— Cos’è questo? — domandò Peter, accennando verso uno dei monitor nel laboratorio della Mirror Image. Sullo schermo c’era quello che sembrava un branco di piccoli pesci azzurri nelle profondità di un mare arancione.
Sarkar alzò lo sguardo dalla tastiera su cui stava scrivendo. — Vita artificiale. Terrò un corso su questo argomento da dicembre a marzo, alla Ryerson.
— Come funziona?
— Be’, così come abbiamo simulato la tua mente dentro un computer, è possibile simulare anche altri aspetti della vita, comprese la riproduzione e l’evoluzione. Vedi, quando una simulazione diventa abbastanza complessa alcuni affermano che stabilire se sia viva oppure no è solo una questione di semantica. Questi pesci si sono evoluti da una semplicissima simulazione matematica di processi viventi. E, proprio come i pesci veri, mostrano una quantità di comportamenti allo stadio iniziale, ad esempio quelli che determinano il movimento del branco.
— Come arrivi a ottenere cose che si comportano come pesci, partendo dalla matematica?
Sarkar registrò il lavoro che aveva fatto e venne accanto a lui.
— La chiave sta nell’evoluzione cumulativa… essa rende possibile passare molto rapidamente dalla casualità alla complessità. — Sfiorò alcuni tasti della consolle. — Qui, lascia che ti dia una semplice dimostrazione.
Lo schermo si svuotò.
— Ora — disse Sarkar, — batti una frase. Niente punteggiatura, però. Soltanto le parole.
Peter ci pensò un momento, poi scrisse: «dove c’è l’inferno ci saremo sempre anche noi.» Il computer gli diede tutte lettere minuscole.
Sarkar lesse da sopra una sua spalla. — Marlowe.
Peter annuì, sorpreso. — Tu lo conosci?
Sarkar sorrise.
— Naturalmente. Scuole private, ricordi? Dal Dottor Faust: «L’inferno non ha confini, e neppure è circoscritto in un solo posto, perché dove siamo noi c’è l’inferno, e là dove c’è l’inferno ci saremo sempre anche noi.»
Peter non disse niente.
— Ora osserva la frase che hai battuto: consiste di 45 caratteri, esclusi i due apostrofi e i «caratteri spazio» fra le parole — proseguì Sarkar.
Non era stato lui a contarli. Il computer gli aveva dato quel numero più diverse altre statistiche quando Peter aveva finito di scrivere.
— Bene, pensa a ciascuno di questi caratteri come a un gene. Ci sono 27 possibili valori che ciascun gene potrebbe avere: da A fino a Z, più il carattere spazio. Dato che tu hai battuto una frase di 45 caratteri, ciò significa che ci sono 27 possibili diverse frasi di questa lunghezza. Probabilità, in altre parole.
Sarkar premette altri pulsanti della tastiera. — Questa workstation — disse, — può generare circa centomila frasi casuali di 45 caratteri ogni secondo. — Gli indicò una cifra sullo schermo. — Ma anche a questo ritmo potrebbero occorrere 2x10 anni… trilioni di volte l’età attuale dell’universo, prima di comporre quella precisa frase di Marlowe che tu hai casualmente deciso di battere.
Peter annuì. — Come la scimmia e la macchina per scrivere.
Sarkar canterellò: — Non è così, amico, no…
— Giusto. C’è un numero infinito di scimmie che battono su infinite macchine per scrivere, ma non riusciranno mai a riprodurre le opere complete di Shakespeare, non importa quanto tempo vadano avanti. Sarkar sorrise.
— Questo perché loro lavorano a caso. L’evoluzione però non è casuale. È cumulativa. Ogni generazione modifica quella che l’ha preceduta, basandosi sui criteri di selezione imposti dall’ambiente. Così tu puoi passare dalle frasi prive di senso alla poesia (o dalle equazioni ai pesci, o dall’argilla all’Uomo) con stupefacente rapidità. — Toccò un tasto e indicò lo schermo. — Ecco qui una frase di 45 caratteri puramente casuale. Fai conto che si tratti di un organismo primitivo.
Lo schermo mostrò il numero della generazione iniziale e la frase:
000 bcrvsaoxylsdvcb vlvabscvrbnd bztmdatviasdekrn
— Usando l’evoluzione cumulativa, il computer può andare da questo punto d’inizio casuale alla conclusione desiderata in pochi secondi di tempo.
— E come? — domandò Peter.
— Diciamo che ogni generazione, ogni frase, possa produrre 45 figli. Ma, proprio come nella vita reale, nessuno dei figli è uguale ai genitori. Al contrario, in ciascun figlio un gene (un carattere) sarà diverso, muovendosi su o giù lungo l’alfabeto di una posizione. Ad esempio, un Y potrà diventare un X, oppure una Z. D’accordo?
— Okay.
— Per ciascuno dei 45 caratteri, il computer trova quello che è più adatto all’ambiente, quello che è più vicino alla frase di Marlowe, il nostro ideale di una forma di vita perfettamente adattata. Questa frase, questo organismo migliorato, è il soggetto che si accoppia nella generazione successiva. Ci siamo?
Peter annuì.
— Okay. Ora lasceremo che l’evoluzione faccia il suo corso per una generazione. — Sarkar premette un altro pulsante.
Quarantacinque frasi virtualmente identiche apparvero a schermo, e un attimo dopo quarantatré di esse sparirono.
— Ecco qui la prima generazione — disse, indicando la seconda frase:
000 bcrvsaoxylsdvcb vlvabscvrbnd bztmdatviasdekrn
001 bcrvsaoxzlsdvcb vlvabscvrbnd bztmdatviasdekrn
— Non risulta evidente — disse Sarkar, — però, rispetto alla prima, la frase di sotto è di un piccolo passo più vicina al traguardo.
— Io non riesco a vedere la differenza — disse Peter.
— Il nono carattere è cambiato da Y a Z. Nel traguardo finale il nono carattere è uno spazio, quello fra «c’è» e «l’inferno.» Noi stiamo usando un alfabeto circolare, dove esiste un carattere spazio anche fra Z e A. Il carattere Z è più vicino allo spazio di quanto lo fosse il carattere Y, perciò questa frase costituisce un leggero miglioramento. È un po’ più evoluta. — Premette un altro tasto. — Ora facciamo arrivare il programma alla fine… ecco qui, è già completo.
Peter ne fu impressionato.
— È stato molto veloce.
— Evoluzione cumulativa — disse Sarkar, trionfante. — Bastano appena 277 generazioni per arrivare dalle lettere casuali alla frase di Marlowe… dall’organismo primitivo a quello complesso. Guarda, ti mostro i passaggi solo ogni trenta generazioni, con i geni che si sono evoluti verso il loro traguardo in lettere maiuscole.
Sarkar toccò alcuni pulsanti, e lo schermo mostrò:
000 bcrvsaoxylsdvcb vlvabscvrbnd bztmdatviasdekrn
030 bhrcsadanlsdvcb zn tasdvrbnt bacmfavvkCsdevtr
060 cvrEsacasLsIzcevzn zasdArbnz cadmRacvkCtdibua
090 i rEvb’avLvIbDek n acsdAvEMzvcadPRalzkCadsNca
120 marEzb’bvLvIcDen O bctdAcEMb cafPRarzkCdEsNia
150 tcrEzC’bvLvIhDeR OzbcvdAdEMc gcfPRBt kCHEtNOb
180 zlrEzC’bvLvImDeRaO bcvdAmEMl ocfPRBz mCHEvNOe
210 alsE C’bzLvìmFdRbO Cd dAmEMO oDgPRB AmCHEvNOg
240 amsE C’czLzINFdRcO Ce fAmEMO rEgPRE ANCHEzNOh
270 DOsE C’czL’INFdRIO CI SAREMO rEMPRE ANCHEzNOh
Sarkar batté ancora qualcosa sulla tastiera. — E qui ci sono le ultime cinque generazioni.
273 DOsE C’czL’INFERlO CI SAREMO SEMPRE ANCHE NOh
274 DOtE C’dzL’INFERmO CI SAREMO SEMPRE ANCHE NOI
275 DOuE Cd L’INFERmO CI SAREMO SEMPRE ANCHE NOI
276 DOVE Cd L’INFERNO CI SAREMO SEMPRE ANCHE NOI
277 DOVE CE L’INFERNO CI SAREMO SEMPRE ANCHE NOI
— Sembra che torni bene — disse Peter.
— È più che una cosa che torna bene — esclamò Sarkar. — Questo è il motivo per cui tu e io, e il resto del mondo biologico, oggi ci troviamo qui.
Peter si girò a guardarlo. — Ammetto che mi sorprendi. Voglio dire, be’, tu sei un mussulmano… ho sempre pensato che ciò significasse che sei un creazionista.
— Per favore. — Sarkar alzò una mano. — Non farmi così sciocco da ignorare il mondo dei reperti fossili. — Fece una pausa. — Tu sei stato allevato come un cristiano, anche se non pratichi questa fede in un modo particolare. La tua religione afferma che noi siamo stati creati a immagine di Dio.
Be’, questo è ridicolo, naturalmente. Dio non avrebbe nessun bisogno di un ombelico. Quel «creati a sua immagine» significa semplicemente, secondo me, che Lui ha fornito i criteri di selezione (la spinta verso il traguardo) perché noi ci evolvessimo verso una forma finale a Lui gradita.