Capitolo decimo

Peter prese con sé il registratore del superEEG prima di lasciare il reparto degenza dei malati terminali. Quando arrivò a casa non erano ancora le sei, ma trovò Cathy già alzata che mangiava un toast e sorseggiava the caldo in cucina, in attesa di prepararsi per andare al lavoro. Sapeva già dov’era stato, perché Peter le aveva lasciato un messaggio sul computer domestico.

— Com’è andata? — domandò Cathy.

— Ho la registrazione — rispose lui.

— Non sembri molto eccitato.

— Suppongo di no. Mrs. Fennell era una brava donna, e stanotte è morta davanti a me.

Cathy parve capire i suoi sentimenti. Annuì. — Mangi qualcosa?

— No, sono sfinito — disse Peter. — Credo che tornerò a letto. — Le diede un rapido bacio su una tempia e andò in camera.

Quattro ore più tardi Peter si svegliò con un gran mal di capo. Barcollò nel bagno, buttò giù un’aspirina, poi si fece la barba e si vestì. In cucina riempì un grosso bicchiere di Diet Coke, quindi prese il disco registrato quella notte e andò nel suo studio.

Il computer domestico che aveva installato era molto più potente del sistema di cui condivideva l’accesso coi compagni quand’era all’università. Lo accese, infilò il dischetto in un drive e attivò il grande schermo ad alta definizione fissato a una parete della stanza. Quello che voleva vedere era il momento in cui l’ultimo neurone aveva emesso il suo ultimo palpito d’energia, il momento in cui l’ultima sinapsi era stata eccitata. Il momento preciso della morte.

D programma che chiamò a schermo per visualizzare ed elaborare quei dati era un sistema grafico che usava fin dai primi tempi della produzione del Baby Monitor, ormai molto perfezionato e ampliato. Per alcuni minuti dopo che il computer ebbe assorbito i dati del dischetto lui lasciò che il programma lavorasse sulle posizioni di ogni neurone che aveva emesso segnali.

L’immagine che aveva a schermo era quella di un cranio umano trasparente come il vetro, contenente la massa encefalica e i nervi che ne dipartivano. Ora il computer stava aggiungendo particolari inediti a quella forma anonima, trasformandola almeno per quanto riguardava il contenuto di attività elettrica nella testa di Mrs. Fennell. Peter usò una penna ottica come telecomando per selezionare ordini a schermo; fece ruotare l’immagine tridimensionale di profilo e poi in proiezione antero-posteriore, come se da quelle orbite cave i nervi ottici di Mrs. Fennell stessero guardando dritto verso di lui.

Appena il programma segnalò che i percorsi neuronici del soggetto erano in memoria, Peter cominciò a far scorrere la registrazione in tempo reale a partire da una decina di minuti prima del momento della morte. Il computer cercava e delineava lo schema di emissione delle cellule nervose. Ogni gruppo interconnesso di neuroni che mandava un segnale di uscita singolo era codificata in rosso, un segnale doppio in arancione, un segnale triplo in giallo, e così via per i sette colori dello spettro.

Il risultato visivo era che l’immagine del cervello a schermo appariva pervasa da un’uniforme e palpitante luce bianca, l’effetto combinato di tutti i punti di colore diverso. Ogni tanto Peter ne ingrandiva una sezione con lo zoom per vedere da vicino l’attività di questa o quella zona. Alcune tacevano quasi del tutto, altre (presumibilmente quelle collegate alla vista e all’udito, o alla memoria) lampeggiavano di luci e filamenti multicolori come alberi di natale.

Ad un tratto potè vedere chiaramente gli effetti del collasso che aveva dato il colpo di grazia a Peggy Fennell. Lo schema grafico codice-colore si rinnovava ogni decimo di secondo, e ciò che accadde fu che un’area di tenebra cominciò ad allargarsi nel lobo parietale sinistro della donna, fra la Scissura Interemisferica e il Condotto di Silvio. A questo seguì un aumento dell’attività, con l’intero encefalo che si faceva sempre più brillante mentre gli inibitori perdevano ossigeno e di conseguenza i neuroni emettevano segnali a ripetizione. Dopo alcuni secondi una complessa rete di linee rosse prese forma nell’intero cervello della donna, schemi di zone che non avrebbero dovuto essere attive così all’unisono ma che s’accendevano e si spegnevano di continuo, come se la massa di tessuto nervoso fosse percorsa da spasimi. Poi la rete svanì, e nessun altro schema ne prese il posto. Dopo novant’anni di servizio, il cervello di Peggy Fennell era come un edificio ormai vuoto dove il vento stava soffiando dalle finestre spalancate. Il vento e i fantasmi.

Peter aveva sperato di poterlo guardare spassionatamente. Dopotutto erano soltanto dati. Ma era anche Peggy, quella brava donna dal carattere allegro che già una volta aveva sfiorato la morte, quella donna che lo aveva tenuto per mano mentre la vita sfuggiva alle sue povere forze.

I dati continuarono a scorrere, e in breve nell’immagine restarono solo pochi gruppi di punti colorati, come costellazioni in una notte di nebbia sempre più deboli e rade. Quando l’attività a schermo si fermò fu senza alcuno spasimo finale. Nessun grido, nessun sussurro. Soltanto il vuoto e il nulla.

A parte un…

Cosa diavolo era?

Un minuscolo lampo sullo schermo.

Peter riportò indietro la registrazione e la fece scorrere di nuovo, a velocità molto inferiore.

C’era un piccolo insieme di luci viola. Le palpitazioni avevano uno schema stabile, che si ripeteva e ripeteva identico, con la sola differenza che ogni volta era spostato più a destra. La tecnica di registrazione del superEEG giustificava quello spostamento: i neuroni non emettevano sempre nello stesso modo, e la massa cerebrale era abbastanza gelatinosa perché i più lievi movimenti della testa e le pulsazioni arteriose cambiassero leggermente le coordinate spaziali dei neuroni. L’attività che si spostava dai neuroni a quelli adiacenti lo faceva a passi così piccoli che il registratore l’aveva interpretato come il ripetersi della stessa emissione da parte degli stessi neuroni. Peter guardò la barra della scala sul fondo dell’inquadratura. Lo schema di luci viola, un complesso gruppetto di linee simile a un mucchio di tubi al neon affastellati, s’era già mosso di cinque millimetri, assai più di quanto dei neuroni potessero fare all’interno di una testa umana, salvo che in caso di un urto fisico violento, mentre lui sapeva che Peggy Fennell in quel momento era del tutto immobile.

Peter diede un altro ordine al programma. La velocità di scorrimento aumentò. Non c’era dubbio su questo: il gruppetto di luci viola si stava spostando verso la Scissura di Rolando, dal lobo parietale sinistro a quello destro, in linea retta. Ruotava un poco nel muoversi, come un cespuglio del deserto fatto rotolare via dal vento. Peter lo guardava meravigliato, a bocca aperta. Lo schema continuò a muoversi sotto il corpo calloso, oltrepassò l’ipotalamo e fu nell’emisfero destro.

Ciascuna regione del cervello era di norma abbastanza isolata dalle altre, e le onde cerebrali tipiche, ad esempio, della corteccia cerebrale erano diverse da quelle del cervelletto, o dei ventricoli, o dei lobi occipitali o frontali. Ma quel piccolo insieme di punti rossastri andava muovendosi da una regione all’altra della massa encefalica senza cambiare la sua forma e il suo aspetto.

Un malfunzionamento dell’apparecchio, pensò Peter. Oh, be’, niente funzionava mai alla perfezione la prima volta.

Senonché…

Senonché lui non riusciva a immaginare quale fosse il particolare tecnico che funzionando in modo alterato poteva causare un effetto di quel genere.

E l’insieme di punti viola continuava a muoversi nell’immagine vitrea e trasparente di quel cranio vuoto.

Peter cercò d’ipotizzare un’altra spiegazione. Possibile che ciò che vedeva fosse causato da microscariche d’elettricità statica, ad esempio fra i capelli di Mrs. Fennell e il cuscino? Ma in genere i tessuti ospedalieri erano in materiale anti-statico, proprio allo scopo di non interferire coi delicati sensori dei monitor, e la donna aveva pochi radi capelli bianchi. Inoltre portava la cuffia collegata al superEEG.

No, la causa doveva essere un’altra.

Lo schema viola si avvicinava alla parte più esterna del cervello. Peter si domandò se al contatto con le circonvoluzioni complesse della corteccia avrebbe finito per dissiparsi, o se sarebbe rimbalzato e tornato indietro, come un’immagine da videogame nei circuiti nervosi di una testa umana.

Non fece nessuna delle due cose.

Raggiunse la superficie del lobo parietale destro… e continuò ad andare avanti, attraversando le membrane che racchiudevano il cervello.

Sorprendente.

Peter prese la tastiera e inviò al programma di grafica altri ordini per far apparire tutti i particolari ossei del cranio che conteneva l’encefalo di Mrs. Fennell più il contorno della cuffia con i micro-elettrodi. Si diede dello stupido per non averlo fatto prima. Adesso era chiaro dove il gruppo di punti viola si stava dirigendo: dritto verso una tempia.

Verso la zona più sottile del cranio.

L’immagine continuò ad andare avanti, attraverso l’osso e poi nel rivestimento di tessuto muscolare ed epiteliale.

Senza dubbio qui, pensò Peter, avrebbe deviato. C’erano dei nervi che si diramavano in basso lungo il muscolo temporale: il trigemino, il nervo facciale… o forse quell’effetto si stava spostando lungo dei vasi sanguigni. Ad ogni modo, qualunque fosse l’elemento che ne determinava il percorso, Peter si aspettava di vedere un mutamento. Le ramificazioni dei nervi e dei vasi sanguigni s’infittivano molto al livello dell’epidermide. L’immagine si sarebbe allargata ad ombrello e poi dispersa.

Ma non fu questo che fece. Proseguì, restando esattamente della stessa forma, e pian piano oltrepassò il muscolo, la pelle e…

Fuori. Oltre il campo rilevato dai sensori.

Non s’era allargata e dissolta. Aveva semplicemente preso il volo. E tutto ciò senza perdere la sua coesione. Lo schema era rimasto unito e integro finché la cuffia dei microelettrodi non ne aveva smarrito le tracce.

Incredibile, pensò Peter. Incredibile.

Rallentò la registrazione in cerca di altri piccoli sintomi di attività neurale, ingrandendo e ruotando in tutti i sensi l’immagine tridimensionale.

Ma non ce n’erano più.

Il cervello di Peggy Fennell era di nuovo una forma trasparente e verginale come prima che il programma assorbisse i dati, privo di qualsiasi attività elettrica.

La donna era morta, a questo punto.

Morta.

E qualcosa aveva lasciato il suo corpo.

Qualcosa era uscito dal suo cervello.

Peter si accorse che i suoi pensieri giravano in cerchio su quel fatto inesplicabile.

Da qualche parte c’era un errore.

Da qualche parte doveva esserci un errore.

Fece tornare la registrazione all’inizio, dieci minuti prima del decesso, e la riesaminò stavolta osservando la testa di profilo.

Perché il gruppo di puntolini viola s’era spostato dall’emisfero sinistro alla tempia destra? L’altra tempia era più vicina.

Un momento… quando aveva esalato l’ultimo respiro Mrs. Fennell era girata verso di lui, con un lato della testa a contatto del cuscino. E la tempia che sfiorava il cuscino era la sinistra. La destra si trovava un poco più in alto e completamente esposta all’aria. Che questo ne avesse fatto una specie di «via di fuga» più libera?

Peter istruì il computer di dargli una ripetizione dei momenti decisivi visti da una quantità di angoli diversi, con metodi di analisi dei dati diversi e diversi codici-colore. Il risultato continuò ad essere lo stesso: l’immagine era sempre quella.

Aprì a schermo una finestra con gli altri sintomi vitali di Mrs. Fennell collegati al tempo: pulsazioni cardiache, respiro, pressione del sangue. Il gruppetto di segnali elettrici aveva cominciato a muoversi proprio quando il cuore di lei s’era fermato, dopo il suo ultimo respiro.

Peter aveva trovato esattamente ciò che stava cercando: un elemento di riscontro inequivocabile che indicasse la fine della vita, una prova innegabile a dimostrazione che un corpo umano era soltanto carne, pronto per il prelievo degli organi.

Un elemento di riscontro.

Quella non era la definizione giusta, e lui lo sentiva nelle viscere. Stava evitando deliberatamente di pensarci. E tuttavia la cosa era lì, registrata dal suo ultrasensibile strumento: la dipartita dal corpo di Peggy Fennell della sua anima immortale.

Peter sapeva che se avesse chiesto a Sarkar di venire subito a casa sua lui sarebbe venuto. Quando l’amico entrò Peter non riusciva più a contenere l’eccitazione; i suoi occhi lampeggiavano, e per quanto ci provasse non poteva reprimere un sogghigno. Condusse Sarkar nello studio e rimandò a schermo per lui la registrazione della morte cerebrale di Mrs. Fennell.

— Tu hai alterato il programma — fu quel che disse l’amico.

— Nossignore. Non vedo perché avrei dovuto farlo.

— Oh, andiamo, Peter!

— È la verità. Non ho fatto altro che fornire i dati al computer, senza rielaborarli in precedenza. Tu hai visto esattamente ciò che è successo.

— Fammi rivedere l’ultima parte — disse Sarkar, — a una velocità cento volte inferiore.

Peter premette alcuni pulsanti.

Shabhanallah — mormorò l’amico. — Questo è incredibile.

— Piuttosto inspiegabile, no?

— Ma tu una spiegazione ce l’hai, non è vero? — disse Sarkar. — Qui in questa simulazione. Quell’immagine è il nafs… l’anima, che si distacca dal corpo della donna.

Con sua stessa sorpresa Peter si accorse di reagire con ostilità a quell’idea, quando la sentì esprimere a voce. — Sapevo che avresti detto questo.

— Be’, cos’altro potrebbe essere?

— Non lo so.

— Nient’altro — dichiarò Sarkar. — Questa è l’unica interpretazione possibile. Ne hai già parlato con qualcuno?

— No.

— Mi chiedo come potrai rendere pubblica una notizia del genere. Con un articolo su una rivista scientifica? O informerai la stampa?

— Non lo so. Non ho ancora avuto tempo di pensare alla cosa in questa prospettiva. Suppongo che quando avrò steso una relazione inviterò in ditta i giornalisti di alcune stazioni televisive.

— Non dimenticare Fleischmann e Pons — lo avvertì Sarkar.

— Quelli della fusione fredda? Già, quei due si buttarono davanti alle telecamere senza accorgersi di avere i pantaloni sbottonati. Comunque dovrò registrare molti altri decessi prima di trarre qualsiasi conclusione. Bisogna che abbia la certezza che questo accade a tutti, e una casistica esente da pecche da far esaminare al mondo scientifico. Ma non potrò temporeggiare in eterno. Qualcun altro potrebbe inciampare sulla stessa scoperta fin troppo presto.

— E i brevetti?

Peter annuì. — Ci ho pensato. La mia ditta ha già i brevetti di quasi tutta la tecnologia usata nel superEEG… dopotutto, è solo un perfezionamento dello scanner cerebrale che abbiamo costruito per il tuo lavoro sulla IA. È ovvio che non renderò pubblico niente prima di aver protetto l’intera apparecchiatura.

— Quando farai l’annuncio — disse Sarkar, — avrà molta risonanza. Questa è una cosa grossa, amico. Tu hai dimostrato l’esistenza della vita dopo la morte.

Peter scosse il capo. — Tu salti a conclusioni non supportate dai dati. Un piccolo debole campo elettrico abbandona il corpo al momento della morte. Questo è tutto. Non c’è niente che dimostri che questo campo sia consapevole o vivente.

— Il Corano dice…

— In una relazione scientifica non posso citare le dichiarazioni del Corano, della Bibbia o di altre scritture. Tutto ciò che io so è che un campo d’energia coesiva sopravvive alla morte del corpo. Se questo campo continui ad esistere per un apprezzabile periodo di tempo dopo questa separazione, o se porti con sé dei dati reali, è cosa del tutto ignota… e a questo punto ogni altra interpretazione è solo un pio desiderio.

— Tu vuoi essere deliberatamente ottuso. È un’anima, Peter. Io lo so.

— Non voglio usare quella parola… pregiudica l’aspetto scientifico di ogni discussione.

— Va bene, chiamala come ti pare. Casper il Fantasma Amico, se preferisci… anche se io battezzerei Onda dell’Anima il fenomeno elettromagnetico registrato dalla strumentazione. Ma il fenomeno esiste… e tu sai bene quanto me che la gente dirà che si tratta dell’anima, né più né meno, e che questo dimostra la realtà della vita dopo la morte. — Sarkar guardò l’amico negli occhi. — Questa scoperta cambierà il mondo.

Peter mormorò un assenso. Non c’era altro che potesse dire.

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