Nella fredda oscurità della notte fonda, Egwene si svegliò stordita da un sonno senza riposo pieno di sogni inquietanti, resi ancora peggiori dal fatto che non riusciva a ricordarli. Di solito i sogni le restavano nitidamente impressi nella memoria, come parole scritte su una pagina, questi invece erano foschi e spaventosi. E, da qualche tempo, le succedeva troppo spesso.
Le lasciavano una voglia di correre, di fuggire, senza mai sapere da cosa, ma sempre irrequieta e insicura, persino tremante. Almeno non le faceva male la testa. E ricordava i sogni che sapeva riconoscere come importanti, anche se non riusciva a interpretare il significato. Rand, che indossava diverse maschere, finché all’improvviso una di queste facce finte non era più una maschera ma il suo vero volto. Perrin e un Calderaio, che si facevano freneticamente strada tra i rovi a colpi di ascia e spada, inconsapevoli del dirupo che c’era al di là. E i rovi urlavano con voci umane che loro due non sentivano. Mat, che soppesava due Aes Sedai sui piatti di un’immensa bilancia, e dalla sua decisione dipendeva... Questo Egwene non lo sapeva; qualcosa di enorme; il mondo, forse. C’erano stati anche altri sogni, quasi sempre tinti di sofferenza. Di recente, tutti i sogni che faceva su Mat erano sbiaditi e pieni di dolore, come ombre proiettate da un incubo, quasi Mat non fosse del tutto reale. Questo la faceva preoccupare per lui, lasciato a Ebou Dar, la faceva patire per aver mandato lì quel ragazzo, nonché il povero, vecchio Thom Merrilin. Ma i sogni che non riusciva a ricordare erano anche peggio, di questo era sicura.
A svegliarla era stato il suono di voci basse che discutevano, e la luna piena ancora alta nel cielo fuori dalla tenda emanava abbastanza luce perché lei potesse distinguere le due donne che si stavano confrontando sulla soglia.
«Quella povera donna ha male alla testa tutto il giorno, e di notte riesce a riposare poco» sussurrò con fervore Halima, che se ne stava coi pugni sui fianchi. «Il tuo problema può aspettare fino al mattino.»
«Non ho intenzione di discutere con te.» La voce di Siuan era la personificazione dell’inverno, e la donna spinse indietro il mantello con una mano infilata in una muffola, come per prepararsi a combattere. Era vestita in modo adatto al clima, un abito di lana robusta senza dubbio indossato sopra tutta la biancheria che era riuscita a farci stare. «Fatti da parte, e in fretta, o userò le tue interiora come esca per i pesci! E mettiti addosso qualcosa di decente!»
Con una bassa risata, Halima si raddrizzò e, tutt’altro che impaurita, si mise ancor più fermamente davanti a Siuan. La sua camicia da notte bianca era stretta, ma abbastanza decente. Anche se veniva da chiedersi come facesse a non congelare con quella seta sottile. I carboni nel braciere a tre piedi si erano spenti da tempo, e né i teli della tenda più volte rattoppati né gli strati di tappeti sul terreno avevano potuto trattenere a lungo il calore. Il respiro delle due donne era una pallida nebbiolina.
Spingendo via le coperte, Egwene si tirò a sedere esausta sul suo stretto giaciglio. Halima era una donna di campagna con una patina di educazione, e spesso non pareva rendersi conto della deferenza dovuta a un’Aes Sedai, o addirittura sembrava credere di non doverne mostrare a nessuno.
Parlava alle Adunanti come fossero le massaie del suo villaggio, con risate, sguardi fissi e una schietta rozzezza che potevano essere sconcertanti.
Siuan passava le sue giornate a lasciare il passo a donne che fino a un anno prima obbedivano alle sue parole, sorrideva e faceva la riverenza a quasi tutte le sorelle dell’accampamento. Molte davano ancora a lei la colpa dei problemi della Torre e credevano che non avesse ancora sofferto abbastanza per espiarla. Questo sarebbe stato sufficiente a far diventare irritabile qualsiasi persona. Prese insieme, quelle due erano come una lanterna lanciata sul retro del carro di un Illuminatore, ma Egwene sperava di poter evitare l’esplosione. Inoltre, Siuan non sarebbe andata da lei nel bel mezzo delle notte se non fosse stato necessario.
«Torna a letto, Halima.» Sopprimendo uno sbadiglio, Egwene si piegò per prendere alla cieca le scarpe e le calze da sotto il letto da campo. Non incanalò per accendere una lampada. Era meglio se nessuno si accorgeva che l’Amyrlin era sveglia. «Vai, hai bisogno di riposare.»
Halima protestò, forse più forte di quanto avrebbe dovuto con l’Amyrlin Seat, ma tornò abbastanza in fretta all’angusto giaciglio che era stato ficcato nella tenda per lei. Restava davvero poco spazio per muoversi, con il lavabo, lo specchio e una vera poltrona, più quattro grandi casse impilate una sull’altra. Queste custodivano il costante flusso di abiti provenienti dalle Adunanti che non avevano ancora capito che, per quanto giovane, Egwene non era una ragazzina da impressionare e distrarre con sete e merletti. Halima si rannicchiò nel letto e al buio osservò Egwene che si passava rapidamente un pettine d’avorio tra i capelli, si infilava un bel paio di muffole e indossava un mantello foderato con pelliccia di volpe sopra la camicia da notte. Una camicia da notte di lana robusta, e con quel clima non le sarebbe dispiaciuto se lo fosse anche di più. Gli occhi di Halima coglievano i riflessi della luce lunare e risplendevano nel buio, sgranati.
Egwene non credeva che quella donna fosse particolarmente gelosa della sua posizione presso l’Amyrlin Seat, posizione molto informale, e la Luce sapeva che non era tipo da pettegolezzi, ma nutriva un’innocente curiosità per qualsiasi cosa, che rientrasse o meno nei suoi affari. Motivo sufficiente per ascoltare Siuan da un’altra parte. Tutti ormai sapevano che Siuan aveva affidato il suo destino a Egwene, in un certo senso, ma credevano che l’avesse fatto mal volentieri e con rammarico. Siuan Sanche era per le altre sorelle motivo di un certo divertimento e di una sporadica compassione, ridotta ad attaccarsi alla donna che deteneva il titolo un tempo suo, una donna che sarebbe diventata poco più di un pupazzo quando il Consiglio avesse smesso di lottare per decidere chi doveva tirare i suoi fili. Siuan era abbastanza umana da covare qualche scintilla di risentimento, ma finora lei ed Egwene erano riuscite a tenere segreto che i suoi consigli erano tutt’altro che riluttanti. E così Siuan sopportava meglio che poteva la compassione e la derisione, e tutti credevano che l’esperienza che aveva vissuto l’avesse cambiata non solo nell’aspetto. Questa convinzione andava preservata, altrimenti Romanda, Lelaine e probabilmente anche tutte le altre del Consiglio avrebbero trovato un modo per separare lei — e i suoi consigli — da Egwene.
Fuori, il freddo schiaffeggiò Egwene sul viso e si infilò sotto il mantello; la camicia da notte avrebbe anche potuto essere quella di Halima, vista la protezione che le forniva. Nonostante il cuoio spesso e la buona lana, era come se fosse scalza. Tentacoli di aria gelida le si avvolgevano intorno alle orecchie, come a deridere la folta pelliccia che foderava il cappuccio. Desiderosa com’era di tornare a letto, per ignorare il freddo glaciale Egwene dovette chiamare a raccolta tutta la sua concentrazione. Le nuvole si inseguivano nel cielo, e le ombre proiettate dalla luna fluttuavano sul bianco lucente che copriva il terreno, una lastra liscia interrotta dalle sagome scure delle tende e da quelle più alte dei carri coperti dai teli che ora montavano lunghi pattini di legno al posto delle ruote. Molti di quei carri non erano più parcheggiati lontano dalle tende, venivano lasciati dove erano stati scaricati; nessuno se la sentiva di chiedere nemmeno quell’ultimo sforzo ai conducenti alla fine della giornata. Niente si muoveva tranne quelle sbiadite ombre sul bianco della neve. Gli ampi canali formati dai tanti piedi che avevano percorso quei sentieri improvvisati ora erano vuoti. Il silenzio era così netto e profondo che a Egwene quasi dispiacque spezzarlo.
«Che c’è?» chiese piano, lanciando una cauta occhiata alla piccola tenda lì vicino condivisa dalle sue domestiche, Chesa, Meri e Selame. Era buia, silenziosa e immobile come tutte le altre. La stanchezza era un manto spesso che copriva l’accampamento al pari della neve. «Non un’altra rivelazione come la Famiglia, mi auguro.» Egwene fece schioccare la lingua per l’irritazione. Anche lei era esausta, per le lunghe e gelide giornate in sella seguite da poco sonno, altrimenti non avrebbe detto una cosa del genere.
«Mi dispiace, Siuan.»
«Non hai bisogno di scusarti, Madre.» Anche Siuan tenne la voce bassa, e si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li stesse osservando nascosto tra le ombre. Né lei né Egwene volevano ritrovarsi a discutere della Famiglia con il Consiglio. «So che avrei dovuto parlartene prima, ma mi sembrava una piccolezza. Non mi sarei mai aspettata che quelle ragazze parlassero anche solo con una di loro. C’è così tanto da dirti. Devo cercare di scegliere sempre le cose importanti.»
Con uno sforzo, Egwene riuscì a non sospirare. Quella era quasi parola per parola la stessa scusa che Siuan le aveva fornito in precedenza. Diverse volte. E significava che stava cercando di imbottire Egwene con i suoi vent’anni di esperienza da Aes Sedai, più di dieci dei quali passati sul seggio dell’Amyrlin, e doveva farlo in pochi mesi. A volte Egwene si sentiva come un’anatra messa all’ingrasso per il mercato. «Bene, stanotte qual è la cosa importante?»
«Gareth Bryne ti aspetta nel tuo studio.» Siuan non alzò la voce ma il suo tono si indurì, come sempre quando parlava di lord Bryne. Mosse con rabbia la testa sotto il profondo cappuccio del mantello, e fece un suono simile al soffiare di un gatto. «Quell’uomo è entrato gocciolando neve, mi ha tirata fuori dal letto e mi ha a malapena dato il tempo di vestirmi prima di issarmi sulla sua sella. Non mi ha detto niente; mi ha semplicemente buttato giù al confine dell’accampamento e mi ha mandata a chiamarti come se fossi una servitrice!»
Egwene soppresse con fermezza un anelito di speranza. Aveva già avuto troppe delusioni, e se Bryne voleva incontrarla a notte fonda era più probabilmente per qualcosa di disastroso che non per ciò che lei avrebbe voluto. Quanto ancora distava il confine con l’Andor? «Andiamo a vedere che vuole.»
Avviandosi verso la tenda che tutti chiamavano lo Studio dell’Amyrlin, si strinse addosso il mantello. Non stava rabbrividendo, ma non lasciarsi influenzare dal caldo o dal freddo non era come mandarli via. Li potevi ignorare fino al momento in cui un’insolazione ti cuoceva il cervello o il gelo ti faceva marcire mani e piedi. Egwene rifletté su ciò che Siuan le aveva detto.
«Non stavi dormendo nella tua tenda?» disse con cautela. La relazione di Siuan con lord Bryne era a tutti gli effetti quella di una servitrice col suo signore, anche se in un modo molto particolare, ma Egwene sperava che la donna non si stesse lasciando sopraffare dal suo ostinato orgoglio, dando così a Bryne l’occasione per approfittarsi di lei. Egwene non riusciva a immaginare nessuno dei due in una situazione del genere, eppure fino a non molto tempo prima non riusciva a immaginare che Siuan potesse accettare quel tipo di condizione. E ancora non capiva perché l’avesse fatto.
Sbuffando sonoramente, Siuan scalciò le gonne, e quasi cadde quando le scarpe scivolarono. La neve calpestata da un’infinità di piedi era subito diventata una dura lastra di ghiaccio. Egwene stava procedendo con grande cautela. Ogni giorno c’erano ossa rotte che le sorelle dovevano Guarire.
Lasciando andare il mantello con una mano, porse il braccio a Siuan, sia per dare che per ricevere un appoggio. Siuan lo prese, brontolando.
«Quando ho finito di pulire gli stivali di riserva di quell’uomo e la sua seconda sella, era troppo tardi per tornare fin qui con questo tempo. Non che lui mi abbia offerto più di qualche coperta in un angolo, non Gareth Bryne! E me le ha fatte tirare fuori dalla cesta da sola, mentre lui se ne andava la Luce sa dove! Gli uomini sono un tormento, e lui è il peggiore!»
Senza fermarsi nemmeno per prendere fiato, Siuan cambiò argomento.
«Non dovresti lasciar dormire quell’Halima nella tua tenda. È un altro paio di orecchie al quale devi stare attenta, ed è anche una ficcanaso. Inoltre, sei fortunata se non entri e la trovi a intrattenere qualche soldato.»
«Sono molto lieta che Delana possa fare a meno di Halima per la notte» disse con fermezza Egwene. «Ho bisogno di lei. A meno che tu non creda che Nisao possa avere risultati migliori se prova di nuovo a Guarire i miei mal di testa.» Le dita di Halima parevano tirar via il dolore attraverso il cuoio capelluto; senza di lei, Egwene non sarebbe nemmeno riuscita a dormire. Gli sforzi di Nisao non avevano prodotto alcun effetto, ed era la sola Gialla alla quale Egwene se la sentiva di esporre il suo problema.
Quanto al resto... Con voce ancor più dura, disse: «Mi sorprende che tu dia ancora retta a quei pettegolezzi, figlia. Se agli uomini piace guardare una donna non vuol dire che sia lei a provocarli, come dovresti ben sapere. Ne ho visti un bel po’ che ti davano un’occhiata e sorridevano.» Assumere quel tono le era più facile che in passato.
Siuan la guardò di sottecchi e con stupore poi, dopo un istante, mormorò parole di scusa. Forse erano anche sincere. In ogni caso, Egwene le accettò. Lord Bryne aveva davvero un brutto effetto sul carattere di Siuan, e aggiungendo al tutto anche Halima, Egwene sapeva di dover essere contenta se non aveva dovuto assumere una posizione ancora più rigida. Siuan stessa aveva detto che non avrebbe accettato sciocchezze, e di sicuro Egwene non poteva permettersi di accettarle proprio da lei.
Trascinandosi a braccetto, continuarono a camminare in silenzio, col freddo che trasformava in nebbia i loro respiri e si infilava nelle carni. La neve era una maledizione e insieme una lezione. A Egwene pareva di sentire ancora Siuan che le enunciava quella che lei chiamava la Legge delle Conseguenze Involontarie, più forte di qualsiasi legge scritta. Che le tue azioni ottengano o meno l’effetto desiderato, ne avranno almeno tre che non ti aspetti, e di solito uno di questi sarà sgradevole.
Le prime, deboli piogge erano state motivo di meraviglia, per quanto Egwene avesse già informato il Consiglio che la Scodella dei Venti era stata trovata e utilizzata. Non aveva potuto rischiare di raccontare altro di ciò che Elayne le aveva detto nel Tel’aran’rhiod; quello che era successo a Ebou Dar l’avrebbe fatta di sicuro finire a gambe per aria con le altre sorelle, e la sua posizione era già abbastanza precaria. E così quelle prime gocce erano state accolte da un’esplosione di gioia. La loro marcia si era fermata a mezzogiorno, e sotto la pioggia erano stati accesi fuochi da campo e si erano tentai banchetti, preghiere di ringraziamento tra le sorelle e danze tra servitori e soldati. A dirla tutta, anche alcune Aes Sedai avevano ballato.
Pochi giorni dopo, le deboli piogge erano diventate acquazzoni, poi tempeste ululanti. La temperatura era scesa sempre più precipitosamente, e le tempeste si erano trasformate in bufere di neve. Ora, la distanza che prima percorrevano in un giorno, con Egwene che digrignava i denti per la loro lentezza, richiedeva cinque giorni se in cielo c’erano solo nuvole, e se cadeva la neve non avanzavano affatto. Era abbastanza facile pensare alle tre conseguenze involontarie, almeno tre, e la neve poteva benissimo essere la meno sgradevole.
Quando si avvicinarono alla piccola tenda rattoppata chiamata lo Studio dell’Amyrlin, un’ombra si mosse tra gli alti carri, ed Egwene trattenne il respiro. L’ombra divenne una sagoma umana, che spostò il cappuccio quanto bastava per rivelare il volto di Leane e poi scivolò di nuovo nell’oscurità.
«Farà la guardia e ci avviserà se arriva qualcuno» disse piano Siuan.
«Bene» mormorò Egwene. Poteva dirglielo prima! Aveva quasi temuto che fosse Romanda o Lelaine!
Lo Studio dell’Amyrlin era buio, ma lord Bryne le stava pazientemente aspettando avvolto nel suo mantello un’ombra tra le ombre. Egwene abbracciò la Fonte e incanalò, non per accendere la lanterna appesa al sostegno centrale né una delle candele, ma per creare una piccola sfera di luce pallida che sospese in aria sopra il tavolino pieghevole che usava come scrivania. Una sfera molto piccola, e molto pallida; difficile da notare all’esterno, e rapida da spegnere come un pensiero. Non poteva permettersi di essere scoperta.
C’erano state Amyrlin che avevano regnato con la forza, Amyrlin che erano riuscite a raggiungere un equilibrio col Consiglio, e Amyrlin che avevano detenuto poco potere come lei, o meno in rare occasioni, ben nascoste nelle storie segrete della Torre Bianca. Molte avevano perso potere e influenza, precipitando dalla forza alla debolezza, ma in più di tremila anni erano pochi e preziosi gli esempi di donne che si erano mosse nella direzione opposta. Egwene avrebbe davvero voluto sapere come ci erano riuscite Myriam Copan e le poche altre. Se mai qualcuna di loro aveva pensato di lasciare degli scritti, le pagine erano andate perdute.
Bryne si inchinò rispettosamente, senza mostrare alcuna sorpresa per quella sua precauzione. Sapeva i rischi che lei correva incontrandolo in segreto. Per molti, molti versi Egwene si fidava di quell’uomo robusto dai capelli quasi tutti grigi e con un volto sincero e segnato dalle intemperie, e non solo perché era costretta a fidarsi. Il mantello di Bryne era di spessa lana rossa, foderato con pelliccia di martora e con la Fiamma di Tar Valon sul bordo, un dono del Consiglio; eppure lui aveva reso chiaro una decina di volte nelle ultime settimane che, qualsiasi fosse l’opinione del Consiglio — e Bryne non era tanto cieco da non averla capita — l’Amyrlin era Egwene, e lui seguiva l’Amyrlin. Certo, non l’aveva mai dichiarato così direttamente, ma con accenni cautamente pronunciati che non lasciavano alcun dubbio. Aspettarsi altro da lui avrebbe voluto dire pretendere troppo. Nell’accampamento c’erano tante correnti di pensiero, quasi una per ogni Aes Sedai, e alcune erano abbastanza forti da annegarlo. E molte erano abbastanza forti da impantanare Egwene ancor più di quanto non lo fosse già, se il Consiglio veniva a sapere di quell’incontro. Si fidava di Bryne più di chiunque altro a parte Siuan e Leane, o Elayne e Nynaeve, forse più di tutte le sorelle che le avevano giurato fedeltà in segreto, e avrebbe voluto essere abbastanza coraggiosa per fidarsi anche di più. La sfera di luce bianca proiettava ombre deboli e irregolari.
«Porti notizie, lord Bryne?» chiese, sopprimendo la speranza. Poteva pensare a una decina di possibili messaggi in grado di giustificare quella visita notturna, ognuno con la sua serie di trappole e insidie. Rand aveva deciso di aggiungere altre corone a quella di Illian, o i Seanchan avevano chissà come preso un’altra città ancora, o la Banda della Mano Rossa all’improvviso si muoveva autonomamente invece di seguire le Aes Sedai, o...
«C’è un esercito a nord di qui, Madre» replicò con calma Bryne. Le mani infilate nei guanti di cuoio erano poggiate con leggerezza sull’elsa della lunga spada. Un esercito a nord, un altro po’ di neve, come fossero la stessa cosa. «Andorani, soprattutto, ma con un buon numero di uomini del Murandy. I miei esploratori hanno portato la notizia meno di un’ora fa.
L’esercito è guidato da Pelivar, e Arathelle è con lui, gli alti seggi di due delle più forti casate dell’Andor, e hanno portato membri di almeno un’altra ventina di famiglie. A quanto pare marciano duramente verso sud. Se continuiamo ad avanzare, cosa che sconsiglierei, dovremmo incontrarli frontalmente tra un paio di giorni, tre al massimo.»
Egwene mantenne un’espressione neutrale, trattenendo il sollievo. Quello in cui sperava, quello che stava aspettando; il momento che aveva temuto potesse non arrivare mai. Stranamente, fu Siuan a trasalire per poi battersi sulla bocca una mano coperta dalla muffola, troppo tardi. Bryne la guardò inarcando un sopracciglio, ma lei si riprese in fretta, assumendo un’aria serena da Aes Sedai così convincente da far quasi dimenticare il volto così giovane.
«Hai problemi a combattere gli Andorani tuoi connazionali?» chiese.
«Rispondi, uomo. Qui non sono la tua lavandaia.» Be’, c’era una piccola crepa in quella serenità.
«Come tu comandi, Siuan Sedai.» Bryne parlò senza il minimo accenno di derisione, eppure Siuan cominciò a tendere le labbra, la sua calma esteriore stava rapidamente svaporando. Lui le rivolse un leggero inchino, senza tanti fronzoli ma comunque accettabile. «Combatterò chiunque la Madre desideri, ovviamente.» Nemmeno in quelle circostanze si mostrava più esplicito. Gli uomini imparavano a essere accorti con le Aes Sedai. E anche le donne. Egwene pensava che l’accortezza fosse diventata per lei una seconda pelle.
«E se non continuiamo ad avanzare?» chiese. Tutti quei piani, elaborati solo da lei, Siuan e qualche volta Leane, e ancora doveva misurare con cura ogni passo, come su quei sentieri gelati nell’accampamento. «Se ci fermiamo qui?»
Bryne non esitò. «Se hai modo di convincerli senza combattere va benissimo, ma domani loro raggiungeranno una posizione ottima da difendere, con un fianco protetto dal fiume Armahn e l’altro da una grande torbiera, e piccoli ruscelli sul davanti a spezzare le fila di un attacco. Pelivar si sistemerà lì e aspetterà: conosce il suo mestiere. Arathelle avrà il suo ruolo se si arriverà alle trattative, ma lascerà lance e spade a lui. Noi non possiamo arrivare lì prima di Pelivar, e in ogni caso quella zona sarebbe inutile con il nemico a nord. Se hai intenzione di combattere, ti suggerisco di andare verso il crinale che abbiamo attraversato due giorni fa. Se ci avviamo all’alba potremo raggiungerlo e schierarci prima del nemico, e Pelivar ci penserebbe su due volte prima di attaccarci lì anche se avesse il triplo degli uomini di cui dispone.»
Stropicciando nelle calze le dita quasi gelate, Egwene sospirò per il fastidio. C’era una differenza tra non lasciarsi toccare dal freddo e non sentirlo. Scegliendo le parole con cura, senza lasciarsi distrarre dai brividi, chiese: «Ma arriveranno alle trattative, se ne hanno l’opportunità?»
«Probabile, Madre. I Murandiani contano poco; sono lì solo per i vantaggi che potrebbero trarre dalla situazione, proprio come i loro conterranei nel mio esercito. Sono Pelivar e Arathelle che comandano. Se dovessi tirare a indovinare, direi che a loro importa solo tenerti lontana dall’Andor.»
Scosse tristemente il capo. «Ma combatteranno se devono, se sono costretti, anche se dovessero affrontare delle Aes Sedai invece di semplici soldati.
Immagino che anche loro abbiano sentito le storie su quella battaglia a est.»
«Per le interiora di pesce!» ringhiò Siuan. Altro che calma. «Dicerie mezze cotte e pettegolezzi crudi non dimostrano che c’è davvero stata una battaglia, somaro, e se anche c’è stata di sicuro le sorelle non si sono immischiate!» Non prendersela con quell’uomo le risultava davvero difficile.
Stranamente, Bryne sorrise. Lo faceva spesso quando Siuan mostrava il suo caratteraccio. In qualsiasi altro posto, o fatto da qualsiasi altra persona, Egwene avrebbe definito ‘affettuoso’ quel sorriso. «Meglio per noi se loro ci credono» disse pacatamente Bryne a Siuan. Per come lei si adombrò, sembrava quasi che l’avesse insultata.
Ma perché una donna di solito razionale lasciava che Bryne le entrasse sotto pelle? Quale che fosse il motivo, Egwene non aveva tempo per occuparsene al momento. «Siuan, a quanto pare qualcuno ha dimenticato di metter via il vino caldo. Di sicuro non si sarà guastato con questo freddo.
Riscaldalo, per favore.» Non fu contenta di farle chinare il capo davanti a Bryne, ma doveva tenerla al freno, e questo le era sembrato il modo più gentile. E poi davvero non avrebbero dovuto lasciare quella brocca d’argento sul suo tavolo.
Siuan quasi non batté ciglio, ma dalla sua espressione sbalordita non si sarebbe detto che lavava la biancheria intima di quell’uomo. Senza commentare, incanalò per riscaldare il vino nella brocca d’argento, poi riempì rapidamente due coppe pulite e lavorate in argento, passando la prima a Egwene. Tenne per sé la seconda, fissando lord Bryne mentre sorseggiava e lasciando che si versasse da solo il suo vino.
Mentre si riscaldava contro la coppa le dita ancora infilate nelle muffole, Egwene sentì una fitta di irritazione. Forse il comportamento di Siuan era ancora parte della tanto rimandata reazione alla morte del suo Custode. La donna ancora piagnucolava di tanto in tanto senza nessun motivo apparente, anche se tentava di nasconderlo. Egwene si tolse quel pensiero dalla testa. Quella notte, era come il dosso di un formicaio rispetto alle alte montagne di cui doveva occuparsi.
«Voglio evitare lo scontro se possibile, lord Bryne. L’esercito serve per Tar Valon, non per combattere qui in battaglia. Manda qualcuno che organizzi un incontro prima possibile tra l’Amyrlin Seat, lord Pelivar, lady Arathelle e chiunque altro credi che debba essere presente. Ma l’incontro non si terrà qui. Il nostro malconcio accampamento non farebbe una grande impressione. Ricorda, prima possibile. Non mi dispiacerebbe se fosse domani.»
«Non credo di poter fare così in fretta, Madre» rispose lui pacatamente.
«Se mando dei cavalieri non appena ritorno al campo, dubito che possano tornare con una risposta prima di domani notte.»
«Allora ti suggerisco di tornare in fretta al campo.» Per la Luce, quanto aveva freddo a mani e piedi! E anche alla bocca dello stomaco. Ma la sua voce rimase calma. «E voglio che l’incontro e l’esistenza di quell’esercito restino celati al Consiglio quanto più a lungo possibile.»
Questa volta gli stava chiedendo di correre un rischio grande quanto quello che affrontava lei. Gareth Bryne era uno dei migliori generali al mondo, ma il Consiglio si lamentava del modo in cui conduceva l’esercito.
Le sorelle erano state liete di averlo all’inizio, quando il suo nome contribuiva ad attirare soldati alla loro causa. Adesso l’esercito contava più di trentamila armati, e altri continuavano ad arrivare anche con le nevicate, e così loro credevano di non aver più bisogno di lord Gareth Bryne. E, ovviamente, c’erano quelle convinte di non averne mai avuto bisogno. Ma se avessero saputo degli eventi di quella sera non si sarebbero limitate a mandarlo via. Se il Consiglio sceglieva di agire, Bryne poteva benissimo finire in mano al boia con l’accusa di tradimento.
Il generale non batté ciglio, né fece domande. Forse sapeva che Egwene non avrebbe dato risposte. O forse pensava di conoscerle già. «Non ci sono molti scambi tra il mio accampamento e il tuo, ma gli uomini che sanno dell’esercito sono già troppi per poter mantenere a lungo il segreto. Tuttavia, farò quel che posso.»
Così semplice. Quello era il primo passo lungo una strada che avrebbe portato Egwene sul seggio dell’Amyrlin a Tar Valon, oppure l’avrebbe consegnata nelle grinfie del Consiglio con nient’altro da fare se non aspettare di sapere chi tra Romanda e Lelaine doveva dirle cosa fare. Un momento così fondamentale avrebbe dovuto essere accompagnato da squilli di tromba, o quanto meno da tuoni nel cielo. Nelle storie succedeva sempre così. Egwene lasciò svanire la sfera di luce, ma quando Bryne si girò per andar via lei gli prese un braccio. Fu come stringere un grosso ramo d’albero sotto la sua giubba. «È da un po’ che voglio chiederti una cosa, lord Bryne. Non credo che tu voglia portare degli uomini esausti per le marce ad assediare Tar Valon. Quanto vorresti farli riposare prima di cominciare?»
Per la prima volta lui fece una pausa, ed Egwene si rammaricò che non ci fosse abbastanza luce per poter vedere il suo volto. Era convinta che si fosse accigliato. «Anche senza contare la gente sul libro paga della Torre,» disse lentamente alla fine «la notizia di un esercito vola veloce come un falco. Elaida saprà con precisione anche il giorno del nostro arrivo, e non ci darà neanche un’ora di tregua. Sai che ha potenziato la Guardia della Torre? A quanto pare adesso è composta da cinquantamila uomini. Ma, se potessi, farei riposare e riprendere gli uomini per un mese. Dieci giorni potrebbero bastare, mese sarebbe meglio.»
Lei annuì, lasciandogli il braccio. Quella domanda casuale sulla Guardia della Torre le aveva fatto male. Bryne era al corrente del fatto che il Consiglio e le Ajah le dicevano quello che volevano farle sapere e nulla di più.
«Suppongo tu abbia ragione» gli rispose con calma. «Non ci sarà tempo per riposare una volta giunti a Tar Valon. Manda i tuoi cavalieri più veloci.
Non ci saranno difficoltà, vero? Pelivar e Arathelle li lasceranno parlare?»
La sfumatura d’ansia nella sua voce non era fasulla. C’era il rischio che, se avessero dovuto combattere, sarebbero finiti in rovina non solo i suoi piani.
Il tono di Bryne non cambiò di una virgola, da quel che Egwene poté giudicare, eppure in qualche modo la sua voce le sembrò rassicurante.
«Purché ci sia abbastanza luce per vedere le piume bianche, capiranno che si tratta di una tregua e ascolteranno. È meglio che io vada, Madre. Il viaggio è lungo e difficile, anche portando cavalli di riserva.»
Non appena i lembi della tenda si chiusero alle spalle del generale, Egwene emise un lungo sospiro. Avvertiva una tensione nelle spalle, e si aspettava che il mal di testa cominciasse da un momento all’altro. Di solito Bryne la faceva sentire rilassata, Egwene assorbiva la sua sicurezza. Quella notte aveva dovuto manipolarlo, e credeva che lui se ne fosse reso conto.
Era molto perspicace, per essere un uomo. Ma la posta in gioco era troppo alta per dargli una fiducia maggiore, finché il generale non dichiarava più apertamente la sua lealtà. Magari un giuramento come quello prestato da Myrelle e le altre. Bryne seguiva la Amyrlin, e l’esercito seguiva Bryne. Se questi avesse pensato che Egwene poteva sprecare invano le vite dei suoi uomini, con poche parole avrebbe potuto consegnarla al Consiglio come un maiale arrosto su un piatto da portata. Egwene prese una lunga sorsata dalla coppa, sentendo il calore del vino speziato che le si diffondeva dentro.
«Meglio per noi se loro ci credono» mormorò. «Vorrei che ci fosse qualcosa da credere. Se anche non dovessi riuscire a fare nient’altro, Siuan, spero almeno di poterci liberare dai Tre Giuramenti.»
«No!» abbaiò Siuan. Sembrava scandalizzata. «Persino provarci potrebbe essere disastroso, e se dovessi riuscirci... Che la Luce ci aiuti, se ci riesci avrai distrutto la Torre Bianca.»
«Ma di che stai parlando? Io cerco di tener fede ai Giuramenti, Siuan, visto che siamo costrette a farlo — per ora — ma i Giuramenti non ci aiuteranno contro i Seanchan. Se le sorelle devono essere in pericolo di vita per poter combattere, tra un po’ finiremo tutte morte o con un collare intorno alla gola.» Per un momento le parve di sentire di nuovo l’a’dam che la trasformava in un cane al guinzaglio. Un cane ben addestrato e obbediente.
Fu lieta del buio, che adesso nascondeva i suoi tremori. Il volto di Siuan era immerso nell’ombra, si vedeva solo la bocca che si muoveva senza emettere suoni.
«Non guardarmi a quel modo, Siuan.» Essere arrabbiate era più facile che avere paura, era facile nascondere la paura con la rabbia. Egwene non si sarebbe mai più lasciata mettere quel collare! «Hai tratto ogni tipo di vantaggio da quando sei stata liberata dai Giuramenti. Se non avessi mentito spudoratamente saremmo tutte a Salidar, senza un esercito, con le mani in mano ad aspettare un miracolo. Be’, voi sareste ancora lì. Non mi avrebbero mai convocata per eleggermi Amyrlin senza le tue bugie su Logain e le Rosse. Elaida regnerebbe incontrastata, e tra un anno nessuno si ricorderebbe più di come ha usurpato il seggio dell’Amyrlin. Lei sì che distruggerebbe la Torre, di sicuro. Sai bene che combinerebbe un disastro con Rand.
Non mi sorprenderei se avesse già tentato di rapirlo, solo che è troppo impegnata a occuparsi di noi. Be’, forse non lo rapirebbe, ma di sicuro farebbe qualcosa. Con ogni probabilità, a questo punto le Aes Sedai starebbero combattendo contro gli Asha’man, ignorando Tarmon Gai’don ormai all’orizzonte.»
«Ho mentito quando mi sembrava necessario» sussurrò Siuan. «Quando mi sembrava opportuno.» Le spalle accasciate, sembrava stesse confessando dei crimini che non voleva ammettere nemmeno a sé stessa. «A volte credo che per me sia diventato troppo facile decidere che è necessario e opportuno. Ho mentito quasi a tutti. Tranne a te. Ma non credere che non mi sia venuto in mente di farlo. Di spingerti verso una decisione o allontanarti da un’altra. E non è stato il desiderio di conservare la tua fiducia a fermarmi.» La mano di Siuan si protese supplichevole nell’oscurità. «La Luce sa quanto la tua amicizia e la tua fiducia contano per me, ma non è stato per quello. Né perché sapevo che mi avresti strappato la pelle a strisce o mi avresti mandato via, se l’avessi scoperto. Mi sono resa conto che dovevo attenermi ai Giuramenti con qualcuno, o mi sarei perduta del tutto.
E così non mento a te, o a Gareth Bryne, quale che sia il prezzo da pagare.
E non appena posso, Madre, pronuncerò di nuovo i Tre Giuramenti con il Bastone dei Giuramenti.»
«Perché?» chiese a bassa voce Egwene. Siuan aveva davvero preso in considerazione l’idea di mentirle? L’avrebbe scuoiata davvero, per una cosa del genere. Ma la rabbia si spense subito. «Non perdono le bugie, Siuan.
Normalmente. È solo che a volte sono necessarie.» Il tempo passato con gli Aiel le balenò nella mente. «Purché si sia disposti a pagarne il prezzo, in ogni caso. Ho visto sorelle punite per molto meno. Tu sei una delle prime nuove Aes Sedai, Siuan, libera e senza costrizioni. Ti credo quando mi dici che non mi mentirai.» Né a lei né a lord Bryne. Questo era strano.
«Perché vuoi rinunciare alla tua libertà?»
«Rinunciare?» Siuan rise. «Non rinuncerò a niente.» Raddrizzò la schiena, e la voce cominciò ad acquisire forza e poi passione. «I Giuramenti sono ciò che ci rende più di un semplice gruppo di donne che si immischiano negli affari del mondo. O di sette semplici gruppi. O cinquanta. I Giuramenti ci tengono unite, un consolidato insieme di convinzioni che lega tutte noi, uno stesso filo che passa per ogni sorella, viva o morta, fino alla prima che mai poggiò le mani sul Bastone dei Giuramenti. Sono i Giuramenti a renderci Aes Sedai, non saidar. Qualsiasi selvatica può incanalare.
Gli uomini possono anche prendere con le molle tutto quello che diciamo, ma quando una sorella fa una dichiarazione chiara e precisa loro sanno che è vero, e si fidano. Per via dei Giuramenti. E per via dei Giuramenti, nessuna regina teme che le sorelle possano devastare le sue città. La peggiore delle canaglie sa che la sua vita è al sicuro con una sorella, a meno che non provi a farle del male. Certo, i Manti Bianchi sostengono che i Giuramenti sono menzogne, e alcune persone hanno strane idee su ciò che essi comportano, ma ci sono pochissimi posti dove le Aes Sedai non possono andare ed essere ascoltate, e questo è per via dei Giuramenti. I Tre Giuramenti sono l’essenza delle Aes Sedai, sono il cuore di ciò che significa essere una Aes Sedai. Buttali nella spazzatura, e tutte noi diverremo sabbia spazzata via dalla marea. Rinunciare? Io acquisirò la libertà.»
Egwene si accigliò. «E i Seanchan?» L’essenza delle Aes Sedai. Quasi dal giorno stesso in cui era arrivata a Tar Valon, aveva lavorato per diventare un’Aes Sedai, ma non aveva mai pensato davvero a cosa faceva di una donna un’Aes Sedai.
Siuan rise di nuovo, anche se questa volta con un po’ di amarezza e stanchezza. Scosse il capo e, nonostante l’oscurità, parve chiaramente esausta.
«Non lo so, Madre. La Luce mi aiuti, non lo so. Ma siamo sopravvissute alle Guerre Trolloc, ai Manti Bianchi, ad Artur Hawkwing e a tutto il resto.
Troveremo un modo per vedercela con questi Seanchan. Senza distruggere noi stesse.»
Egwene non era così sicura. Molte delle sorelle nell’accampamento pensavano che i Seanchan fossero un pericolo tale da dover rimandare l’attacco a Elaida. Come se nel frattempo Elaida non avrebbe rinsaldato la sua posizione sul seggio dell’Amyrlin. Molte altre parevano convinte che semplicemente unendo di nuovo la Torre Bianca, a qualsiasi prezzo, avrebbero fatto sparire i Seanchan. La sopravvivenza perdeva parte del suo fascino se diventava una vita al guinzaglio, e quello di Elaida non sarebbe stato molto meno stretto di quello dei Seanchan. L’essenza delle Aes Sedai.
«Non c’è bisogno di tenere Gareth Bryne all’oscuro» disse all’improvviso Siuan. «Quell’uomo è una pena vivente, certo. Se non basta lui come penitenza per le mie bugie, allora non basterà nemmeno la morte per flagellazione. Uno di questi giorni comincerò a dargli uno schiaffo al mattino e due la sera, per principio, ma puoi dirgli tutto. Sarebbe di maggior aiuto, se sapesse ogni cosa. Ti segue sulla fiducia, e gli si annoda lo stomaco se non è sicuro che sai quello che stai facendo. Non lo dà a vedere, ma io me ne accorgo.»
All’improvviso, tutti i pezzi si ricomposero nella mente di Egwene come se avesse ricomposto uno di quei rompicapo creati dai fabbri. Pezzi sorprendenti. Siuan era innamorata del generale! Nient’altro poteva spiegare la loro situazione. E tutto quello che lei sapeva del rapporto tra quei due adesso aveva un nuovo aspetto. Non necessariamente migliore. Una donna innamorata spesso metteva il cervello sotto vetro quando l’uomo in questione era nei dintorni. Come lei stessa sapeva fin troppo bene. A proposito, dov’era finito Gawyn? Stava bene? Al caldo? Basta. Anzi, quei pensieri erano già troppo, alla luce di ciò che stava per dire. Intonò la sua voce da Amyrlin Seat, sicura e autoritaria. «Puoi prendere a schiaffi lord Bryne o portartelo a letto, Siuan, ma devi stare attenta. Non ti lascerai scappare cose che non deve ancora sapere. Mi hai capito?»
Siuan si raddrizzò di scatto. «Non ho l’abitudine di lasciar andare la lingua come una vela strappata, Madre» disse con fervore.
«Sono molto lieta di sentirtelo dire, Siuan.» Nonostante sembrassero quasi coetanee, Siuan era abbastanza grande da essere sua madre, eppure in quel momento Egwene si sentì come se le loro età si fossero invertite.
Forse quella era la prima volta che Siuan doveva vedersela con un uomo non da Aes Sedai, ma da donna. Qualche anno passato a credere di amare Rand, pensò Egwene con amara ironia, pochi mesi con la testa fra le nuvole per Gawyn, e so già tutto quello che c’è da sapere.
«Credo che qui abbiamo finito» proseguì, prendendo Siuan a braccetto.
«O quasi. Vieni.»
Le pareti della tenda erano sembrate una misera protezione contro il freddo, ma uscire all’esterno le espose al rinnovato assalto delle zanne dell’inverno. La luce della luna che si rifletteva sulla neve era quasi abbastanza chiara da poter leggere, ma quel bagliore sembrava freddo. Bryne era sparito, come se non fosse mai stato lì. Leane, la sua magrezza ingoiata da strati e strati di lana, apparve per dire che non aveva visto nessuno, poi andò via di corsa nella notte, guardandosi intorno. Nessuno sapeva che ci fosse un legame tra Leane ed Egwene, e tutti credevano che Leane e Siuan fossero ai ferri corti.
Stringendosi addosso il mantello come meglio poteva con una mano sola, Egwene si concentrò per ignorare il freddo glaciale mentre con Siuan camminava nella direzione opposta a quella presa da Leane. Per ignorare il freddo e per tenere gli occhi aperti nel caso ci fosse qualcuno lì fuori. In realtà, se qualcuno si trovava davvero fuori dalla tenda in quel momento difficilmente poteva essere per caso.
«Lord Bryne aveva ragione,» disse Egwene a Siuan «è davvero meglio se Pelivar e Arathelle credono a quelle storie. O che almeno siano insicuri.
Troppo insicuri per combattere o per fare qualsiasi cosa che non sia parlare. Credi che accetterebbero di buon grado la visita di qualche Aes Sedai?
Siuan, mi stai ascoltando?»
Siuan trasalì, e si fermò con lo sguardo fisso davanti a loro. Aveva avanzato senza mancare un passo, ma in quel momento scivolò e quasi cadde a sedere sul sentiero ghiacciato, ritrovando l’equilibrio appena in tempo per non tirare giù anche Egwene. «Sì, Madre. Certo che ti sto ascoltando. Forse non le accoglieranno proprio con gioia, ma dubito che manderebbero via delle sorelle.»
«Allora voglio che vai a svegliare Beonin, Anaiya e Myrelle. Tra un’ora devono essere a cavallo, dirette a nord. Se lord Bryne aspetta una risposta entro domani sera, abbiamo poco tempo.» Era un peccato che non avesse scoperto dove esattamente si trovava questo esercito, ma chiedendolo a Bryne avrebbe rischiato di farlo insospettire. Dei Custodi non avrebbero dovuto avere grandi difficoltà a trovarlo, e quelle tre sorelle ne avevano cinque in tutto.
Siuan ascoltò in silenzio le sue istruzioni. Non solo quelle tre dovevano essere strappate al sonno. Entro l’alba, Sheriam e Carlinya, Morvrin e Nisao avrebbero saputo di cosa parlare a colazione. Bisognava piantare i semi, semi che non avevano potuto piantare prima per timore che germogliassero troppo presto, ma che adesso avevano davvero poco tempo per crescere.
«Sarà un piacere tirarle giù dal letto» disse Siuan quando Egwene ebbe concluso. «Se me ne devo andare in giro con questo...» Lasciò il braccio di Egwene e fece per girarsi, poi si fermò, il volto solenne, se non addirittura cupo. «So che vuoi essere la nuova Gerra Kishar — forse la prossima Sereille Bagand. E hai quello che serve per eguagliarle entrambe. Ma stai attenta a non trasformarti in un’altra Shein Chunla. Buona notte, Madre. Dormi bene.»
Egwene rimase a guardarla andar via, una figura avvolta in un mantello che ogni tanto scivolava sul sentiero e mormorava con rabbia quasi abbastanza forte da poter distinguere le parole. Gerra e Sereille erano annoverate tra le Amyrlin più potenti. Entrambe avevano innalzato l’influenza e il prestigio della Torre Bianca a livelli raramente raggiunti sin da prima dell’epoca di Artur Hawkwing. Ed entrambe avevano controllato la Torre, Gerra mettendo abilmente le fazioni del Consiglio una contro l’altra, Sereille con la mera forza della sua volontà. Shein Chunla era un’altra storia.
Aveva sperperato il potere dell’Amyrlin Seat, inimicandosi quasi tutte le sorelle della Torre. Il mondo credeva che Shein fosse morta nello svolgere il suo incarico, circa quattrocento anni addietro, ma la verità profondamente nascosta era che era stata deposta e mandata in esilio. Persino le storie segrete trattavano in modo vago certi argomenti, ma era piuttosto chiaro che, quando fu sventato il quarto tentativo di riportarla sul seggio dell’Amyrlin, le sorelle che facevano la guardia a Shein la soppressero nel sonno con un cuscino.
Egwene rabbrividì, e si disse che era per via del freddo.
Si girò e si avviò lentamente verso la sua tenda, da sola. Dormire bene?
La luna piena pendeva bassa nel cielo, e mancava ancora qualche ora al sorgere del sole, ma non sapeva se sarebbe riuscita a addormentarsi.