8

Riemergere alla luce del sole lo fece sentire un po’ meglio. Erano solo le quattro del pomeriggio. Su suggerimento di Lissa andarono a casa sua, in un quartiere periferico; doveva prendere alcune cose, disse. Il sottinteso implicito, era che si sarebbe trasferita da lui. Macy non fece obiezioni. Non poteva dire di amarla, come evidentemente l’aveva amata Hamlin, o anche che fosse sul punto di innamorarsi di lei; ma la precarietà delle loro rispettive condizioni rendeva necessario un trattato di mutua difesa, e vivere insieme era la sistemazione logistica più ovvia. Per il momento, almeno.

Nel tubo che li trasportava verso nord fu allegra, perfino un po’ folle: decisamente su di giri, malgrado la calca dei viaggiatori che li premeva. La sua ESP pareva non operasse in continuazione. Era qualcosa di simile a quello che Hamlin era per lui: andava e veniva, come una marea, ora irresistibile, ora debole e quasi inavvertibile. Quando il demone si impossessava di lei, giungeva sull’orlo del collasso; in altri momenti, come quello, era vivace e spumeggiante. E tuttavia si avvertiva una tensione latente nella sua allegria. Come se temesse che da un momento all’altro la sua sensibilità telepatica si riaccendesse, lì nel tubo, e la facesse ripiombare nel delirio.

Il suo appartamento era deprimente: una stanza tetra, in un edificio vecchio, in una zona dimenticata della città. Come in un romanzo di Dickens. Storpi, zoppi e ciechi infestavano le strade, bambini sporchi dappertutto, vecchie donne grasse, giovinastri dall’aria di tagliagole, cani, gatti, grida e urla, risate sguaiate da dietro le porte. Un odore diffuso di urina e di spezie esotiche. Non era solo il ventesimo secolo a sopravvivere lì, ma soprattutto il diciannovesimo. Il rimbombare degli apparecchi olovisivi lungo i corridoi sembrava un anacronismo.

Salirono a piedi cinque piani. Non che si aspettasse di trovare pozzi di salita, in quel tipo di casa, ma si poteva almeno sparare che datassero dall’epoca degli ascensori. A quanto pareva no. Perché Lissa viveva lì? Perché non in una delle cooperative del popolo, che almeno erano pulite, e di sicuro non costavano di più? Preferiva quel posto, gli disse. Non riuscì a seguire le spiegazioni che farfugliò, ma era qualcosa che aveva a che fare con i materiali delle pareti: forse voleva dire che in un edificio vecchio come quello le emanazioni telepatiche dei vicini non la disturbavano come fra le mura sottili di una coop.

Entro quello squallore, si era ritagliata un nido altrettanto squallido. Una stanza quadrata, dal soffitto alto, con mobili goffi, tende rappezzate, utensili semplici. Una piccola unità di cottura macchiata, una ghiacciaia al posto di un vero frigorifero. Non vide servizi. Tutto quanto in disordine. Lissa non era il tipo della donna di casa. Il letto disfatto, le lenzuola con una mezza dozzina di strati di macchie giallastre (questo lo impensierì: poteva indovinare l’origine delle macchie), e libri sparsi dappertutto: sul davanzale, sul pavimento, perfino sotto il letto.

Così era una lettrice. Interessante. Si poteva giudicare il carattere di una persona dalle sue letture.

Macy si rese conto di conoscere Lissa a malapena. Cosa poteva dire di lei? Che sembrava piuttosto intelligente, ma non aveva dato segni di possedere interessi intellettuali, fino a quel momento; che se la cavava discretamente bene a letto (per quanto poteva giudicare, data la natura sintetica delle sue passate esperienze); che un tempo era stata strettamente associata a un importante artista contemporaneo. Punto. Aveva ricevuto un’educazione? Aveva avuto una carriera sua, delle mete nella vita, abilità, talento? Una modella è solo un simbolo, una forma, un insieme di curve e di superfici; Hamlin era un uomo troppo complicato per essersi innamorato di lei semplicemente come modella, perciò doveva esserci qualcosa sotto l’esteriorità, doveva possedere una sostanza interiore, doveva aver fatto qualcos’altro al mondo, oltre ad aver posato per Nat Hamlin. Perlomeno fino al momento in cui le sue tempeste interiori non l’avevano costretta a rifugiarsi in quel posto orribile.

Ma non sapeva nulla di lei. Aveva viaggiato? Aveva una famiglia? Sogni di diventare lei stessa un’artista? Forse i suoi libri avrebbero potuto svelargli qualcosa. Cercò di fare un inventario della sua biblioteca, mentre lei si dava da fare a raccogliere le sue cose.

Si trovò immediatamente in difficoltà: lui stesso non era un lettore, aveva solo dato una scorsa a qualche romanzo popolare durante la sua permanenza al Riab, e qualsiasi cosa avesse letto Hamlin, ammesso che avesse letto, era naturalmente sparito dalla mente di Macy. Lui aveva solo l’illusione di una familiarità con la letteratura. Il dottor Brewster, il letterato del Centro, aveva programmato in lui riassunti nebulosi e immagini slegate, e perfino la sensazione fisica di certi libri, per cui sapeva chiaramente che l’Iliade era un grosso volume arancione con le pagine color crema ed eleganti lettere arrotondate. Ma di cosa parlava? Una guerra di tanto tempo fa. Una lite circa una donna. Orgogliosi capi barbari. Chi era Omero? Era vissuto prima di Hemingway? Gesù, era proprio ignorante!

È così, esaminando le pile di libri di Lissa, non riuscì a raggiungere alcuna conclusione, a parte che lei sembrava leggere (o almeno possedere) un sacco di romanzi, spessi tomi dall’aria seria, e che circa un quinto erano opere di biografia o di storia; niente argomenti leggeri o frivoli. Doveva essere una persona più complessa di quanto gli si fosse rivelata fino a quel momento. A chiunque, per quanto stupido, poteva capitare di comprare un libro qualche volta, ma Lissa se ne era circondata, il che faceva supporre in lei una fame psichica di conoscenza.

Cercò di ritoccare l’immagine mentale che aveva di lei, rendendola meno ragazzina abbandonata, bisognosa di aiuto, piagnucolante vittima delle circostanze, e più un individuo dotato di autonomia e ambizioni, e una sfera di interessi. Ma aveva ancora delle difficoltà a vederla come qualcosa di più che una parte dell’arredo dello studio di Nat Hamlin, o come una miserevole vittima della moderna vita urbana. Lei si rifiutava di acquistare vita come un essere umano autentico e pienamente operativo.

Forse è perché non capisco molto bene gli esseri umani, essendo così nuovo del mondo, pensò. O forse uno dei dottori mi ha riempito la testa dei suoi arcaici atteggiamenti verso le donne… Gomez, per esempio, le vede solo come estensioni e pallidi riflessi degli uomini con cui vivono? Meri ammassi di confuse emozioni e di reazioni imprecise. Ma esse non si limitano a passare da un avvenimento all’altro, lasciando che le cose succedano. Non si dimenticano di uscire dal letto, se nessuno glielo dice. Le donne hanno una loro personalità. Sono certo che è così. Deve essere così. E una personalità interessante. Degli scopi che vanno al di là della mera sopravvivenza, mangiare, scopare, i bambini. Allora perché mi sembra così vuota? Devo cercare di conoscerla meglio.

Lissa stava riempiendo con le sue cose una grossa valigia verde, malconcia. Vestiti, ninnoli, una dozzina di libri. Qualcosa di largo e piatto, forse un album di disegni. Una cartelletta con vecchie lettere e carte. Alla fine, ci infilò altri cinque libri.


Una serata tiepida, una notte mite. Cenarono in una trattoria a pochi isolati da casa di Macy. Poi, a casa: una paio di oro, quattro chiacchiere, a letto. Nessuna scarica telepatica a tormentarla. Nessuna apparizione di Hamlin a disturbarlo. Erano liberi di dedicarsi alle reciproche intimità senza distrazioni, ma non lo fecero. Parlarono girando intorno ai loro guai, senza affrontare direttamente i problemi. Lui apprese con sorpresa che lei non aveva ancora venticinque anni, quattro o cinque meno di quanto avesse pensato. Nata a Pittsburgh. Il padre era uno scienziato, la madre esperta in dinamica delle popolazioni. Buoni geni. Sembravano tipi accettabili. Lissa non li vedeva da anni. Era venuta a New York a diciassette anni per studiare arte. (Aha!) Aveva anche pensato di scrivere romanzi. (Ahahaha!)

La svolta nella sua vita era stata il 15 giugno 2004, all’età di diciotto anni, quando aveva incontrato il famoso artista Nathaniel Hamlin. Si era innamorata follemente di lui. Lui non si accorge neanche di lei, le sembra (la scena è una festa di facoltà della Art Student’s League, tutti quanti ubriachi fradici, Hamlin, conferenziere ospite o qualcosa del genere, che faceva la corte a tutte le ragazze carine).

Ma una settimana dopo le telefona. Posso offrirti da bere? Una passeggiata nel Central Park? Naturalmente. Lei è terrorizzata. Spera che l’accetti come allieva privata. Vorrebbe portarlo nel suo appartamento (non quello che occupa adesso) e fargli vedere i suoi disegni. Non osa. Una casta passeggiata estiva.

In seguito, è sicura che lui l’ha trovata troppo banale, troppo adolescente, e invece no, le telefona di nuovo, esattamente sette giorni dopo. Che giorni felici. Vorresti vedere il mio studio? A Darien, Connecticut. Non ha idea di dove si trovi Darien. La viene a prendere lui, nessun problema. Una lunga macchina affusolata. Guida lui stesso. Ha portato con sé la cartella dei suoi disegni, non si sa mai. Lui la porta in una sfarzosa residenza di campagna, un posto incredibile: piscina, torrente, stagno pieno di pesci rossi mutanti dai colori improbabili, una grande casa di pietra con annesso studio medio-grande.

Salta fuori che lui non è interessato a lei come artista: la vuole come modella; ha in mente un progetto ambizioso, per cui lei sarebbe perfetta. Lissa è impressionata. La sua cartella giace dimenticata in auto. Ho bisogno di vedere il corpo, dice lui. Certo. Certo. Si spoglia: camicia e pantaloni. Aveva evitato di indossare biancheria intima quel giorno. La studia con attenzione. Oh, Dio, ho il sedere troppo piatto, le tette troppo grosse, o forse non sono grosse abbastanza. Invece no, lui le fa i complimenti: un bel sederino sodo, belle curve, può andare, può andare.

E d’improvviso i suoi pantaloni sono aperti. L’organo spesso e arrossato che esce. (Oh, tu l’hai visto, Macy, lo conosci come il tuo!) Viene presa dal panico. È già stata scopata prima, sì, otto o dieci ragazzi, non è una timida verginella, ma quello è l’autentico cazzo eretto di Nathaniel Hamlin in avvicinamento, che è una cosa molto speciale. Ha ammirato le sue opere per tutta la vita, e non aveva mai sognato che un giorno le avrebbe presentato il suo albero maestro. Non riesce a staccarne gli occhi, finché non affonda nel suo buco.

Dentro e fuori, dentro e fuori. L’autentico aggeggio di Nat Hamlin sa il fatto suo. Una tremenda intensità ribolle dentro di lui, e la esprime mediante il suo uccello. Lei viene un migliaio di volte. Dopo, corrono nudi per tutta la proprietà, nuotano, ridono, si ubriacano. Lui le fa delle olografie per circa un’ora. Tu e io, dice, faremo insieme un capolavoro che il mondo non dimenticherà. Poi si vestono, lui la porta in un ristorante vicino al Sound, di una tale eleganza che le fa girare la testa, e finalmente, a tarda notte, la deposita al suo appartamento: un mucchio di carne adolescente, esausta, attonita, molto scopata.

Poi non ha più notizie per tre mesi. Disperazione. Finalmente una cartolina di scuse dal Marocco. Un’altra, un mese e mezzo più tardi, da Bagdad. A Natale una cartolina con francobolli giapponesi. Poi nel gennaio del ’05 una telefonata. È tornato in città, finalmente. Ci vediamo questa sera alle nove, cancella tutti gli altri impegni.

E da quel momento in poi lei è più o meno la sua amante a tempo pieno, vive a Darien la maggior parte del tempo, naturalmente abbandona la scuola d’arte, perde i contatti con i vecchi amici, che adesso le sembrano ingenui e immaturi. Nuovi amici, interessanti. Diventa perfino amica della moglie di Hamlin, (Una peculiare relazione matrimoniale, concluse Macy.)

Agli inizi del ’06, dopo circa un anno di progetti, Hamlin si mette seriamente al lavoro sull’Antigone 21. Mesi di lavoro per lui e per lei; è un demone quando lavora. Dodici, quindici, diciotto ore al giorno. Finalmente, ha quasi terminato. Ha quasi terminato anche con lei. Ha parlato di matrimonio fin dall’estate del ’05, ma la loro relazione diventa sempre più tesa. Violenza fisica: la prende a schiaffi e a calci, in un paio di occasioni, una volta la scopa di viva forza, quando lei non vuole, alla fine la butta giù dalle scale e le rompe l’osso pelvico. Ospedale. Durante il quale lui soccombe completamente alla disintegrazione della personalità che si è sviluppata, senza che lei lo sapesse, durante la maggior parte dell’anno, e commette Atti Orribili sulle persone di una serie di donne. Viene arrestato e processato. Lei non lo vede più fino a quel bizzarro giorno di maggio del 2011, quando va a finire addosso a Paul Macy lungo una strada di Manhattan Nord.

E il tuo problema con la telepatia? vorrebbe chiedere Macy. Quando è cominciato? Quando si è aggravato? Ma evidentemente lei non vuole parlarne. Quella sera vuole parlargli solo di antichi problemi, la sua storia d’amore con il defunto grande artista. E adesso ha detto tutto quello che si sentiva di dire. Silenzio. Luci spente. Due braci rosse di sigarette nel buio. Fumo pungente che si alza verso il cielo. Questo è il momento adatto a un’apparizione di Hamlin, pensò Macy. Per aggiungere qualche nota integrativa al racconto di Lissa. Ma Hamlin, lasciandosi sfuggire l’imbeccata, non comparve. Macy cominciava a sospettare che ciascun incontro con Hamlin prosciugasse la forza dell’altro quanto la sua, e forse più; fra un colloquio e l’altro Hamlin doveva starsene in disparte, a ricaricarsi. Magari non era così, ma era una possibilità incoraggiante. Stancalo, spossalo, e alla fine buttalo fuori. Una gara di resistenza.

Macy si accostò doverosamente a Lissa, non perché sentisse in particolare il bisogno di lei, ma perché gli sembrò che dovessero commemorare il suo trasferimento da lui con qualche celebrazione passionale; la sua mano scivolò su uno dei suoi seni, ma lei non ebbe alcuna reazione, rimanendo sdraiata lì immobile, come in trance, e un pensiero poco allegro lo colpì: Quando fa all’amore con me, non cerca in realtà di catturare quei momenti di passione con lui? Io sono il corpo ben dotato di Nat Hamlin, meno la natura violenta di Nat Hamlin; non è questo tutto ciò che cerca da me?

Il pensiero di poter essere per lei soltanto il pene rianimato di un morto non lo divertiva affatto. Naturalmente gli aveva detto che lui le piaceva per quello che era, ma cosa era lui in effetti? Avendo amato un genio, poteva amare altrettanto una nullità? Oppure no? Una giovane studentessa d’arte sarebbe stata naturalmente attratta da un magnete come Nat Hamlin, ma Paul Macy non disponeva di altrettanto fascino. Chi sono, cosa sono, dov’è la mia profondità, la mia consistenza? Io non sono nulla. Io sono irreale. L’ombra succeduta ad Hamlin. Il suo relitto. Macy cercò di controllare quell’attacco di pessimismo, dicendosi che era senza dubbio Hamlin a causarlo, emettendo un flusso di veleno dalla sua tana cerebrale. Ma in quel momento non riuscì a incrementare la stima in se stesso. Penetrandola pompò meccanicamente per tre o quattro minuti, sentendosi completamente staccato da lei eccetto che nel punto di entrata, e dal momento che lei non dava alcun segno di essere con lui, venne e ricadde nel solito sonno inquieto, infestato da incubi e ricordi.


Il giorno dopo, all’ufficio, ricevette molte occhiate comprensive. Tutti quanti passavano in punta di piedi intorno a lui, parlavano a voce bassa, sorridevano un sacco, evitavano qualsiasi situazione di potenziale stress o conflitto. Evidentemente avevano paura che potesse dare i numeri al primo stimolo troppo brusco. Era una regressione alla maniera in cui lo avevano trattato qualche settimana prima, quando era appena arrivato, quando pensavano che un Riab dovesse essere trattato come una scatola di uova. Si chiese perché. Forse per il fatto che il giorno prima si era dato malato, e adesso pensavano che avesse sofferto di qualche particolare disturbo dei Riab, di qualche caduta della personalità che richiedeva cautele particolari? La loro eccessiva gentilezza, implicando che lui era più vulnerabile di loro, lo irritava. Dopo due ore e mezzo, bloccò Loftus, l’assistente di Stilton Fredericks, e le disse: — Voglio che sappiate che la ragione per cui sono stato a casa ieri è stato semplicemente un problema di stomaco. Diarrea e vomito, okay?

Lei lo guardò senza espressione. — Non mi pare di averlo chiesto.

— Lo so che non hai chiesto. Ma tutti quanti qui sembrano convinti che abbia avuto una specie di esaurimento nervoso. Almeno è così che mi hanno trattato oggi. Sono così schifosamente gentili che non ne posso più. Perciò ho pensato di farti spargere la voce che sto benissimo. Solo una piccola indisposizione interna.

— Non ti fa piacere che la gente sia gentile con te, Macy?

— Non ho detto questo. Solo non voglio che i miei colleghi di lavoro facciano delle ipotesi sbagliate sullo stato del mio cervello.

— D’accordo, non hai avuto un esaurimento nervoso. Allora perché hai un’aria così strana?

— Strana?

— Strana — disse Loftus.

— In che senso?

— Guardati allo specchio. — Poi un momento di tenerezza che affiorò attraverso l’acciaio. — Se c’è qualcosa che possiamo fare per te…

— No. No. Davvero, era solo mal di stomaco.

— D’accordo. Se qualcuno lo chiede, glielo dico. Nessuno ti mormorerà alle spalle.

La ringraziò e raggiunse in fretta il bagno dei dirigenti. Fra tutti gli arnesi elettronici, i rasoi ultrasonici, gli orinatoi a forma di bottiglia di Klein, trovò uno specchio, modello standard, con il retro argentato, come ai vecchi tempi. Una faccia feroce, iniettata di sangue lo guardò. Fronte aggrottata. Narici allargate. Labbra compresse, la bocca piegata da una parte. Gesù! Non c’era da meravigliarsi! Era il signor Hyde e il dottor Jekyll contemporaneamente, i lineamenti tutti contorti, che riflettevano i peggiori tormenti interiori.

E tutto questo senza il minimo segno da parte di Hamlin nelle ultime diciotto ore. Questa doppia esistenza, questa occupazione clandestina delle regioni inferiori del suo cervello, gli stava corrodendo la faccia, trasformandolo in un’insegna ambulante di sofferenza. Per forza erano tutti gentili con lui quel giorno; potevano vedere i segnali del collasso imminente scritti sulla sua fronte.

Tuttavia si sentiva relativamente rilassato? Che aspetto doveva avere quando Hamlin era vicino alla superficie e lo incalzava. Macy provò a lanciare un segnale. Hamlin? Hamlin, sei lì? Il mio brutto sogno permanente. Fatti vedere. Facciamo quattro chiacchiere.

Ma no: tutto tranquillo sul fronte cerebrale. Sentendosi offeso, Macy si diede da fare per riparare la sua faccia. Si spogliò a torso nudo e infilò la testa sotto il getto dell’aria calda. Rilassa i muscoli, spiana la fronte. Un po’ di umidità, maestro. Ah. Ah. Una stupenda sensazione tattile. Adesso infila la testa nel lavandino a vortice. Gira gira gira, giù giù giù, trattieni il fiato e lascia che l’acqua meravigliosa operi la sua magia. Ah. Ah. Splendido. Ancora l’aria calda per asciugarsi. Adesso ingoia un tranquillante, fumati una oro. Scruta la mappa. Meglio, molto meglio. La tensione si sta allentando; per fortuna: non ti avrebbero lasciato apparire davanti a una telecamera così conciato.

Macy stava ancora sistemandosi, rivestendosi, quando Fredericks entrò nel bagno. Una sonora risata: oh oh oh. — Ti ho interrotto in un momento di relax, Paul?

— No. Ormai sono già rilassato. Mi sento molto meglio.

— Ci siamo preoccupati quando hai telefonato, ieri.

— Soltanto lo stomaco in disordine, nient’altro. Adesso sto molto meglio. Vedi? — Sorrise a Fredericks con la sua faccia restaurata. — Ti ringrazio per la sollecitudine, ma ho la pelle abbastanza dura, Stilton — aggiunse con riluttanza. Che accidente di nome da portarsi dietro. Fredericks si dedicò allo svuotamento della sua vescica. Macy uscì, impegnandosi a sembrare tranquillo. Lo sforzo dovette sortire i suoi effetti, perché la gente smise di coccolarlo.

Alle due e mezzo prese in mano il copione della giornata, proiettò il video quattro o cinque volte, ripassò l’audio. Una notizia di due minuti sull’incoronazione in Etiopia: folle acclamanti, leoni che marciavano in catene per le strade, un angolo del quindicesimo secolo che faceva capolino nel ventunesimo.

Macy si chiese come se la cavava ad Addis Abeba il signor Bercovici, colui che l’aveva scelto al Centro Riab per quel lavoro. Era forse quell’uomo ai bordi della folla, registrato dal fedele occhio volante, quella faccia bianca e grassoccia fra le facce scure dai lineamenti aquilini? Già sparito; probabilmente era solo il console del Sud Africa, o chissà chi. Macy diede un tono nobile alla sua voce fuori campo. "Fra la pompa e lo sfarzo di un impero orientale, il principe Takla Haymanot è diventato oggi Leone di Judan, Re dei Re d’Etiopia, Sua Eccellenza il Negus Lebna Dengel II, ultimo monarca di una dinastia che discende da re Salomone stesso…" Stupendo.

Poi a casa da Lissa, sotto la pioggia.

Lei era a letto, leggeva, con addosso una vestaglia verde, stracciata, che sembrava abbastanza vecchia da essere una di quelle della regina di Saba, senza niente sotto, i capezzoli bruno-rosati che sbucavano fuori. Una rapida occhiata, e Macy capì, come se avesse ricevuto un messaggio telepatico, che lei aveva avuto una brutta giornata.

La sua faccia aveva quell’espressione cupa, imbronciata; i capelli erano spettinati, un groviglio color castano dorato; l’odore rancido di sudore asciugato impregnava l’aria della camera da letto. Macy provò una strana sensazione di vita domestica: il maritino che torna a casa da una giornata di duro lavoro in ufficio, la moglie trasandata che si appresta a raccontargli i piccoli guai giornalieri.

Lissa gettò da parte il libro e si sedette. — Cristo — disse. La sua esclamazione favorita. — Una giornata di merda. Tempo schifoso dentro e fuori.

Lui si tolse le scarpe. — Brutta?

— Un coro spaventoso in testa. — Alzò le spalle. — Non parliamone. Avevo intenzione di prepararti una bella cenetta, ma non ho trovato la forza. Potrei preparare qualcosa di rapido.

— Andremo fuori a mangiare. Non preoccuparti. — Si tolse la giacca. Quindici secondi di aria morta. Malgrado Lissa avesse detto che non voleva parlare della giornata, sembrava in attesa che lui le facesse delle domande. Macy evitò l’esca. Era stanco e inquieto lui stesso; forse era Hamlin che stava ricominciando ad affiorare.

La guardò. Lei guardò lui. Il silenzio si protrasse, fin quando non ebbe raggiunto una presenza quasi tangibile. Poi Lissa parve smorzare la tensione; staccò qualcosa dentro se stessa e si lasciò andare contro il cuscino, affondando in quel suo mondo di meditazione in cui viveva per metà del tempo.

Macy si procurò una birra. Quando tornò nella camera da letto, lei era ancora lontana anni-luce. Gli venne un’idea curiosa: che se non avesse preso contatto con lei in qualche maniera, immediatamente, l’avrebbe persa del tutto. La sua chiusura lo irritava, ma superò l’irritazione, e avvicinandosi al letto tirò indietro la coperta per accarezzarle la coscia nuda. Un gesto gentile, quasi d’amore. Lei parve non accorgersene. Le appoggiò la birra fredda alla pelle. Un sibilo. — Ehi!

— Volevo solo scoprire se c’eri ancora — disse.

— Molto divertente.

— Cosa ti succede, Lissa? — La domanda l’aveva fatta, finalmente.

— Niente. Tutto. Questa pioggia di merda. L’aria qui dentro. Non so. — Un momento di follia nei suoi occhi. — Ho captato rumori tutto il giorno, nella testa. Tu e Hamlin, Hamlin e tu. Come una traccia radioattiva nell’aria. Non avrei dovuto venire qui.

— Non è possibile che tu capti gli impulsi telepatici di qualcuno che non è neppure nella stanza!

— No? Come fai a saperlo? Non ne sai niente di niente. Forse le tue onde ESP impregnano la pittura, il legno. E mi ritornano indietro per tutto il giorno. Non cercare di dirmi quello che io ho sentito. Voi due continuate a rimbalzarmi addosso dalle pareti, bam, bam, bam, ora dopo ora. — Queste frasi dure vennero pronunciate in un tono piatto, assente. E alla fine del suo discorso, Lissa staccò di nuovo la spina.

— Lissa?

Silenzio.

— Lissa?

— Cosa c’è?

— Ricordati che sei stata tu a cercarmi. Te l’ho detto che non era bene per noi stare insieme. E tu hai detto che avevamo bisogno l’una dell’altro, giusto? Perciò non prendertela con me se non funziona bene.

— Mi dispiace. — La scusa non sincera di una bambina.

Un altro silenzio.

Cercò di giustificare l’umore di lei. Tutto il giorno rinchiusa in casa. La pioggia, ioni ostili nell’aria. Forse aspettava le mestruazioni. Una donna ha diritto di rompere le palle qualche volta. Comunque, non era necessario che lui sopportasse. Se c’era troppo rumore telepatico lì, poteva tornarsene nel suo porcile.

— Ho sentito — disse lei.

— Oh, Gesù!

— Le mestruazioni mi devono arrivare fra una settimana. E se vuoi che torni nel mio porcile, dimmelo chiaro e tondo, e faccio subito la valigia.

— Leggi sempre nella mia mente?

— Non in questa maniera. Quello che ricevo in genere è un segnale confuso che posso identificare come tuo, e un ronzio diverso che è lui, ma di solito nessuna parola distinta. Questa volta invece è stato perfettamente chiaro. Davvero sto rompendo le palle?

— Non sei molto divertente — disse lui.

— Neanch’io mi sto divertendo molto.

— Cosa ne dici di una doccia? E poi una buona cena. — Cercando di rimediare. — Una cena elegante, in centro. Va bene? — Come per consolare un bambino ammalato. Aveva sentito anche quello?

Apparentemente no. Si alzò, togliendosi la vestaglia. Senza cercare di camminare dritta, le spalle cadenti, i seni penzolanti, la pancia spinta fuori. Si infilò nella doccia. Be’, tutti abbiamo i nostri giorni negativi. Rumore di acqua. Poi la sua testa che si infilava nella camera da letto.

— A proposito — disse. — Questa mattina ha telefonato il Centro Riab.

Macy alzò gli occhi e nello stesso istante Hamlin si svegliò e fece qualcosa al suo cuore, qualcosa di rapido e doloroso, che gli fece spalancare la bocca e stringersi una mano al petto.

— Ho detto che ha telefonato il Centro Riab…

— Ho sentito. — Macy tossì. — Aspetta un secondo. Hamlin in azione. — Lanciò un pensiero furente verso il fondo. Lasciami stare. Sparisci. Il dolore si attenuò. Macy disse: — Chi era?

— Una dottoressa, con un nome italiano.

— Iannuzzi.

— Quella. Voleva sapere perché non ti eri fatto vedere per la terapia, ieri. Dopo aver chiesto un appuntamento anticipato eccetera.

— Che cosa le hai detto?

Vide brillare la speranza. La sua precedente identità è riemersa, e sta cercando di impadronirsi di lui, dottoressa Iannuzzi. Una battaglia tremenda è in corso dentro di lui. Oh, veramente, signorina Moore? Molto strano. Ma possiamo sistemare tutto, naturalmente. Avremo la nostra unità mobile ego-distruttrice sul posto alle sette in punto. Tre rapide scariche di raggi della macchina egotronica, lanciati dalla strada, e sarà la fine del signor Nat Hamlin una volta per tutte, oh sì, oh sì. Dica al signor Macy di non preoccuparsi. Grazie per avermi informata, signorina Moore.

Lissa, molto lontana. Come in sogno. Macy ripeté, più forte: — Che cosa le hai detto?

— Non le ho detto niente.

— Cosa?

— Mi ha chiamato in un brutto momento. Non so neanche perché ho risposto. Non sono riuscita a capire bene che cosa volesse, se non in seguito.

— Allora hai riappeso e basta?

— No, qualcosa ho detto. Ho detto che non sapevo bene perché non fossi andato all’appuntamento. O dov’eri in quel momento. — Un’alzata di spalle. — Credo di essere stata un po’ confusa.

— Gesù, Lissa, hai avuto un’occasione per aiutarmi e l’hai lasciata sfumare! Avresti potuto raccontare l’intera storia!

Lei disse: — Non mi hai detto che Hamlin ha minacciato di ucciderti se facevi entrare in gioco il Centro Riab?

— Infatti. Ma lui non l’avrebbe saputo se tu avessi raccontato loro la storia mentre io ero al lavoro. Era l’occasione perfetta. E l’hai fatta sfumare. L’hai fatta sfumare.

— Mi spiace. — Ma non tanto.

— Se telefonano di nuovo, farai le cose per bene?

— Cosa vuoi che gli dica?

— Tutta la storia. Che Hamlin è tornato. E specialmente che ha detto che fermerà il mio cuore se mi avvicino a un Centro Riab. E che fa sul serio. Che ero partito per venire da loro, ma mi ha bloccato alla stazione di Greenwich. Non ti dimenticherai di questo?

— Forse dovresti chiamarli tu stesso.

— Ti ho detto che non posso. Hamlin controlla tutto quello che dico o penso. Nel momento in cui sollevassi il telefono allungherebbe le sue sgrinfie sul mio… — Gesù! Un’altra stretta al petto. Dita appiccicose e invisibili che strizzavano l’aorta. Un colpo di tosse. Un ansito. Una lenta ripresa, fra i brividi. Lissa che guardava, senza mostrare particolare preoccupazione. — Ecco — disse Macy alla fine. — L’ha appena fatto. Per farmi sapere che è sempre pronto.

— Ma a cosa serve comunicarglielo, dal momento che ti ucciderebbe se cercassero di aiutarti?

— Per lo meno lo saprebbero. Forse hanno un sistema per risolvere situazioni del genere a distanza. Forse possono prenderlo di sorpresa. Hanno i loro trucchi. Non può far male informarli di quello che è successo. A condizione che si rendano conto di quali sono i rischi per me. Non ti dimenticherai di questo?

— Se chiamano — disse Lissa vagamente — cercherò di raccontare tutto. Cercherò. — Non ne sembrava molto sicura.


Durante la notte, episodi frammentari di quasi-incubi, notiziari scivolosi trasmessi dal sottosuolo psichico. Momenti stranamente poco paurosi da un passato non ricordato che arrivavano al ponte superiore per l’ispezione e l’illuminazione del dormiente. Scene bucoliche: l’arresto, l’accusa, il centro di detenzione, il tribunale, il processo, il verdetto, la sentenza. Tenete giù quelle fottute mani, vi ho detto che vengo da solo!

Luci che lampeggiavano nei suoi occhi. Una telecamera volante che praticamente gli toccava il naso. Spettatori in tutto il mondo che si godevano lo spettacolo. Guardate il famoso autore di atti abominevoli! Osservate la giustizia trionfare! Morte ai nemici della castità! Una giuria di venti onesti e fedeli computer.

Giuratedidirelaveritàtuttalaveritànient’altrochelaverità. Logiurologiurologiuro. Guardate le testimoni singhiozzanti. Osservate le loro facce ossessionate, vendicative! Quali ricordi di oscene violazioni bruciano nelle loro anime? Si, è lui, è quell’uomo! Lo riconoscerei ovunque. L’aula silenziosa. Vostro onore, chiedo il permesso di presentare come prova la registrazione su nastro dell’intrusione dell’accusato nella casa di Maria Alicia Rodriguez la notte del.… Luci rosse si misero a lampeggiare sul banco degli avvocati. Obiezione! Obiezione! Un momento di trambusto. Obiezione respinta. L’accusa può procedere.

Sullo schermo a parete appare l’accusato, intento allo stupro. Se avesse saputo che recitava per una telecamera, l’avrebbe fatto in maniera molto più elegante. Sul davanzale, op! Forzare la finestra. Le mani fredde; tempo da cani. Sì. Dentro. La vittima tremante. E la telecamera si abbassa per prendere una buona inquadratura. Se erano così preoccupati della castità, perché gli hanno lasciato consumare lo stupro? Una buona domanda per la vittima. Ma naturalmente era stato registrato tutto automaticamente; soltanto più tardi qualcuno si era reso conto che l’occhio volante aveva colto lo stupratore folle all’opera. Bianche cosce che brillavano alla luce della luna. Intricato cespuglio nero, quasi blu. Dentro. Dentro. Wham!

Fate alzare l’imputato. Nathaniel James Hamlin, avete sentito il verdetto dei vostri pari. Questa corte vi dichiara colpevole di undici aggressioni aggravate, quattordici violenze carnali, cinque sodomie di terzo grado, sette danneggiamenti psichici irrecuperabili, diciassette violazioni dei doveri coniugali, sette atti osceni di primo grado, nove, undici, sedici.

Il dormiente diventa inquieto. Proviamo a rivolgere la nostra attenzione a tempi più felici. L’artista al lavoro nel suo splendido studio, cascate di luce primaverile si riversano attraverso la grande finestra. Sta abilmente costruendo l’armatura per l’ultimo capolavoro. Per prima viene una visione complessiva, capite, il senso dell’opera come totalità, senza di cui è impossibile cominciare. Questo vi colpisce come un fulmine, e se arriva in qualche altra maniera, non fidatevi. Dopo, è solo questione di sgobbare, di fare un sacco di saldature. Non me ne occuperei, non fosse che devo farlo. È il primo momento, la luce bianca che cade dal cielo, che giustifica tutto.

Ma naturalmente qualsiasi testa di cazzo può dire di avere un’ispirazione. È in grado di realizzarla? Io sì. Innanzi tutto bisogna costruire l’armatura, il che significa che uno deve armeggiare con relè e solenoidi e connettori e deviatori e porte-nexus e tutta quella roba. Si calcola l’atmosfera desiderata. Un computer ti fornisce le tavole di ionizzazione, ma uno deve fare le correzioni da solo, a intuito. Poi l’illuminazione. Poi si mette la pelle. Nel corso di tutta la faccenda, non bisogna mai perdere di vista l’impulso iniziale, che è in primo luogo una questione di forma, della fottuta forma effettiva del pezzo, e in secondo luogo di visione psicologica, di quel particolare movimento dello spirito che uno vuole esprimere. Adesso ne sapete altrettanto dei miei metodi di lavoro quanto me. Se volete saperne di più, comprate una delle mie opere e fatela a pezzi.

La scena cambia. Alla galleria d’arte stiamo osservando l’élite del mondo artistico che si accapiglia per comprare la sua produzione del 2002; era l’anno delle miniature falliche: camminano, parlano, eiaculano, ottomila dollari al pezzo; ogni grande artista ha il diritto di avere i suoi momenti di humour nero. Si vendevano come panini caldi. Meglio di panini caldi: avete mai comprato un panino caldo in vita vostra? Il mercato dei panini caldi è estremamente depresso di questi tempi.

Macy, addormentato, forse sta anche russando, prende disperate annotazioni mentali. Devo ricordarmi tutto quando mi sveglio. Questo è il mio vero passato, diffidate delle imitazioni. Hamlin mi sta trasmettendo tutto questa roba per mostrarsi amichevole con me, oppure cerca di tormentarmi? In qualsiasi caso, ne voglio ancora. Ancora, gridò, datemene ancora! E così sia. Guarda il mondo attraverso gli occhi di un pazzo. Un viaggio allucinogeno gratis. Tira un profondo respiro, pronto, tilt! Cosa sono quelle strisce nel cielo? Quell’arcobaleno strabico, nero, verde, turchese, grigio, porpora, bianco. E che colori vedi quando hai gli occhi chiusi? Gli stessi. Proprio gli stessi.

Perché questa gran pressione all’inguine? Si sentono pulsazioni, vibrazioni. E come avere di nuovo sedici anni. Vuoi infilarlo subito, scaricarti completamente. Insaziabile. Ma solo in fighe estranee, riluttanti. Perché? Puoi offrire una spiegazione razionale? Ah. È il momento di battere le strade invernali. Il culo stretto, la gola secca. La tua dolce mogliettina è pronta a farsi scopare per te, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, e lo stesso vale per un migliaio di altre, per Lissa, calda e disponibile, e allora perché rischiare in questa maniera? Ma è il pericolo a definire l’uomo. Scalo queste vette perché ci sono.

Ma ti rendi conto che sei mentalmente squilibrato? Certo che me ne rendo conto. Fate alzare l’imputato. Nathaniel James Hamlin, avete sentito il verdetto dei vostri pari. Hai visto cosa rischi? Sicuro. Accetto i rischi. Che facciano pure. Questa corte stabilisce che l’identità nota con il nome di Nathaniel James Hamlin, essendo stata trovata colpevole di ripetuti e numerosi casi di attività antisociale, ed essendo stata dichiarata una minaccia sociopatica incorreggibile e incurabile da una commissione di esperti legalmente costituita, verrà permanentemente inibita dal contatto con la società, e verrà immediatamente espunta secondo quanto stabilisce la Legge Federale sulla Riabilitazione Sociale del 2001, e secondo i termini della detta legge, il contenitore fisico e legalmente definito dell’identità proscritta verrà ricostruito e restituito alla società nel più breve tempo possibile.

Mi porga per favore il braccio sinistro, signor Hamlin. No, non è un ago, è un iniettore ultrasonico, non sentirà niente. Quanto ci vorrà perché faccia effetto? Oh, avvertirà i primi effetti quasi immediatamente, direi, mentre i processi mnemonici a breve termine cominciano a deteriorarsi. Il braccio sinistro, prego. Grazie. Ecco. Visto come è stato semplice? Torneremo fra dieci ore per dare inizio alla fase successiva. Come mi chiamo? Chi sono? Perché mi stanno facendo questo? Adesso il braccio destro, per favore, signor Hamlin. Chi? Signor Hamlin. È lei, Nathaniel Hamlin. Oh. Il braccio destro, per favore? No, non è un ago, è un iniettore ultrasonico, come l’altro. Non ricorda l’altro? Già, è ovvio, avrei dovuto pensarci. Ecco fatto! Mi stanno cancellando la mente! No no no no no no no no no no no no.


Il giorno successivo in ufficio Hamlin, che non si era fatto vivo per quasi due giorni, fece un altro tentativo per impadronirsi dei centri vocali di Macy. Scelse il momento con cautela. La fine della giornata; Macy che cercava per la decima o dodicesima volta di registrare il commento alle notizie serali; tensione interiore elevata.

Le parole non scorrevano, i toni erano confusi. Si stava occupando del presunto assassinio del primo ministro croato, un incidente particolarmente sgradevole: una banda di radicali monadisti aveva rapito l’uomo una settimana prima, l’aveva trasportato in un laboratorio cerebrale illegale, che si riteneva situato nel Caucaso, e l’aveva sottoposto a una terapia di decostruzione personale intensiva, durata tre giorni, la quale aveva completamente obliterato la sua personalità. Il suo guscio senz’anima era stato trovato durante la notte a Istanbul, ed era adesso a Zagabria, dove un esercito di neurologi stavano tentando di richiamare in vita il suo io sradicato. Secondo un esperto inglese in tecniche decostruttive, non esisteva praticamente alcuna possibilità di successo. Se un’identità viene smontata nella maniera giusta, non esiste metodo conosciuto per rimetterla insieme. Tutti i cavalli e tutti gli uomini del re, eccetera. Una brutta faccenda.

Quando la notizia era arrivata sulle telescriventi, verso l’ora di pranzo, Macy si era istintivamente offerto come volontario per occuparsene. Sentiva di dover provare ai suoi colleghi che non aveva bisogno di essere protetto da riferimenti a demolizioni e ricostruzioni, lavori di ristrutturazione e argomenti affini. Ma portare a termine il servizio si stava rivelando un’impresa inaspettatamente difficile. C’erano complicati nomi croati che si rifiutavano di uscirgli dalla bocca nell’ordine giusto di sillabe. Inoltre, si accorse di essere più sensibile all’argomento di quanto avesse creduto; gli capitava di mettersi a sudare mentre leggeva il copione, di solito al punto dove doveva introdurre la dichiarazione del neurologo di Londra.

Prenditela canna, continuava a dirgli il direttore delle riprese. Stai andando troppo in fretta, Paul. Lascia che le parole scivolino da sole. Tutti erano tornati a essere molto gentili con lui. Un’intera squadra di registrazione immobilizzata per più di un’ora, mentre lui continuava a incespicare e arrancare attraverso un’infinità di prove sbagliate. Prenditela calma, prenditela calma.

Questa volta pensava di avercela fatta. Tutti i nomi polisillabici chiaramente registrati. La complicata spiegazione della politica balcanica superata senza calamità. Per la prima volta nel pomeriggio un unico nastro utilizzabile che copriva il 90 per cento del copione. E adesso per concludere in bellezza: — Questa mattina a Londra abbiamo parlato con il famoso esperto di cervello Varnum Skillings, il quale vdrkh cmpm gzpzp vdrkh…

— Stop!

Shqkm. Vtpkp. Smss! Grgg!

Gente che correva verso di lui da tutte le parti dello studio. Il cranio in fiamme. Occhi annebbiati. Macy sapeva esattamente cosa era accaduto, e dopo il primo istintivo momento di terrore aveva cominciato a prendere contromisure. Esattamente come aveva fatto martedì, si sforzò di spezzare la presa mentale di Hamlin. C’era un fattore che complicava le cose, questa volta: il pubblico, i colleghi preoccupati che gli si assiepavano intorno, gli rivolgevano domande, gli allentavano il colletto, e in generale lo distraevano. E una sensazione di calamità lo assalì, rendendosi conto che aveva sofferto di quell’attacco davanti a tutti, si era rivelato definitivamente troppo ammalato per tenere il lavoro. Accantonando questi problemi, si dedicò totalmente ad Hamlin. Quel demonio aveva aspettato l’occasione adatta, raccogliendo le forze, attaccando nel momento in cui Macy era meno preparato. Ma malgrado tutto, Macy era più potente. Aveva il vantaggio di poter disporre del controllo del tronco neurale fondamentale del corpo. Vattene, bastardo! Via! Via! Molla!

Hamlin mollò. Sconfitto un’altra volta.

Riuscì di nuovo a vedere, e si trovò a guardare la faccia onice, agitata, di Loftus. Che gli chiedeva cosa era successo, se stava bene, se dovevano chiamare un dottore, un’ambulanza, qualcosa da bere, una oro.

— Sto bene — disse. Voce come rame corroso.

— Avevi una voce così strana, poco fa… e la faccia tutta contorta…

— Ho detto che sto bene. — Gli stava tornando il tono normale.

Nessuno deve sapere. Nessuno.

Il direttore di registrazione, Smith, Jones, un nome del genere, lo raggiunse. — Abbiamo un nastro quasi perfetto, Macy. Se vuoi riposare un po’, possiamo fare il finale più tardi… nessun problema a giuntarlo…

— Lo facciamo subito — disse Macy. Nessuno deve sapere.

I cameramen tornavano ai loro posti. Confusione disinnescata. Macy solo sotto i riflettori, ondeggiando un poco, frugò nella sua mente alla ricerca di Hamlin, non riuscì a trovarlo, decise che era riuscito davvero, ancora una volta, a bloccare un tentativo di conquista. Tuttavia, sarebbe stato in guardia. Se succedeva ancora, davanti alle telecamere, sarebbe stato nei guai. Non c’era posto in quella organizzazione per telecronisti che avevano degli attacchi nei momenti più imprevedibili.

— Via — disse Jones o Smith.

— Questa mattina a Londra abbiamo parlato con il famoso esperto di cervello Varnum Skillings, il quale ci ha fornito questo parere sulla situazione.

— Stop — disse Smith o Jones.

Macy sorrise. Era quasi libero di tornare a casa, ormai. Il direttore diede il segnale. Macy pronunciò l’ultima battuta. Fatta. Sospiri di sollievo. Gente che usciva. Mormoni bassi, tutti quanti senza dubbio che parlavano del suo raccapricciante attacco di parossismo.

Che parlassero pure. L’ho sconfitto un’altra volta, no? Perde sempre.

Per la prima volta Macy pensò che poteva essere quasi tollerabile avere Hamlin vivo dentro di lui. Hamlin era la sfida costante che lo definiva. Ogni uomo ha bisogno della sua nemesi. Lui solleva la testa e io lo bastono. La solleva ancora, lo bastono ancora, e così andiamo avanti insieme, felicemente. Lui mi dà spessore e profondità. Insieme a lui, sono un uomo con un tormento tutto suo; una tragica angst. Senza di lui sarei un’ombra. E così stiamo bene insieme. Fino al giorno in cui lo scambio di stoccate e parate si interrompe. Fino a quando non mi conquista. O io conquisto lui. Quando succederà, sarà con un colpo rapido e improvviso, trionfante, e uno di noi soccomberà. Lui? Io? Vedremo. Adesso a casa. È stata una giornata lunga e faticosa.

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