Ora che aveva letto i ricordi di lui come fossero suoi, Sandra Philo capiva Peter Hobson, capiva l’intreccio degli avvenimenti che avevano fatto finire lei nel reparto terapia intensiva di un ospedale, moribonda e quasi incapace di parlare e di muoversi. Ora conosceva Peter meglio di quanto avesse conosciuto i suoi genitori o il suo ex marito o sua figlia. E poiché lo capiva così bene, e lo conosceva così a fondo, scoprì che non poteva odiarlo…
Peter aveva fatto irruzione nella sua stanza d’ospedale. Sandra vide se stessa come l’aveva vista lui, distesa su quel letto, con la pelle giallastra, i capelli che le si staccavano a ciocche. — Abbiamo cercato di fermarli — aveva detto Peter.
— Nessun tentativo ha funzionato. Ma, se non altro, ora so quale dei simulacri è il colpevole. — Aveva fatto una pausa.
— lo le darò tutto ciò che le può servire, Sandra, compreso un completo accesso Q&A alle scansioni del mio cervello. Lei mi conoscerà in tutti i dettagli più intimi… meglio di chiunque mi abbia mai conosciuto nel mondo reale. Lei saprà ciò che io penso, e questo le darà le cognizioni necessarie per sconfiggere il simulacro omicida.
Sandra vide se stessa attraverso gli occhi di lui. Si vide mentre alzava la testa con le scarse energie che il suo corpo poteva ancora concederle. — Non c’è niente che io possa fare — aveva sussurrato, con voce esile e triste. — Sto morendo.
Peter aveva chiuso gli occhi. Sandra sentì la sua agonia, il suo senso di colpa, sentì tutte le emozioni che lottavano in lui. — Lo so. Mi dispiace terribilmente. Mi dispiace. Ma c’è un modo, Sandra… c’è un modo in cui lei può mettere fine a tutto questo.
— Fate passare, prego! — disse Sarkar, spingendo il lungo carrello carico d’apparecchiature nel corridoio del quarto piano. Il gruppo di infermiere davanti a una delle corsie si disperse. Lui trovò la stanza 412 del Reparto Terapia Intensiva e aprì la porta con l’estremità del carrello.
L’ispettore detective Sandra Philo giaceva sul letto. Era chiaro che le restava molto poco tempo da vivere. Stava ancora perdendo i capelli, e sulla testa aveva chiazze di cuoio capelluto spoglio e grigio. I suoi occhi erano aperti, infossati nelle orbite scure.
In piedi accanto alla finestra, Peter Hobson stava parlando con una dottoressa dai capelli bianchi, in camice verde. All’ingresso di Sarkar entrambi si voltarono verso di lui.
— Hannah, le presento Sarkar Muhammed — disse Peter. — Sarkar, questa è Hannah Kelsey… la dottoressa che si occupa del caso di Sandra. Io e Hannah abbiamo lavorato all’East York General nello stesso periodo, parecchi anni fa.
Sarkar le sorrise cortesemente. — Piacere di conoscerla. Come sta Sandra Philo?
— Al momento le sue condizioni sono stabili — disse la Dr. Kelsey. — Per qualche ora, comunque, non sentirà alcun dolore. — Si rivolse a Peter. — Francamente, Peter, mi piacerebbe sapere che genere di esami intende farle.
— Lei ha avuto il consenso della paziente, Hannah — disse lui. — Per adesso non ha bisogno di sapere altro.
— Ma se lei mi spiegasse meglio cosa…
— La prego, Hannah — disse Peter, — non abbiamo molto tempo. Può restare a guardare, se vuole.
— Sarà meglio chiarire una cosa, Peter. Questo è il mio reparto; lei è qui sotto la mia responsabilità, non il contrario.
Lui annuì brevemente, prendendo atto della precisazione. Sarkar era andato accanto al letto. Toccò una spalla di Sandra. — È comoda in questa posizione? — volle sapere.
Lei roteò gli occhi, come a dire che stare comoda era impossibile ma lamentarsene non sarebbe servito a niente.
— Il Dr. Hobson le ha spiegato la procedura? — domandò Sarkar.
Lei annuì appena e disse: — Sì. — La sua voce era un sussurro rauco.
Con gesti cauti Sarkar le mise in testa il casco dei sensori e agganciò la fibbia sotto il mento. — Se vorrà cambiare posizione me lo dica.
Sandra annuì.
— Cerchi di tenere la testa immobile. Se avrà bisogno di tossire o di altre cose mi avverta prima, muovendo una mano. Mi è stato detto che può usare un poco la sinistra. Adesso lasci che le metta gli auricolari… okay. Va bene? Ora questi occhialoni speciali. Non le danno fastidio, vero? D’accordo. Allora cominciamo.
Mentre completavano la seconda delle prime due registrazioni cerebrali con lo scanner, Peter indicò i monitor dell’ECG e della pressione sanguigna. Sandra soffriva, e le sue condizioni erano peggiorate.
Sarkar si mordicchiò un labbro. — Ho bisogno di altri novanta minuti disse.
Hannah Kelsey era uscita un quarto d’ora prima. Peter mandò l’infermiere di guardia — un giovanotto dall’aria effeminata, invece della donna corpulenta con cui aveva trattato per tutto il pomeriggio — a cercarla. Quando la dottoressa fece ritorno lui le spiegò che dovevano stabilizzare le condizioni di Sandra; era necessario tenere sotto controllo i suoi dolori almeno per un’altra ora e mezzo.
— Non posso continuare a iniettarle calmanti nelle vene — disse la Dr. Kelsey.
— Soltanto un’altra iniezione — disse Peter. — La prego.
— Prima voglio vedere come si sta comportando il cuore.
— Dannazione, Hannah, lei sa che non ce la farà a passare la notte. L’irradiazione al midollo spinale è stata troppo distruttiva.
La dottoressa esaminò la strumentazione e si chinò su Sandra. — Se vuole interrompere, io li mando via — disse. — Lei ha bisogno di riposare, adesso.
— No — disse Sandra. — No… dobbiamo finire.
— Questa è l’ultima iniezione che le faccio, oggi. Lei ne ha già avuto più della dose massima consentita.
— Me la faccia — disse Sandra, con voce fioca ma ferma.
La Dr. Kelsey le somministrò l’antidolorifico. Poi aggiunse nella fleboclisi qualcosa per sostenere la sua pressione sanguigna.
Sarkar si rimise al lavoro con lo scanner.
Un’ora e mezzo più tardi Sarkar spense il registratore. — Finito — disse. — Una buona registrazione, precisa… migliore di quel che mi aspettavo, date le circostanze.
Quando le fu tolto il casco Sandra lasciò uscire un sospiro di sollievo faticoso, rauco. — Prenderò… quel… bastardo — disse.
— Lo so — disse Peter, stringendole una mano. — Lo so. Per alcuni minuti Sandra tacque, a occhi chiusi. Infine, parlando come se non avesse più una stilla d’energia nel corpo, mormorò: — La sua scoperta… io ho sentito… lei è sicuro che… c’è una vita… dopo la morte?
Tenendole la mano Peter annuì. — Sì, ne sono sicuro.
— Com’è… quella vita? — domandò lei.
Peter avrebbe voluto dirle che sarebbe stata meravigliosa, dirle di non aver paura, dirle di stare calma.
— Non ne ho idea — confessò.
Sandra annuì leggermente, accettando quelle parole. — Io lo saprò… molto presto — disse.
I suoi occhi si chiusero. Pochi minuti dopo Peter, col cuore in gola, vide l’elettrocardiogramma diventare piatto. Dopo averle lasciato la mano si guardò attorno, come in cerca di un segno dell’Onda dell’Anima che stava attraversando la stanza.
Non c’era niente.
Quando furono tornati alla Mirror Image, Sarkar caricò una copia della registrazione nel banco dati di una workstation. Nonostante l’ora tarda lavorò senza interruzione, fornendole le immagini della Dalhousie Stimulus Library. Poi, verso le ventidue, i preliminari terminarono. Mentre Peter, in piedi dietro di lui, gli teneva una mano su una spalla, attivò il simulacro.
— Salve, signora Philo — disse. — Come va? So che si è svegliata in questo momento. Io sono Sarkar Muhammed. Può sentirmi?
Ci fu una lunga pausa. Poi, esitante e tremula (incongruamente il sintetizzatore usava una voce maschile) lei disse: — Mio Dio, è questo che si prova quando si è morti?
— Non saprei — disse Sarkar. — Lei è l’altra… lei è il simulacro di cui abbiamo parlato. Capisce?
Stupita:-Oh!
— Ci scusi, Sandra — disse Peter, — ma abbiamo apportato qualche cambiamento, tagliato alcune reti neurali. Lei non è più esattamente quella di prima. Lei è ciò che Sandra Philo sarebbe se fosse uno spirito privo di ogni contatto col corpo.
— Un’anima, vuol dire. — Sì.
— Quel che sono è tutto ciò che resta di me, comunque — disse la voce. Una pausa. — Perché questo cambiamento?
— Anche perché lei non diventi ciò che è diventato Control. Ma soprattutto perché era necessario liberarla di certi legami: presto lei scoprirà che può costruire pensieri molto più complessi, ed elaborarli in modo assai più esteso di quel che poteva fare quando era viva. Le sue capacità mentali aumenteranno. Non dovrebbe avere troppe difficoltà a sopraffare le difese della versione di me che non è stata modificata nello stesso modo.
— È pronta a uscire da qui?
— Credo di sì.
— Può percepire qualcosa di ciò che la circonda?
— Vagamente. Sono in una stanza chiusa. C’è una porta, ma è fatta di luci terribili. Non oso toccarla.
— Niente paura. Lei si trova entro un banco di memoria isolato, e quelli che percepisce sono contatti elettrici chiusi — disse Sarkar. Batté un paio di comandi sulla tastiera. — Ecco fatto. Ora lei ha accesso alle Reti. Può cominciare da Internet.
— È un… si è aperto come un corridoio. Sì, posso vederlo.
— Attenta, Sandra: davanti a lei c’è anche l’ingresso di un banco dati che contiene una versione non-attiva di Control — disse Peter. Si fermi e la esamini. Lei può scandagliarla in profondità senza alcun pericolo, per apprendere tutto il possibile sul suo avversario… e su di me. Fatto questo, appena si sentirà pronta, potrà uscire sulle Reti. Poi non dovrà far altro che rintracciarlo. Lo trovi, e cerchi il modo di fermarlo.
— Lo fermerò — disse Sandra, con decisione.