua — ma non voleva distruggerlo. Almeno non per il momento.
«Lo riconosci?» chiese Talmanes. «Viene dal tuo libro. Re Roedran ne ha due copie nella sua biblioteca. Lo ha imparato a memoria. Quell’uomo pensa che lo renderà un grande capitano. È stato così soddisfatto di com’è andato il nostro accordo che ne ha fatto stampare e rilegare una copia per me.»
Giocattolo rivolse all’uomo un’occhiata perplessa. «Il mio libro?»
«Quello di cui ci hai parlato, Mat. Nebbia e Acciaio, di Madoc Comadrin.»
«Oh, quel libro.» Giocattolo scrollò le spalle. «L’ho letto molto tempo fa.»
Tuon digrignò i denti. Le sue dita guizzarono. Quando la smetteranno di parlare di libri e torneranno alle cose interessanti?
Ascolta e potremmo apprendere di più, replicò Selucia. Tuon le scoccò un’occhiataccia, ma la donna aveva un’espressione talmente innocente che lei non riuscì a mantenere il suo cipiglio. Rise — piano, per fare in modo che Giocattolo non si rendesse conto di quanto gli stava vicino — e Selucia si unì a lei. Piano.
Giocattolo aveva smesso di parlare, però, e Talmanes pareva contento così. Cavalcarono in silenzio tranne per i suoni della foresta, gli uccelli che cantavano, strani scoiattoli dalla coda nera che squittivano sui rami. Tuon si mise a cercare dei presagi, ma nulla catturò il suo occhio. Uccelli dal piumaggio vivace guizzavano tra gli alberi. Una volta scorsero una mandria di forse cinquanta animali, bovini snelli con corna molto lunghe che si protendevano quasi dritte da ambo i lati. Gli animali li avevano sentiti arrivare e si erano raggruppati, fronteggiandoli. Un toro gettò all’indietro la testa e raschiò il terreno con una zampa. Giocattolo e Talmanes aggirarono con cautela la mandria, mantenendosi a distanza. Lei si guardò sopra la spalla. Le Braccia Rosse — perché erano chiamate così? Avrebbe dovuto chiederlo a Giocattolo — le Braccia Rosse sta vano conducendo i cavalli da soma, ma Gorderan aveva sollevato la sua balestra egli altri avevano le frecce incoccale ai loro archi. Dunque questi bovini erano pericolosi. C’erano pochi segni riguardanti dei bovini, e lei fu sollevata quando la mandria scomparve alle loro spalle. Non era arrivata fin lì per essere uccisa da una mucca. O per vedere Giocattolo ucciso da una di esse.
Dopo un po’, Thom e Aludra la raggiunsero per cavalcarle a fianco. La donna le lanciò una sola occhiata, poi fissò lo sguardo davanti a sé. Il volto della Tarabonese, incorniciato da quelle vivaci trecce ornate di perline, era sempre inespressivo quando guardava lei o Selucia, perciò era chiaramente una di quelli che si rifiutavano di accettare il Ritorno. Stava osservando Giocattolo e sembrava... soddisfatta. Come se qualcosa fosse stato confermato per lei, forse. Perché Giocattolo l’aveva portata con sé? Di certo non per i suoi fuochi d’artificio. Quelli erano piuttosto graziosi, ma non si potevano paragonare con le Luci del Cielo eseguite perfino da una Damane semiaddestrata. Thom Merrilin era molto più interessante. L’anziano canuto era palesemente una spia esperta. Chi l’aveva mandato a Ebou Dar? La Torre Bianca sembrava il candidato più ovvio. Passava poco tempo con quelle che si definivano Aes Sedai, ma una spia ben addestrata non si sarebbe fatta scoprire in quella maniera. La sua presenza la turbava. Finché l’ultima Aes Sedai non fosse stata messa al guinzaglio, la Torre Bianca era qualcosa di cui essere cauti. Malgrado tutto, a volte lei aveva ancora dei pensieri sconcertanti sul fatto che Giocattolo fosse in qualche modo parte di un piano della Torre Bianca. Quello era impossibile, a meno che alcune delle Aes Sedai non fossero onniscienti, tuttavia ogni tanto quell’idea le veniva in mente.
«Una strana coincidenza, non diresti, mastro Merrilin?» chiese. «Incontrare parte dell’esercito di Giocattolo nel bel mezzodì una foresta nell’Altara.»
Lui si accarezzò i lunghi baffi con una nocca, non riuscendo a mascherare un sorrisetto. «Lui è ta’veren, mia signora, e non si può mai dire cosa può accadere attorno a una persona come lui. E sempre... interessante... viaggiare con qualcuno di loro. Mat ha una tendenza a trovare quello che gli serve quando gli serve. A volle ancora prima di sapere che gli serve.»
Tuon lo fissò, ma lui pareva serio. «È legato al Disegno?» Era così che si traduceva quella parola.
«Cosa vorrebbe dire?»
Gli occhi azzurri dell’anziano si sgranarono dallo stupore. «Non lo sai? Ma si dice che Artur Hawkwing sia stato il ta’veren più forte mai visto, forse forte quanto Rand al’Thor. Pensavo che proprio tu avresti... Be’, se non lo sai, non lo sai. I ta’veren sono persone attorno a cui il Disegno si modella, persone che sono state filate dal Disegno stesso per mantenere il corso appropriato della tessitura, forse per correggere difetti che vi si stavano insinuando. Una delle Aes Sedai potrebbe spiegarlo meglio di me.» Come se lei avesse avuto intenzione di conversare con una marath’damane o, peggio ancora, con una damane fuggitiva.
«Grazie» gli disse cortesemente. «Penso di aver udito abbastanza.» Ta’veren. Ridicolo. Queste persone e le loro infinite superstizioni! Un uccellino marrone, sicuramente un fringuello, volò fuori da un’alta quercia e volteggiò in cerchio in senso antiorario tre volte sopra la testa di Giocattolo prima di allontanarsi. Aveva trovato il suo presagio. Restò vicino a Giocattolo. Non che avesse intenzione di fare altrimenti. Gli aveva dato la sua parola, giocando la partita come andava giocata, e in tutta la sua vita non era mai venuta meno alla sua parola.
Poco più di un’ora dopo la partenza, mentre un uccello trillava più avanti, Selucia indicò la prima sentinella, un uomo con una balestra su fra gli spessi rami di un’ampia quercia che aveva una mano a coppa davanti alla bocca. Non un uccello dunque. Altri richiami annunciarono il loro arrivo e presto si ritrovarono ad attraversare un accampamento ordinato. Non c’erano tende, ma le lance erano accatastate con cura, i cavalli picchettati in linee sparpagliate fra gli alberi vicino alle coperte degli uomini che li avrebbero montati, con una sella o un basto presso la testa di ciascun animale. Non ci avrebbero messo molto a smontare il campo e a mettersi in marcia. I fuochi erano piccoli ed emettevano poco fumo.
Mentre cavalcavano all’interno, uomini in corazze verde smorto con quella mano rossa sulle maniche delle giacche e sciarpe rosse legate al braccio sinistro cominciarono ad alzarsi in piedi. Tuon vide volti brizzolati con cicatrici e facce giovani e fresche, tutti con gli occhi rivolti verso Giocattolo ed espressioni che lei poteva solo definire entusiaste. Si levò un crescente mormorio di voci, frusciando tra gli alberi come una brezza.
«E lord Mat.»
«Lord Mat è tornato.»
«Lord Mat ci ha trovato.»
«Lord Mat.» Tuon scambiò occhiate con Selucia. L’affetto in quelle voci non era simulato. Era una cosa rara, e spesso si associava a un comandante che aveva una mano rilassata per la disciplina. D’altra parte, lei si aspettava che qualunque esercito di Giocattolo fosse qualcosa di raffazzonato, pieno di uomini che passavano il loro tempo a bere e a giocare d’azzardo. Solo che questi uomini non sembravano più raffazzonati di un reggimento che aveva appena attraversato una catena montuosa e aveva cavalcato per diverse centinaia di miglia. Nessuno pareva instabile per aver bevuto.
«Perlopiù ci accampiamo durante il giorno e ci muoviamo di notte per evitare di essere visti dai Seanchan» disse Talmanes a Giocattolo. «Solo perché non abbiamo visto nessuna di quelle bestie volanti, non significa che non possano essere in giro. Parecchi dei Seanchan sembrano essere più a nord o più a sud, ma a quanto pare hanno un accampamento a meno di trenta miglia a nord di qui, e circola voce che lì ci sia una di quelle creature.»
«Sembri ben informato» disse Giocattolo, esaminando i soldati che superavano. Annuì all’improvviso, come se avesse raggiunto una decisione. Pareva cupo e... poteva essere rassegnato?
«Lo sono, Mat. Ho portato metà degli esploratori e ho anche arruolato alcuni Altarani che stavano combattendo i Seanchan. Be’, molti di loro pare che si limitino a rubare cavalli, ma alcuni sono stati disposti a lasciar perdere quei semplici furti per un’opportunità di combatterli per davvero. Penso di sapere dove si trovano molti degli accampamenti seanchan dalle Gole di Malvide fino a qui.»
Tutt’a un tratto un uomo iniziò a cantare con voce profonda e altri si unirono a lui, la canzone che si diffondeva rapida.
Ma quale piacere son birra e vin e delle fanciulle dal bel visin,
ma la mia delizia per sempre infin è danzare con Jak delle ombre.
Ogni uomo nel campo stava cantando ora, migliaia di voci che si univano nei versi con un boato.
I dadi sul tavolo lancerem, fanciulle alte o basse abbraccerem
ma quando lord Mat ci chiamerà andrem a danzare con Jak delle ombre.
Terminarono con delle urla, ridendo e dandosi pacche sulla spalla a vicenda. Chi per la Luce era questo Jak delle ombre?
Arrestando il suo cavallo, Giocattolo alzò la mano che reggeva la sua strana lancia. Tutto qui, eppure il silenzio si diffuse tra i soldati. Allora non era rilassato con la disciplina. C’erano poche ragioni perché dei soldati fossero affezionati ai loro ufficiali, ma era improbabile che le più comuni si potessero applicare proprio a Giocattolo.
«Non facciamogli sapere che siamo qui finché non saremo noi a volere che lo sappiano» disse Giocattolo a gran voce. Non stava tenendo un discorso, solo assicurandosi che la sua voce fosse udita. E gli uomini la udivano, ripetendo le sue parole sopra le loro spalle affinché fossero riportate agli uomini che si trovavano oltre la portata della sua voce. «Siamo molto distanti da casa, ma è lì che intendo farci tornare. Perciò state pronti a muovervi, e a muovervi rapidamente. La Banda della Mano Rossa può spostarsi più rapida di chiunque altro, e noi dovremo dimostrarlo.» Non ci fu alcuna acclamazione, ma parecchi cenni di assenso. Voltandosi verso Talmanes, disse: «Hai delle mappe?»
«Le migliori che si possono trovare» rispose Talmanes. «La Banda ha il proprio cartografo, ora. Mastro Roidelle aveva già ottime mappe di tutto dall’Oceano Aryth fino alla Dorsale del Mondo, e da quando abbiamo attraversato i Damona, lui e i suoi assistenti hanno disegnato nuove mappe del paese che abbiamo attraversato. Hanno perfino compilato una mappa dell’Altara orientale con quello che abbiamo appreso dei Seanchan. Parecchi di quegli accampamenti sono temporanei, però. Soldati diretti da qualche altra parte.»
Selucia si spostò sulla sua sella e Tuon le foce cenno Pazienza in alta forma imperativa, un comando. Mantenne il suo volto impassibile, ma dentro di sé era furiosa. Sapere dove si trovavano i soldati forniva indizi su dove andavano. Doveva esserci qualche modo per bruciare quella mappa. Quello sarebbe stato altrettanto importante quanto mettere le mani su una di quelle manovelle da balestra.
«Vorrò parlare anche con mastro Roidelle» disse Giocattolo.
Alcuni soldati vennero a prendere i cavalli e per un po’ tutto sembrò calca e confusione. Un tizio sdentato prese le redini di Akein e Tuon gli diede esplicite istruzioni su come accudire la giumenta. Lui rispose con un’occhiata stizzita assieme al suo inchino. I comuni cittadini in quelle terre parevano credersi uguali a chiunque. Selucia diede lo stesso tipo di istruzioni al giovane uomo dinoccolato che prese Bocciolo di rosa. Tuon pensava che fosse un nome appropriato per il cavallo di una cameriera. Il giovane fissò il petto di Selucia finché lei lo schiaffeggiò. Lui si limitò a sogghignare e condurre via il bruno grigiastro sfregandosi la guancia. Tuon sospirò. Quello era appropriato per Selucia, ma per lei colpire un comune cittadino l’avrebbe costretta ad abbassare gli occhi per mesi.
Molto presto, però, si ritrovò su uno sgabello pieghevole con Selucia alle sue spalle, e il corpulento Lopin offrì loro delle tazze di stagno piene di té scuro, inchinandosi in modo piuttosto corretto a Selucia così come a lei. Non un inchino abbastanza profondo, ma l’uomo dall’incipiente calvizie ci provò. Il suo té era addolcito col miele quasi alla perfezione, d’altro canto lui gliel’aveva offerto abbastanza spesso da sapere come le piaceva. Attorno a loro tutto fremeva di attività. Talmanes ebbe una breve rimpatriata col brizzolato Nerim, che a quanto pareva era il suo servitore ed era felice di essere di nuovo con lui. Perlomeno l’espressione dell’uomo magro di solito luttuosa fece guizzare per davvero un sorriso momentaneo. Il genere di cose che sarebbero dovute avvenire in privato. Leilwin e Domon permisero a mastro Charin di portare Olver a esplorare il campo con Juilin e Thera andarono anche Thom e Aludra, per sgranchirsi le gambe — mentre loro si accomodarono senza fretta su alcuni sgabelli lì vicino. Leilwin si spinse addirittura fino a fissare Tuon senza sbattere le palpebre per un lungo istante. Selucia emise un suono basso molto simile a un ringhio, ma Tuon ignorò la provocazione e fece un gesto a comare Anan perché portasse lo sgabello dov’era seduta vicino al suo. Prima o poi i traditori sarebbero stati puniti, così come il ladro, la proprietà restituita ai legittimi proprietari e le marath’damane messe al guinzaglio, ma quelle cose dovevano aspettare: ve n’erano altre più importanti.
Comparvero altri tre ufficiali, giovani nobili con quella mano rossa sulle loro giacche di seta scura ed ebbero la propria rimpatriata con Giocattolo, con un bel po’ di risate e corpetti sulla spalla, cosa che loro parevano prendere come un segno di affetto. In poco tempo riuscì a distinguerli. Edorion era l’uomo magro e scuro con l’espressione seria tranne quando sorrideva, Reimon era il tizio dalle spalle ampie che sorrideva fin troppo e Carlomin quello alto e snello. Edorion era rasato, mentre Reimon e Carlomin avevano entrambi barbe scure modellate a punta e luccicanti come se oliate. Tutti e tre si profusero in profondi inchini per le Aes Sedai. Si inchinarono perfino a Bethamin e Seta! Tuon scosse il capo.
«Ti ho detto piuttosto spesso che è un mondo diverso da quello a cui sei abituata,» mormorò comare Anan «ma non riesci ancora a crederci, vero?»
«Solo perché una cosa è in un certo modo» ribatte Tuon «non significa che dovrebbe essere così, perfino se lo è stata per molto tempo.»
«Alcuni potrebbero dire lo stesso del tuo popolo, mia signora.»
«Alcuni potrebbero.» Tuon lasciò cadere lì la questione, anche se di solito gradiva le sue conversazioni private con quella donna. Comare Anan obiettava contro il mettere al guinzaglio le marath’damane, come ci si poteva aspettare, e perfino contro il tenere dei da’covale, addirittura, eppure quelle erano discussioni piuttosto che litigi, e Tuon l’aveva indotta a cedere su alcuni punti. Aveva la speranza di far cambiare idea a quella donna, prima o poi. Non quel giorno, però. Voleva la sua mente concentrata su Giocattolo.
Comparve mastro Roidelle, un uomo brizzolato dal volto tondo, la cui mole gli tendeva la giacca scura, seguito da sei giovani uomini dall’aspetto aitante, ciascuno che portava una lunga custodia cilindrica in pelle. «Ho portato tutte le mappe dell’Altara che ho, mio signore» disse a Talmanes con un accento musicale inchinandosi. In quelle terre tutti parlavano come se avessero fretta di far uscire le parole? «Alcune coprono l’intero paese, altre non più di cento miglia quadrate. Le migliori sono le mie, naturalmente, quelle che ho fatto nelle passate settimane.»
«Lord Mat vi dirà cosa vuole vedere» disse Talmanes. «Vuoi pensarci tu, Mat?»
Ma Giocattolo stava già dicendo al cartografo quello che voleva: la mappa contrassegnata con gli accampamenti seanchan. In breve venne selezionata dalle altre in una delle custodie e spiegata sul terreno con Giocattolo acquattato lì accanto. Mastro Roidelle mandò uno dei suoi assistenti a prendergli uno sgabello. Se avesse cercato di imitare Giocattolo, la giacca gli sarebbe scoppiata e probabilmente sarebbe anche finito per terra. Tuon fissò la mappa con sguardo avido. Come metterci le mani sopra?
Scambiando occhiate e ridendo come se essere snobbati fosse la cosa più divertente al mondo, Talmanes e gli altri tre uomini si diressero verso Tuon. Le Aes Sedai si radunarono attorno alla mappa sul terreno finché Giocattolo non disse loro di smettere di scrutare da sopra la sua spalla. Quelle si spostarono un poco, con Bethamin e Seta che le tallonavano dalla distanza, e iniziarono a parlare piano fra loro. Se Giocattolo avesse prestato qualche attenzione alle loro espressioni, specialmente quella di Joline, si sarebbe potuto preoccupare nonostante l’incredibile ter’angreal che comare Anan aveva detto che portava su di sé.
«Noi siamo più o meno qui, giusto?» disse lui, indicando un punto col dito. Mastro Roidelle mormorò che era così. «Dunque questo è il campo dove dovrebbe trovarsi il raken? La bestia volante?» Un altro mormorio di assenso. «Bene. Che genere di accampamento è? Quanti uomini ci sono?»
«A quanto pare si tratta di un campo di rifornimenti, mio signore, per approvvigionare di nuovo le pattuglie.» Il giovane tornò con un altro sgabello pieghevole e l’uomo corpulento vi si accomodò con un grugnito. «Circa un centinaio di soldati, sembra, perlopiù Altarani, e circa duecento operai, ma mi è stato detto che a volle possono esserci altri cinquecento soldati.» Un uomo cauto, mastro Roidelle.
Talmanes fece uno di quegli strani inchini, con un piede in avanti, e gli altri tre lo imitarono. «Mia signora,» disse Talmanes «Vanin mi ha informato della tua situazione e delle promesse che ti ha fatto lord Mat. Voglio solo dirti che lui è un uomo di parola.»
«Lo è, mia signora» mormorò Edorion. «Sempre.» Tuon gli fece cenno di farsi da parte in modo da poter continuare a osservare Giocattolo e lui lo fece con un’occhiata sorpresa verso Giocattolo e un’altra per lei. Tuon gli rivolse uno sguardo severo. L’ultima cosa che voleva era che questi uomini iniziassero a immaginare delle cose. Non tutto era ancora accaduto come doveva. C’era ancora una possibilità che tutto quanto potesse andare storto.
«È un lord o no?» domandò.
«Perdonami,» disse Talmanes «ma potresti ripeterlo? Le mie scuse. Devo avere dello sporco nelle orecchie.» Lei si ripete con attenzione, ma a loro ci volle ancora un minuto per decifrare quello che aveva detto.
«Che io sia folgorato, no» disse Reimon infine con una risata. Si accarezzò la barba. «Tranne per noi. È abbastanza lord per noi.»
«Perlopiù lui disprezza i nobili» disse Carlomin. «lo ritengo un onore essere fra i pochi che non disprezza.»
«Un onore» convenne Reimon. Edorion si accontentò di annuire.
«I soldati, mastro Roidelle» disse Giocattolo con fermezza. «Mostrami dove sono i soldati. E più di poche centinaia.»
«Cosa sta facendo?» chiese Tuon accigliandosi. «Non può pensare di far uscire di nascosto così tanti uomini dall’Altara perfino se conosco la loro posizione fino all’ultimo soldato. Ci sono sempre delle pattuglie e ricognizioni dei raken.» Di nuovo se la presero comoda prima di rispondere. Forse avrebbe dovuto provare a parlare molto in fretta.
«Non abbiamo visto nessuna pattuglia in più di trecento miglia e nessun... raken?... nessun raken» disse Edorion piano. La stava scrutando, era troppo tardi perché smettesse di immaginare.
Reimon rise di nuovo. «Se conosco Mat, ci sta pianificando una battaglia. La Banda della Mano Rossa cavalca di nuovo in battaglia. È passato troppo tempo, se vuoi il mio parere.»
Selucia tirò su col naso e così fece comare Anan. Tuon dovette essere d’accordo con loro. «Una battaglia non vi farà uscire dall’Altara» disse bruscamente.
«In tal caso» replicò Talmanes «ci sta pianificando una guerra.» Gli altri tre annuirono come se fosse la cosa più normale sotto la Luce. Reimon rise perfino. Pareva ritenerlo divertente.
«Tremila?» disse Giocattolo. «Ne sei sicuro? » «Abbastanza sicuro, amico.» «Abbastanza sicuro basterà. Vanin può individuarli se non si sono allontanati troppo.» Tuon lo guardò, acquattato lì presso la mappa, che muoveva le dita sulla sua superficie, e all’improvviso lo vide in una nuova luce. Un buffone? No. Un leone ficcato in una scuderia per cavalli poteva sembrare uno scherzo divertente, ma un leone sugli altipiani era qualcosa di molto diverso. Giocattolo era libero per gli altipiani, ora. Tuon fu percorsa da un brivido. Con che genere d’uomo era rimasta immischiata? Dopo tutto quel tempo si rese conto di non averne il minimo indizio.
La notte era abbastanza fresca da mandare un piccolo brivido attraverso Perrin ogni volta che la brezza spirava malgrado il suo mantello foderato di pelliccia. Un alone attorno alla grossa falce di luna diceva che ci sarebbe stata altra pioggia a breve. Spesse nubi che scorrevano davanti alla luna offuscavano la pallida luce e poi la rafforzavano, offuscavano e rafforzavano, tuttavia era sufficiente per i suoi occhi. Era in sella a Stepper appena all’interno del limitare degli alberi e osservava il capannello di quattro alti mulini di pietra grigia in una radura in cima al rilievo, le loro pale pallide che scintillavano e si facevano ombra a turno nel ruotare. I macchinari dei mulini cigolavano forte. Pareva improbabile che gli Shaido sapessero che quei meccanismi andavano oliati. L’acquedotto di pietra era una barra scura che si estendeva a est su arcate di pietra oltre fattorie abbandonate e campi recintati — gli Shaido avevano seminato, troppo presto con così tanta pioggia — verso un altro rilievo e il lago al di là. Malden giaceva solo un’altra sporgenza a ovest. Perrin allentò il pesante martello nell’anello alla sua cintura. Malden e Faile. Entro poche ore avrebbe aggiunto un cinquantaquattresimo nodo alla corda di cuoio nella sua tasca.
Proiettò la sua mente all’esterno. Sei pronto, Alba Nevosa? pensò. Sei abbastanza vicino? I lupi evitavano le città, e con le compagnie di caccia degli Shaido nella foresta circostante durante il giorno, restavano più lontano da Malden del solito.
Pazienza, Giovane Toro, la risposta provenne con una punta di irritazione. D’altra parte, Alba Nevosa era irascibile di natura, un maschio sfregiato di età considerevole per un lupo che una volta aveva ucciso un leopardo tutto da solo. Quelle vecchie ferite a volte gli impedivano di dormire stando steso per molto. Due giorni da ora, hai detto. Saremo lì. Ora lasciami cercare di dormire. Dobbiamo cacciare bene domani, dal momento che non possiamo cacciare il giorno dopo. Erano immagini e odori piuttosto che parole, naturalmente — ‘due giorni’ era il sole che attraversava il cielo due volte e ‘caccia’ un branco che trotterellava con i musi rivolti alla brezza frammista all’odore di cervo — , ma la mente di Perrin converti le immagini in parole mentre le vedeva nella sua testa. Pazienza. Sì. La fretta rovinava il lavoro. Ma era difficile ora che era così vicino. Molto difficile. Sulla soglia scura alla base del mulino più vicino comparve una forma scura e agitò una lancia aiel avanti e indietro sopra la sua testa. Quei cigolii lo avevano convinto che i mulini dovevano essere ancora deserti — lo erano stati quando le Fanciulle li avevano esplorati prima e nessuno avrebbe potuto sopportare quel rumore più di quanto avevano dovuto fare loro — ma aveva mandato Cani e alcune delle Fanciulle per esserne certo in un modo o nell’altro.
«Andiamo, Mishima» disse, raccogliendo le sue redini. «Ti fatta.» In un modo o nell’altro.
«Come riesci a distinguere qualcosa?» borbottò il Seanchan. Evitava di guardare Perrin, i cui occhi dorati scintillavano nella notte. Era una cosa che aveva fatto sobbalzare l’uomo la prima volta che li aveva visti. Non odorava divertito quella notte. Odorava teso. Ma chiamò piano sopra la spalla.
«Portate avanti i carretti. Presto, ora. Presto. E fate silenzio, o vi farò tagliare le orecchie!»
Perrin spronò in avanti il suo stallone bruno grigiastro senza aspettare gli altri o i sei carretti a ruote alte. I loro assi lubrificati a dovere li rendevano silenziosi quanto più potevano esserlo. A lui sembravano ancora rumorosi, con gli zoccoli dei cavalli che li trainavano che sciaguattavano nel fango e i carretti stessi che cigolavano mentre il legno si fletteva e sfregava, ma dubitava che chiunque altro avrebbe potuto udirli a cinquanta passi di distanza, e forse nemmeno più da vicino. Alla sommità del gentile pendio, Perrin smontò e lasciò cadere le redini di Stepper. Un cavallo da guerra addestrato, lo stallone sarebbe rimasto lì come impastoiato finché le sue redini fossero restate a penzolare. Le pale del mulino cigolarono, ruotando lievemente al mutare della brezza. I bracci che si muovevano lenti erano tanto lunghi che Perrin ne avrebbe potuto toccare uno saltando quando arrivava basso. Fissò verso l’ultima sporgenza che nascondeva Malden. Lì non cresceva nulla più alto di un cespuglio. Niente si muoveva nell’oscurità. Solo una sporgenza tra lui e Faile. Le Fanciulle erano uscite per unirsi a Gaul, tutti quanti ancora velati.
«Non c’era nessuno» disse Gaul, non a bassa voce. Da così vicino il cigolio degli ingranaggi dei mulini avrebbe sovrastato delle parole sommesse.
«La polvere non è stata disturbata dall’ultima volta che sono stata qui» aggiunse Sulin.
Perrin si grattò la barba. Meglio così. Se avessero dovuto uccidere degli Shaido, avrebbero potuto portare via i corpi, ma qualcuno si sarebbe potuto accorgerò della loro mancanza e quello avrebbe attirato l’attenzione sui mulini e sull’acquedotto. Avrebbe potuto far sì che qualcuno si interrogasse sull’acqua.
«Aiutami a togliere i coperchi, Gaul.» Non c’era bisogno che lui lo facesse. Quello avrebbe permesso di risparmiare solo pochi minuti, ma aveva bisogno di fare qualcosa. Gaul si limitò a infilare la sua lancia assieme alle altre attraverso l’imbracatura che tratteneva sulla schiena la custodia del suo arco.
L’acquedotto correva lungo il terreno sulla cima dell’altura, tra quattro dei mulini, e arrivava all’altezza della spalla di Perrin, meno per Gaul, che vi si arrampicò. Appena oltre l’ultimo paio di mulini, maniglie di bronzo da entrambi i lati permisero loro di sollevare pesanti pezzi di pietra ampi due piedi e lunghi cinque fino a liberare un tratto di sei piedi. Perrin non sapeva a cosa servisse quell’apertura. Ce n’era un’altra simile dal lato opposto. Forse per lavorare sui lembi che si assicuravano che l’acqua scorresse in una sola direzione, oppure per entrarci a riparare delle perdite. Riuscì a scorgere piccole increspature di movimento mentre l’acqua scorreva verso Malden, riempiendo più della metà del canale di pietra.
Mishima si unì a loro e smontò per mettersi a squadrare con aria incerta Sulin e le Fanciulle. Probabilmente credeva che la notte nascondesse la sua espressione. Ora odorava cauto. Rapidamente fu seguito dalla prima dei soldati seanchan in giubba rossa che si stavano inerpicando su per il pendio fangoso, ciascuno portando due sacchi di iuta di medie dimensioni. Medie, ma non pesanti. Ciascuno conteneva solo dieci libbre. Scrutando gli Aiel con sospetto, la donna magra appoggiò a terra i suoi sacchi e ne lacerò uno col suo pugnale. Una manciata di fini granelli scuri si riversò sul terreno fangoso.
«Fatelo sopra l’apertura» disse Perrin. «Assicuratevi che ogni granello finisca nell’acqua.»
La donna magra guardò verso Mishima, il quale disse con fermezza. «Fa’ come ordina lord Perrin, Arcata.»
Perrin la osservò mentre svuotava il sacco dentro l’acquedotto, con le mani sollevate sopra la testa. I granelli scuri galleggiarono via verso Malden. Lui ne aveva messo un pizzico dentro una tazza d’acqua, detestando sprecare perfino quel poco, e c’era voluto qualche tempo prima che assorbissero abbastanza acqua da affondare. Abbastanza da raggiungere la grande cisterna nella città, sperava. E in caso contrario potevano precipitare nell’acquedotto stesso. La cisterna si sarebbe tramutata comunque in te di radice biforcuta, prima o poi. Volesse la Luce che fosse forte abbastanza. Con un po’ di fortuna, perfino tanto forte da influenzare gli algai’d’siswai. Le Sapienti che potevano incanalare erano il suo bersaglio, ma avrebbe preso ogni vantaggio che poteva ottenere. Volesse la Luce che non diventasse forte prima di quanto lui si aspettava. Se quelle Sapienti avessero cominciato a barcollare troppo presto, avrebbero potuto dedurne la causa prima che lui fosse pronto. Ma tutto quello che poteva fare era andare avanti come se lo sapesse con esattezza. Quello e pregare.
Per quando il secondo sacco stava venendo versato nel canale di pietra, gli altri iniziarono ad assieparsi su per il pendio. Prima giunse Seonid, una donna bassa che teneva le sue scure gonne divise sollevate dal fango. Spostando la sua attenzione dalle Fanciulle a lei, Mishima fece uno di quei piccoli gesti per tenere lontano il male. Strano che potessero credere che una cosa del genere funzionasse. I soldati allineati con i loro sacchi la fissarono, sgranando gli occhi per la maggior parte, e si agitarono sui piedi. I Seanchan non erano affatto a loro agio nel lavorare con delle Aes Sedai. I suoi Custodi, Furen e Teryl, la seguivano da presso, ciascuno con una mano appoggiata sull’elsa della spada. Anche loro provavano lo stesso disagio verso i Seanchan. Uno era scuro con del grigio che striava i suoi ricci capelli neri, l’altro dalla carnagione chiara e giovane, con baffi arricciati, tuttavia erano simili come piselli di un baccello, alti, magri e duri. Rovair Kirklin giunse un poco dietro di loro, un uomo compatto con capelli scuri che si andavano diradando e un’espressione cupa. Non gli piaceva essere separato da Masuri. Tutti e tre gli uomini avevano fagotti simili contenenti cibo assicurati sulla schiena e otri gonfi che pendevano dalle loro spalle. Un uomo dinoccolato appoggiò i suoi sacchi dal lato dell’apertura mentre la donna magra tornava già lungo il pendio per prenderne altri. Sui carretti ce n’erano alte pile.
«Ricorda,» disse Perrin a Seonid «il pericolo maggiore sarà andare dalla cisterna alla fortezza. Dovrai usare il camminamento sulle mura, e perfino a quest’ora potrebbero esserci degli Shaido nella città.» Alyse era sembrata incerta su questo. Un tuono rimbombò cupo in lontananza, poi di nuovo. «Forse avrai la pioggia a nasconderti.»
«Grazie» ribatté lei in tono gelido. Il suo volto ombreggiato dalla luna era una maschera di serenità da Aes Sedai, ma il suo odore aveva una forte punta di indignazione. «Non avrei saputo niente di tutto questo se non me l’avessi detto tu.» Il momento successivo la sua espressione si attenuò e gli appoggiò una mano sul braccio. «So che sei preoccupato per lei. Faremo quello che può essere fatto.» Il suo tono non era esattamente caldo — non lo era mai —, ma non così gelido quanto prima, e il suo odore si era addolcito dalla compassione.
Teryl la sollevò sul bordo dell’acquedotto — il Seanchan che vi stava svuotando la radice biforcuta, un tizio alto con quasi altrettante cicatrici di Mishima, quasi lasciò cadere il suo sacco — e lei fece una debole smorfia prima di far volteggiare le sue gambe dall’altra parte e abbassarsi nell’acqua con un piccolo rantolo. Doveva essere fredda. Abbassando la testa, si mosse fuori vista verso Malden. Furen si arrampicò dietro di lei, poi Teryl e infine Rovair. Dovettero piegarsi per bene per entrare sotto il tetto dell’acquedotto.
Elyas diede una pacca sulla spalla a Perrin prima di issarsi su. «Mi sarei dovuto tagliare la barba corta come la tua per tenerla fuori dall’acqua» disse fissandola. Quella barba grigia, scompigliata dalla brezza, gli ricopriva il petto. Se era per quello, i suoi capelli, raccolti sulla nuca con una corda di cuoio, gli pendevano fino in vita. Portava un piccolo fagotto di cibo e anche un otre. «Tuttavia, un bagno freddo aiuta un uomo a tenere la mente lontana dai guai.»
«Pensavo che fosse per tenerla lontana dalle donne» disse Perrin. Non era dell’umore di scherzare, ma non poteva aspettarsi che tutti fossero cupi quanto lui.
Elyas rise. «Cos’altro può causare guai a un uomo?» Scomparve nell’acqua e Tallanvor prese il suo posto.
Perrin gli afferrò la scura manica della giacca. «Niente eroismi, bada bene.» Aveva avuto pensieri contrastanti sul lasciare che quell’uomo partecipasse a quello.
«Niente eroismi, mio signore» acconsentì Tallanvor. Per la prima volta da lungo tempo, pareva impaziente. Il suo odore fremeva di impazienza. Ma in esso c’era anche una punta di cautela. Quella cautela era l’unica ragione per cui non era rimasto nel loro accampamento. «Non metterò a rischio Maighdin. O lady Faile. Voglio solo vedere Maighdin molto prima.»
Perrin annuì e lo lasciò andare. Poteva capirlo. Anche parte di lui voleva arrampicarsi in quell’acquedotto. Per vedere Faile mollo prima. Ma ogni parte del lavoro doveva essere fatta a dovere e lui aveva altri compiti. Inoltre, se lui fosse stato davvero dentro Malden, non era certo di potersi trattenere dal cercare di trovarla. Non riusciva ad avvertire il proprio odore, ovviamente, ma dubitava che in esso ci fosse della cautela ora. Le pale del mulino ruotarono di nuovo con forti cigolii mentre il vento cambiava direzione. Perlomeno non sembrava mai cessare lì. Qualunque interruzione del flusso d’acqua sarebbe stata disastrosa.
La sommità della sporgenza stava diventando affollata ora. Venti dei seguaci di Faile stavano attendendo il loro turno presso l’acquedotto, tutti quelli che rimanevano tranne i due che stavano spiando Masema. Le donne indossavano giacche e brache da uomo e avevano i capelli tagliati corti tranne per una coda dietro a imitazione degli Aiel, anche se nessun Aiel avrebbe portato una spada come facevano loro. Molti dei Tarenesi si erano rasati la barba perché gli Aiel non la portavano. Dietro di loro cinquanta uomini dei Fiumi Gemelli recavano alabarde e archi senza corda, queste ultime riposte al sicuro all’interno delle loro giacche, e ciascuno aveva tre faretre stracolme legate sulla schiena assieme a un pacco di cibo. Ogni uomo nell’accampamento si era offerto volontario per quello e Perrin aveva dovuto fare in modo che estraessero le pagliuzze. Aveva preso in considerazione di inviare un numero doppio o anche più. Seguaci di Faile e uomini dei Fiumi Gemelli avevano i propri otri e involti di cibo. Il flusso costante di soldati seanchan continuò, portando sacchi pieni su per il pendio e giù sacchi vuoti. Filano disciplinati. Quando un uomo scivolava nel fango e cadeva, cosa che accadeva con qualche regolarità, non c’erano imprecazioni o nemmeno borbottii. Si limitavano a rialzarsi e andare avanti.
Selande Darengil, con indosso una giacca scura con sei strisce di colore orizzontali lungo il petto, si fermò per porgere la mano a Perrin. Gli arrivava solo fino al petto, ma Elyas affermava che maneggiava la spada che portava al fianco in modo credibile. Perrin non pensava più che lei e gli altri fossero sciocchi — be’, non sempre — malgrado i loro tentativi per copiare le usanze degli Aiel. Con delle differenze, naturalmente. La coda di capelli scuri sulla nuca di Selande era legata con un tratto di nastro scuro. Non c’era paura nel suo odore, solo determinazione. «Grazie per averci permesso di essere parte di questo, mio signore» disse in quel preciso accento cairhienese. «Non ti deluderemo. Né deluderemo lady Faile.»
«So che non lo farete» disse, stringendole la mano. C’era stato un tempo in cui Selande aveva messo in chiaro che serviva Faile, non lui. Perrin strinse la mano di ognuno di loro prima che si arrampicassero nell’acquedotto. Odoravano tutti determinati. Così come Ban al’Seen, che comandava gli uomini dei Fiumi Gemelli che sarebbero andati dentro Malden.
«Quando Faile e gli altri giungeranno, blocca le porte esterne, Ban.» Perrin gliel’aveva detto prima, ma non riuscì a fare a meno di ripetersi. «Poi vedi se riesci a riportarli su per l’acquedotto.» Quella fortezza non aveva mantenuto fuori gli Shaido la prima volta e, se qualcosa fosse andato storto, Perrin dubitava che l’avrebbe fatto anche stavolta. Non aveva intenzione di venir meno al suo accordo con i Seanchan — gli Shaido l’avrebbero pagata per quello che avevano fatto a Faile, e inoltre non poteva lasciarseli indietro a continuare a razziare la campagna — , ma voleva che lei fosse portata al sicuro al più presto possibile.
Ban puntellò il bastone del suo arco e l’alabarda contro l’acquedotto e si issò su per allungare una mano dentro, verso il basso. Quando tornò a terra, si asciugò la mano umida sulla giacca poi si sfregò il lato sul suo naso pronunciato. «Sotto l’acqua c’è una patina di qualcosa che sembra melma di stagno. Sarà già abbastanza difficile scendere per quell’ultimo pendio senza scivolare giù, lord Perrin, tantomeno cercare di arrampicarcisi di nuovo. Suppongo che la cosa migliore sia aspettare dentro la fortezza finché non ci raggiungerai.»
Perrin sospirò. Aveva pensato a mandare delle corde, ma ne sarebbero occorse quasi due miglia per coprire quell’ultimo declivio, fin troppo da trasportare, e se gli Shaido ne avessero notato l’altro capo dove l’acquedotto terminava dentro Malden, avrebbero perlustrato ogni angoletto nella città. Un piccolo rischio, forse, eppure l’amara perdita che ne poteva risultare lo faceva sembrare enorme.
«Sarò lì più veloce che posso, Ban. Te lo prometto.»
Strinse le mani anche a ognuno di loro, Tod al’Caar dalla mascella a lanterna e Leof Torfinn, con una striscia bianca fra i capelli dove correva una cicatrice, infertagli dai Trolloc. Il giovane Kenly Marein, che stava provando con forza a farsi crescere ancora la barba senza successo, e Bili Adarr, che era largo quasi quanto Perrin anche se più basso di un palmo. Bili era un suo distante cugino e uno dei familiari più stretti ancora in vita di Perrin. Era cresciuto con molti di questi uomini, anche se alcuni erano di qualche anno più vecchi di lui. Ce n’erano anche alcuni di qualche anno più giovani. Oramai conosceva uomini giù fino a Deven Ride e su fino a Watch Hill come quelli dai dintorni di Emond’s Field. Non era Faile l’unica ragione per raggiungere quella fortezza più veloce che poteva.
Had al’Lora, un tizio magro con folti baffi come un Tarabonese, fu l’ultimo degli uomini dei Fiumi Gemelli. Mentre si arrampicava dentro l’acquedotto, comparve Gaul, con la faccia ancora velata e quattro lance strette nella mano che teneva il suo scudo di pelle di toro. Mise una mano sul bordo dell’acquedotto e balzò su per mettersi a sedere sulla cimasa di pietra.
«Vai dentro?» domandò Perrin sorpreso.
«Le Fanciulle possono effettuare tutte le perlustrazioni di cui hai bisogno, Perrin Aybara.» Il grosso Aiel lanciò un’occhiata sopra la spalla verso le Fanciulle. A Perrin quello sguardo parve torvo, anche se era difficile esserne certi per via del velo nero che gli nascondeva tutto tranne gli occhi.
«Le ho sentite parlare quando pensavano che non stessi ascoltando. A differenza di tua moglie e degli altri, Chiad è correttamente gai’shain. Anche Bain, ma non mi importa nulla di lei. Chiad ha ancora il resto del suo anno e un giorno da servire dopo che l’avremo liberala. Quando un uomo ha una donna come gai’shain, oppure una donna un uomo, a volte viene fatta una ghirlanda nuziale non appena il bianco viene messo da parte. Non è infrequente. Ma ho sentilo le Fanciulle dire che volevano raggiungere Chiad per prime, per tenerla lontana da me.» Dietro di lui, le dita di Sulin guizzarono nel linguaggio delle mani delle Fanciullo, e una delle altre si portò una mano alla bocca come per soffocare una risata. Allora lo avevano spronato. Forse non erano così contrarie al suo corteggiamento di Chiad come fingevano. O forse c’era qualcosa che a Perrin sfuggiva. L’umorismo aiel poteva essere rozzo.
Gaul scivolò in acqua. Dovette piegarsi quasi parallelo alla superficie per passare sotto la sommità dell’acquedotto. Perrin fissò l’apertura. Sarebbe stato così semplice seguire Gaul. Voltare le spalle fu difficile. La linea di soldati seanchan serpeggiava ancora su e giù per il pendio.
«Mishima, torno al mio accampamento. Grady porterà te al tuo quando avrete finito qui. Fate il possibile per cancellare le tracce prima di andare.»
«Molto bene, mio signore. Ho mandato alcuni uomini a raschiare via un po’ di grasso dagli assali per lubrificare questi mulini. Dal suono pare che possano bloccarsi da un minuto all’altro. Possiamo farlo anche a quelli sulla sporgenza più lontana.»
Prendendo le redini di Stepper, Perrin alzò lo sguardo verso le pale che giravano lente. Lente ma costanti. Non erano mai state fatte per ruotare veloci. «E se qualche Shaido decidesse di venire quassù domani e si domandasse da dove è venuto il grasso?»
Mishima lo osservò per un lungo istante, il suo volto seminascosto dalle ombre proiettale dalla luna. Per una volta, non parve turbato dai suoi scintillanti occhi gialli. Il suo odore... Pareva come se avesse visto qualcosa di inatteso. «Il generale di stendardo aveva ragione su di te» disse lentamente.
«Cos’ha detto?»
«Dovrai chiederlo a lei, mio signore.»
Perrin cavalcò giù per il pendio e fino agli alberi, pensando quanto sarebbe stato facile tornare indietro. Gallenne si sarebbe potuto occupare di ogni cosa da quel punto in poi. Era tutto predisposto. Tranne che i Mayenesi credevano che ogni battaglia culminasse con una grandiosa carica di cavalleria. E preferibilmente cominciasse anche così. Fino a che punto avrebbe aderito al piano? Arganda era più assennato, ma era così in ansia per la regina Alliandre che anche lui avrebbe potuto ordinare per davvero quella carica. Questo lasciava solo lui. La brezza spirò forte e Perrin raccolse il mantello attorno a sé.
Grady, con i gomiti sulle ginocchia, era in una piccola radura seduto su una pietra muscosa semilavorata parzialmente affondata nel terreno, senza dubbio un rimasuglio della costruzione dell’acquedotto. Poche altre come quella si trovavano lì attorno. La brezza impediva a Perrin di percepire il suo odore. Lui non alzò gli occhi finché Perrin non arrestò Stepper lì davanti. Il passaggio che avevano usato per arrivare lì era ancora aperto, mostrando un’altra radura tra alti alberi, non distante da dove i Seanchan erano ora accampati. Sarebbe stato più semplice farli disporre vicino al campo di Perrin, ma lui voleva mantenere Aes Sedai e Sapienti il più lontano possibile da sul’dam e damane. Non temeva che i Seanchan avrebbero infranto la parola di Tylee, ma le Aes Sedai e le Sapienti si irritavano solo a pensare alle damane. Probabilmente a quell’ora le Sapienti e Annoura sarebbero rimaste calme, per il momento. Probabilmente. Perrin non era così sicuro di Masuri. In parecchi sensi. Meglio mantenere fra loro un po’ di leghe per quanto era possibile.
«Va tutto bene, Grady?» Il volto segnato dalle intemperie dell’uomo pareva avere nuove rughe. Poteva essere un inganno delle ombre proiettate dagli alberi alla luce della luna, ma Perrin pensava di no. I carretti erano passati con facilità attraverso il passaggio, ma era forse un po’ più piccolo del primo che aveva visto fare a Grady?
«Sono solo un po’ stanco, mio signore» disse Grady in tono esausto. Rimase seduto con i gomiti sulle ginocchia. «Tutto questo Viaggiare che abbiamo fatto dì recente... Be’, non avrei potuto mantenere aperto il passaggio per il tempo sufficiente a farvi passare tutti quei soldati ieri. Ecco perché ho preso l’abitudine di legarli.»
Perrin annuì. Entrambi, gli Asha’man erano stanchi. Incanalare sottraeva a un uomo tante energie quanto vibrare un martello tutto il giorno alla forgia. Ancora di più, in verità. Un uomo col martello poteva continuare a lavorare molto più a lungo di qualunque Asha’man. Quello era il motivo per cui era l’acquedotto la strada dentro Malden e non un passaggio, il perché non ci sarebbe stato alcun passaggio a portar fuori Faile e gli altri, per quanto Perrin lo desiderasse. Ai due Asha’man parevano restare poche forze prima di dover riposare, e quel poco doveva essere usato dov’era più necessario.
Per la Luce, quello era uri pensiero duro. Solo che se Grady o Neald avessero aperto un passaggio in meno del necessario, parecchi uomini sarebbero morti. Una decisione difficile.
«Avrò bisogno di te e di Neald dopodomani.» Era come dire che aveva bisogno dell’aria. Senza gli Asha’man, tutto diventava impossibile. «Sarete uomini indaffarati.» Quello sì che era minimizzare.
«Indaffarati come un uomo con un solo braccio che intonaca un soffitto, mio signore.»
«Te la senti?»
«Devo, mio signore, non è così?»
Perrin annuì di nuovo. Bisognava fare quello che andava fatto. «Rimandami al nostro accampamento. Dopo che avrai fatto tornare Mishima e i suoi al loro, tu e le Fanciulle potrete dormire lì, se preferite.» Quello avrebbe risparmiato un poco Grady per quello che avrebbe dovuto fare dopo due giorni.
«Non so le Fanciulle, mio signore, ma io preferirei tornare a casa stanotte.» Voltò la testa per guardare il passaggio senza alzarsi, ed esso si ridusse al contrario di come si era aperto, con la visuale attraverso che parve ruotare mentre si restringeva, terminando con una sferzata verticale di luce azzurro-argentea che lasciò una debole sbarra violacea nella visuale di Perrin quando si estinse.
«Quelle damane mi fanno accapponare la pelle. Non vogliono essere libere.»
«Come lo sai?»
«Ho parlato con alcune di loro quando nessuna delle sul’dam era nei paraggi. Non appena ho toccato l’argomento che forse avrebbero preferito stare senza quei guinzagli, giusto un accenno, hanno cominciato a urlare per chiamare le sul’dam. Le damane piangevano e le sul’dam le coccolavano, le accarezzavano e mi scoccavano occhiate omicide. Mi ha fatto accapponare la pelle.»
Stepper percosse il terreno con uno zoccolo impaziente e Perrin gli diede una pacca sul collo. Grady era fortunato che quelle sul’dam l’avessero lasciato andare con tutta la pelle. «Qualunque cosa accada con le damane, Grady, non sarà questa settimana o la prossima, e non saremo noi a mettere le cose a posto. Perciò lascia stare le damane. Abbiamo un lavoro da portare a termine davanti a noi.» E un patto col Tenebroso per farlo. Scacciò via quel pensiero. Comunque era diventato difficile pensare che Tylee Khirgan fosse dalla parte del Tenebroso. O Mishima. «Lo capisci?»
«Lo capisco, mio signore. Sto solo dicendo che mi fa accapponare la pelle.»
Un’altra linea azzurro-argentea comparve, allargandosi in un’apertura che mostrò una radura fra grossi alberi disposti ad ampi intervalli e un basso affioramento di roccia. Abbassandosi contro il collo di Stepper, Perrin lo attraversò. Il passaggio si richiuse dietro di lui e Perrin cavalcò attraverso gli alberi fino a giungere alla vasta radura dov’era situato l’accampamento, vicino a quello che una volta era stato il minuscolo villaggio di Brytan, un insieme di casupole infestate di pulci in cui nemmeno la notte più piovosa avrebbe indotto un uomo a entrare. Le sentinelle fra gli alberi non lanciarono avvertimenti, naturalmente. L’avevano riconosciuto.
In quel momento lui non voleva nient’altro tranne le sue coperte. Be’, Faile, certo, ma non potendo avere lei, voleva soltanto restare da solo al buio. Probabilmente non sarebbe riuscito ad addormentarsi nemmeno stavolta, ma avrebbe trascorso la notte come aveva fatto spesso, pensando a lei, ricordandola. A poca distanza dal denso raggruppamento di pali appuntiti che circondava il campo, però, arrestò Stepper. Un raken era accucciato appena fuori dai pali, col suo lungo collo grigio abbassato in modo che una donna con una giacca marrone con cappuccio potesse grattare il suo muso scaglioso. Il cappuccio le pendeva lungo la schiena, rivelando capelli tagliati corti e un volto duro e stretto. Guardò Perrin come se lo riconoscesse, ma continuò a grattare la creatura. La sella sulla sua schiena era fatta per due cavalieri. Pareva che fosse giunto un messaggero. Fece svoltare Stepper in uno dei passaggi angolati lasciati fra i pali per consentire l’ingresso ai cavalli. Ma non rapidamente.
Quasi tutti erano già andati a dormire. Percepì del movimento presso le linee dei cavalli, nel cuore dell’accampamento, probabilmente alcuni degli stallieri o dei maniscalchi cairhienesi, ma le tende di tela rattoppata e le piccole capanne di rami di sempreverdi intrecciati, ormai diventati bruni da lungo tempo, erano buie e silenziose. Nulla si muoveva tra le basse tende aiel e solo poche sentinelle camminavano su e giù nella più vicina sezione mayenese del campo. I Mayenesi e i Ghealdani riponevano poca fiducia negli uomini dei Fiumi Gemelli fra gli alberi. La sua alta tenda a strisce rosse era illuminata, però, e le ombre di parecchie persone si muovevano sulle sue pareti. Quando smontò davanti alla tenda, Athan Chandin comparve a prendere le redini e portarsi le nocche alla testa mentre si ingobbiva in una sorta di inchino. Athan era un bravo arciere, altrimenti non sarebbe stato li, ma aveva un atteggiamento servile. Perrin entrò slacciando la spilla del suo mantello.
«Eccoti qua» disse Berelain in tono vivace. Doveva essersi vestita di fretta, poiché la sua lunga chioma nera pareva come se avesse ricevuto solo una breve passata di spazzola, ma il suo abito per cavalcare grigio dall’alto collo sembrava pulito e ordinato. Le sue servitaci non le lasciavano indossare nulla a meno che non fosse appena stirato. Lei porse a Breane una coppa d’argento perché la riempisse da una caraffa di vino dall’alto collo, cosa che la donna cairhienese fece con una smorfia. La cameriera di Faile disprezzava sentitamente Berelain. Dal canto suo, lei pareva non farci caso. «Perdonami per aver ricevuto ospiti della tua tenda, ma il generale di stendardo voleva vederti e ho pensato di tenerle compagnia. Ci sta raccontando di alcuni Manti Bianchi.»
Balwer era in piedi discretamente in un angolo — l’uomo simile a un uccello poteva passare inosservato come una lucertola su un ramo quando lo desiderava —, ma il suo odore si intensificò al sentir menzionare i Manti Bianchi.
Tylee, con le spalle che tendevano una giacca come quella della volatrice, fece un inchino a gambe dritte mantenendo al contempo un occhio su Annoura. Pareva credere che le Aes Sedai potessero trasformarsi in voraci cani selvaggi in qualunque momento. Perrin pensò che odorasse di angoscia, anche se nulla di questo traspariva dal suo volto scuro. «Mio signore, ho due informazioni che ho ritenuto opportuno portarti immediatamente. Hai iniziato a mettere la radice biforcuta nell’acqua della città?»
«L’ho fatto» disse lui in tono preoccupato, gettando il proprio mantello su uno dei forzieri bordati di ottone, Tylee sospirò. «Ti ho detto che l’avrei fatto. L’avrei fatto due giorni fa se quella sciocca donna ad Almizar non fosse stata così recalcitrante. Cos’è successo?»
«Perdonatemi,» annunciò Lini «ma sono stata fatta levare dalle mie coperte e mi piacerebbe tornarci. Qualcuno ha bisogno di qualcos’altro da me stanotte?» Non ci furono riverenze o ‘mio signore’ dalla donna dall’aspetto fragile, con i suoi capelli bianchi in una treccia allentata per dormire. A differenza di Berelain, il suo abito marrone pareva indossato di fretta, cosa insolita per lei. Il suo odore era nitido e acuto di disapprovazione. Era una di quelli che credevano alla ridicola storia secondo cui Perrin avrebbe dormito con Berelain la stessa notte dopo che Faile era stata catturata. Riuscì a evitare di guardarlo mentre i suoi occhi correvano tutt’attorno all’interno della tenda.
«Io prenderò altro vino» dichiarò Aram, porgendo la sua coppa. Col volto cupo e smunto, in una giacca a strisce rosse e con gli occhi infossati, stava tentando di accomodarsi in una delle sedie da campo pieghevoli, ma la spada assicurata alla sua schiena gli rendeva impossibile appoggiarsi contro lo schienale dai bordi dorati. Breane si diresse verso di lui.
«Ne ha avuto abbastanza» disse Lini bruscamente, e Breane fece marcia indietro. Lini aveva la mano ferma con i servitori di Faile.
Aram borbottò un’imprecazione e si alzò in piedi, scagliando la sua coppa sul tappeto a fiori che fungeva da pavimento. «Farei meglio ad andare da qualche parte dove non c’è una vecchia che mi tormenta ogni volta che mi faccio una bevuta.» Rivolse a Perrin un’occhiata imbronciata prima di uscire a grandi passi dalla tenda. Senza dubbio diretto all’accampamento di Masema. Aveva implorato di essere uno del gruppo mandato dentro Malden, ma non ci si poteva fidare della sua testa calda per quel compito.
«Puoi andare, Lini» disse Berelain. «Breane può occuparsi di noi a dovere.» Per tutta risposta Lini si limitò a sbuffare — ma lo fece suonare quasi delicato —, prima di uscire con la schiena dritta e puzzando di disapprovazione. E ancora senza guardare Perrin.
«Perdonami, mio signore,» biascicò Tylee in toni cauti «ma sembra che tu gestisca i tuoi domestici in modo più... libero... di quello a cui sono abituata.»
«È il nostro costume, generale di stendardo» disse Perrin, raccogliendo la coppa di Aram. Non era il caso di sporcarne un’altra. «Nessuno qui è proprietà.» Se questo suonava brusco, che così fosse. Tylee era arrivata a piacergli, per certi versi, ma questi Seanchan avevano delle usanze che avrebbero fatto vomitare una capra. Prese la caraffa da Breane — lei cercò davvero di trattenerlo per un attimo, accigliandosi verso di lui come per negargli di bere — e si versò da solo il vino prima di porgergliela di nuovo. Lei gli strappò la caraffa di mano. «Ora, cos’è successo? Cos’hanno fatto questi Manti Bianchi?»
«Ho mandato dei raken in esplorazione più lontano che potevano appena prima dell’alba e di nuovo dopo il tramonto. Uno dei volatori stanotte è tornato indietro prima del previsto. Ha visto settemila Figli della Luce in marcia a meno di cinquanta miglia dal mio accampamento.»
«In marcia verso di voi?» Perrin si accigliò nel suo vino invece di bere. «Settemila pare una cifra molto esatta da contare al buio.»
«Pare che questi uomini, loro siano disertori» si inserì Annoura. «Perlomeno il generale di stendardo li vede così.» In un abito di seta grigia, pareva ordinala come se avesse passato un’ora a vestirsi. Il suo naso aguzzo la faceva sembrare simile a una cornacchia che portava trecce ornate di perline nello scrutare Tylee, come se il generale di stendardo fosse un pezzo di carogna particolarmente interessante. Teneva in mano una coppa di vino, ma pareva che non l’avesse toccata. «Ho sentito delle voci secondo cui Pedron Niall sarebbe morto combattendo i Seanchan, ma a quanto pare Eamon Valda, che ha rimpiazzalo Niall, ha giurato fedeltà all’imperatrice di Seanchan» Tylee articolò «che possa vivere per sempre» sottovoce; Perrin dubitava che altri a parte lui l’avessero udita. Anche Balwer aprì la bocca, ma la richiuse senza parlare. I Manti Bianchi erano un suo spauracchio. «All’incirca un mese fa, però» proseguì la Sorella Grigia «Galad Damodred ha ucciso Valda e ha indotto settemila Manti Bianchi ad abbandonare la causa dei Seanchan. Un peccato che sia rimasto immischiato con i Manti Bianchi, ma forse ne può derivare del bene. In ogni caso pare che ci sia una disposizione permanente che questi uomini siano tutti uccisi non appena trovati. L’ho riassunto per bene, generale di stendardo?»
La mano di Tylee si contrasse come se volesse tracciare uno di quei segni contro il male. «È un riassunto adeguato» disse. A Perrin, non ad Annoura. La donna seanchan pareva trovare difficile parlare con una Aes Sedai. «Tranne la parte sul fatto che possa derivarne del bene. Disertare e infrangere giuramenti non può mai essere definito un bene.»
«Deduco che non si stiano muovendo verso di voi, altrimenti l’avresti, detto.» Perrin mise in quella frase un accenno di domanda, anche se nella sua testa non lo era affatto.
«A nord» rispose Tylee. «Sono diretti a nord.» Balwer fece di nuovo per aprire la bocca, poi la richiuse con uno schiocco di denti.
«Se hai un consiglio» gli disse Perrin «allora dallo. Ma non mi importa quanti Manti Bianchi disertano dai Seanchan. Faile è runica cosa di cui mi importa. E non penso che il generale di stendardo lascerà perdere l’opportunità di mettere il collare ad altre tre o quattrocento damane per inseguirli.» Berelain fece una smorfia. Il volto di Annoura rimase impassibile, ma lei prese una lunga sorsata del suo vino. Nessuna delle Aes Sedai si sentiva molto compiacente su quella parte del piano. E neanche nessuna delle Sapienti.
«Non lo farò» disse Tylee con fermezza. «Penso che prenderò del vino, dopotutto.» Breane trasse un profondo respiro prima di muoversi per obbedire e un accenno di paura entrò nel suo odore. Pareva che l’alta donna scura la intimidisse.
«Non negherò che gradi rei un’opportunità di infliggere un colpo ai Manti Bianchi,» disse Balwer con quella sua voce secca come polvere «ma per la verità sento di avere verso questo Galad Damodred un debito di gratitudine.» Forse il suo rancore era una questione personale verso questo Valda. «In ogni caso, non hai bisogno del mio consiglio qui gli eventi sono in movimento a Malden, e anche se non lo fossero dubito che li tratterresti anche solo un giorno. Né l’avrei consigliato, mio signore. Se posso essere così audace, sono piuttosto affezionato a lady Faile.» «Puoi» gli disse Perrin. «Generale di stendardo, hai detto due informazioni?»
La Seanchan prese la coppa che le veniva offerta da Breane e lo guardò in modo così deciso che era chiaro che stava evitando di guardare altri nella tenda. «Possiamo parlare da soli?» chiese piano. Berelain scivolò lungo il tappeto per appoggiargli una mano sul braccio e sorridergli. «Per Annoura e me non è un problema andarcene» disse. Per la Luce, come poteva qualcuno credere che ci fosse qualcosa tra loro due? Era più bella che mai, vero, eppure l’odore che gli ricordava un gatto in caccia l’aveva abbandonata da così tanto tempo che se lo ricordava a malapena. Il suo odore di base era pazienza e determinazione, ora. Era giunta ad accettare che lui amava Faile e solo Faile, e pareva decisa a vederla liberata quanto lui.
«Potete restare» disse. «Qualunque cosa tu abbia da dire, generale di stendardo, puoi dirla di fronte a tutti qui.»
Tylee esitò, lanciando un’occhiata ad Annoura. «Ci sono due grosse compagnie di Aiel dirette a Malden» disse infine con riluttanza. «Una da sudest e l’altra da sudovest. Stando alle stime del morat’raken potrebbero essere lì in tre giorni.»
Tutt’a un tratto ogni cosa nella vista di Perrin parve incresparsi. Percepì sé stesso incresparsi. Breane emise un urlo e lasciò cadere la caraffa. Il mondo si increspò di nuovo e Berelain gli afferrò il braccio. La mano di Tylee parve immobilizzata in quello strano gesto, col pollice e l’indice che formavano una mezzaluna. Tutto si increspò una terza volta e Perrin si sentì come se fosse fatto di nebbia, come se il mondo fosse nebbia con un forte vento in arrivo. Berelain rabbrividì e lui la cinse con un braccio per confortarla. Lei si aggrappò a lui, tremante. Silenzio e l’odore della paura riempirono la tenda. Poteva sentire voci levarsi di fuori e anche quelle suonavano spaventate.
«Cos’è stato?» domandò infine Tylee.
«Non lo so.» Il volto di Annoura rimaneva sereno, ma la sua voce era malferma. «Per la Luce, non ne ho idea.»
«Non importa cos’era» disse loro Perrin. Ignorò i loro sguardi. «In tre giorni sarà tutto finito. E questo tutto ciò che conta.» Faile era tutto ciò che contava. Il sole era quasi al suo zenit, ma Faile già si sentiva vessata. L’acqua per il bagno mattutino di Sevanna — se lo faceva due volte al giorno, ora! — non era stata abbastanza calda e Faile era stata picchiata assieme a tutti gli altri, anche se lei e Alliandre si erano trovate lì solo per sfregare la schiena alla donna. Soltanto dall’alba più di venti gai’shain delle terre bagnate avevano implorato che fosse concesso loro di giurare fedeltà. Tre avevano suggerito una rivolta, facendo notare che in tutte quelle tende c’erano più gai’shain che Shaido. Erano parsi interessati quando lei aveva puntualizzato che quasi tutti gli Aiel sapevano come usare una lancia, mentre molti degli abitanti delle terre bagnate erano contadini o artigiani. Pochi avevano mai tenuto in mano un’arma, e ancora meno ne sapevano usare una. Erano parsi interessati, ma quello era il primo giorno in cui qualcuno proponeva una cosa del genere subito dopo aver imprecato. Di solito ci mettevano diversi giorni a rimuginarci. La tensione stava salendo. Verso un massacro, a meno che lei non riuscisse a impedirlo. E ora questo...
«È solo un gioco, Faile Bashere» disse Rolan, Torreggiando sopra di lei mentre camminavano lungo una delle strade fangose che serpeggiavano attraverso le tende degli Shaido. Suonava divertito e un piccolissimo sorriso gli incurvava le labbra, Davvero un uomo bellissimo.
«Un gioco di baci, hai detto.» Spostò i pezzi di asciugamani a strisce piegali sopra il suo braccio per attirare la sua attenzione. «Ho del lavoro da fare e non ho tempo per i giochi. Specialmente quelli di baci.»
Faile poteva vedere alcuni Aiel, diversi dei quali uomini, che barcollavano ubriachi perfino a quell’ora, ma la maggior parte della gente in strada era costituita da abitanti delle terre bagnate che indossavano vesti da gai’shain sporche o da bambini che sguazzavano allegramente nelle pozzanghere di fango lasciate dalla pesante pioggia della notte passata. La strada era affollata di uomini e donne in bianco macchiato di fango che portavano canestri, secchi o pentole. Alcuni andavano in giro per delle faccende. C’erano cosi tanti gai’shain nell’accampamento che in effetti non c’era abbastanza lavoro per tutti. Questo non avrebbe impedito a uno Shaido di ordinare a quelle che reputava mani pigre di andare a compiere un lavoro o un altro se quelle mani spuntavano da maniche bianche, però, perfino se era un lavoro inventato. Per cercare di evitare di scavare buche inutili in campi fangosi o di sfregare pentole che erano già pulite, parecchi dei gai’shain avevano preso l’abitudine di trasportare qualcosa che faceva sembrare che stessero lavorando. Questo non aiutava nessuno a evitare il vero lavoro, ma contribuiva a prevenire l’altro tipo. Faile non doveva preoccuparsi di quello con la maggior parte degli Shaido, non finché indossava quelle spesse catene d’oro attorno a collo e vita, ma la collana e la cintura non bastavano a dissuadere le Sapienti. Lei aveva sfregato pentole pulite per alcune di loro. E a volte era stata punita per non essere a disposizione quando Sevanna la voleva. Da qui gli asciugamani.
«Potremmo cominciare con uno dei giochi di baci che fanno i bambini,» disse lui «anche se in quelli le penitenze a volte sono imbarazzanti. Nei giochi degli adulti, le penitenze sono divertenti. Perdere può essere piacevole quanto vincere.»
Faile non riuscì a fare a meno di ridere. Quell’uomo era davvero insistente. All’improvviso vide Galina affrettarsi tra la folla nella sua direzione, tenendo sollevate le sue vesti di seta bianca dal fango, gli occhi che cercavano avidi. Faile aveva sentito che da quella mattina alla donna era stato concesso di indossare di nuovo i vestiti. Naturalmente non era mai stata senza l’alta collana e l’ampia cintura d’oro e gocce di fuoco. Uno strato di capelli lungo meno di un pollice le copriva la testa e, addirittura, vi era appuntato un grosso nastro rosso. Pareva improbabile che fosse per scelta della donna. Solo un volto a cui Faile non poteva attribuire età la convinceva che Galina era davvero Aes Sedai. Oltre a quello, lei non era sicura di nulla su di lei tranne il pericolo che rappresentava. Galina la notò e si fermò di colpo, con le mani che tastavano le proprie vesti. La Aes Sedai squadrò Rolan incerta.
«Devo pensarci su, Rolan.» Non aveva intenzione di rifiutare definitivamente finché non fosse stata sicura di Galina. «Mi serve tempo per pensarci.»
Il dito che lui le fece scorrere delicatamente lungo la guancia prima di allontanarsi la fece rabbrividire. Per gli Aiel toccare la guancia di qualcuno in pubblico era come baciarsi. Di certo era sembrato un bacio a lei. Innocuo? In qualche modo lei dubitava che qualunque gioco che comprendesse baciare Rolan sarebbe terminato solo con dei baci. Per fortuna non avrebbe dovuto scoprirlo — o nascondere nulla a Perrin — se Galina fosse stata di parola. Se.
La Aes Sedai scattò verso di lei non appena Rolan se ne fu andato. «Dov’è?» domandò Galina, afferrandole il braccio. «Dimmelo! So che ce l’hai tu. Devi averla!» La donna suonava quasi implorante. Il trattamento che Therava le aveva riservato aveva mandato in frantumi quella decantata compostezza da Aes Sedai.
Faile scrollò via la sua stretta. «Prima dimmi di nuovo che porterai con te le mie amiche e me quando te ne andrai. Dimmelo chiaramente, e dimmi quando te ne andrai.»
«Non osare parlarmi a quel modo» sibilò Galina.
Faile vide puntolini neri nella sua visuale prima di rendersi conto di essere stata schiaffeggiata. Con sua sorpresa, schiaffeggiò a sua volta l’altra donna più forte che poteva, facendola barcollare. Si astenne dal portare una mano alla sua faccia dolorante, ma Galina sfregò la propria guancia, i suoi occhi sgranati dalla sorpresa. Faile si fece forza, forse in vista di un colpo col Potere o qualcosa di peggio, ma non accadde nulla. Alcuni dei gai’shain di passaggio le fissarono, ma nessuno si fermò o nemmeno rallentò. Qualunque cosa sembrasse un raduno di gai’shain avrebbe attirato gli occhi degli Shaido e fruttato delle punizioni a chiunque vi fosse stato coinvolto.
«Dimmelo» ripeté Faile.
«Porterò te e le tue amiche con me» praticamente ringhiò Galina, costringendosi ad abbassare la mano. «Me ne andrò domani. Se ce l’hai. Altrimenti Sevanna saprà chi sei entro un’ora!» Be’, quello sì che era parlare chiaramente.
«È nascosta in città. Te l’andrò a prendere ora.»
Ma mentre si voltava, Galina le afferrò di nuovo il braccio. Gli occhi della Aes Sedai dardeggiarono attorno e lei abbassò la voce come se all’improvviso fosse preoccupata che qualcuno potesse sentire. Suonava spaventata. «No. Non rischierò che qualcuno lo veda. Me la darai domattina. In città. Ci incontreremo lì. Al margine sud. Contrassegnerò l’edificio. Con una sciarpa rossa.»
Faile sbatte le palpebre. La metà meridionale di Malden era un guscio bruciato. «Perché lì?» chiese incredula.
«Perché nessuno ci va, sciocca! Perché nessuno ci vedrà!» Gli occhi di Galina stavano ancora dardeggiando. «Domattina, presto. Non presentarti e te ne pentirai!» Raccogliendo le gonne della sua veste di seta, si allontanò in tutta fretta tra la folla.
Faile si accigliò nel guardarla andar via. Si sarebbe dovuta sentire entusiasta, ma non era così. Galina pareva quasi incontrollata, imprevedibile. Tuttavia le Aes Sedai non potevano mentire. Non pareva esserci alcun modo in cui lei potesse districarsi dalla sua promessa. E se anche ne avesse trovato uno, c’erano sempre i suoi piani di fuga, anche se quelli non sembravano molto più elaborati, e semmai più pericolosi, di quando avevano iniziato. Il che lasciava Rolan. E i suoi giochi di baci. Galina doveva mantenere la sua parola. Doveva.