Graendal si rammaricò del fatto che non ci fosse neppure un semplice trascrittore tra le cose che aveva portato via da Illian dopo la morte di Sammael. Quest’Epoca era terribile, primitiva e scomoda. Eppure, per certi versi le piaceva. In una grande gabbia di bambù in fondo alla stanza, un centinaio di uccelli dal piumaggio lucente cantavano melodiosi, e i tanti colori delle loro piume li rendevano belli quasi quanto i suoi due cuccioli in abiti trasparenti posizionati ai lati della porta, lo sguardo fisso su di lei, ansiosi di compiacerla. E se le lampade a olio non erano luminose come i bulbi di luce, supportate dagli specchi alle pareti producevano un certo barbaro splendore insieme alle dorature del soffitto a squame di pesce. Sarebbe stato bello dover pronunciare solo le parole, ma l’atto di metterle su carta con la propria mano le dava un piacere simile a quello che provava disegnando. La scrittura di quest’Epoca era piuttosto semplice, e imparare a duplicare la grafia di altre persone non era stato più difficile.
Dopo aver firmato con uno svolazzo — non il suo vero nome, ovviamente — passò uno strato di sabbia sul foglio spesso, lo piegò e lo sigillò con uno degli anelli di varie dimensioni disposti in riga sul suo scrittoio. La mano e la spada dell’Arad Doman, impresse su un cerchio irregolare di cera blu e verde.
«Portalo a lord Ituralde con la massima velocità,» ordinò «e di’ solo quello che devi.»
«Spingerò i cavalli oltre il loro limite, mia signora.» Nazran si inchinò e prese la lettera, mentre con un dito si carezzava i baffi sottili sul suo sorriso trionfante. Robusto, con la pelle di un marrone intenso e una bella giubba blu era affascinante; ma non abbastanza. «Racconterò che ho ricevuto questa lettera da lady Tuva, che è morta a causa delle ferite subite ma è riuscita a dirmi che era una messaggera di Alsalam ed era stata attaccata da un Uomo Grigio.»
«Assicurati che ci sia del sangue umano su quella lettera» lo avvisò Graendal. Dubitava che in quei tempi sapessero distinguere il sangue umano da quello di altre creature, ma aveva avuto troppe sorprese per correre un rischio così inutile. «Abbastanza perché sia realistico, ma non tanto da rendere illeggibile quello che ho scritto.»
Nazran si inchinò di nuovo e i suoi occhi neri si soffermarono con calore su di lei, ma quando si raddrizzò andò subito verso la porta, con un gran risuonare di stivali sul pavimento di marmo giallo chiaro. Non notò i due servitori con lo sguardo ardente fisso su Graendal, o fece finta di non notarli, anche se un tempo era stato amico del ragazzo. Era bastato appena un tocco di Coercizione perché Nazran diventasse ansioso di obbedirle quasi quanto quei due, nonché per fargli avere la certezza che forse avrebbe potuto godere di nuovo del fascino di lei. Graendal rise piano. Be’, Nazran credeva di averne già goduto; se fosse stato appena un po’ più bello, magari sarebbe successo davvero. Ovviamente, in quel caso sarebbe diventato inutilizzabile per qualsiasi altra cosa. Invece adesso avrebbe stremato i cavalli per raggiungere Ituralde, e se quel messaggio consegnato dal cugino di Alsalam nonostante gli attacchi degli Uomini Grigi e scritto dal re in persona non avesse soddisfatto l’ordine del Sommo Signore di far aumentare il caos, allora niente poteva riuscirci, tranne il fuoco malefico. E il messaggio avrebbe servito anche i fini di Graendal. I suoi fini personali.
La sua mano andò all’unico anello sullo scrittoio che non era anche un sigillo, una semplice fascia d’oro che le entrava solo al mignolo. Era stata una piacevole sorpresa trovare un angreal sintonizzato sulle donne tra i possedimenti di Sammael. Una piacevole sorpresa avere il tempo per trovare qualcosa di utile con al’Thor e quei pupazzi che si facevano chiamare Asha’man che continuavano a entrare e uscire dalle stanze di Sammael nella Grande Sala del Consiglio. Avevano spogliato quel posto di tutto ciò che lei non aveva preso. Pupazzi pericolosi, tutti quanti, e in particolare quell’al’Thor. E Graendal non aveva voluto correre il rischio che qualcuno potesse tracciare una linea che da Sammael portava a lei. Adesso doveva senza dubbio far progredire più rapidamente i suoi piani, e prendere le distanze dalla disfatta di Sammael.
A un tratto, una linea verticale d’argento apparve lungo la parete di fondo, stagliandosi luminosa contro gli arazzi appesi tra gli specchi dalle pesanti dorature, e si sentì risuonare una nota cristallina. Graendal inarcò le sopracciglia per la sorpresa. A quanto pare, pensò, qualcuno si ricorda ancora le cortesie di un’Epoca più civile. Alzandosi, spinse la fascetta d’oro contro l’anello col rubino che portava al mignolo e la usò per abbracciare saidar prima di incanalare la tela che avrebbe fatto suonare una nota di risposta per chi voleva aprire quel passaggio. L’angreal non offriva un grande aiuto, ma ora se qualcuno era convinto di conoscere la forza di Graendal sarebbe andato incontro a una brutta sorpresa.
Il passaggio si aprì, e due donne con abiti quasi identici di seta rossa e nera lo varcarono con prudenza. O meglio, Moghedien si mosse con cautela, gli occhi scuri che guizzavano in cerca di trappole mentre le mani lisciavano l’ampia gonna; il passaggio si chiuse dopo un istante, ma lei rimase collegata a saidar. Una precauzione sensata, ma d’altronde Moghedien era sempre stata tipo da prendere ogni precauzione. Neanche Graendal lasciò andare la Fonte. La compagna di Moghedien, una ragazza bassa con lunghi capelli d’argento e vividi occhi azzurri, si guardò intorno con freddezza, a malapena degnando Graendal di un’occhiata. Dal portamento sembrava una Prima Consigliera costretta a tollerare la compagnia di comuni lavoratori e ben intenzionata a ignorare la loro esistenza. Una stupida, visto come imitava il Ragno. Il nero e il rosso non si addicevano al suo colorito, e avrebbe potuto sfruttare meglio un seno così impressionante.
«Graendal, lei è Cyndane» disse Moghedien. «Noi stiamo... lavorando insieme.» Non sorrise quando presentò la giovane altezzosa, ma Graendal sì. Un bel nome per una ragazza più che bella, ma quale scherzo del destino aveva portato una madre di quel tempo a dare a sua figlia un nome che significava ‘ultima occasione’? Il volto di Cyndane rimase freddo e sereno ma i suoi occhi si infiammarono. Una bella bambola scolpita nel ghiaccio ma con un fuoco nascosto. Doveva conoscere il significato del suo nome, e non le piaceva.
«Cosa ti porta qui con la tua amica, Moghedien?» chiese Graendal. Il Ragno era davvero l’ultima persona che si aspettava di veder uscire dall’ombra. «Non aver timore di parlare davanti ai miei servitori.» Fece un gesto, e i due accanto alla porta caddero in ginocchio schiacciando il volto sul pavimento. Non sarebbero proprio morti a un suo ordine, ma ci sarebbero andati vicino.
«Che interesse possono avere se gli togli tutto ciò che potrebbe renderli interessanti?» chiese Cyndane attraversando la stanza con incedere arrogante. Si teneva dritta come un fuso, sforzandosi di guadagnare ogni centimetro di altezza. «Sai che Sammael è morto?»
Graendal rimase serena in volto, con un lieve sforzo. Aveva pensato che quella ragazza fosse una qualche Amica delle Tenebre alla quale Moghedien assegnava le sue commissioni, forse una nobile convinta che il suo titolo contasse ancora, ma adesso che era più vicina... La ragazza era anche più forte di lei nell’Unico Potere! Persino nella sua Epoca, una cosa del genere era stata insolita tra gli uomini e assai rara tra le donne. Subito, d’istinto, Graendal abbandonò l’intenzione di negare ogni contatto con Sammael.
«Lo sospettavo» rispose, rivolgendo un finto sorriso a Moghedien da sopra la testa della giovane. Quanto sapeva il Ragno? E dove aveva trovato una ragazza più forte di lei, e perché ci viaggiava insieme? Moghedien era sempre stata gelosa di chiunque avesse più forza di lei. Di chiunque avesse qualsiasi cosa più di lei. «Aveva l’abitudine di farmi visita, mi importunava per chiedermi aiuto in uno dei suoi folli piani. Non gliel’ho mai rifiutato direttamente; sai che Sammael è... era un uomo pericoloso. Si faceva vivo immancabilmente ogni due o tre giorni, e quando ha smesso ho immaginato che gli fosse successo qualcosa di grave. Chi è questa ragazza, Moghedien? Una scoperta davvero notevole.»
La giovane si avvicinò ancora, fissandola con occhi che erano fuoco azzurro. «Ti ha detto il mio nome. Non hai bisogno di sapere altro.» Sapeva di parlare a una dei Prescelti, eppure usava un tono glaciale. Anche considerando la sua forza, non poteva essere una semplice Amica delle Tenebre.
A meno che non fosse pazza. «Hai fatto caso al clima, Graendal?»
A un tratto Graendal si rese conto che Moghedien stava lasciando alla ragazza la guida della conversazione. Si teneva in disparte in attesa di scoprire qualche debolezza. E lei la stava assecondando! «Immagino che tu non sia venuta qui per annunciarmi la morte di Sammael, Moghedien» disse bruscamente. «O per parlarmi del tempo. Sai che esco di rado.» La natura era indisciplinata, disordinata. Non c’erano nemmeno le finestre in quella stanza, né in quasi tutte le altre che lei era solita usare. «Che vuoi?» La donna dai capelli scuri si stava spostando di lato lungo la parete, sempre circondata dal bagliore dell’Unico Potere. Muovendosi con disinvoltura, Graendal si posizionò in modo da tenerle entrambe sott’occhio.
«Stai commettendo un errore, Graendal.» Un sorriso spaventoso incurvò appena le labbra carnose di Cyndane; la ragazza si stava divertendo. «Sono io che comando. Moghedien è in cattive acque con Moridin a causa dei suoi recenti errori.»
Moghedien si strinse tra le proprie braccia e lanciò alla piccola donna dai capelli d’argento un’occhiata torva che era più eloquente di qualsiasi parola di conferma. All’improvviso, Cyndane sgranò ancor di più i grandi occhi e ansimò, in preda ai brividi.
Lo sguardo di Moghedien divenne maligno. «Comandi per il momento» la derise. «Ai suoi occhi non sei messa molto meglio di me.» E poi fu lei a sobbalzare e rabbrividire, mordendosi le labbra.
Graendal si chiese se non la stavano prendendo in giro. L’odio reciproco che quelle due avevano dipinto in volto non sembrava fasullo. In ogni caso, adesso avrebbe visto quanto piaceva a loro essere prese in giro. Strofinandosi inconsciamente le mani, strofinando l’angreal che portava al dito, andò verso una sedia senza perdere di vista le due donne. La dolcezza di saidar che fluiva in lei era un sollievo. Non che avesse bisogno di sentirsi sollevata, ma c’era qualcosa di strano in quella situazione. Lo schienale alto e dritto, pieno di incisioni e dorature, faceva sembrare quella sedia un trono, anche se non era diversa dalle altre nella stanza. Cose del genere avevano un effetto anche sulle persone più sofisticate, a livelli dei quali non erano neppure consapevoli.
Graendal si sedette poggiando la schiena e incrociando le gambe con un piede che scalciava oziosamente l’aria, l’immagine stessa di una donna a suo agio; con tono annoiato chiese: «Dal momento che sei tu al comando, bambina, dimmi un po’: quando quest’uomo che si fa chiamare Morte ti si presenta in forma fisica chi è? Cosa è?»
«Moridin è il Nae’blis.» La voce della ragazza era calma, fredda e arrogante. «Il Sommo Signore ha deciso che è tempo che anche tu serva il Nae’blis.»
Graendal si raddrizzò di scatto. «Questo è assurdo.» Non riuscì a trattenere la rabbia. «Un uomo di cui non ho mai sentito parlare è stato nominato Reggente del Sommo Signore sulla Terra?» Non le importava che gli altri provassero a manipolarla — trovava sempre il modo di rivoltargli contro i loro stessi complotti — ma Moghedien doveva averla scambiata per un’idiota! Graendal non aveva dubbi che fosse Moghedien a manovrare quell’odiosa ragazza, nonostante quello che le avevano detto, nonostante gli sguardi che si lanciavano come fossero pugnalate. «Io servo il Sommo Signore e me stessa, nessun altro! Credo che adesso dovreste andarvene a fare il vostro piccolo gioco da qualche altra parte. Forse Demandred ci cascherà. O magari Semirhage. Fate attenzione a come incanalate, però; ho piazzato un po’ di tele invertite, e non vi piacerebbe se ne innescaste una.»
Era una bugia, ma credibile, quindi fu sconvolgente vedere Moghedien che incanalava all’improvviso, spegnendo tutte le lampade della stanza e sprofondandola nel buio. Subito Graendal si lanciò via dalla sedia per non trovarsi nel posto in cui l’avevano vista e nel frattempo incanalò anche lei, intessendo una tela di luce che rimase sospesa da un lato, una sfera di puro bianco che proiettò livide ombre nella stanza. E illuminò chiaramente le altre due donne. Senza esitare, lei incanalò di nuovo, attingendo tutta la forza del piccolo anello. Non le serviva tutta, non gliene serviva neppure tanta in realtà, ma voleva prendere ogni vantaggio possibile. E così avevano osato attaccarla! Una rete di Coercizione si strinse su Moghedien e una su Cyndane prima ancora che le due potessero muovere un muscolo.
Graendal le aveva chiuse con forza, spinta dalla rabbia, quasi abbastanza da far male, e le due rimasero immobili a fissarla con adorazione, occhi sgranati e bocca aperta, adulanti, intossicate di venerazione. Erano ai suoi ordini, adesso. Se avesse chiesto loro di tagliarsi la gola, l’avrebbero fatto.
All’improvviso Graendal si accorse che Moghedien non stava più abbracciando la Fonte. La forza della Coercizione doveva averla stordita tanto da farle rilasciare saidar. I servitori vicino alla porta non si erano neppure mossi, ovviamente.
«Adesso» fece Graendal con il fiato un po’ corto «risponderete alle mie domande.» Voleva sapere un bel po’ di cose, compreso chi era questo Moridin, posto che esistesse un uomo del genere, e da dove veniva Cyndane, ma un’informazione le interessava più delle altre. «Cosa speravi di ottenere, Moghedien? Potrei decidere di legarvi addosso quelle tele. Così pagherete per il vostro scherzetto servendo me. »
«No, ti prego» gemette Moghedien stringendosi le mani. Cominciò addirittura a piangere! «Ci farai morire tutte! Ti prego, devi servire il Nae’blis!
Per questo siamo venute. Per guidarti al servizio di Moridin!»
Il volto della piccola donna dai capelli d’argento era un’ombrosa maschera di terrore sotto quella pallida luce, e il seno si sollevava a ogni concitato respiro.
Improvvisamente a disagio, Graendal aprì la bocca. La cosa aveva sempre meno senso. Aprì la bocca, e la Vera Fonte svanì. L’Unico Potere fuggì via da lei, e di nuovo il buio ingoiò la stanza. A un tratto gli uccelli in gabbia esplosero in un frenetico cinguettio; le ali si agitavano all’impazzata contro le sbarre di bambù.
Dietro di lei, una voce gracchiò come pietra che si sbriciola. «Il Sommo Signore immaginava che non avresti creduto alle loro parole, Graendal. Il tempo in cui potevi andare per la tua strada è passato.» Una sfera di... chissà cosa... si materializzò nell’aria, un globo nero di morte, ma una luce argentea riempì la stanza. Gli specchi non la riflettevano; quella luce pareva renderli opachi. Gli uccelli si fermarono e zittirono; senza capire perché, Graendal seppe che erano paralizzati dal terrore.
Guardò a bocca aperta il Myrddraal che era lì, pallido, senza occhi e vestito di un nero più profondo di quello della sfera, ma più alto e grosso di tutti gli altri che lei aveva visto. Doveva essere stato lui a impedirle di percepire la Fonte, ma questo era impossibile! Tranne che... Chi aveva creato la sfera di luce nera se non quella creatura? A differenza degli altri, Graendal non aveva mai avuto paura dello sguardo dei Myrddraal, non così tanta, eppure le sue mani si sollevarono da sole e lei dovette stringerle una all’altra per tenerle giù e impedire che le coprissero il volto. Quando si girò a guardare Moghedien e Cyndane, sobbalzò. Avevano assunto la stessa posizione dei suoi servitori, in ginocchio, la testa sul pavimento rivolta verso il Myrddraal.
Dovette inumidirsi le labbra. «Sei un messaggero del Sommo Signore?»
La sua voce era ferma, ma bassa. Non aveva mai sentito che il Sommo Signore mandasse un messaggio tramite un Myrddraal, eppure... Moghedien aveva paura del dolore fisico, ma era comunque una dei Prescelti, eppure aveva strisciato a terra con la stessa prontezza della ragazza. E poi c’era quella luce. Graendal si ritrovò a pentirsi della profonda scollatura del suo abito. Ridicolo, ovviamente; l’appetito dei Myrddraal per le donne era risaputo, ma lei era una dei... Lo sguardo scivolò di nuovo verso Moghedien.
Il Myrddraal le passò accanto con la sua andatura sinuosa, e parve non prestarle la minima attenzione. Il suo lungo mantello nero rimase immobile nonostante lui si muovesse. Aginor aveva ipotizzato che quelle creature non fossero nel mondo come tutte le altre; ‘leggermente fuori fase rispetto al tempo e alla realtà’, così aveva detto, qualsiasi cosa significasse.
«Io sono Shaidar Haran.» Dopo essersi fermato vicino ai suoi servitori, il Myrddraal si piegò a prenderli per la collottola, uno per mano. «Quando ti parlo, è come se sentissi la voce del Sommo Signore delle Tenebre.»
Quelle mani si strinsero finché non si sentì il rumore sorprendentemente forte delle ossa che si spezzavano. Il ragazzo ebbe uno spasmo e morì scalciando; la ragazza semplicemente si afflosciò. Erano due dei suoi cuccioli più graziosi. Il Myrddraal si raddrizzò lasciando andare i cadaveri.
«Io sono la sua mano in questo mondo, Graendal. Quando sei davanti a me, sei davanti a lui.»
Graendal rifletté con cura, anche se in fretta. Aveva paura, un’emozione che era abituata a suscitare più che a provare, ma era in grado di controllarla. Sebbene non avesse mai guidato eserciti a differenza di alcuni degli altri, non era né estranea al rischio né una codarda, ma quella che aveva davanti non era una semplice minaccia. Moghedien e Cyndane erano ancora in ginocchio con la testa sul pavimento di marmo, e Moghedien addirittura tremava visibilmente. Graendal decise di credere a quel Myrddraal. O a qualsiasi cosa fosse in realtà. Il Sommo Signore stava davvero alterando gli eventi in modo più diretto, proprio come lei aveva temuto. Se avesse saputo dei suoi complotti con Sammael... O meglio, se avesse deciso di agire di conseguenza: immaginare che non lo sapesse già era una scommessa da stupidi a quel punto.
Graendal si inginocchiò con eleganza davanti al Myrddraal. «Cosa vuoi che faccia?» La sua voce aveva riacquisito forza. Una necessaria flessibilità non era vigliaccheria; quelli che non si piegavano al Sommo Signore venivano piegati. O spezzati in due. «Devo chiamarti Grande Padrone, o preferisci un altro titolo? Non mi sentirei a mio agio chiamandoti col nome del Sommo Signore, anche se sei la sua mano.»
Il Myrddraal la stupì scoppiando a ridere. Sembrava il crepitare del ghiaccio. I Myrddraal non ridevano mai. «Sei più coraggiosa di tanti altri.
E più saggia. Shaidar Haran andrà bene. Purché ti ricordi chi sono. Purché non permetti al tuo coraggio di superare troppo la tua paura.»
Mentre l’essere le dava i suoi ordini — una visita a questo Moridin era la prima cosa da fare, a quanto pareva; Graendal avrebbe dovuto stare in guardia contro Moghedien, e forse anche contro Cyndane, che potevano decidere di vendicarsi per quel suo uso della Coercizione; dubitava che la ragazza fosse più incline al perdono del Ragno — lei decise di tenere per sé la storia della lettera che aveva inviato a Rodel Ituralde. Niente di quanto le veniva detto faceva pensare che le sue azioni avrebbero contrariato il Sommo Signore, e Graendal doveva comunque pensare alla propria posizione. Moridin, chiunque fosse, poteva anche essere il Nae’blis oggi, ma c’era sempre un domani.
Preparandosi ai sobbalzi della carrozza di Arilyn, Cadsuane spostò una delle tendine di pelle per potersi affacciare dal finestrino. Su Cairhien cadeva una pioggia leggera da un cielo grigio pieno di nuvole rigonfie e venti forti e taglienti. Non solo il cielo era pieno di vento. Raffiche ululanti scuotevano la carrozza più di quanto non facesse il suo solo avanzare. Piccole gocce le punsero la mano, gelide come ghiaccio. Se l’aria diventava un po’ più fredda, ci sarebbe stata la neve. Si strinse meglio addosso il mantello di lana; era stata contenta di trovarlo/infilato in fondo alle bisacce da sella. L’aria sarebbe diventata più fredda.
I ripidi tetti di tegole e le strade della città lastricate in pietra rilucevano bagnate, e anche se la pioggia non era pesante, in pochi erano disposti ad affrontare i forti venti. Una donna su un carro trainato da un bue che lei guidava pungolandolo con un lungo bastone si muoveva con la stessa pazienza di quella bestia, ma la maggior parte delle persone a piedi si teneva stretto il mantello, col cappuccio tirato su, e camminava in fretta al rapido passaggio di una portantina con il suo rigido con che sventolava. Tuttavia, la donna e il suo bue non erano gli unici a non aver fretta. In mezzo alla strada, un Aiel assai alto era immobile e fissava incredulo il cielo lasciandosi inzuppare dalla pioggerella, così concentrato che un tagliaborse temerario gli portò via il borsello e fuggì senza che la sua vittima se ne rendesse conto. Una donna che, a giudicare dai ricci elaboratamente raccolti in un’alta pila sopra la testa, doveva essere una nobile passeggiava lentamente, col mantello e il cappuccio che si agitavano nel vento. Forse era la prima volta che scendeva in strada, ma stava ridendo mentre la pioggia le bagnava le guance. Dalla soglia della bottega di un profumiere, il negoziante si guardava intorno sconsolato: quel giorno avrebbe fatto pochi affari. Gli ambulanti erano quasi tutti spariti per lo stesso motivo, ma alcuni ancora decantavano a gran voce il loro tè caldo e i pasticci di carne dietro bancarelle sormontate da teloni improvvisati. Tuttavia, chiunque in quei giorni avesse comprato un pasticcio di carne per strada meritava il mal di stomaco che ne avrebbe ricavato.
Due cani affamati uscirono di corsa da un vicolo, zampe rigide e pelo dritto sul collo, e presero ad abbaiare e ringhiare contro la carrozza. Cadsuane lasciò cadere la tenda. I cani, proprio come i gatti, sembravano riconoscere le donne in grado di incanalare, solo che i cani parevano credere che quelle donne fossero gatti, anche se innaturalmente grandi. Le due donne sedute di fronte a lei erano ancora impegnate nella loro conversazione.
«Perdonami,» stava dicendo Daigian «ma la logica è inesorabile.» Chinò il capo in segno di scusa, facendo oscillare la pietra di luna che le pendeva sulla fronte attaccata a un’elegante catenina che le cingeva i lunghi capelli neri. Con le dita pizzicò le striature bianche nella sua gonna nera e parlò in fretta, quasi temesse di essere interrotta. «Se accetti che il protrarsi del caldo era opera del Tenebroso, il cambiamento deve essere stato effettuato da qualcun altro. Il Tenebroso non aveva motivo di tornare sui suoi passi. Mi dirai che ha deciso di congelare o annegare il mondo invece di arderlo, ma perché? Se il caldo fosse arrivato fino alla primavera, i morti sarebbero stati più dei vivi proprio come succederà se dovesse nevicare in estate. Di conseguenza, per logica, deve essere opera di qualcun altro.» La naturale diffidenza di quella donna paffuta poteva talvolta essere estenuante, ma come sempre Cadsuane trovò impeccabile la sua logica. Solo, avrebbe tanto voluto sapere di chi era opera quel cambiamento e a che scopo era mirato.
«Per la Pace!» mormorò Kumira. «Preferirei avere un grammo di prove concrete piuttosto che un quintale di questa tua logica da Ajah Bianca.»
Lei era una Marrone, anche se le mancavano i difetti tipici della sua Ajah.
Affascinante con i suoi capelli corti, era pratica e realistica, un’acuta osservatrice, e non si perdeva mai nei propri pensieri al punto da non vedere più il mondo che aveva intorno. Subito dopo aver parlato, diede a Daigian una lieve pacca su un ginocchio e le rivolse un sorriso che trasformò i suoi occhi azzurri da taglienti a calorosi. Gli Shienaresi erano un popolo molto educato, e Kumira faceva sempre di tutto per non offendere nessuno. Almeno, non per sbaglio. «Concentrati su cosa possiamo fare per le sorelle nelle mani degli Aiel. Se qualcuno può escogitare un piano sei proprio tu.»
Cadsuane sbuffò. «Quelle donne si meritano ciò che gli è successo.»
Non aveva avuto il permesso di avvicinarsi alle tende degli Aiel, né lo avevano avuto le sue compagne, ma alcune delle idiote che avevano giurato fedeltà al giovane al’Thor si erano avventurate fino al suo enorme accampamento ed erano tornate pallide e in bilico tra rabbia e disgusto. In una situazione normale anche lei si sarebbe infuriata per quell’affronto alla dignità delle Aes Sedai, quali che fossero le circostanze, ma non adesso. Per ottenere il suo scopo, adesso Cadsuane avrebbe fatto sfilare nude tutte le sorelle della Torre Bianca. Come poteva preoccuparsi del disagio di donne che forse avevano rovinato tutto?
Kumira aprì la bocca per protestare nonostante conoscesse già le sue opinioni, ma Cadsuane proseguì, calma eppure implacabile. «Forse piangeranno abbastanza da espiare i guai che hanno combinato, ma ne dubito.
Sono fuori dalla nostra portata, e se così non fosse potrei consegnarle io stessa agli Aiel. Dimenticati di loro, Daigian, e metti quel tuo fine cervello sul percorso che ti ho assegnato.»
La pallida cairhienese arrossì per quel complimento. Grazie alla Luce, reagiva così solo con le sorelle. Kumira sedeva in silenzio, il volto sereno, le mani in grembo. Per il momento poteva anche essersi sottomessa, ma niente poteva sottomettere a lungo quella donna. Erano proprio la coppia di cui Cadsuane aveva bisogno in quel momento.
La carrozza si inclinò quando il tiro di cavalli si avviò per la lunga rampa che portava al Palazzo del Sole. «Ricordate quello che vi ho detto» si raccomandò con fermezza Cadsuane. «E fate attenzione!»
Mormorarono che sarebbero state attente, buon per loro, e lei annuì. In caso di bisogno, era disposta a usarle entrambe come pacciame, loro e altre ancora, ma non aveva intenzione di perderle solo perché diventavano incaute.
Non ci furono problemi o ritardi e la carrozza varcò i cancelli del Palazzo. Le guardie avevano riconosciuto il sigillo di Arilyn sulle portiere, e sapevano chi c’era dentro. Quella carrozza era andata piuttosto spesso a Palazzo nelle ultime settimane. Quando i cavalli si fermarono, un ansioso valletto con una semplice livrea nera aprì la portiera della carrozza e protese un parasole ampio e piatto di tela cerata scura. La pioggia che colava dai bordi gli finiva sulla testa scoperta, ma d’altronde il parasole non doveva servire a riparare lui.
Sfiorando rapidamente gli ornamenti che pendevano dalla crocchia in cima alla sua testa per assicurarsi che ci fossero tutti — non ne aveva mai perso uno, ma proprio perché usava quel tipo di accortezze — Cadsuane prese le maniglie della sua cesta quadrata in vimini, una cesta da cucito, la tirò da sotto il sedile e scese. Altri sei valletti erano fermi in attesa dietro il primo, tutti col parasole pronto. Se i passeggeri fossero stati così numerosi avrebbero affollato la carrozza rendendo scomodo il viaggio, ma i valletti avevano preferito non avere sorprese e quelli in più se ne andarono solo quando fu evidente che c’erano solo tre donne.
Ovviamente l’arrivo della carrozza era stato già notato. Uomini e donne di servizio vestiti di scuro erano ordinatamente disposti sul pavimento di piastrelle blu e dorate del grande atrio di ingresso con il suo alto soffitto a volta squadrata. Si lanciarono in avanti a prendere mantelli, a offrire piccoli asciugamani di lino in caso qualcuna ne avesse bisogno per mani e viso, a porgere calici in porcellana del Popolo del Mare pieni di un vino caldo che emanava un pesante odore di spezie. Una bevanda invernale, e l’improvviso calo della temperatura la rendeva adatta alle circostanza. Inoltre, dopo tutto era davvero inverno. Finalmente.
Tre Aes Sedai erano ferme in attesa da un lato tra le massicce colonne quadrate di marmo scuro, davanti a fregi alti e chiari che rappresentavano battaglie senza dubbio importanti per Cairhien, ma Cadsuane per il momento le ignorò. Uno dei giovani servitori aveva una piccola figura ricamata in rosso e oro sul davanti della giubba, a sinistra, una figura che la gente chiamava Drago. Corgaide, la donna dai capelli grigi e il volto serio che gestiva la servitù nel Palazzo del Sole, non indossava alcun ornamento a eccezione del pesante anello di chiavi che portava in vita. Nessun altro aveva decorazioni sugli abiti e, nonostante l’evidente entusiasmo di quel giovane, era Corgaide, la Portatrice delle Chiavi, a dettare l’umore dei servitori. Eppure aveva permesso a quel tizio di portare il suo ricamo; un fatto da tenere a mente. Cadsuane le parlò a bassa voce, chiedendole una stanza dove poter ricamare senza essere disturbata, e la donna non batté ciglio a quella richiesta. D’altronde ne aveva senza dubbio sentite di più strane, prestando servizio in quel luogo.
Quando i servitori che avevano preso i mantelli e quelli coi vassoi se ne andarono tra inchini e riverenze, Cadsuane si girò finalmente a fissare le tre sorelle tra le colonne. Queste stavano guardando lei e ignoravano Kumira e Daigian. Corgaide era rimasta nell’atrio, ma si era fatta da parte, lasciando alle Aes Sedai la loro intimità. «Non mi aspettavo proprio di vedervi così tranquillamente a zonzo» disse Cadsuane. «Pensavo che gli Aiel facessero lavorare molto di più le loro allieve.»
Faeldrin reagì appena, un lieve scatto della testa che fece crepitare le perline colorate che aveva tra le trecce sottili, ma Merana arrossì per l’imbarazzo e strinse le mani sulla gonna. Gli eventi l’avevano colpita così a fondo che Cadsuane dubitava delle sue possibilità di recupero. Bera, ovviamente, era quasi imperturbabile.
«Molte di noi hanno avuto un giorno libero a causa della pioggia» rispose Bera con calma. Robusta e con indosso un semplice abito di lana — il tessuto era ben lavorato e di buona qualità, ma decisamente semplice — la si poteva credere più a suo agio in una fattoria che in un palazzo. A patto di essere degli idioti: Bera aveva una mente acuta e una volontà di ferro, e Cadsuane non credeva che avesse mai fatto due volte lo stesso errore. Come gran parte delle sorelle, non si era ancora abituata all’idea di incontrare Cadsuane Melaidhrin, in carne e ossa, ma non si lasciava sopraffare dalla soggezione. Dopo un respiro appena più profondo, proseguì: «Non capisco perché continui a tornare qui, Cadsuane. È chiaro che vuoi qualcosa da noi, ma finché non ci dici di che si tratta non potremo aiutarti. Sappiamo quello che hai fatto per il lord Drago,» ebbe una lieve incertezza sul titolo; ancora non sapevano bene come chiamare quel ragazzo «ma è ovvio che sei venuta a Cairhien a causa sua, e finché non ci dirai perché e a che scopo, devi capire che da noi non avrai alcun aiuto.» Faeldrin, un’altra Verde, sobbalzò per il tono audace di Bera, ma prima che il discorso finisse già annuiva in segno di assenso.
«E devi capire anche un’altra cosa» aggiunse Merana, che aveva recuperato la sua serenità. «Se decidiamo di doverci opporre a te, lo faremo.» Il volto di Bera non cambiò, ma Faeldrin tese per un attimo le labbra. Forse non era d’accordo, o forse non voleva rivelare troppo.
Cadsuane le degnò di un lieve sorriso. Spiegare perché e a che scopo? Se loro decidevano? Finora erano riuscite a ficcarsi mani e piedi nelle bisacce da sella del giovane al’Thor, anche Bera. Con queste premesse, non meritavano nemmeno il permesso di decidere cosa indossare al mattino! «Non sono qui per voi» disse. «Anche se immagino che a Kumira e Daigian la visita possa far piacere, visto che avete il giorno libero. Vogliate scusarmi.»
Fece un cenno a Corgaide perché le mostrasse la strada, poi la seguì attraverso l’atrio di ingresso. Si girò indietro solo una volta. Bera e le altre si erano già unite a Kumira e Daigian e le stavano portando via, ma non come si fa con degli ospiti graditi. Più che altro, sembrava stessero guidando delle oche. Cadsuane sorrise. Quasi tutte le sorelle consideravano Daigian poco più che una selvatica e la trattavano poco meglio di una serva. In sua compagnia, anche la figura di Kumira veniva sminuita. Nemmeno la più sospettosa delle persone poteva credere che fossero lì per convincere qualcuno di chissà cosa. E così Daigian avrebbe versato il tè per poi sedersi in silenzio se non quando le rivolgevano la parola — e avrebbe applicato la sua mente geniale a ragionare su tutto quello che sentiva dire. Kumira avrebbe lasciato che tutte tranne Daigian parlassero prima di lei — e avrebbe immagazzinato e ordinato ogni parola, ogni gesto e smorfia. Bera e le altre avrebbero ovviamente tenuto fede ai giuramenti prestati a quel ragazzo — non c’era neanche da dirlo — ma restava da vedere quanto assiduamente l’avrebbero fatto. Persino Merana poteva non essere disposta a spingersi troppo oltre la mera obbedienza. Questo era un peccato, ma almeno lasciava abbastanza spazio per manovrare. O essere manovrate.
I servitori con la livrea scura che svolgevano solerti le loro commissioni lungo gli ampi corridoi pieni di arazzi si fecero subito da parte per Cadsuane e Corgaide, e le due avanzarono in un vortice di inchini e riverenze eseguiti da uomini e donne che reggevano cesti, vassoi e pile di asciugamani. Dal modo in cui tutti guardavano Corgaide, Cadsuane immaginò che quel rispetto era rivolto tanto alla Portatrice delle Chiavi quanto alla Aes Sedai. In giro c’era anche una manciata di Aiel, uomini enormi simili a leoni dagli occhi di ghiaccio e donne come leopardi con occhi ancor più freddi. Alcuni di quegli sguardi la seguirono con un gelo sufficiente a portare la neve minacciata dalla pioggia di quel giorno, ma altri Aiel la salutarono con un solenne cenno del capo, e qua e là le donne coi loro occhi feroci si spinsero addirittura a un sorriso. Cadsuane non si era mai dichiarata responsabile del salvataggio del Car’a’carn, ma le storie si distorcevano man mano che venivano ripetute, e quella convinzione le era valsa un rispetto maggiore di quello riservato alle altre sorelle, e di sicuro una maggiore libertà di movimento nel Palazzo. Si chiese come quelle persone si sarebbero sentite se avessero saputo che, se in quel momento si fosse trovata di fronte al ragazzo, Cadsuane avrebbe dovuto trattenersi per non ricoprirgli la pelle di vesciche! Era passata poco più di una settimana da quando al’Thor si era quasi fatto uccidere, e non solo era riuscito a evitarla nel modo più assoluto, ma aveva anche reso più difficile il suo compito, se era vera anche solo la metà delle cose che aveva sentito. Peccato che non era cresciuto a Far Madding. D’altronde, anche questo potrebbe aver avuto le sue catastrofiche conseguenze.
La stanza dove la accompagnò Corgaide era calda e accogliente, con il fuoco che ardeva in entrambi i camini alle due estremità e le lampade accese, fiamme riflesse in torri di vetro che cacciavano via il buio di quella giornata. Era evidente che Corgaide aveva mandato qualcuno a prepararla mentre lei aspettava nell’atrio. Una domestica arrivò nella stanza quasi insieme a loro, portando su un vassoio sia tè sia vino speziato, oltre ai dolcetti con la glassa di miele.
«C’è altro, Aes Sedai?» chiese Corgaide mentre Cadsuane poggiava la sua cesta da cucito accanto al vassoio, su un tavolo coi bordi e le zampe pesantemente dorati. E decorati con rigide incisioni, come l’alto cornicione, dorato anch’esso. Cadsuane si sentiva sempre in un acquario dorato ogni volta che andava a Cairhien. Nonostante la luce e il calore della stanza, il cielo grigio e la pioggia che cadeva fuori dalle alte finestre rafforzavano quell’impressione.
«Il tè andrà bene» rispose Cadsuane. «Se non ti dispiace, di’ ad Alanna Mosvani che la voglio vedere. Diglielo, senza indugi.»
Le chiavi di Corgaide tintinnarono quando lei fece la riverenza, mormorando in torno rispettoso che avrebbe trovato di persona ‘Alanna Aes Sedai’. La sua espressione solenne non cambiò neppure mentre lasciava la stanza. Con ogni probabilità, la donna stava esaminando quella richiesta alla ricerca di sottigliezze e tranelli. Cadsuane preferiva essere diretta, quando poteva. Aveva stupito diversi scaltri individui convinti che lei non intendesse dire esattamente ciò che diceva.
Aprì il coperchio del cesto da cucito, ne estrasse il cerchio per ricamare con un lavoro mezzo finito avvolto intorno. Quel cesto aveva delle tasche cucite all’interno per contenere oggetti che non avevano nulla a che fare con il cucito. Specchietto, pettine e spazzola tutti d’avorio, un astuccio col pennino e una boccetta d’inchiostro ben turata, e tante altre cose che nel corso degli anni Cadsuane aveva trovato utile avere a portata di mano, alcune delle quali avrebbero sorpreso chiunque avesse avuto abbastanza fegato da rovistare nel cesto. Non che lei lo lasciasse spesso incustodito. Dopo aver poggiato con cura sul tavolo la scatola di argento levigato che conteneva il filo, Cadsuane scelse le matasse che le servivano e si sedette dando le spalle alla porta. L’immagine principale del suo ricamo era completa, la mano di un uomo che stringeva l’antico simbolo delle Aes Sedai. Il disco nero e bianco era pieno di crepe, e non c’era modo di stabilire se quella mano cercava di tenerlo insieme o di distruggerlo. Cadsuane sapeva qual era la sua risposta, ma solo il tempo avrebbe svelato la verità.
Dopo aver messo il filo a un ago, cominciò a lavorare a una delle immagini di contorno, una rosa color rosso acceso. Rose, stelle lucenti e sprazzi di sole si alternavano con margherite, rossicuori e colibrì dalla testa bianca, e tutte le figure erano separate da fasce di aghi appuntiti e rovi dalle lunghe spine. Sarebbe stato un lavoro inquietante, una volta finito.
Cadsuane era ancora a metà di un petalo della rosa quando una macchia sfocata in movimento riflessa sul piatto coperchio della scatola del filo catturò la sua attenzione. L’aveva posizionata con cura in modo da riflettere la porta. Non alzò la testa dal cerchio sul quale era teso il ricamo. Alanna era sulla soglia e guardava in cagnesco la sua schiena. Cadsuane continuò a muovere lentamente l’ago, ma controllò con la coda dell’occhio il coperchio con il suo riflesso. Due volte Alanna fece per voltarsi e andar via, poi alla fine si riscosse, facendosi chiaramente coraggio.
«Entra, Alanna.» Sempre senza alzare il capo. Cadsuane indicò un punto davanti a sé. «Mettiti qui.» Sorrise beffarda quando Alanna trasalì. C’erano certi vantaggi nell’essere una leggenda: spesso le persone non notavano neppure le cose più ovvie quanto avevano a che fare con una leggenda.
Alanna entrò impettita facendo frusciare le gonne di seta e si mise dove Cadsuane aveva indicato, anche se la sua bocca aveva una piega amara.
«Perché continui a tormentarmi?» chiese. «Non posso dirti più di quanto ti ho già detto. E se anche potessi, non sono sicura che lo farei! Lui appartiene a...» Si interruppe di scatto, mordendosi il labbro inferiore, ma tanto valeva che completasse la frase. Il giovane al’Thor apparteneva a lei, era il suo Custode. Aveva la sfacciataggine di pensare una cosa del genere!
«Ho tenuto per me la storia del tuo crimine,» disse a voce bassa Cadsuane «ma solo perché non avevo motivi per complicare le cose.» Alzò gli occhi sull’altra donna e continuò tenendo bassa la voce: «Ma se credi che non sia disposta a sbucciarti come un cavolo, allora ti sbagli.»
Alanna si irrigidì. La luce di saidar si accese all’improvviso intorno a lei.
«Se proprio desideri comportarti davvero da stupida...» Cadsuane sorrise, un sorriso freddo. Non accennò neppure ad abbracciare la Fonte. Uno degli ornamenti che le pendevano dai capelli, mezzelune d’oro intrecciate, era fresco sulla sua tempia. «La tua pellaccia è ancora tutta intera, al momento, ma la mia pazienza non è infinita. In effetti, è appesa a un filo.»
Alanna lottò con sé stessa, e si lisciò la gonna azzurra senza rendersene conto. A un tratto il bagliore del Potere si spense, e la donna distolse lo sguardo da Cadsuane così rapidamente che i suoi lunghi capelli neri svolazzarono. «Non so nient’altro.» Quelle parole astiose le uscirono tutto d’un fiato. «Prima era ferito, poi non più, ma non credo che l’abbia Guarito una sorella. Le ferite che nessuno può Guarire ci sono ancora. Continua ad andare in giro, sa come Viaggiare, ma è ancora al Sud. Da qualche parte in Illian, credo, ma da così lontano potrebbe anche essere a Tear, per quanto ne so io. È pieno di rabbia, dolore e sospetti. Non c’è altro, Cadsuane.
Nient’altro!»
Facendo attenzione a non scottarsi con la brocca d’argento, Cadsuane versò una tazza di tè e poi controllò la porcellana verde per vedere quanto era calda. Come era prevedibile, il tè contenuto nella brocca d’argento si era raffreddato in fretta. Incanalando brevemente, Cadsuane lo riscaldò di nuovo. Il tè scuro sapeva troppo di menta; i Cairhienesi facevano un uso di menta decisamente eccessivo, secondo lei. Non offrì una tazza ad Alanna.
Il ragazzo Viaggiava. Come poteva aver riscoperto un’arte che la Torre Bianca aveva perduto sin dai tempi della Frattura? «Mi terrai comunque informata su tutto, Alanna.» Non era una domanda. «Guardami, donna! Se anche fai dei sogni su di lui, voglio ogni dettaglio!»
Lacrime non versate rilucevano negli occhi di Alanna. «Al mio posto, tu avresti fatto lo stesso!»
Cadsuane la guardò torva da sopra la tazza di tè. Forse aveva ragione.
Non c’erano differenze tra ciò che aveva fatto Alanna e ciò che un uomo faceva quando prendeva con la forza una donna ma, che la Luce la aiutasse, forse l’avrebbe fatto anche lei, se avesse creduto che era utile a raggiungere il suo obiettivo. Ormai non prendeva più neppure in considerazione l’idea di costringere Alanna a passarle il legame. Alanna stessa aveva dimostrato quanto era inutile in termini di controllo sul ragazzo.
«Non farmi aspettare, Alanna» disse Cadsuane con voce di ghiaccio.
Non provava alcuna compassione per lei. Alanna era solo una di tante sorelle, da Moiraine a Elaida, che avevano sciupato e peggiorato ciò che invece avrebbero dovuto sistemare. Mentre Cadsuane era a caccia prima di Logain Ablar e poi di Mazrim Taim. E questo certo non le migliorava l’umore.
«Ti terrò informata su tutto» sospirò Alanna, imbronciata come una ragazzina. Cadsuane aveva voglia di prenderla a schiaffi. Alanna indossava lo scialle da vent’anni: avrebbe dovuto essere più matura di così. Ovviamente era dell’Arafel. A Far Madding, già a vent’anni le ragazze smettevano di imbronciarsi e lamentarsi come una dell’Arafel avrebbe invece continuato a fare anche da vecchia sul letto di morte.
A un tratto, Alanna spalancò gli occhi, allarmata, e Cadsuane vide un altro viso riflesso nel coperchio della scatola del filo. Rimise allora la tazza sul vassoio e il cerchio per il ricamo sul tavolo, si alzò e si girò verso la porta. Senza fretta, ma anche senza gli indugi e i giochetti che aveva fatto con Alanna.
«Hai finito con lei, Aes Sedai?» chiese Sorilea entrando nella stanza. La coriacea Sapiente dai capelli bianchi aveva parlato a Cadsuane, ma lo sguardo era fisso su Alanna. Oro e avorio fecero un debole rumore intorno ai suoi polsi quando si piazzò le mani sui fianchi, e lo scialle le scivolò intorno ai gomiti.
Quando Cadsuane rispose che in effetti aveva finito, Sorilea fece un gesto brusco ad Alanna, che lasciò la stanza. Andò via con un’astiosa smorfia di irritazione dipinta in volto. Sorilea la guardò torva finché non fu uscita.
Cadsuane aveva già incontrato quella donna, incontri invero interessanti, anche se brevi. Conosceva poche persone che poteva considerare eccezionali, e Sorilea era tra queste. Forse era anche una sua degna avversaria, per certi versi. E sospettava anche che fosse vecchia quanto lei, se non di più, e questo non se lo sarebbe mai aspettato.
Alanna si era appena dileguata quando sulla soglia apparve Kiruna, scalciando la sua gonna grigia per la fretta e guardando nel corridoio nella direzione presa da Alanna. E tra le mani aveva un vassoio dalla complessa lavorazione in oro sul quale era poggiata una brocca allungata ancor più elaborata e anch’essa d’oro che ben poco si abbinava alle due tazzine di ceramica laccata di bianco. «Perché Alanna sta correndo?» chiese. «Sarei arrivata prima, Sorilea, ma...» Vide Cadsuane, e le sue guance assunsero la più scura sfumatura del rosso. L’imbarazzo faceva uno strano effetto su quella donna statuaria.
«Metti il vassoio sul tavolo, ragazza,» le disse Sorilea «e vai da Chaelin.
Ti sta aspettando per darti le lezioni di oggi.»
Con movenze rigide, Kiruna mise giù il vassoio evitando lo sguardo di Cadsuane. Mentre si girava per andar via, Sorilea le prese il mento tra le dita nodose. «Stai cominciando a impegnarti davvero, ragazza» le disse con fermezza. «Se continui, te la caverai molto bene. Molto bene. Ora vai.
Chaelin non è paziente come me.»
Sorilea agitò una mano in direzione del corridoio, ma Kiruna rimase a fissarla per un lungo istante, con una strana espressione in viso. Se doveva tirare a indovinare, Cadsuane avrebbe detto che Kiruna era compiaciuta per quel complimento e stupita per il compiacimento stesso. La donna dai capelli bianchi aprì bocca e Kiruna si scosse e uscì di corsa dalla stanza.
Uno spettacolo notevole.
«Credi davvero che imparerà i vostri modi di intessere saidar?» chiese Cadsuane, celando la sua incredulità. Kiruna e le altre le avevano parlato di queste lezioni, ma molte tessiture delle Sapienti erano diverse da quelle insegnate alla Torre Bianca. Il primo modo in cui si imparava a tessere i flussi restava impresso: apprenderne un secondo era quasi impossibile, e in ogni caso non avrebbe mai funzionato bene come il primo. Questo era uno dei motivi per cui alcune sorelle non accettavano di buon grado le selvatiche alla Torre, indipendentemente dall’età; si rischiava che avessero imparato già troppo, e non c’era modo per farglielo dimenticare.
Sorilea si strinse nelle spalle. «Forse. Imparare un secondo modo è già abbastanza difficile senza tutti quei gesti che voi Aes Sedai fate con le mani. La cosa più importante che Kiruna deve imparare è che il suo orgoglio le appartiene: non è lei ad appartenere all’orgoglio. Sarà una donna molto forte quando l’avrà capito.» Prese una sedia e la tirò di fronte a quella che Cadsuane aveva occupato, la guardò dubbiosa, poi si sedette. Sembrava rigida e a disagio come prima Kiruna, ma fece un cenno autoritario a Cadsuane perché si accomodasse, una donna dalla ferrea volontà abituata a comandare.
Cadsuane trattenne un mesto sorriso mentre si metteva a sedere. Era un bene tenere a mente che, selvatiche o meno, le Sapienti non erano affatto delle selvagge ignoranti. Era ovvio che fossero consapevoli di quella difficoltà. Riguardo alla questione dei gesti con le mani... Poche Aiel avevano incanalato in sua presenza, ma Cadsuane aveva notato che creavano alcune tessiture senza i gesti usati dalle sorelle. I movimenti delle mani non erano propriamente parte della tessitura, ma per certi versi lo erano, perché avevano fatto parte dell’apprendimento della tessitura stessa. Forse un tempo c’erano state Aes Sedai capaci, per esempio, di lanciare palle di fuoco anche senza mimare il gesto con le mani, ma in tal caso erano morte da tempo, portando con sé i loro insegnamenti. Ora alcune cose erano semplicemente irrealizzabili senza i gesti adeguati. Alcune sorelle sostenevano di poter riconoscere chi aveva insegnato a una sorella guardando i movimenti che questa usava per le varie tessiture.
«Insegnare qualcosa alle nuove allieve è stato nel migliore dei casi difficile, con ognuna di loro» proseguì Sorilea. «Non voglio essere offensiva, ma sembra che voi Aes Sedai prestiate il giuramento e subito cerchiate un modo per aggirarlo. Alanna Mosvani è un caso particolarmente difficile.»
All’improvviso i suoi occhi verdi erano penetranti, conficcati in quelli di Cadsuane. «Come possiamo punire i suoi ripetuti errori se corriamo il rischio di far del male al Car’a’carn?»
Cadsuane intrecciò le mani e se le poggiò in grembo. Mascherare la sorpresa non fu facile. Altro che segreto sul crimine di Alanna! Ma perché Sorilea le aveva fatto capire di esserne al corrente? Forse una rivelazione per ottenerne un’altra. «Il legame non funziona in quel modo» le spiegò Cadsuane. «Se la uccidete, lui morirà, nello stesso momento o poco dopo.
A parte questo, sarà cosciente di ciò che le accade ma non lo sentirà davvero. E visto quanto è lontano adesso, ne sarà solo vagamente consapevole.»
Sorilea annuì lentamente. Con le dita sfiorò il vassoio d’oro sul tavolo, poi le ritrasse. La sua espressione era illeggibile come il volto di una statua, ma Cadsuane sospettava che Alanna avrebbe avuto una sgradevole sorpresa la prossima volta che avesse lasciato esplodere il suo caratteraccio o messo su quel suo broncio dell’Arafel. Questo, però, non era importante.
Solo il ragazzo lo era.
«Gli uomini prendono quasi tutti ciò che gli viene offerto, se è attraente e gradevole» disse la Sapiente. «Un tempo pensavamo che questo valesse anche per Rand al’Thor. Sfortunatamente, è troppo tardi per cambiare il percorso che abbiamo intrapreso. Ora egli sospetta di qualsiasi cosa gli venga liberamente offerta. Adesso, se volessi fargli accettare qualcosa, dovrei fingere di volere che non la ottenga. Se volessi stargli vicino, dovrei fingere che non mi importi di non rivederlo mai più.» Ancora una volta, i suoi occhi si concentrarono su Cadsuane, due trivelle verdi. Ma non stava cercando di vedere cosa lei avesse in testa. Quella donna lo sapeva già. In parte, almeno. Abbastanza, o forse troppo.
Eppure, Cadsuane sentì salire il brivido di quell’opportunità. Se aveva avuto dei dubbi sul fatto che Sorilea stava cercando di sondarla, ora erano svaniti. E se la stava testando in quel modo poteva essere solo perché sperava in qualche accordo. «Credi che un uomo debba essere duro?» le chiese. Aveva deciso di correre il rischio. «O forte?» Il suo tono rendeva chiaro che lei ci vedeva una differenza.
Di nuovo Sorilea toccò il vassoio; il più lieve dei sorrisi parve piegare per un attimo le sue labbra. Ma forse era un’illusione. «La maggior parte degli uomini vede le due caratteristiche come una sola cosa, Cadsuane Melaidhrin. Il forte resiste; il duro si spezza.»
Cadsuane trasse un respiro. Se qualsiasi altra donna avesse corso quel suo stesso rischio, lei l’avrebbe bruciata viva. Ma Cadsuane non era ‘qualsiasi altra donna’, e a volte era necessario rischiare. «Il ragazzo fa confusione tra le due cose» disse. «Ha bisogno di essere forte, e così si costringe a diventare più duro. Troppo duro, ormai, e non si fermerà finché non viene fermato. Ha dimenticato come ridere se non con amarezza; non ci sono più lacrime in lui. A meno che non ritrovi lacrime e risa, il mondo è condannato alla rovina. Deve imparare che anche il Drago Rinato è fatto di carne. Se affronta Tarmon Gai’don come è adesso, anche la sua vittoria potrebbe essere funesta come la sconfitta.»
Sorilea ascoltò con attenzione, e rimase in silenzio anche dopo che Cadsuane ebbe finito. Quegli occhi verdi la stavano studiando. «Il vostro Drago Rinato e la vostra Ultima Battaglia non sono nelle nostre profezie» disse infine la Aiel. «Abbiamo cercato di far conoscere a Rand al’Thor il suo stesso sangue, ma temo che ci veda solo come un’altra lancia. Se una lancia si spezza nella tua mano, non ti fermi a piangerla prima di prenderne un’altra. Forse io e te miriamo a obiettivi non troppo distanti.»
«Forse» disse cauta Cadsuane. Ma obiettivi separati anche solo da un palmo potevano non essere uguali.
A un tratto il bagliore di saidar circondò la donna dal volto coriaceo. Era abbastanza debole da far sembrare Daigian almeno mediamente forte. Ma d’altronde la forza di Sorilea non stava nel Potere. «C’è una cosa che potresti ritenere utile» disse la Aiel. «Io non riesco a farla funzionare, ma posso intessere i flussi per mostrartela.» Lo fece, gestendo esili fili che prendevano posto e si fondevano insieme, troppo deboli per fare ciò che avrebbero dovuto. «Si chiama ‘Viaggiare’» disse Sorilea. Questa volta, Cadsuane rimase davvero a bocca aperta. Alanna, Kiruna e le altre negavano di aver insegnato alle Sapienti come unirsi in un circolo o di aver mostrato loro i tanti Talenti che all’improvviso queste sembravano avere, e Cadsuane aveva dato per scontato che le Aiel fossero riuscite a estorcerli alle sorelle tenute nelle loro tende. Ma questo era...
Impossibile, avrebbe detto, eppure non credeva che Sorilea stesse mentendo. Dovette sforzarsi per non provare da subito la tessitura. Non che al momento le fosse di chissà quale utilità. Se anche avesse saputo con esattezza dov’era quel maledetto ragazzo, doveva costringere lui ad andare da lei. Su quello Sorilea aveva ragione. «Un dono davvero eccezionale» disse lentamente. «Non ho nulla da darti per ricompensarti in modo degno.»
Questa volta, un rapido sorriso guizzò inequivocabilmente sulle labbra di Sorilea. Sapeva fin troppo bene che Cadsuane era in debito con lei. Sollevando la pesante brocca dorata con entrambe le mani, riempì con cura le tazzine bianche. Con semplice acqua. Non ne versò fuori neppure una goccia.
«Ti propongo un giuramento d’acqua» disse solenne, prendendo una delle tazze. «Con questo, siamo legate insieme dall’obbligo di insegnare a Rand al’Thor lacrime e risa.» Bevve un sorso, e Cadsuane la imitò.
«Siamo legate insieme.» E se i loro obiettivi si rivelavano tutt’altro che uguali? Cadsuane non sottovalutava Sorilea come alleata o nemica, ma sapeva qual era il bersaglio da colpire, a ogni costo.