5

A un certo punto, durante la notte, doveva esserci stato un flusso di forza da lei a lui, perché si era addormentato mentre lei lo confortava, e venne svegliato dai suoi singhiozzi. La stanza era immersa nel buio; mancava ancora qualche ora al mattino, eppure gli sembrava di aver dormito abbastanza. Lissa gli rivolgeva la schiena, la spina dorsale ossuta che gli premeva sul petto; giaceva raggomitolata, le ginocchia contro il petto, tirando su col naso, e ogni trenta secondi circa emettendo un singhiozzo con la bocca aperta, che scuoteva il letto. Prima che potesse occuparsi di lei, doveva pensare alle condizioni della sua testa. Tutto sembrava a posto. Si sentiva riposato e rilassato. C’era un delizioso senso di solitudine fra le sue orecchie. Quando era in contatto con Hamlin sentiva un senso di confusione nel cervello, come se matasse di filo spinato venissero srotolate nel suo cranio. Niente di questo ora. Il suo alter ego era addormentato, o forse occupato in qualche altra regione. Macy appoggiò leggermente la mano sulla spalla di Lissa e la chiamò. Lei continuò a singhiozzare. La scosse leggermente.

— Cosa? — chiese lei, con voce confusa, lontana.

— Dimmi cos’hai.

Un lungo silenzio. Nessuna risposta. Era tornata ad addormentarsi? Si era mai svegliata?

— Lissa? Lissa, cosa c’è?

— Perché?

— Piangevi.

— Era un brutto sogno — disse lei, e Macy si rese conto che stava ancora dormendo. Si staccò da lui, assumendo una posizione ancor più fetale. Tirando un profondo respiro. Rumori di pianto. Lui l’abbracciò, le cosce contro le sue natiche, le labbra appena sopra le sue orecchie. La sua pelle era fredda. Tremava. — Mi insegue — mormorò lei. — Dieci braccia, come una piovra.

— Svegliati — disse lui. — Sparirà, se ti svegli.

— Come fai a esserne così sicuro?

E gli mandò il suo sogno, bene impacchettato. Da una mente all’altra, scivolando al suo posto come una cassetta nel registratore. Gesù. Un paesaggio lunare di cemento sbriciolato, vasto migliaia di chilometri, con un milione di crepe, fessure, crepacci. Non un edificio, non un albero, non un cespuglio visibili, soltanto questa pianura grigiastra di piatto selciato in rovina che ricopriva l’universo. Dall’alto una luce intensa, bianca, gioca sul cemento, cosicché i bordi sporgenti delle fessure gettano lunghe ombre nette. Soffia un vento gelido. Rumore di passi. Lissa appare a destra, nuda, senza fiato, correndo, i capelli al vento, i capelli verso il vento. La sua pelle pallida è cosparsa da dozzine di cicatrici rosse, circolari, come segni di suzione. E ora arriva il suo persecutore, con grande strepito. Nat Hamlin, sì, con la sua normalissima faccia anglosassone, dai tratti regolari, solo che ha otto, dieci, una dozzina di tentacoli che gli escono dalle spalle e si contorcono, tentacoli forniti di grosse ventose dentellate. Adesso è chiaro come Lissa si è procurata i segni rossi sul corpo. E un uccello lungo un metro che gli spunta davanti, come un bastone. I suoi piedi sono zampe da rana, grosse come stivali da neve. Thromp! Thromp! Thromp! Viene verso di lei a una velocità incredibile. Poi ci sono le voci. Della gente sta dicendo qualcosa su di lei in sanscrito, in ungherese, in basco, in hopi, in turco. Commenti maligni sui suoi seni. Osservazioni sprezzanti circa le ascelle non rasate. Un riferimento sferzante a un neo sulla chiappa sinistra. Ridono di lei in bengalese. Le offrono perversioni in polacco. Lei sente tutto. Capisce tutto. Hamlin adesso si è diviso a metà, un doppio inseguitore, e uno di questi in qualche maniera le è apparso davanti, e lei è intrappolata fra i due. Più vicino… più vicino… la impala davanti e dietro… lei urla…

Respingo questo sogno, pensò Macy. Non è un incubo necessario. Al diavolo.

— Svegliati — ripeté, a voce alta.

Svegliarla non fu cosa facile. Era sospesa in una strana dimensione intermedia, quasi una trance ipnotica, in cui era in grado di sentirlo e perfino di dargli delle risposte razionali, senza tuttavia rientrare veramente nel mondo della veglia. Persa nelle sue allucinazioni di orrore. Macy accese la luce. Erano le quattro e mezzo passate. Aveva dormito appena due ore. Eppure gli sembrava una notte intera. La fece sedere e le aprì gli occhi con le dita.

Lo guardò con occhi vitrei, come specchi che non vedevano nulla. — Lissa? Gesù, Lissa, svegliati! - Ondate di terrore le passarono sulla faccia. I piccoli gomiti appuntiti che affondavano nei fianchi, i pugni chiusi e stretti contro le clavicole. Singhiozzava ancora, inalando ed esalando rapidamente, come in preda al panico. Macy la tirò su dal letto e la spinse nel bagno. Toccò con il palmo il controllo della doccia. Una cascata computerizzata di acqua gelida. Sotto, ragazza. Un grido. Come se la stesse frustando. Ma si era svegliata.

— Dio mio — disse. — Ero in qualche altro posto.

— Lo so. Lo so.

— Mi riempie ancora la testa. Un milione di chilometri quadrati di selciato crepato. Lo vedo ancora. E quella fottuta luce bianca, in alto. E i tentacoli.

— Adesso è finita.

— No. È uscito dalla mia testa, vero? È ancora lì, come Nat Hamlin è nella tua. Sto impazzendo, Paul, non è evidente? Cristo, stringimi forte. Forse il polipo è reale, e questo è il sogno.

I denti le battevano. L’avvolse in un asciugamano e la riportò in camera. Aveva le guance in fiamme. Era in preda alla febbre. — Voglio solo nascondermi — disse. — Sparire dentro il mio cervello, capisci cosa voglio dire? Scappare in qualche mondo interiore dove nessuno può trovarmi. Dove non si sentano le voci.

Si infilò sotto le coperte, tirandosele sopra la testa. Un rigonfiamento dentro il letto, come un coniglio nella pancia di un serpente. Da sotto giunsero parole attutite. — Cosa ci succederà, Paul? Siamo pazzi tutti e due.

Macy si infilò nel letto accanto a lei, e d’improvviso lei gli si aggrappò con una tale feroce passione che lo fece restare senza fiato. Lo circondò con le braccia e le gambe, spingendo violentemente la pancia contro la sua, l’osso pubico che lo colpiva dolorosamente. Lo strinse come se volesse divorarlo. Da ragazzo, quando abitava a Seattle nella vita che non aveva vissuto, aveva visto una stella marina assalire un’ostrica, aprendo il guscio con le sue ventose, poi rivoltandosi tutta in maniera che il suo stomaco potesse uscire ed ingerire. Ripensò a quello mentre Lissa si contorceva contro di lui. Aspettando che qualcosa di lungo e viscido uscisse da lei e cominciasse a digerirlo. Grazie, dottor Gomez, per quella bellissima immagine. Anche tu odi le donne, bastardo fottuto?

— Paul — mormorava lei. — Paul. Paul. Paul. — Esclamazioni ritmiche. Con sua sorpresa scoprì che il suo membro si irrigidiva malgrado tutto, e con un solo rapido movimento lo infilò dentro di lei. Era calda e umida. Mentre la penetrava, si aspettava che Hamlin risalisse di nuovo alla superficie, per interferire, ma questa volta gli venne concessa l’intimità dei suoi genitali. Lissa gridò e venne quasi immediatamente. I suoi spasmi continuavano ancora mentre iniziavano quelli di Macy, un milione di anni dopo.


Si risvegliò alle sette e mezzo. Lissa sembrava profondamente addormentata. Hamlin era tranquillo, fece una doccia e andò nella piccola cucina-sala da pranzo. Prese il telefono, batté il codice per i messaggi differiti e lo istruì perché chiamasse la rete alle nove, dicendo che era ammalato e che non sarebbe andato al lavoro. Poi chiamò il Centro Riab e si fece spostare la sessione terapeutica delle quattro del pomeriggio al mattino. Non voleva perdere neanche un minuto per risolvere il problema Hamlin. — Vuole attendere in linea? — disse il computer del Centro, e lui aspettò, e due o tre minuti dopo la macchina si rifece sentire e disse: — Ho controllato l’agenda della dottoressa Iannuzzi, signor Macy, e le sarà possibile vederla alle nove del mattino. — La faccia del computer, sullo schermo del telefono, era quella di una bruna carina ed efficiente. — Bene — disse Macy, strizzandole un occhio.

Sbirciò in camera da letto. Lissa giaceva a faccia in giù, un braccio che penzolava sul pavimento. Russava lievemente. Be’, aveva avuto una notte faticosa. Programmò la colazione per sé.

Macy si chiese se il dottor Gomez sarebbe stato al Centro quel giorno. Gli sarebbe piaciuto vedere l’espressione sulla faccia del piccolo messicano quando l’identità che secondo lui doveva essere stata obliterata sarebbe riemersa nel suo cervello. Gli pareva di sentire ancora il vanitoso sproloquiare del dottore. "Se le dico che Hamlin è stato sradicato, è perché lo so." Sicuro. "Non perché sia un bastardo dalla testa dura." No, naturalmente no. "Nat Hamlin non esiste più." Se lo dici tu. "Hamlin esiste solo come concetto astratto." Come vuoi, tesoro mio. Come glieli avrebbe spiegati Gomez gli avvenimenti della notte appena trascorsa? Spero che Hamlin gli sputi in faccia. Con la mia bocca.

Pensava di sapere cosa era stato a riportare Hamlin in vita. Chi, cioè. Lissa. Queste sue facoltà telepatiche erano riuscite in qualche maniera a espellere il suo io dal limbo e a fornirgli un appiglio almeno parziale sul suo ex corpo. Ripensando ai i suoi rapporti con Lissa, Macy vide chiaramente cosa era successo. Quel primo giorno, esattamente due settimane prima, quando gli era venuta addosso per la strada, quel primo riconoscimento: Lissa che si rifiutava di vedere il distintivo Riab e lo chiamava con il nome di Nat Hamlin; proprio in quel momento, fin dall’inizio, aveva sentito un dolore lancinante, come se fosse stato Hamlin mentre il suo passato veniva sradicato, al Centro. E pochi minuti dopo la stessa esperienza, quando Lissa gli aveva afferrato il polso: quella sensazione di calore nel cervello, di una intrusione. Evidentemente erano le sue facoltà ESP che rimescolavano qualcosa dentro di lui. Provocando un momento di confusione, di doppia identità, in cui non era sicuro se era Hamlin o Macy. Probabilmente quello era stato il momento in cui il ritorno alla coscienza di Hamlin era stato stimolato. Quando ho avuto quella visione di me stesso nello studio di Hamlin, con Lissa in posa per me. E ho creduto di avere un attacco di cuore per la strada.

E poi? Quello stesso giorno, più tardi, quando per poco non sono svenuto davanti alla scultura nello studio di Harold Griswold: quello doveva essere Hamlin che lanciava un grido e faceva i salti dentro di me alla vista di qualcosa di familiare. Quella notte aveva avuto il primo dei suoi sogni di inseguimento. Hamlin libero nella sua mente, che gli dava la caccia. Poi? Quando Lissa aveva mandato la lettera in cui minacciava il suicidio, e in seguito l’aveva incontrata all’angolo della strada. Buon Dio, era successo solo il giorno prima? Lui le si era avvicinato, e c’era stata di nuovo quella sensazione di duplicità, la nausea, la confusione. Senza dubbio lei aveva dato ad Hamlin un altro colpetto. Più tardi, quando aveva cercato di andarsene, al ristorante, e lei gli aveva gridato di restare. Il voltaggio mentale di quel grido doveva essere stata la molla che aveva provocato il risveglio definitivo di Hamlin, fornendogli l’occasione per balzare al livello cosciente. Era rimasto così sconvolto dal grido telepatico di Lissa che Hamlin era stato in grado di impadronirsi di alcuni dei centri cerebrali, e aveva cominciato a parlargli. Era riuscito perfino ad assumere il comando dei muscoli facciali del lato destro, per un certo tempo. Non ha un controllo pieno e duraturo di niente: dopo un po’ scivola via, ma c’è. Colpa di Lissa. Naturalmente non ne aveva l’intenzione. Un assurdo incidente telepatico, ecco tutto. O forse non è del tutto casuale. Era Hamlin che lei amava; io sono solo un estraneo nel suo corpo. E se questo fosse il suo sistema per liberarsi di me e aiutarlo a tornare?

No.

Non voleva crederlo. Lei non aveva voluto riportare Hamlin alla coscienza. Ma era pur sempre responsabile. Adesso Macy doveva rimuovere nuovamente Hamlin. Dolore e tormento, presumibilmente. Dopo di che avrebbe fatto meglio a non avere più rapporti di alcun genere con Lissa. L’autoconservazione deve avere la precedenza sull’altruismo, giusto? Basta con Lissa.


Il Centro Riab era a Greenwich, appena dopo il confine col Connecticut. Dieci minuti di tubo a gravità da Manhattan Nord. Macy prese l’autobus fino alla fermata più vicina del tubo. Era una mattina grigia e nebbiosa, più da tardo autunno che da tarda primavera. Pendolari dalle facce tirate che correvano da una parte all’altra. La maggior parte che andavano nella direzione opposta, grazie a Dio. Continuavano a finirgli addosso, dandogli delle strane occhiate, poi proseguivano. Per più di una settimana si era sentito libero dall’ossessione che la gente lo guardasse sempre, ma questa mattina era tornata. Il distintivo Riab sembrava un faro che attirava l’attenzione di tutti. Annunciando: questo è un ex peccatore. Colpevole di azioni orrende. Dietro questa maschera normale si nasconde il cervello purificato di un famoso criminale. Lo riconoscete? Ricordate le notizie? Venite, dategli un’occhiata, ampliate la vostra esperienza di vita grazie a un momento di vicinanza con qualcuno che è stato sulla bocca di tutti. Garantito non pericoloso. Garantito rigenerato e redento dal peccato. Cammina, parla, soffre come un normale essere umano! Guardate l’ex mostro. Guardate! Guardate! Guardate!

— Greenwich — disse Macy con voce roca allo scanner, e batté il suo numero di conto. Dalla fessura uscì un biglietto di plastica con sottili filamenti d’oro. Stringendolo con forza, Macy raggiunse il marciapiede. Le porte della vettura erano aperte. Un sacco di posti vuoti. Ne trovò uno vicino alla parete. Non c’erano finestrini. La gente continuava a salire. Rimase seduto immobile, pensando il meno possibile. Galleggiando. Come il treno stesso, dentro il suo tubo, galleggiava in un tubo più grande su un cuscino di acqua di sessanta centimetri.

— Tutti in vettura — annuncia una voce computerizzata. Le porte a tenuta stagna si chiudono. Siamo sigillati. Scivoliamo, attraverso la camera pressurizzata. La valvola si apre. Davanti al treno, il vuoto quasi totale, dietro pressione completa. Il convoglio schizza nel tubo. Un sistema molto intelligente. Scarsa sensazione di moto, a causa del sistema di galleggiamento dinamico e delle ruote su cuscinetti. Il treno scivola silenziosamente verso est, spinto da astute forze pneumatiche, l’aria dietro al treno che diventa man mano più rarefatta, l’aria di fronte che viene compressa. Alla fine l’aria di fronte diventerà il nostro cuscino per la decelerazione. Nel frattempo anche la gravità ci spinge, lungo il tunnel leggermente in discesa. Fino a metà del tragitto, quando cominceremo ad alzarci e a rallentare. Come sono astuti questi ingegneri. Se solo potessi andare tutto il giorno nel tubo, avanti e indietro, a cinquecento chilometri all’ora. L’estasi della caduta libera. O quasi libera.

Macy sedeva con gli occhi chiusi. Nessun segno di vita da parte di Hamlin. Resta nascosto, bastardo criminale. Resta nascosto.

Non capiva come fosse possibile che Hamlin fosse tornato. Al Centro si era fatto un’idea abbastanza chiara del processo di riabilitazione, e da quello che ne sapeva non vedeva alcuna possibilità per una resurrezione spontanea o provocata di un’identità obliterata. Cos’è l’identità, dopo tutto, se non la somma di tutte le programmazioni che abbiamo ricevuto, a partire dalla pacca ostetrica che prendiamo sulla schiena? Ci forniscono un nome, un insieme di parenti, una visione strutturale della società, e una serie di esperienze di vita. E dopo un po’ dei meccanismi di feedback cominciano a funzionare, cosicché ciò che siamo già diventati dirige le nostre scelte formative, rinforzando i contorni dell’io esistente, creando gli atteggiamenti e le reazioni che noi e altri consideriamo "tipiche" dell’io. Bene. E questo accumulo di eventi e atteggiamenti è iscritto nel cervello, prima sotto forma di impulsi e schemi elettrici, mentre i ricordi a breve termine vengono accettati per l’immagazzinamento a lungo termine, sotto forma di catene di molecole complesse, registrate nella struttura chimica delle cellule cerebrali.

E così, per disfare il processo che crea l’identità, basta distruggere gli schemi elettrochimici mediante i quali questa identità è registrata. Qualche disturbo di frequenza, per prima cosa, che inibisca la trasmissione sinaptica e ridefinisca la maniera in cui gli elettroni saltano nel cervello. Poi, quando le difese sono abbattute, comincia l’attacco chimico. Un’iniezione di acetilcoline terminase per interferire con la fissazione mnemonica a breve termine. Una di derivati della puromicina per spazzar via le complesse catene di acido ribonucleico, RNA cerebrale, che mantiene i ricordi incisi in maniera permanente nel cervello. Poi, in fretta!, il sistema viene inondato di composti amnesio-induttori. La rete di esperienze e atteggiamenti viene spazzata via, lasciando il corpo una tabula rasa, un foglio bianco, senza identità, senza anima, senza ricordi. A questo punto viene immessa una nuova identità, a piacere. Costruire richiede più tempo che distruggere, naturalmente. Si comincia con un guscio vuoto che ha certe reazioni motorie basilari e nient’altro: sa come allacciarsi le scarpe, come soffiarsi il naso, come emettere segni articolati. A meno che il lavoro di cancellazione sia stato eseguito con zelo eccessivo, sa perfino parlare, leggere, scrivere, anche se probabilmente a livello di un bambino di sei anni. Adesso dategli un nome. Usando avanzate tecniche ipnagogiche, fornitegli una nuova biografia: qui sei andato a scuola, questa è tua madre, questo è tuo padre, questi erano i tuoi amici d’infanzia, questi erano i tuoi hobby. Non è necessario che sia cristallina nella sua consistenza; la maggior parte dei nostri ricordi sono in ogni caso confusi, e fra essi risalta qua e là un una scena più luminosa. Basta fornire al soggetto ricostruito un passato sufficiente a non farlo sentire disincarnato. Poi bisogna addestrarlo alla vita da adulto: dargli alcune competenze professionali, attitudini sociali, fargli sapere cosa è il sesso eccetera eccetera. Gli elementi periferici, leggere, scrivere, parlare, tornano più in fretta di quanto si possa immaginare. Ma la vecchia identità non ritorna mai, perché è stata colpita con cinquanta megatoni di bombe a frammentazione, è stata completamente distrutta. Fino al livello cellulare, tutto quello che formava quell’identità è stato lavato via dalle medicine.

A meno che. In qualche maniera. Annidate nei recessi cellulari tracce del vecchio io non riescano a sopravvivere, come la schiuma su uno stagno, una mera pellicola di identità demolita, e da questa pellicola, se si verificano le giuste circostanze, la vecchia identità riesce a ricostruirsi e a prendere comando del corpo. Quali sono le circostanze giuste? Nessuna, a dar retta a Gomez Co. Non esiste alcun caso noto di identità che riesca a ristabilirsi dopo che uno sradicamento ordinato dal tribunale è stato eseguito. Ma quanti soggetti ricostruiti sono stati esposti a ESP? Alla forza dirompente di un attacco telepatico diretto contemporaneamente alla vecchia e nuova identità? È una questione statistica. C’è un numero x di ricostruiti in circolazione, e un numero y di telepati. X è un numero molto piccolo, e y lo è ancora di più. Perciò quali sono le probabilità che x incontri y? Così poche, a quanto pare, che questa è la prima volta in cui sia accaduto. E così, ho quel fottuto psicopatico di Hamlin che si aggira nel mio cervello. Perché proprio il mio?

— Greenwich — disse la voce del computer, e il convoglio si arrestò dolcemente sul suo cuscino di aria compressa.


Il Centro Riab si trovava nella parte nord della città, nella vecchia zona residenziale, che grazie a ispirati e disperati piani regolatori era riuscita a resistere ai ghiacciai stritolanti del sovrappopolamento che avevano devastato la maggior parte dei sobborghi. Parecchie operazioni di ricostruzione e restauro erano state eseguite sul Centro stesso. L’edificio principale, una costruzione grigia in pseudo stile Tudor, alta tre piani, con soffitti a nervature in gotico-agenzia di cambio e vetrate piombate, era stato a metà del ventesimo secolo la residenza privata di qualche barone-brigante, uno speculatore in titoli petroliferi. Alla fine lo speculatore si era autospeculato ed era finito in bancarotta; la grande casa era stata trasformata nel quartier generale di un culto terapeutico che faceva molto affidamento sulla nudità permanente, e in quest’epoca erano state edificate le cinque cupole geodesiche in plastica che formavano un pentacolo gigante intorno all’edificio principale, per servire da solaria invernali. Liti interne e cause legali avevano distrutto il culto nel giro di cinque anni, e il posto era diventato una scuola secondaria di avanguardia, dove i rampolli dell’aristocrazia del Connecticut seguivano corsi in ginnastica copulatoria, traumi di polarità, e relatività sociale. I vari edifici annessi, provvisti di molti aggeggi elettronici, furono aggiunti durante questo periodo. La scuola era naufragata prima di arrivare all’ultima classe, e la contea, assumendo il possesso della proprietà per tasse arretrate, l’aveva rapidamente trasformata nel primo Centro Riab della metà occidentale dello stato, al fine di ottenere i fondi federali disponibili; il governo nazionale, ansioso di lanciare in fretta il programma Riab, era piuttosto prodigo delle sue magre risorse, allora.

Mentre uno percorreva il viale lungo un chilometro che conduceva all’edificio principale, poteva osservare le varie stratificazioni architettoniche che scandivano il passato del Centro, e se era dotato di immaginazione, poteva raffigurarsi il vecchio speculatore che faceva telefonate dal bordo della piscina, i fanatici salutisti che si arrostivano nei solaria, i giovani studenti che fornicavano in maniera elaborata sui prati, tutto quanto insieme, mentre attraverso i giardini alberati si aggiravano i candidati di oggi alla riabilitazione della personalità, sorridendo con aria assente alle voci negli auricolari che mormoravano il loro passato.

Macy non vide alcuna di queste cose, quel giorno, neppure il viale. Poiché, mentre sbucava dalla stazione del tubo al centro di Greenwich e si guardava intorno alla ricerca di un autotaxi che lo portasse al Centro, provò una sensazione molto simile a quella di un’accetta che gli piombasse fra le spalle, e cadde in avanti, intontito e annaspante, sul marciapiede. Per qualche minuto giacque semicosciente sulle eleganti piastrelle blu e bianche all’ingresso della stazione. Riprendendosi, riuscì ad alzarsi a quattro zampe, come un velocista ubriaco in attesa del colpo di pistola. Più di questo non poté fare. Alzarsi in piedi era al di là delle sue possibilità. Arrossato e sudato, aspettò che gli tornassero le forze, sperando che qualcuno lo aiutasse.

Nessuno lo fece. I pendolari aprirono diligentemente i loro ranghi passandogli a fianco. Come un masso in un torrente. Nessuno offre aiuto a un masso. Forse ci sono un sacco di epilettici a Greenwich. Non farti incastrare da uno di quelli. Maledetti scocciatori, fanno un sacco di smorfie, si mordono la lingua: come fa uno ad arrivare in tempo al lavoro, se si ferma ogni mattina ad aiutarli?

Macy ascoltò il tempo che batteva nel suo cervello. Un minuto, due, tre. Cosa era successo? Era la seconda volta nelle ultime diciotto ore che era stato randellato dall’interno. Hamlin?

…Puoi scommetterci il culo.

Cosa mi hai fatto?

…Solo una piccola contrazione del sistema nervoso autonomo. Sono seduto proprio qui e lo sto guardando. Un ammasso di fili e cordoni, il più fottuto casino che tu ti possa immaginare. L’ho appena toccato ed è andato in tilt.

Un’altra fitta di dolore fra le scapole.

Basta, disse Macy. Gesù, perché lo fai?

…Autoconservazione. Come hai detto tu prima, l’autoconservazione deve avere la precedenza sull’altruismo, giusto?

Riesci a sentire tutti i miei pensieri?

… Quanto basta. Quanto basta per sapere quando sono minacciato.

Minacciato?

…Sicuro. Dove stavi andando quando ti ho buttato a terra?

Al Centro Riab, ammise Macy.

…Esatto. E cosa avevi intenzione di fare, lì?

La mia terapia settimanale.

…Col cazzo. Avevi intenzione di dire ai dottori che ero tornato in vita.

E se anche fosse così?

…Non fare l’ingenuo. Volevi farmi cancellare di nuovo, vero? Vero, Macy?

Be’…

…Ammettilo!

Macy, accovacciato sulle piastrelle lucide, cercò di chiamare aiuto. Dalla bocca gli uscì un miagolio flebile. I pendolari continuarono a passargli accanto. Una flottiglia di ventiquattrore e terminali portatili. Per favore. Per favore. Aiutatemi.

Hamlin ancora:

…Ammettilo!

Lasciami stare.

Macy avvertì un’improvvisa esplosione di dolore dietro lo sterno. Come se una mano gli si fosse stretta attorno al cuore, per un attimo, con forza tremenda. Facendo impazzire le valvole, vuotando i ventricoli, bloccando l’aorta.

…Sto imparando a muovermi da queste parti, amico. Oggi so fare un sacco di cose che ieri non mi immaginavo neppure. Per esempio farti solletico al cuore. Non è una sensazione fantastica? E adesso prova a dirmi perché avevi tanta fretta di arrivare al Centro Riab, e sarà meglio che sia la risposta giusta.

Per farti obliterare di nuovo, confessò miseramente Macy.

…Sì. Sì. La sporca verità, alla fine! Meditavi il mio assassinio, vero? Io non ho mai ucciso nessuno in vita mia, sai, mi sono preso solo qualche libertà con il mio uccello, e tuttavia lo stato ha ritenuto opportuno condannarmi a morte…

Alla riabilitazione, disse Macy.

…A morte, replicò brutalmente Hamlin, dandogli uno strattone al tricipite destro per sottolineare il concetto. Mi hanno ammazzato e hanno messo qualcun altro nel mio corpo, solo che io sono tornato in vita, e tu volevi farmi uccidere di nuovo. Non è necessario dibattere molto sul significato della questione. Alzati, Macy.

Macy verificò con cautela le proprie forze, e scoprì che le gambe adesso lo reggevano. Si alzò molto lentamente, sentendosi incredibilmente fragile. Qualche passo barcollante. Le ginocchia che tremavano. La pelle sudata. Un senso di arsura alla gola.

…Adesso amico dobbiamo parlarci chiaro. Oggi non andrai al Centro Riab. Non ci andrai mai più, perché il Centro è un posto pericoloso per me, e perciò per tenertene lontano devo renderlo un posto pericoloso anche per te. Permetti che ti dia un assaggio di quello che ti succederà se ti avvicini di nuovo a meno di cinque chilometri dal Centro Riab. Solo un piccolo assaggio.

Ancora la mano che si stringeva intorno al suo cuore. Una stretta selvaggia. Fece cadere Macy un’altra volta. A poco a poco la stretta interiore si allentò, ma lo lasciò in preda alla nausea e alla debolezza, e un tuono terribile riverberava entro il suo petto. La guancia sulle piastrelle, scalciò in una frenesia di dolore. Questa volta la sua angoscia fu troppo visibile per venire ignorata, e venne afferrato dai passanti e rimesso in piedi.

— Sta bene? Un attacco?

— Per favore… vorrei sedermi…

— Ha bisogno di un dottore?

— Solo uno spasmo al petto… Mi è capitato altre volte…

Lo portarono dentro. Una panca nella sala di attesa. Globi pubblicitari che galleggiavano in aria, lampeggiando il loro messaggio davanti alla sua faccia. Era intontito. Incapace perfino di pensare. Un flusso continuo di persone che gli passava accanto. Treni che arrivavano, partivano. Voci. Colori. Dopo un po’, gli tornarono le forze.

…Se cerchi di ritornare per farti ricondizionare, Macy, questo è quello che ti farò, e non soltanto una piccola stretta. Se sarà necessario ti bloccherò completamente il cuore. Posso farlo. So dove sono le connessioni nervose, adesso.

Ma in questo caso morirai anche tu, disse Macy.

…È vero. Se sarà necessario che io interrompa i processi vitali di questo corpo che condividiamo, moriremo entrambi. E allora? Non mi aspetto che tu ti suicidi per liberarti di me. Ma io sono perfettamente disposto a suicidarmi per impedire a te di liberarti di me, perché non ho altra scelta. Sono comunque un uomo morto, se metti piede dentro il Centro Riab. Perciò la mia è una minaccia definitiva. Stai lontano o peggio per te. Non sarebbe una cosa intelligente da parte tua vedere il mio bluff. Per amore di entrambi, non farlo.

Però mi aspettano per la terapia settimanale.

…Non andarci.

Fa parte della sentenza. Se non mi faccio vedere, ci sarà un mandato di cattura.

…Ce ne preoccuperemo quando verrà il momento. Nel frattempo, lascia perdere le sessioni terapeutiche.

Ma non possiamo condividere lo stesso corpo, protestò Macy. È folle. Non c’è posto per tutti e due.

…Non preoccuparti di questo. Troveremo una soluzione. Per il momento lo condividiamo, e sarà meglio che accetti l’idea. E adesso salta sul primo treno diretto in città. Portami lontano da quel fottuto Centro.

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