6

Di nuovo a casa, a metà mattina. La testa dolorante. Non il più piccolo segno di Hamlin lungo la via del ritorno. L’appartamento sembrava avesse subito una strana trasformazione durante le due ore di assenza: in precedenza era un luogo neutro, del tutto privo di connotazioni emotive; adesso una cella aliena e sinistra, stretta e repellente.

Il nuovo carattere oscuro dell’appartamento lo lasciò stupefatto. Le sue misteriose risonanze autunnali. Le ombre, dove prima non c’erano state ombre. Niente era veramente cambiato in esso. Lissa non aveva spostato i mobili né pitturato le pareti di un colore diverso. E tuttavia. Tuttavia, come appariva spaventoso adesso! Quanto si sentiva fuori posto in esso. La camera da letto a forma di L, il soffitto basso, il letto stretto contro una parete sottile; i lampadari antiquati appesi al soffitto, la tinta di un verde bilioso, stampe a buon mercato di Picasso, macchiate, una finestra stretta che mostrava macchie di luce solare e due striminziti alberi dall’altra parte della strada… che spettacolo tetro, squallido, deprimente! Davvero della gente viveva in posti come quello? Un bagno minuscolo con piastrelle rosa. Neanche una doccia ultrasonica, solo vasca lavandino e water arcaici. Una microscopica cucina-sala da pranzo, con tavolo, frigorifero, schermo telefonico, unità di smaltimento, forno, tutto incastrato. Almeno c’era un piccolo pulitore a ultrasuoni per i piatti sporchi. Un salottino, con un divano in plastica rossa, qualche libro, cassette, una video unità.

Una prigione per l’anima. Il nostro secolo impoverito: questo è quanto di meglio possiamo permetterci per gli esseri umani, dopo tante orge di spreco e distruzione. Durante le ultime due settimane quell’appartamento era stato il suo rifugio, il suo porto, il suo eremitaggio; se pensava a esso (cosa di cui dubitava), lo faceva con un certo affetto. Perché adesso lo disgustava? Dopo un momento, credette di capire. La sensibilità di Hamlin adesso si sovrapponeva alla sua. Le sofisticate percezioni dello scultore che filtravano al livello di Macy, nella mente divisa fra i due. Il disprezzo di Hamlin dell’appartamento condizionava la visione di Macy. Per Hamlin le proporzioni erano sbagliate, l’ambientazione squallida, la tessitura psicologica ripugnante, i colori orrendi. Macy ebbe un brivido. Visualizzò Hamlin come una specie di ascesso nel suo cervello, una pustola, inaccessibile e distruttiva.

Lissa era ancora a letto. Questo lo disturbò. L’etica protestante: dormire fino a tardi equivale a ripudiare la vita.

Ma non era addormentata. Si stirò pigramente, si sedette, strofinandosi gli occhi con le nocche. Uno sbadiglio. — Tutto a posto? — chiese.

— No.

— Cosa è successo?

Le raccontò dell’episodio alla stazione di Greenwich. Lui che si contorceva sulle piastrelle blu e bianche dell’atrio, con il fuoco nel petto. Hamlin che allegramente pizzicava l’arpa del suo sistema nervoso autonomo. Lissa ascoltò con occhi spalancati, la faccia seria, e alla fine disse: — Cosa intendi fare?

— Non ne ho la più pallida idea.

— Ma è spaventoso. Averlo dentro di te come un parassita. Un granchio nascosto nella testa. Come un cancro al cervello. Senti, forse se io chiamassi il Centro Riab…

Una contrazione di avvertimento da parte di Hamlin, in profondità.

— No — disse Macy.

— Potrei raccontare loro cosa è successo. Forse è già capitato altre volte. Forse conoscono qualche sistema per affrontarlo.

— Nell’istante in cui provassero a fare qualcosa — disse lui — Hamlin bloccherebbe il mio cuore. Lo so.

— Forse c’è qualche medicina che può stordirlo… Potrei fartela bere, in qualche maniera…

— Lui ci sta ascoltando, Lissa. Non credi che sia costantemente in guardia? Forse non ha neanche bisogno di dormire. Non possiamo correre rischi.

— Ma come fai ad andare avanti con qualcun altro dentro la tua testa, che cerca di prendere il controllo?

Macy ci pensò. — Cosa ti fa credere che stia cercando di prendere il controllo?

— Non è evidente? Rivuole indietro il suo corpo. Cercherà di tagliarti fuori, un blocco di nervi alla volta, finché di te non resterà niente. Ti butterà fuori, e così tornerà a essere Nat Hamlin.

— Ha detto che voleva solo condividere il corpo con me — mormorò Macy.

— E credi che gli basterà? Perché dovrebbe?

— Ma Nat Hamlin è un criminale. Legalmente non esiste neppure più. Se cercasse di tornare in vita…

— Oh, continuerebbe a usare l’identità di Macy — disse Lissa. — Solo che ricomincerebbe a scolpire, in un altro paese magari. Cercherebbe i suoi vecchi amici. Sarebbe il vecchio Hamlin, solo che il suo passaporto direbbe Macy, e… — Si arrestò. — Cercherebbe i suoi vecchi amici — ripeté. Parve esaminare l’idea da vari punti di vista. — Vecchi amici come me.

— Sì. Tu. — In un tono che lui stesso trovò spiacevole, ma che Macy trovò impossibile cambiare, disse: — Potrebbe perfino sposarti. Come aveva intenzione di fare una volta.

— Sua moglie è ancora viva, ne sono sicura.

— Quel matrimonio è stato legalmente dissolto quando è stato condannato alla riabilitazione — disse Macy. — È una cosa automatica. Tagliano tutti i legami. Ufficialmente non sarebbe Hamlin, anche se prendesse il controllo di questo corpo. Sarebbe Macy, e Macy è scapolo. Proprio così, Lissa. — Quella nota di crudeltà nella sua voce, ancora. — Finalmente potresti essere sua moglie. Quello che hai sempre desiderato.

Lei scosse la testa. — Non lo voglio più.

— Hai detto che l’amavi.

— Una volta l’amavo. Ma ti ho detto che è tutto finito adesso. Le cose che ha fatto. I crimini. Gli stupri.

— La prima volta che ci siamo incontrati — disse pesantemente Macy — quando ancora insistevi a chiamarmi Nat, hai detto chiaro e tondo che mi amavi ancora. Il vecchio io. Lui. L’hai ripetuto due o tre volte. Che ti mancava tanto. Che ti rifiutavi di credere che ci fosse qualcun altro nel suo corpo.

— Tu non capisci — disse lei. — Mi sentivo così sola. Così persa. E di colpo mi sono trovata vicino a qualcuno che conoscevo, qualcuno sbucato dal passato… avevo solo bisogno di aiuto, dovevo parlare con lui… Accidenti, ti sono andata a sbattere addosso per la strada: cosa dovevo fare, andarmene senza neppure dire ciao?

— Hai visto il mio distintivo Riab, e hai fatto finta di niente.

— Non l’ho neppure visto.

— Devi averlo cancellato deliberatamente. Lo sapevi che Nat Hamlin era stato condannato alla riabilitazione.

— Smettila di gridare.

— Scusa. Non posso farne a meno. Sono teso, Lissa. Senti, tu hai visto qualcuno per la strada, e hai creduto che fosse Nat Hamlin e l’hai salutato, ma che bisogno c’era di dirgli anche che lo amavi ancora?

— Non ero sincera.

— L’hai detto.

— Cos’altro potevo fare? — La sua voce era diventata acuta. — Dirti: Ciao, assomigli proprio a Nat Hamlin, quello di cui ero innamorata, e naturalmente non l’amo più, e in ogni modo lui è stato cancellato, ma dal momento che gli assomigli tanto mi innamorerò anche di te, perciò andiamo a casa e spassiamocela un po’. Come potevo dire una cosa del genere? Ma non potevo lasciarti andar via senza dirti qualcosa. Stavo cercando disperatamente di ritrovare il passato, di riportarlo indietro. Il passato in cui ero stata felice, prima che cominciasse l’inferno. E tu eri il mio unico legame con esso, Paul, e io ero agitata, e ho detto: Nat, Nat, e ho detto di essere innamorata…

— Esatto. Mi hai chiamato Nat e hai detto che eri ancora innamorata di…

— Perché mi stai facendo questo, Paul?

— Facendo cosa?

— Mi stai tormentando. Urli. Tutte queste domande.

— Sto cercando di capire a chi di noi due sei veramente fedele. Hamlin o me. Da quale parte starai quando la lotta per possedere questo corpo diventerà davvero dura.

— Non stai affatto cercando di scoprire questo. Vuoi solo farmi del male.

— Perché dovrei…

— E come faccio a saperlo? Perché dai la colpa a me per averlo riportato in vita, forse. Perché lo odi per via del fatto che una volta l’ho amato. Perché lui è dentro di te in questo momento è ti sta obbligando a farmi del male. Non lo so. Cristo, non lo so proprio. Ma perché ti interessa sapere a chi sono fedele? Non ti ho detto ieri notte che non volevo che tornasse? Non mi sono appena offerta di chiamare il Centro Riab?

— Sì, sì.

— Perciò come potrei essere dalla sua parte? Voglio che venga spazzato via. Voglio che sparisca per sempre. Voglio… Oh, Cristo…

Si era fermata d’improvviso. Aveva fatto un balzo sul letto come se fosse stata punta, le braccia e le gambe che si agitavano. Si voltò verso di lui. La faccia contorta, gli occhi fuori dalle orbite, la bocca un buco rigido, i muscoli della gola gonfi. Dalle sue labbra uscirono dei suoi bizzarri, confusi, baritonali, come i balbettii di un sordomuto, nessuna parola intelligibile: — Mfss. Shlrrm. Skk-kk. Vshh. Vshh. Vshh. - Un orrendo grido gorgogliante, ancor più orribile a causa del profondo tono mascolino con cui venne pronunciato.

Si mise a correre per la stanza, andando a sbattere contro i mobili, artigliando l’aria. Un caso evidente di possessione demoniaca. Ma cosa la possiede?

Grkk. Lll. Lll. Pkd-dd. - Ochi spalancati, imploranti. I seni nudi che si alzavano e abbassavano freneticamente. Una patina di sudore sulla sua pelle.

Macy le si gettò addosso, cercando di abbracciarla, di calmarla, di riportarla a letto. Girò su se stessa come un robot e le sue braccia lo colpirono al petto, facendolo piegare in due. Quando la guardò di nuovo, la sua faccia era scarlatta e la bocca spalancata fino alla larghezza massima delle mascelle, e forse oltre. Suoni selvaggi e gorgoglianti le uscivano ancora dalla bocca, gli occhi erano pieni di un orrore e una disperazione totali.

Di nuovo Macy cercò di afferrarla. Questa volta ci riuscì. I muscoli si contraevano e guizzavano per tutto il suo corpo ossuto e nudo. La costrinse a stendersi a letto, e la coprì con il proprio corpo, le mani che le stringevano i polsi, le ginocchia che le imprigionavano le cosce. Un odore acido di sudore che si alzava da lei: sudore cattivo, sudore di paura.

Un attacco epilettico? L’epilessia era un pensiero ricorrente per lui, quella mattina. Con voce bassa e intensa le parlò, cercando di calmarla, di raggiungerla in qualche maniera. Altri suoni baritonali uscirono dalla bocca di Lissa, in rochi scoppi interrotti. Statiche dell’anima.

— Lissa — disse. — Lissa, mi senti? Cerca di rilassarti. Allenta i muscoli.

Più facile a dirsi che a farsi. Continuava a contrarsi. Nel mezzo di tutto questo, avvertì una sensazione di calore alla base del cranio, come se un succhiello lo penetrasse. Oppure trapanasse verso l’esterno, partendo dal centro morbido del suo cervello. Qualcosa si mise a saltare freneticamente dentro la sua bocca, e gli ci volle un momento prima che si rendesse conto che era la sua lingua, che si protendeva assurdamente verso la gola. — Vshh. Vshh. Pkd-dd. Slrr. Msss. - I suoni non provenivano da Lissa questa volta, ma da lui.

Mentre giaceva lì, congelato e coagulato sopra Lissa, comprese perfettamente quello che stava succedendo. Nat Hamlin, avendo conservato le forze per un paio d’ore, stava cercando di conquistare un nuovo livello del loro comune cervello. Per la precisione: stava cercando di assumere il controllo dei centri vocali.

Macy sapeva che questo avrebbe segnato l’inizio della sua obliterazione; una volta che Hamlin avesse avuto il controllo della voce, sarebbero stati i suoi pensieri, non quelli di Macy, a venire espressi dal loro corpo. Hamlin avrebbe avuto accesso al mondo esterno, e Macy ne sarebbe stato escluso. Ma per il momento Hamlin non se la stava cavando troppo bene. Aveva afferrato i settori neurali che governavano la parola, ma la sua presa non era completa, e il meglio che gli riusciva erano tre suoni privi di senso. In qualche maniera, si rese conto Macy, Lissa era rimasta coinvolta nella battaglia prima che lui stesso si rendesse conto che era in corso. Il cervello di lei era agganciato al suo; Hamlin che parlava, o cercava di farlo, attraverso la bocca della ragazza. Una specie di effetto microfonico. Adesso lo stavano facendo tutti e due insieme, urlando come foche dementi. L’ora del pranzo allo zoo. È qui che finisce? D’ora in poi Hamlin mi sostituisce? No. No. Combatti. Fermalo ora e chiudilo in un angolo.

Ma come?

Così come hai fatto ieri notte, quando ti controllava la metà della faccia. Staccalo da te. Mediante la pura forza di concentrazione, spezza la sua presa.

Macy cercò di visualizzare l’interno del suo cervello. Dicendosi: Qui vive Hamlin, in questa sacca di fanghiglia, e questi sono i percorsi che si sta costruendo per raggiungere le altre parti del mio cervello, e questo è il posto che sta attaccando ora. Era una costruzione puramente immaginaria, ma per il momento sarebbe servita. Adesso cerca di visualizzare i centri della parola. Diciamo: file e file di cordoni rosa, tesi, come in un pianoforte, con una specie di quadro di distribuzione attaccato. Hamlin al quadro, che infila e stacca spinotti, cercando le connessioni giuste; e le corde rosa, che emettono suoni stridenti e bizzarri. Vagli alle spalle. Prendilo per le braccia. Non è più forte di te. Tiralo indietro, buttalo a terra. Saltagli sopra. Attento a non fracassare qualcosa. Ne avrai bisogno quando sarà finita. Non mollarlo. Stagli sopra. Bloccalo! Bene! Sbattigli la testa sul pavimento un paio di volte. D’accordo: il pavimento è elastico, ma serve lo stesso a intontirlo. Bene. Adesso. Trascinalo fuori. Pesa, quel bastardo. Ottantacinque chili, proprio come te. Forza, forza. In questo corridoio ammuffito. Che puzza di umidità. Ci deve essere qualcosa che sta marcendo. Buttiamolo dentro. Via! E adesso chiudiamo la porta. Ecco fatto, più facile di quanto credevi, eh? Ci vuole solo un po’ di energia mentale. Perseveranza. Puoi rilassarti adesso. Tira il fiato.

Ehi, Cristo, che succede? Deve essere rinvenuto, là dentro. Sta tempestando di pugni la porta. Cerca di aprirla. Ehi, non puoi lasciarlo fare. Tienila chiusa! Spingi… spingi… spingi… Siamo in una situazione di stallo. Lui non riesce ad aprirla di più, tu non riesci a chiudere l’ultima fessura. Spingi. Anche lui spinge. Spingi. Spingi. Con tutte le forze. Gesù! Ce l’ho fatto. L’ho richiusa. Bene. Tieni la spalla contro la porta, non mollare. L’orso è rinchiuso nella sua tana; non farlo uscire.

Ma bisogna bloccare la porta. Con cosa? Tira il catenaccio, deficiente. Ma non c’è nessun catenaccio. Sicuro che c’è. Questa è la tua mente, la tua fottutissima mente, non sei capace di usare un po’ di immaginazione? Inventati un catenaccio! Così. Bene. Adesso tiralo. Infilalo nel buco. Dentro. Dentro. Bene, un passo indietro. Vediamo se ce la fa a uscire, adesso. Tienti pronto a picchiarlo se ci prova. Sta battendo contro la porta. Ci si butta addosso. Ma il catenaccio tiene. Tiene. Ben fatto. E adesso controlliamo le macchine. Che non le abbia danneggiate. A voce alta e chiara, sentiamo:

— Il mio nome è Paul Macy.

Bravo. Mi fa piacere sentire qualcosa di sensato uscire di nuovo dalla tua bocca.

— Sono nato ad Idaho Falls, il 12 marzo 1972. Mio padre era ingegnere e mia madre insegnante.

L’emissione della voce in generale funziona. Un po’ arrugginita, un po’ sbavata sulle basse frequenze, ma c’era da aspettarselo, visto come ha abusato delle tue corde vocali. Si rimetteranno a posto subito, vedrai.

Hai vinto questo round, Macy.

Lentamente, tremando, si rialzò. Lissa era ancora stesa sul letto, con un’aria sgualcita e appiattita. Non si mosse. La faccia aveva assunto il suo aspetto normale. Aveva gli occhi aperti. Una luce brillava in essi. Un’espressione cupa, assente.

— Stai bene? — chiese.

Non rispose. Era in un’altra galassia, forse.

— Lissa, stai bene?

Fissandolo lei disse: — Te ne frega qualcosa se sto bene? — La voce era roca quanto quella di Macy.

— Che razza di domanda sarebbe?

— Ce l’avevi con me, prima che cominciassero i fuochi d’artificio — disse lei. — Dicendomi che sospettavi che fossi dalla sua parte, e un sacco di altre stronzate. Se avessi un minimo di buon senso me ne andrei da qui in fretta. Non è giusto che tu mi tratti così. — Si alzò, stringendosi i fianchi fra le braccia, con un’aria più vulnerabile che mai. Le linee blu delle vene visibili sui suoi seni. Smagliature sui fianchi, che mostravano dove avesse perso peso. Movimenti rapidi, irosi… Afferrò i vestiti e se li mise addosso. Una camicetta, una tunica. Disse: — Era lui vero? Hamlin? Che cercava di parlare con la mia voce.

— E poi con la mia, sì.

— Dov’è andato?

— L’ho respinto. L’ho costretto a mollare la presa.

— Che bravo. — Con voce atona. — Il mio eroe. Vedi i miei sandali da qualche parte?

— Dove vuoi andare? — chiese Macy.

— Questa è una casa di pazzi. Sto peggio qui di quando ero sola. Me ne torno a casa mia.

— No — disse lui. Ricordò che aveva deciso, quello stesso giorno, di cancellarla dalla sua vita non appena il Centro Riab avesse estratto Hamlin dal suo cervello. Dicendosi che era troppo pericoloso averla intorno, a causa del suo dono, o della sua maledizione, qualsiasi cosa fosse che aveva svegliato Hamlin. Basta con Lissa, aveva deciso. Come gli sembrava futile tutto questo, adesso. Aveva ancora Hamlin dentro di lui, ed era terrorizzato dal pensiero di dover lottare contro di lui in solitudine. Lissa adesso non era più così superflua come lo era stata poco prima. — Non andartene — disse. — Ti prego.

— Non ho altro che guai qui.

— Non volevo litigare con te. Avevo i nervi a fior di pelle, ecco tutto. Puoi capirlo. Non intendevo accusarti di niente, Lissa.

— D’accordo. Però mi hai sconvolta. E poi è arrivato lui, mi è balzato dentro la testa. Quei suoni che mettevo, non mi era mai capitato prima. Come se fossi il burattino di un ventriloquo. Potevo sentire Nat che cercava di muovere le mie labbra, ti tendere le mie corde vocali, di far uscire le sue parole dalla mia bocca… — Parve quasi soffocare. — Veniva da te, Paul. Credevo che mi scoppiasse la testa. Non voglio che mi succeda un’altra volta.

— L’ho respinto — disse Macy. — L’ho fatto tacere.

— E se torna all’attacco? O se tu ricominci a sospettare di me? A chiedermi se sono davvero dalla tua parte? Magari la prossima volta mi picchierai anche. Potresti spezzarmi le braccia. Potresti farmi saltare tutti i denti. E poi scusarti.

— Questo è impossibile.

— Ma hai delle ragioni per essere ostile. È colpa mia se si è risvegliato dentro di te, no? Anche se io volessi restare qui, non credo che sarebbe un bene per te. Magari adesso mi userà per portare a termine la conquista del tuo corpo. Indirizzando le sue energie mentali attraverso la mia ESP, oqualcosa del genere. Poco fa c’era quasi riuscito, no? Vuoi rischiare?

— E chi lo sa? — disse Macy. La prese per un braccio, mentre lei si dirigeva lentamente verso la porta. — Devo pregarti, Lissa? Non lasciarmi adesso.

— All’inizio non volevi avere niente a che fare con me. Poi mi hai gridato che non ti fidavi di me. Adesso non vuoi che me ne vada. Non riesco a capirti, Paul. Quando qualcuno esce da un Centro Riab dovrebbe essere sano di mente, no? Tu mi fai troppa paura. Voglio andarmene di qui.

— Ti prego. Rimani.

— Perché?

— Per aiutarmi a combattere contro di lui. Ho bisogno di te. E tu hai bisogno di me. Possiamo aiutarci a vicenda. Separati, siamo destinati a essere sconfitti. Insieme…

— Insieme saremo pure sconfitti — disse lei. Ma senza avvicinarsi ulteriormente alla porta. — Senti, credevo che tu potessi aiutarmi, Paul. Per questo ti ho scritto alla compagnia, per questo ti ho pregato di incontrarmi. Ma adesso mi rendo conto che i tuoi guai sono brutti quanto i miei. Peggiori, forse. Io sento solo voci dall’esterno. Tu hai un altro dentro la tua testa. A causa mia. Possiamo solo farci del male a vicenda.

— No.

— Dovresti saperlo. Guarda cosa ti ho già fatto, facendo tornare lui in vita. Poi tu, che me l’hai scagliato in testa per un paio di minuti. E così via. E così via. Le cose diventeranno sempre peggiori per entrambi noi.

Lui scosse la testa. — Intendo combattere. L’ho battuto due volte in due giorni. La prossima volta lo finirò definitivamente. Ma non voglio essere solo mentre lo faccio.

Alzando le spalle, lei disse: — Non pendertela con me se…

— Non lo farò. — Guardò l’ora. Un’idea improvvisa gli balenò in testa. Dalle loro opere li conoscerai. Sì. Andare al museo, vedere la sua versione di Lissa. Guardarla attraverso i suoi occhi.

Un desiderio improvviso e irresistibile di conoscere il passato sorse in lui, di scoprire che razza di uomo fosse stato, cosa avesse creato. In un certo senso cosa ero stato capace di fare io. E la scultura di Lissa un ponte verso questo passato nascosto. Che l’avrebbe condotto fuori da quella non-vita di ombre, nel regno dell’esperienza autentica.

Lui aveva fatto questo, il prodotto della sua unica e irripetibile visione del mondo. E devo comprenderlo per poterlo sconfiggere.

Macy disse: — Ascolta, non ha senso che vada in ufficio a quest’ora. Ma abbiamo ancora tutto il pomeriggio. Sai dove voglio andare? Al Metropolitan Museum. Per vedere la scultura che ti ha fatto, l’Antigone 21.

— Perché?

— Il vecchio proverbio: conosci il tuo nemico. Voglio vedere l’interpretazione che ha dato di te. Per scoprire come è fatta la sua mente. Quali sono i suoi punti deboli.

— Non credo che dovremmo andare. Chissà quali processi potrebbe mettere in moto? L’hai detto tu stesso, che in ufficio hai visto uno dei suoi pezzi e per poco non sei svenuto. Immagina se al museo…

— Sono stato colto di sorpresa, quella prima volta. Adesso è diverso. Devo assumere l’offensiva, Lissa. Ingaggiare battaglia, capisci. E il museo è un posto buono quanto un altro per cominciare. Devo fargli vedere che posso tenergli testa in qualsisia condizione. D’accordo? Allora andiamo? Al museo.

— E va bene — disse lei con voce assente. — Al museo.

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