«Non fare l’idiota, Rand» disse Min. Costringendosi a restare seduta, incrociò le gambe e prese a scalciare oziosamente, ma non riuscì a non parlare in tono esasperato. «Vai da lei! Parlale!»
«Perché?» scattò Rand. «Adesso so a quale lettera credere. È meglio così. Lei ora è al sicuro. Da chiunque voglia colpire me. È al sicuro da me! È meglio così!» Ma, in maniche di camicia, continuò a fare avanti e indietro tra le due file di poltrone davanti al Trono del Drago, i pugni stretti e le nocche sbiancate, uno sguardo nero come le nuvole che fuori dalle finestre stavano stendendo un nuovo manto di neve su Cairhien.
Min scambiò uno sguardo con Fedwin Morr, in piedi accanto alle porte con sopra inciso il sole. Le Fanciulle adesso lasciavano entrare chiunque non fosse chiaramente un nemico, ma quel mattino gli ospiti indesiderati venivano respinti dal giovane robusto. Sul colletto aveva sia la spilla del drago che quella della spada, e Min sapeva che aveva già visto più battaglie — e orrori — di quasi tutti gli uomini tre volte più grandi di lui, ma era comunque un ragazzo. E quel giorno, poiché continuava a lanciare occhiate nervose a Rand, sembrava più giovane che mai. La spada che portava in vita sembrava fuori luogo addosso a lui, secondo Min.
«Il Drago Rinato è un uomo, Fedwin» gli disse. «E come tutti gli uomini è dispiaciuto perché crede che una donna non voglia vederlo mai più.»
Gli occhi sgranati, il ragazzo trasalì come se lei gli avesse dato una pacca sul sedere. Rand si fermò per rivolgerle uno sguardo torvo. E se Min non rise fu solo perché sapeva che lui stava nascondendo un dolore reale come ogni ferita da coltello. Per questo, e per la consapevolezza che avrebbe sofferto altrettanto se la donna in questione fosse stata lei. Non che Min avrebbe mai avuto occasione di strappare le sue bandiere, ma il punto non era questo. Sulle prime, Rand era rimasto sbalordito dalle notizie che Taim aveva portato da Caemlyn all’alba, ma non appena quell’uomo se ne era andato lui aveva smesso di sembrare un bue stecchito e aveva cominciato con... questo!
Min si alzò, si aggiustò la giubba color verde chiaro, incrociò le braccia al petto e lo affrontò direttamente. «Quale altro può essere il motivo?» gli chiese con calma. Be’, provò a chiederglielo con calma, e quasi ci riuscì.
Lo amava, ma dopo una mattinata del genere aveva voglia di riempirlo di ceffoni. «Non hai quasi parlato di Mat, e non sai nemmeno se è vivo.»
«Mat è vivo» ruggì Rand. «Lo saprei se fosse morto. Che significa che sono...» Serrò la mascella, come se non riuscisse a ripetere quella parola.
«Dispiaciuto» lo aiutò lei. «E presto sarai imbronciato, come un ragazzino. Alcune donne credono che gli uomini siano più graziosi quando mettono il broncio. Io non sono fra queste.» Be’, era meglio cambiare argomento. Rand si era scurito in volto, e non stava arrossendo. «Non ti sei forse fatto in quattro per assicurarti che lei avesse il trono di Andor? Che le appartiene di diritto, aggiungerei. Non dicevi di volere che avesse un Andor integro, non distrutto come Cairhien o Tear?»
«Certo!» ruggì Rand. «E adesso è suo, e lei vuole che me ne tenga alla larga! Bene così, dico io! E non dirmi un’altra volta che devo smetterla di urlare! Non lo sto...» Si rese conto che lo stava facendo e chiuse di scatto la bocca. Un basso ringhio veniva dal fondo della sua gola. Morr prese a studiare uno dei suoi bottoni, piegandolo avanti e indietro. Lo aveva fatto un sacco di volte, quel mattino.
Min cercò di mantenere un’espressione serena. Non aveva intenzione di prenderlo a schiaffi, ed era troppo grosso per poterlo sculacciare. «L’Andor è suo, proprio come volevi tu» gli disse. Con calma. Quasi. «Nessun Reietto le andrà contro ora che ha abbassato le tue bandiere.» Una luce minacciosa si accese in quegli occhi grigio-azzurri, ma lei insisté: «Proprio come volevi tu. E non puoi certo credere che si sia schierata con i tuoi nemici.
L’Andor seguirà il Drago Rinato, e lo sai. Quindi l’unico motivo per cui hai perso le staffe è perché pensi che non ti voglia più vedere. Vai da lei, idiota!» Quello che veniva dopo fu più difficile da dire. «Prima ancora che potrai pronunciare una parola, lei comincerà a baciarti.» Per la Luce, amava Elayne quasi quanto amava Rand — forse senza quasi, anche se in modo assai diverso — ma come poteva una donna competere con una bellissima regina dai capelli d’oro che aveva una nazione intera ai suoi piedi?
«Io non sono... arrabbiato» disse Rand con voce tesa. E ricominciò a camminare avanti e indietro. Min prese in considerazione l’ipotesi di dargli un calcio nel sedere. Forte.
Una delle porte si aprì ed entrò la coriacea e canuta Sorilea, che spostò Morr di lato mentre lui ancora guardava Rand per capire se doveva o meno lasciarla passare. Rand aprì bocca — arrabbiato, per quanto potesse piacergli sostenere il contrario — e cinque donne con pesanti vesti nere zuppe di neve sciolta seguirono la Sapiente nella stanza, le mani incrociate, lo sguardo basso, i cappucci profondi che non nascondevano del tutto i loro volti. I piedi erano avvolti in stracci.
Min si sentì pizzicare lo scalpo. Ai suoi occhi, aure e immagini danzavano, sparivano e si susseguivano intorno alle sei donne, come intono a Rand. Aveva cominciato a sperare che lui potesse dimenticare l’esistenza di quelle cinque. In nome della Luce, che stava combinando quella vecchia maledetta?
Sorilea fece un unico cenno in un tintinnare di bracciali d’oro e avorio, e le cinque donne si disposero rapidamente in linea sul dorato Sole Nascente incastonato nel pavimento. Rand camminò lungo quella fila, abbassando i cappucci, scoprendo facce che fissò con occhi glaciali.
Le donne in veste nera erano sporche, i capelli schiacciati e zuppi di sudore. Elza Penfell, una sorella Verde, ricambiò il suo sguardo con ansia e con una strana espressione di fervore sul viso. Nesune Bihara, una magra Marrone, lo fissò con la stessa concentrazione con la quale Rand fissava lei. Sarene Nemdahl, così bella, nonostante il sudiciume che la mancanza dei segni dell’età in lei sembrava naturale, era avvinta con le unghie alla freddezza tipica dell’Ajah Bianca. Beldeine Nyram, che aveva conquistato lo scialle da poco e non aveva l’aspetto senza tempo, abbozzò un sorriso incerto che si disciolse sotto lo sguardo di Rand. Erian Boroleos, chiara di pelle e bella quasi quanto Sarene, trasalì e poi fece uno sforzo visibile per guardare in quegli occhi di ghiaccio. Anche queste ultime due erano Verdi, e tutte e cinque erano state tra le sorelle che avevano rapito Rand per ordine di Elaida. Alcune avevano anche preso parte alle torture che lui aveva subito mentre cercavano di portarlo a Tar Valon. Di tanto in tanto, Rand ancora si svegliava sudato e ansimante, e mormorava di quando l’avevano rinchiuso, di quando l’avevano picchiato. Min sperò di non vedere nessuna luce omicida nei suoi occhi.
«Queste donne sono state dichiarate da’tsang, Rand al’Thor» disse Sorilea. «Penso che adesso sentano il loro disonore fin nelle ossa. Erian Boroleos è stata la prima a chiedere di essere percossa come lo sei stato tu, all’alba e al tramonto, ma poi l’hanno fatto tutte. E la loro richiesta è stata esaudita. Tutte hanno chiesto di servirti, in qualsiasi modo. Il toh per il loro tradimento non potrà mai essere compensato,» la sua voce si incupì per un attimo — per gli Aiel, il rapimento in sé era ben peggiore di quello che avevano fatto dopo — «ma conoscono il loro disonore, e desiderano provarci. Abbiamo deciso di lasciare a te la scelta.»
Min si accigliò. Lasciare a lui la scelta? Raramente le Sapienti lasciavano agli altri le scelte che potevano fare loro. E Sorilea non lo faceva mai.
La nodosa Sapiente si sistemò lo scialle scuro con fare distratto, e osservò Rand come se la questione non avesse alcuna importanza. Ma lanciò a Min uno sguardo che era ghiaccio azzurro, e lei fu all’improvviso sicura che, se avesse detto la cosa sbagliata, la vecchia l’avrebbe scuoiata viva. Non era una delle sue visioni. Ma ormai conosceva Sorilea meglio di quanto avrebbe voluto.
Si concentrò a studiare le immagini che comparivano e scomparivano intorno a quelle donne. Un compito non facile, visto che erano così vicine da non poter stabilire con certezza se una visione era relativa a una di loro o a quella subito accanto. Per lo meno le aure erano sempre inconfondibili.
Luce, pensò Min, aiutami a capire almeno qualcosa di ciò che vedo!
Rand prese con serenità l’annuncio di Sorilea, all’apparenza. Si strofinò lentamente le mani, poi esaminò pensoso gli aironi che gli marchiavano i palmi. Ed esaminò uno per volta i visi delle Aes Sedai. Alla fine, si concentrò su Erian.
«Perché?» le chiese con voce pacata. «Ho ucciso due dei tuoi Custodi.
Perché?» Min trasalì. Rand era molte cose, ma di rado era pacato. Ed Erian era tra le poche che lo avevano percosso più di una volta.
La pallida Illianese si raddrizzò. Le immagini danzarono, le aure divamparono per poi scomparire. Min non riuscì a trarre alcun senso. Sporca in viso e con i lunghi capelli neri appiattiti sulla testa, Erian chiamò a raccolta la sua dignità di Aes Sedai e sostenne con fermezza lo sguardo di Rand.
«Abbiamo sbagliato a catturarti. Ci ho pensato a lungo. Tu devi combattere l’Ultima Battaglia, e noi dobbiamo aiutarti. Se non vorrai accettare il mio aiuto lo capirò, ma se me lo permetti ti sosterrò facendo qualsiasi cosa mi chiederai.»
Rand la fissò, inespressivo.
Fece la stessa domanda, una sola parola, a tutte le altre, e le risposte furono diverse quanto lo erano tra di loro quelle donne.
«Le Verdi sono l’Ajah da battaglia» gli rispose con fierezza Beldeine, e nonostante le macchie sulle guance e i cerchi neri intorno agli occhi sembrava davvero una regina guerriera. «Quando andrai a Tarmon Gai’don, le Verdi dovranno essere con te. Io ti seguirò, se lo accetterai.» Per la Luce, quella donna avrebbe legato a sé come Custode un Asha’man! Come... No, adesso non era importante.
«Quello che abbiamo fatto era logico all’epoca.» La fredda serenità che Sarene manteneva così a fatica scivolò nella preoccupazione, e la donna scosse il capo. «L’ho detto per spiegare, non per discolparmi. Le circostanze sono cambiate. Per te la decisione più logica potrebbe essere...» Trasse un respiro decisamente tremante. Immagini e aure; una turbolenta relazione d’amore, tra tutte le cose che poteva vedere! Quella donna era di ghiaccio, nonostante la bellezza. E non serviva a niente sapere che un uomo l’avrebbe fatta sciogliere! «Farci restare prigioniere,» proseguì Sarene «o persino giustiziarci. A me la logica dice che ti devo servire.»
Nesune piegò di lato la testa, e quei suoi occhi quasi neri parvero voler immagazzinare ogni dettaglio della figura di Rand. Un aura di colore rosso e verde parlava di fama e onori. Un immenso edificio apparì e scomparve sopra la sua testa. Una biblioteca che la donna avrebbe scoperto. «Io ti voglio studiare» si limitò a dire Nesune. «E difficilmente posso farlo se devo trasportare pietre o scavare buche. Certo, queste attività mi lasciano un sacco di tempo per pensare, ma servirti mi sembra un prezzo onesto in cambio di quello che potrei apprendere.» Rand sbatté le palpebre per la sua schiettezza, ma per il resto la sua espressione non cambiò affatto.
La risposta più sorprendente venne da Elza, per come la diede più che per le parole. Cadendo in ginocchio, alzò su Rand uno sguardo febbrile.
Tutto il suo viso pareva splendere di fervore. Le aure divamparono intorno a lei e le immagini si susseguivano senza sosta, e senza che Min potesse capirci alcunché. «Tu sei il Drago Rinato» disse Elza col fiato corto. «Devi essere presente all’Ultima Battaglia. E io devo aiutarti ad arrivarci. Farò tutto quello che è necessario!» E si gettò faccia a terra, premendo le labbra sulle pietre lucidate davanti ai piedi di Rand. Persino Sorilea parve sorpresa, e Sarene rimase a bocca aperta. Morr la guardò imbambolato, poi tornò in tutta fretta a torcere quel suo bottone. A Min sembrò di sentirlo ridacchiare nervosamente, un suono appena percettibile.
Girando sui talloni, Rand si avviò altezzoso verso il Trono del Drago, dove il suo scettro e la corona dell’Illian erano poggiati sulla giubba rossa con i ricami d’oro. Aveva un’espressione così dura che Min sentì l’impulso di correre da lui senza curarsi delle donne presenti, ma continuò a studiare le Aes Sedai. E Sorilea. Non aveva mai visto apparire niente di utile intorno a quella megera dai capelli bianchi.
A un tratto Rand si girò di nuovo e andò verso la fila di donne camminando così velocemente che Beldeine e Sarene arretrarono. A un brusco cenno di Sorilea, però, ripresero le loro posizioni.
«Accettereste di essere rinchiuse in una cassa?» La sua voce era gracchiante, come pietre gelide strofinate una contro l’altra. «Rinchiuse tutto il giorno, e percosse prima di entrare e dopo essere uscite?» Era quello che avevano fatto a lui.
«Sì» gemette Elza contro il pavimento. «Farò qualsiasi cosa!»
«Sì, se è questo che desideri» riuscì a dire Erian, tremando, e le altre annuirono lentamente, atterrite.
Min guardava sbalordita, i pugni stretti nelle tasche della giubba. Era naturale che Rand pensasse di vendicarsi trattandole come era stato trattato, ma lei doveva trovare il modo di fermarlo. Lo conosceva meglio di quanto non si conoscesse egli stesso; sapeva dove era duro come una lama di coltello e dove era vulnerabile, per quanto si sforzasse di negarlo. Non si sarebbe mai perdonato se avesse fatto una cosa del genere. Ma come poteva impedirglielo? Il viso distorto dalla furia, Rand scosse il capo come faceva quando discuteva con quella voce che sentiva nella mente. Borbottò una sola parola a voce abbastanza alta perché la sentisse anche Min. Ta’veren.
Sorilea se ne stava con calma al suo posto, e lo studiava attentamente come Nesune. Nemmeno la minaccia della cassa aveva scosso la Marrone. Tranne Elza, che ancora gemeva e baciava il pavimento, le altre avevano tutte lo sguardo distante, come se si stessero immaginando piegate in due e legate come avevano legato lui.
Tra tutte le immagini che scorrevano intorno a Rand e le donne, all’improvviso si accese un’aura, blu e gialla punteggiata di verde, che li racchiuse tutti. E Min ne conobbe il significato. Ansimò, metà per la sorpresa e metà per il sollievo.
«Ti serviranno, Rand, ognuna a modo suo» disse rapidamente. «L’ho visto.» Sorilea l’avrebbe servito? A un tratto Min si chiese cosa esattamente significava ‘ognuna a modo suo’. Le parole venivano con la comprensione, ma non sempre lei sapeva cosa significassero. Eppure quelle donne l’avrebbero davvero servito: questo era chiaro.
La furia sparì dal volto di Rand, che studiò in silenzio le Aes Sedai. E alcune di loro guardarono Min inarcando le sopracciglia, palesemente stupite per il grande peso che avevano avuto le sue poche parole; ma per lo più fissarono Rand, e sembrava che nemmeno respirassero. Persino Elza alzò il capo per guardarlo. Sorilea rivolse a Min una rapida occhiata e un cenno del capo appena percettibile. Un cenno di approvazione, pensò lei. E così la vecchia fingeva che non le importasse niente, eh?
Alla fine, Rand parlò. «Potete giurarmi fedeltà come hanno fatto Kiruna e le altre. O tornerete dove finora vi hanno tenuto le Sapienti, ovunque sia.
Non accetterò nulla di meno.» Nonostante una sfumatura di autorità nella voce, sembrava che neanche a lui importasse nulla, braccia incrociate, occhi impazienti. Il giuramento che aveva preteso arrivò subito, in un torrente.
Min non si aspettava certo che quelle donne si mettessero a cavillare, non dopo la visione che aveva avuto, ma rimase comunque sorpresa quando Elza si alzò per inginocchiarsi e le altre si abbassarono per fare altrettanto. In un coro sfilacciato, altre cinque Aes Sedai giurarono in nome della Luce e per la loro speranza di salvezza che avrebbero servito fedelmente il Drago Rinato fino all’Ultima Battaglia. Nesune pronunciò le parole come esaminandole una per volta, Sarene come se stesse esponendo un principio di logica, Elza con un ampio sorriso di trionfo, ma tutte giurarono. Quante Aes Sedai si sarebbero riunite intorno a Rand?
Dopo il giuramento, lui parve perdere ogni interesse. «Trova loro dei vestiti e mettile con le altre vostre ‘allieve’» disse distrattamente a Sorilea.
Era accigliato, ma non per lei o le Aes Sedai. «Quante credi che saranno, alla fine?» Min quasi sobbalzò per quell’eco dei suoi stessi pensieri.
«Quante ne servono» rispose seccamente Sorilea. «Penso che ne arriveranno altre.» Batté una volta le mani e fece un cenno, e le cinque sorelle scattarono in piedi. Solo Nesune parve sorpresa per la loro alacre obbedienza. Sorilea sorrise, un sorriso molto compiaciuto per una Aiel e, secondo Min, dovuto non alla docilità di quelle donne.
Annuendo, Rand si girò. Ricominciò subito a camminare avanti e indietro, ricominciò subito ad accigliarsi pensando a Elayne. Min tornò di nuovo alla sua poltrona, rammaricandosi di non avere uno dei libri di mastro Fel da leggere. O da lanciare a Rand. Be’, uno di mastro Fel da leggere, e uno di qualcun altro da lanciare.
Sorilea guidò il suo gregge di donne vestite di nero fuori dalla stanza, ma si fermò con una mano sulla porta e si girò a guardare Rand, che si allontanò da lei andando verso il trono dorato. La Aiel increspò pensosamente le labbra. «Quella donna, Cadsuane Melaidhrin, è anche oggi sotto questo tetto» annunciò infine parlando alla sua schiena. «Penso sia convinta che tu hai paura di lei, Rand al’Thor, per come la eviti.» Detto questo, uscì.
Per un lungo istante, Rand rimase a fissare il trono. O forse qualcosa al di là del trono. Poi si scosse all’improvviso, coprì a grandi falcate il resto della distanza e raccolse la Corona di Spade. Sul punto di mettersela in testa, però, ebbe un’esitazione, poi la ripose. Indossò la giubba, e lasciò stare scettro e corona.
«Ho intenzione di scoprire che vuole Cadsuane» dichiarò. «Di sicuro non viene tutti i giorni a palazzo perché le piace camminare nella neve. Mi vuoi accompagnare, Min? Forse avrai una visione.»
Lei si alzò ancor più in fretta di quelle Aes Sedai. Probabilmente, una visita a Cadsuane sarebbe stata piacevole come una a Sorilea, ma era comunque meglio che restare lì da sola. Inoltre, forse avrebbe davvero avuto una visione. Fedwin si accodò a lei e Rand con un’espressione di allerta negli occhi.
Le sei Fanciulle nel corridoio dall’alto soffitto a volta si alzarono, ma non li seguirono. Somara era l’unica che Min conoscesse; la Aiel rivolse a lei un rapido sorriso e a Rand un duro sguardo di disapprovazione. Le altre erano torve. Le Fanciulle avevano accettato la sua storia su come era partito senza di loro affinché tutti credessero quanto più a lungo possibile che era ancora a Cairhien, ma pretendevano ancora di sapere perché poi non le aveva mandate a chiamare, e Rand non aveva risposte. Mormorò qualcosa tra sé e aumentò l’andatura, così Min dovette camminare a lunghe falcate per tenere il passo.
«Osserva Cadsuane attentamente, Min» le disse Rand. «E anche tu, Morr. Ha di sicuro in mente qualche piano da Aes Sedai, ma che io sia folgorato se riesco a capire quale. Non so. C’è...»
Un muro di pietra parve colpire Min alle spalle e a lei sembrò di sentire schianti e boati. Poi Rand la stava girando — era stesa sul pavimento? — e la guardava con la prima espressione di paura che lei avesse mai visto in quegli occhi azzurri come il cielo al mattino. Un’espressione che si affievolì solo quando Min si alzò a sedere, tossendo. L’aria era piena di polvere! E poi vide il corridoio.
Le Fanciulle davanti alla porta di Rand erano sparite. La porta stessa era sparita, insieme a gran parte della parete, e in quella opposta c’era un buco frastagliato quasi altrettanto grande. Nonostante la polvere, Min poteva chiaramente vedere l’interno degli appartamenti di Rand, poteva vederne la devastazione. Enormi cumuli di macerie giacevano ovunque, e il soffitto era una bocca spalancata verso il cielo. La neve scendeva vorticando sulle fiamme che danzavano fra i detriti. Uno dei massicci sostegni del baldacchino sporgeva, bruciato, da un mucchio di pietre, e Min si rese conto che riusciva a vedere anche fuori dalla stanza, fino alle torri circondate da gradini e spolverate da un velo di neve. Era come se un immenso martello si fosse abbattuto sul Palazzo del Sole. Se loro fossero rimasti nella stanza, invece di andare da Cadsuane... Min rabbrividì.
«Cosa...» cominciò a dire con voce malferma, poi scartò quell’inutile domanda. Qualsiasi idiota poteva vedere cosa era successo. «Chi?» chiese invece.
Coperti di polvere, i capelli sparati in ogni direzione e le giubbe strappate, sembrava che Rand e Fedwin si fossero rotolati nel corridoio, e forse era successo davvero. Min aveva l’impressione che fossero tutti e tre ad almeno dieci passi da dove si trovavano prima dell’esplosione. Nessuno dei due uomini le rispose.
«Posso fidarmi di te, Morr?» chiese Rand.
Fedwin resse il suo sguardo con franchezza. «Puoi affidarmi anche la tua vita, mio lord Drago» rispose semplicemente.
«Ed è proprio quello che voglio fare» disse Rand. Sfiorò con le dita una guancia di Min, poi si alzò di scatto. «Proteggila al costo della tua vita, Morr.» Dura come l’acciaio, la sua voce. Cupa come la morte. «Se sono ancora nel Palazzo, se ne accorgeranno se cerchi di aprire un passaggio e colpiranno prima che tu possa finire. Non incanalare per niente al mondo, a meno che non sei costretto, ma tieniti pronto. Portala negli alloggi della servitù, e uccidi chiunque o qualsiasi cosa cerchi di arrivare a lei. Senza eccezioni!»
Con un’ultima occhiata a Min — oh, per la Luce, in qualsiasi altra circostanza Min avrebbe pensato che poteva morire felice, dopo aver visto quell’espressione nei suoi occhi — Rand andò via di corsa, lontano da quel disastro. Lontano da lei. Chiunque avesse cercato di ucciderlo, gli avrebbe dato la caccia.
Morr le diede una pacca su un braccio con una mano polverosa e le rivolse quel suo sorriso infantile. «Non ti preoccupare, Min. Mi prenderò cura di te.»
Ma chi si sarebbe preso cura di Rand? ‘Mi posso fidare di te?’, aveva chiesto a quel ragazzo, che era stato uno dei primi ad arrivare con la richiesta di poter imparare. Per la Luce, chi avrebbe tenuto lui al sicuro?
Svoltato un angolo, Rand si fermò con una mano contro una parete per afferrare la Fonte. Una cosa stupida, non volere che Min lo vedesse vacillare quando qualcuno aveva cercato di ucciderlo, ma era così. E non si trattava semplicemente di ‘qualcuno’. Un uomo, Demandred, o forse Asmodean che alla fine era tornato. Magari entrambi; aveva avvertito qualcosa di strano, come se le tessiture arrivassero da direzioni differenti. Ma se ne era accorto troppo tardi per poter fare qualcosa. Sarebbe morto, se si fosse trovato nelle sue stanze. Era pronto a morire. Ma non voleva che morisse anche Min, no, Min no. Era un bene che Elayne fosse lontana, che si fosse rivoltata contro di lui. Oh, per la Luce, contro di lui!
Afferrò la Fonte, e saidin gli si riversò dentro con ghiaccio fuso e calore raggelante, con vita e dolcezza, lordura e morte. Gli si rivoltò lo stomaco, e il corridoio davanti a lui si sdoppiò. Per un attimo, gli parve di scorgere un volto. Non con gli occhi, ma nella mente. Un uomo, lucente e irriconoscibile, che subito sparì. Fluttuava nel Vuoto, pieno di Potere.
Non vincerai, disse a Lews Therin. Se muoio, morirò essendo me stesso!
Avrei dovuto mandar via Ilyena, sussurrò di rimando Lews Therin. Sarebbe sopravvissuta.
Spingendo via quella voce e al contempo spingendosi via dal muro, Rand si aggirò nei corridoio del Palazzo con tutta la furtività possibile, camminando con passi leggeri, tenendosi vicino alle pareti coperte di arazzi, aggirando le ceste lavorate in oro e gli armadietti dorati pieni di statuine d’avorio e di fragili porcellane anch’esse dorate. Si guardava intorno, in cerca di chi lo aveva attaccato. I nemici non sarebbero stati soddisfatti se prima non trovavano il suo cadavere, ma si sarebbero avvicinati con grande cautela alle sue stanze, in caso fosse sopravvissuto per qualche scherzo del suo destino di ta’veren. Avrebbero aspettato, per vedere se si muoveva.
Nel Vuoto, Rand era quasi tutt’uno col Potere, fuso insieme per quanto un uomo poteva farlo senza morire. Nel Vuoto, come quando maneggiava una spada, era tutt’uno con ciò che lo circondava.
Da ogni direzione si levavano rumori e urla frenetiche, qualcuno gridava per sapere cosa era successo, altri strillavano che il Drago Rinato era impazzito. Il grumo di frustrazione nella sua mente che era Alanna gli fornì una lieve consolazione. L’Aes Sedai era fuori dal Palazzo, sin dal mattino, forse persino fuori dalle mura cittadine. Rand avrebbe voluto che lo fosse anche Min. Di tanto in tanto vedeva uomini e donne nei vari corridoi, per lo più servitori in livrea nera che correvano, cadevano, si rialzavano e ricominciavano a correre. Loro non vedevano lui. Pieno di Potere, Rand riusciva a sentire ogni sussurro. Anche il rumore di piedi infilati in morbidi stivali che correvano con passo leggero.
Poggiando la schiena contro una parete accanto a un lungo tavolo coperto di porcellane, Rand intessé rapidamente Aria e Fuoco intorno a sé e rimase immobile, avvolto in Luce Ritorta.
Arrivarono le Fanciulle, un torrente di donne velate che corsero via senza vederlo. Verso i suoi appartamenti. Non poteva permettere che lo accompagnassero; aveva promesso, ma di lasciarle combattere, non di guidarle al massacro. Quando lui avesse trovato Demandred e Asmodean, le Fanciulle non avrebbero potuto fare altro che morire, e c’erano già altri cinque nomi da imparare e aggiungere all’elenco. Tra i quali quello di Somara dei Daryne Cima Piegata. Una promessa che era stato costretto a fare, e che doveva mantenere. Già solo per quella promessa meritava di morire!
Aquile e donne possono essere tenute al sicuro solo in una gabbia, disse Lews Therin come citando un proverbio, poi scoppiò a piangere quando sparì l’ultima delle Fanciulle.
Rand proseguì, perlustrando il palazzo in lenti archi che si allontanavano gradualmente dalle sue stanze. Luce Ritorta richiedeva poco Potere — così poco che nessun uomo si sarebbe accorto dell’uso di saidin a meno di; non arrivargli addosso — e Rand se ne serviva ogni volta che qualcuno pareva accorgersi di lui. Quelli che l’avevano attaccato non avevano colpito i suoi appartamenti per caso. Avevano occhi e orecchie nel Palazzo. Forse era stato il suo influsso di ta’veren a farlo uscire da quelle stanze, posto che un ta’veren potesse operare su sé stesso, o forse era stata solo una coincidenza, ma Rand sperava che la sua capacità di dare strattoni al Disegno potesse portargli i nemici a tiro mentre loro lo credevano morto o ferito. Lews Therin rise soddisfatto per quell’idea. Rand poté quasi sentirlo mentre si strofinava le mani per l’attesa.
Altre tre volte dovette nascondersi col Potere mentre le Fanciulle lo superavano di corsa, e in corridoio vide Cadsuane che avanzava con non meno di sei Aes Sedai alle calcagna, tutte a lui sconosciute. Sembravano a caccia. Rand non aveva paura della sorella dai capelli grigi, non precisamente. No, certo che non ne aveva paura! Ma aspettò che lei e le sue amiche fossero sparite prima di lasciar andare la sua tessitura. Lews Therin non ridacchiò per Cadsuane. Osservò un silenzio mortale finché non fu andata via.
Rand si allontanò dalla parete, una porta si aprì accanto a lui, e Ailil si affacciò nel corridoio. Non si era reso conto di essere vicino alle stanze della nobile. Dietro di lei c’era una donna scura con spessi cerchi d’oro alle orecchie e una catenina piena di medaglioni che le attraversava la guancia sinistra fino all’anello infilato nel naso. Shalon, Cercavento di Harine din Togara, l’ambasciatrice degli Atha’an Miere che si era trasferita a palazzo con il suo seguito subito dopo che Merana gli aveva parlato dell’accordo.
Ed era insieme a una donna che forse lo voleva morto. Sgranarono entrambe gli occhi quando lo videro.
Rand fu quanto più possibile delicato, ma doveva agire in fretta. Pochi istanti dopo stava infilando una piuttosto malconcia Ailil sotto il letto accanto a Shalon. Forse non c’entravano nulla con quello che stava succedendo. Forse. Ma sicuro era meglio che dispiaciuto. Guardandolo torve, con in bocca le sciarpe di Ailil ripiegate, le due donne si agitarono contro i lembi di lenzuola arrotolati che lui aveva usato per bloccarle ai polsi e alle caviglie. Lo schermo che aveva legato su Shalon avrebbe resistito per un giorno o due prima di sciogliersi, ma qualcuno le avrebbe trovate e avrebbe tagliato quegli altri legacci molto prima.
Preoccupato per quello schermo, Rand aprì la porta quanto bastava per controllare il corridoio, e quando vide che era deserto uscì rapidamente.
Non poteva lasciare la Cercavento libera di incanalare, ma schermare una donna richiedeva una gran quantità di Potere. Se uno dei suoi nemici era vicino... Ma non vide nessuno nemmeno nei passaggi laterali.
A cinquanta passi dalle stanze di Ailil, il corridoio si apriva su una balconata di marmo azzurro, con il parapetto squadrato e scale a entrambe le estremità che portavano a una sala quadrata con un alto soffitto a volta che terminava in un’altra balconata dello stesso tipo. Arazzi lunghi dieci passi erano appesi alle pareti, uccelli che si innalzavano in cielo seguendo rigidi schemi. Dabbasso c’era Dashiva, che si guardava intorno leccandosi le labbra con un’espressione incerta. E con lui c’erano Gedwyn e Rochaid! Lews Therin strillò di ucciderli.
«...ripeto che io non ho percepito nulla» stava dicendo Gedwyn. «È morto!»
Poi Dashiva vide Rand, in cima alle scale.
L’unico avvertimento fu l’improvviso ghigno che distorse il volto di Dashiva. Poi l’Asha’man incanalò, e senza nemmeno pensare Rand creò la sua tessitura — come spesso succedeva, non sapeva cosa fosse; qualcosa recuperato dagli abissi della memoria di Lews Therin: non era nemmeno sicuro se stava creando da solo quella tela o se Lews Therin gli aveva sottratto il controllo di saidin — e si avvolse in Aria, Fuoco e Terra. Il fuoco lanciato da Dashiva esplose, frantumando il marmo e respingendo Rand nel corridoio, rimbalzando e rotolando sul suo bozzolo.
Quella barriera poteva tener fuori qualsiasi cosa tranne il fuoco malefico.
Inclusa l’aria per respirare. Rand la rilasciò ansimando, e strisciò sul pavimento con lo schianto delle esplosioni che ancora risuonava nell’aria, la polvere che non si era ancora posata e frammenti di marmo che continuavano a rotolare. Rand aveva lasciato andare quella tessitura non solo per respirare, ma perché la barriera resisteva agli attacchi del Potere sia dall’esterno che dall’interno. Non aveva ancora smesso di scivolare che già incanalò Fuoco e Aria, ma intrecciati in modo molto diverso dalla tessitura di Luce Ritorta. Dalla mano destra gli partirono sottili filamenti rossi, che si aprirono a ventaglio passando attraverso la pietra diretti verso il punto in cui prima si trovavano Dashiva e gli altri. Dalla sinistra sfrecciarono sfere di fuoco, Fuoco intessuto con Aria, tanto veloci da non poterle neppure contare, e fusero la pietra fino a esplodere nella grande sala. Un continuo, assordante boato fece tremare il Palazzo. La polvere caduta tornò ad alzarsi, e i pezzi di marmo rimbalzavano sul pavimento.
Quasi all’istante, però, Rand si alzò e corse via, tornò indietro, superò gli appartamenti di Ailil. Chi colpiva e restava nello stesso posto stava chiedendo di morire. Lui era pronto a morire, ma non ancora. Ruggendo senza emettere suoni, si lanciò in un altro corridoio, scese le strette scale della servitù e arrivò al piano di sotto.
Fu molto cauto mentre tornava dove aveva visto Dashiva, tessiture letali pronte a scattare al primo avviso.
Avrei dovuto ucciderli tutti sin dall’inizio, ansimò Lews Therin. Avrei dovuto ucciderli tutti!
Rand lo lasciò sfogare.
La grande stanza sembrava aver subito un’inondazione di fuoco. Degli arazzi restavano solo frammenti carbonizzati lambiti dalle fiamme, e per terra e nelle pareti il fuoco aveva scavato buchi larghi un passo. Le scale sulle quali si era fermato Rand finivano a metà strada dal pavimento. Dei tre uomini non c’era segno. Non potevano essersi consumati del tutto.
Qualcosa sarebbe rimasto.
Un servitore in giubba nera si affacciò piano da una porticina accanto alle scale dall’altro lato della sala. Gli cadde lo sguardo su Rand, gli occhi ruotarono all’insù e l’uomo si accasciò. Un’altra domestica si sporse da un corridoio, poi raccolse le gonne e tornò indietro, strillando a squarciagola che il Drago Rinato stava uccidendo tutti quelli che si trovavano nel Palazzo.
Rand andò silenziosamente via da quella sala con una smorfia dipinta in viso. Era davvero bravo a spaventare la gente che non poteva fargli alcun male. Davvero bravo a distruggere.
Distruggere o essere distrutto, rise Lews Therin. Quando ti resta solo questa scelta, cosa conta tutto il resto?
Da qualche parte nel Palazzo, un uomo incanalò abbastanza Potere da creare un passaggio. Dashiva e gli altri che fuggivano? O volevano farglielo credere?
Rand avanzò camminando nel Palazzo, senza più prendersi la briga di nascondersi. Lo facevano già tutti gli altri. I pochi servitori che vide fuggirono urlando. Corridoio dopo corridoio, Rand andò a caccia, pieno di saidin fin quasi a scoppiare, pieno di fuoco e ghiaccio che provavano ad annientarlo come aveva fatto Dashiva, pieno della contaminazione che gli si insinuava nell’anima. Non aveva bisogno delle sguaiate risa e dei vaneggiamenti di Lews Therin per essere invaso dal desiderio di uccidere.
Lo scorcio di una giubba nera poco più avanti, e le sue mani scattarono in alto, fuoco, saette, esplosioni, squarci nelle pareti ad angolo dove due corridoi si incontravano. Rand lasciò che la tessitura si placasse, ma non la eliminò del tutto. Li aveva uccisi?
«Mio lord Drago,» urlò una voce da dietro il muro distrutto «sono io, Narishma! E con me c’è anche Flinn!»
«Non vi avevo riconosciuti» mentì Rand. «Venite qui.»
«Temo che il tuo sangue sia un po’ troppo caldo» rispose a gran voce Flinn. «Credo che forse dovremmo aspettare che tutti si calmino un po’.»
«Sì» disse lentamente Rand. Aveva davvero cercato di uccidere Narishma? Non pensava di poter usare Lews Therin come scusante. «Sì, forse è meglio. Aspettiamo un po’.» Non ci fu nessuna risposta. Aveva sentito rumore di passi in fuga? Si costrinse ad abbassare le mani e prese un’altra direzione.
Perlustrò il Palazzo per ore senza trovare traccia di Dashiva e gli altri. I corridoi e le grandi sale, persino le cucine, tutto era deserto. Non scoprì nulla, non apprese nulla. No. Si rese conto che una cosa l’aveva appresa.
La fiducia era un pugnale, e il manico era affilato come la lama.
Poi scoprì il dolore.
La piccola stanza dalle pareti di pietra si trovava nelle profondità del Palazzo del Sole ed era tiepida nonostante non ci fossero camini, ma Min sentiva freddo. Tre lampade dorate sul piccolo tavolo di legno davano abbastanza luce. Rand aveva detto che da lì poteva farla fuggire anche se qualcuno provava a sradicare il Palazzo dal terreno. E non le era sembrato che stesse scherzando.
Con la corona di Illian in grembo, Min lo osservava. Osservava Rand che osservava Fedwin. Le mani si strinsero sulla corona, e si allargarono immediatamente per la puntura di una delle piccole spade nascoste tra le foglie di alloro. Strano come corona e scettro erano sopravvissuti mentre lo stesso Trono del Drago era ridotto a un ammasso di schegge dorate sepolto dalle macerie. Una grande saccoccia di cuoio accanto alla sua sedia, contro la quale era poggiato il cinturone di Rand con la spada infilata nel fodero, conteneva gli altri oggetti che lui era riuscito a recuperare. Scelte strane per la maggior parte dei casi, secondo il giudizio di Min.
Stupida smidollata, si disse. Ignorare quello che hai davanti agli occhi non lo farà scomparire.
Rand sedeva a gambe incrociate sul nudo pavimento, ancora coperto di polvere e graffi e con la giubba strappata. Il suo volto sembrava quello di sua statua. Guardava Fedwin senza sbattere nemmeno le palpebre. Anche il ragazzo era seduto sul pavimento, a gambe larghe. La lingua stretta tra i denti, Fedwin si stava concentrando per costruire una torre con dei ceppi di legno. Min deglutì forte.
Ricordava ancora il terrore provato quando si era accorta che il ragazzo incaricato di ‘proteggerla’ aveva ormai la mente di un bambino. Anche la pena era ancora ben presente — per la Luce, era solo un ragazzo! Non era giusto! — ma Min avrebbe comunque preferito che Rand lo schermasse.
Non era stato facile convincere Fedwin a giocare con quei ceppi invece di sradicare le pietre dal muro col Potere per costruire ‘una grande torre dove tenerti al sicuro’. E poi lei si era seduta facendo al guardia a lui fino all’arrivo di Rand. Oh, per la Luce, quanto aveva voglia di piangere. Per Rand, ancor più che per Fedwin.
«Ti nascondi in profondità, a quanto pare.»
La voce cupa che veniva dalla soglia non ebbe neppure il tempo di concludere la frase che già Rand era in piedi, girato verso Mazrim Taim. Come al solito, l’uomo dal naso adunco indossava una giubba nera con Draghi blu e d’oro che si avvolgevano a spirale sulle maniche. A differenza degli altri Asha’man, non aveva la spilla con la spada né quella col drago sul colletto. Il volto scuro era inespressivo quasi quanto quello di Rand. In quel momento, però, con lo sguardo fisso su Taim, Rand cominciò a digrignare i denti. Min allentò furtivamente un coltello nella manica. Immagini ed aure danzavano intorno a entrambi, ma non fu questo a metterla improvvisamente in allarme. Aveva già visto un uomo intento a decidere se ucciderne o meno un altro, e lo stava vedendo anche in quel momento.
«Vieni qui pieno di saidin, Taim?» chiese Rand, con voce fin troppo calma. Taim allargò le braccia, e Rand disse: «Così va meglio.» Ma non si rilassò.
«Temevo solo di finire pugnalato per sbaglio,» spiegò Taim «mentre venivo qui passando per corridoi zeppi di quelle Aiel. Sembrano agitate.» I suoi occhi non lasciarono mai Rand, ma Min era sicura che l’avesse vista quando aveva sfiorato il pugnale. «Cosa comprensibile, ovviamente» proseguì Taim con naturalezza. «Non posso descriverti la mia gioia nel trovarti vivo dopo quello che ho visto di sopra. Sono venuto a fare rapporto su dei disertori. In circostanze normali non mi sarei preso la briga, ma in questo caso si tratta di Gedwyn, Rochaid, Torval e Kisman. A quanto pare erano scontenti di come sono andate le cose in Altara, ma non avrei mai pensato che potessero spingersi a tanto. Non ho visto nessuno degli uomini che avevo lasciato con te.» Per un attimo, lo sguardo guizzò verso Fedwin.
Solo per un attimo. «Ci sono state... altre... perdite? Se desideri, questo qui lo porto con me.»
«Ho ordinato io agli altri di tenersi lontano dalla mia vista» disse Rand con voce dura. «E mi prenderò io cura di Fedwin. Fedwin Morr, Taim, non ‘questo qui’.» E si spinse anche indietro verso il tavolino per prendere il calice d’argento poggiato tra le lampade. Min trattenne il fiato.
«La Sapiente del mio villaggio era capace di curare qualsiasi cosa» disse Rand mentre si inginocchiava accanto a Fedwin. In qualche modo, riuscì a sorridere al ragazzo senza distogliere lo sguardo da Taim. Fedwin ricambiò con gioia il sorriso e provò a prendere il calice, ma Rand lo tenne in mano e gli diede da bere. «Conosce le erbe meglio di chiunque io abbia mai incontrato. Ho imparato alcune cose da lei, certe sono sicure, altre no.» Fedwin sospirò quando lui gli tolse il bicchiere e se lo strinse al petto. «Dormi, Fedwin» mormorò Rand.
E sembrava davvero che il ragazzo si stesse addormentando. Chiuse gli occhi. Il torace si alzò e poi scese più lentamente. Più lentamente. Fino a fermarsi. Il sorriso non lasciò mai le sue labbra.
«Un po’ nel vino» disse lievemente Rand mentre adagiava Fedwin. Min si sentiva bruciare gli occhi, ma non avrebbe pianto. Non avrebbe pianto!
«Sei più duro di quanto pensassi» mormorò Taim.
Rand gli sorrise, un sorriso duro e ferino. «Aggiungi Corlan Dashiva al tuo elenco dei disertori, Taim. La prossima volta che vengo alla Torre Nera mi aspetto di vedere la sua testa su quel tuo Albero del Traditore.»
«Dashiva?» ruggì Taim, gli occhi sgranati per la sorpresa. «Sarà fatto.
Entro la tua prossima visita alla Torre Nera.» Si riprese subito, tornando ad assumere quel suo studiato aspetto da pietra levigata. Min avrebbe davvero voluto riuscire a capire le visioni che aveva su di lui.
«Torna alla Torre Nera, e non venire più qui.» Alzandosi, Rand fronteggiò l’altro uomo da sopra il corpo di Fedwin. «Per un po’ di tempo potrei spostarmi di continuo.»
L’inchino di Taim fu appena accennato. «Ai tuoi ordini.»
Quando la porta si chiuse alle spalle di quell’uomo, Min emise un lungo sospiro.
«Non ha senso perdere tempo, e non c’è tempo da perdere» mormorò Rand. Inginocchiandosi davanti a lei, prese la corona e la infilò nella saccoccia insieme agli altri oggetti. «Min, pensavo di essere io il branco di segugi e di dare la caccia ai lupi uno dopo l’altro, ma a quanto pare sono il lupo.»
«Che tu sia folgorato» sospirò lei. Avvinghiandosi con entrambe le mani ai suoi capelli, lo guardò dritto negli occhi. Ora azzurri, ora grigi, il cielo del mattino all’alba. E asciutti. «Puoi piangere, Rand al’Thor. Non diventi più debole se piangi!»
«Non ho tempo neanche per le lacrime, Min» disse lui con delicatezza.
«A volte i segugi prendono il lupo e se ne pentono. A volte il lupo gli si rivolta contro, o tende un’imboscata. Ma prima, il lupo deve fuggire.»
«Dove andiamo?» chiese Min. Non lasciò i capelli. Non l’avrebbe mai lasciato andare. Mai.