— Paul? Mi senti?
— Lontana un milione di chilometri.
— Stai bene?
— Confuso. Intontito. Gesù, intontito! — Cercò di sedersi. Lei lo fece sdraiare di nuovo sulla poltrona. È incredibile quanto sia forte. Si guardò le mani. Tremavano, si contraevano. Come se attraverso il suo corpo fosse passata una forte corrente elettrica, e stesse ancora circolando nei sistemi periferici, provocando uno spasmo muscolare qui, uno là.
Cercò Hamlin. Nessuna traccia. Per il momento.
— Cosa è successo? — chiese.
— Ero sulla porta — disse Lissa. — E dal di fuori potevo sentire le ondate che venivano dalla sua mente e dalla tua. Soprattutto dalla sua. Tu eri… addormentato, drogato, ubriaco, non so. Passivo, comunque. E lui stava prendendo il sopravvento, Paul. La sua mente era avvolta intorno alla tua. Ti stava spegnendo, un pezzo alla volta… è il solo modo per descriverlo… e tu eri già mezzo andato. Sommerso, smontato, spento, scegli tu.
— Avevamo fatto un patto. Dovevamo dividerci il corpo, per metà del tempo l’avrebbe comandato lui, l’altra metà io. Mi aveva promesso che se l’avessi lasciato fare, mi avrebbe restituito il corpo quando fosse arrivato il mio turno.
— Ti ha ingannato — disse lei. — Cos’eri, ubriaco? Fumato?
— Tutti e due.
— Tutti e due. Capisco. Ti ha fatto abbassare le difese, in maniera da prendere il controllo totale. Ho sentito tutto dall’esterno. Ho aperto la porta. Dentro la sensazione era molto più forte. Tu seduto con un sorriso idiota sulla faccia. Gli occhi aperti, ma vuoti. Hamlin che ti dominava. Allora io… non lo so, non mi sono fermata a pensare, l’ho solo colpito. Con la mente.
— Penso che tu l’abbia ucciso — disse Macy.
— No. L’ho ferito, ma non ucciso.
— Non lo sento più.
— Io sì — disse lei. — È molto debole, ma posso sentirlo, in fondo al tuo cervello. È come se fosse caduto dal terzo piano. Non so come l’ho fatto. Ho colpito e basta.
— Come quella volta nel ristorante.
— Credo di sì — disse lei. — Perché l’hai lasciato fare? Macy alzò le spalle. — Abbiamo parlato assieme per tutta la sera.
Mentre aspettavo che tu tornassi a casa. Abbiamo fatto quasi amicizia. Ci siamo proposti a vicenda dei patti, compromessi, accordi. Poi è venuto fuori questo discorso di spartirci il corpo. Io ero già partito, credo. Per fortuna sei arrivata tu. — La guardò e disse: — Ma dove diavolo eri andata?
Fuori, gli disse. Aveva deciso di uscire verso le cinque, andare nel suo appartamento a prendere alcune cose. Lui le diede un’occhiata sospettosa. Anche nel suo stato di confusione attuale, poteva vedere che era tornata a mani vuote. Le fece notare la cosa e lei mise in scena un tentativo di sembrare innocente, scuotendo molto la testa, dicendogli che dopo essere arrivata a casa aveva deciso che tutto sommato quelle cose non le servivano, e le aveva lasciate lì. E il resto della sera? Dalle sei a ora? Aveva chiacchierato con alcuni vecchi amici, a casa. Sicuro, pensò lui ricordando il tipo di vicini che aveva, i poveracci, i banditi.
Senza accusarla esplicitamente di mentire, glielo fece capire. Lei si mostrò indignata, e subito dopo contrita. Ammise tutto. Se n’era andata senza intenzione di tornare. La tensione eccessiva, il rumore mentale, il continuo cicaleccio della doppia anima entro il singolo cervello, non ce la faceva più a sopportarlo. Tutta la notte stesa accanto a lui, a ricevere gli echi confusi e informi del conflitto che si svolgeva dentro la sua testa. Forse non te ne rendi conto neppure tu, gli disse. Di come Hamlin ti bombardi tutto il tempo, lasciami uscire, lasciami uscire, lasciami uscire. In profondità, sotto il livello della coscienza. Quel continuo grido di sofferenza. E tu che combatti, Paul. Lo sopprimi, lo schiacci. Non te ne accorgi?
E lui scosse la testa, no, no. Me ne rendo conto solo quando sale alla superficie e comincia a parlarmi, o quando mi afferra parti del sistema nervoso. Dimmi qualcos’altro. E Lissa gli raccontò. Trasmettendogli, in brevi frasi spezzate, la sofferenza che le provocava la semplice vicinanza di Macy, e quanto le era costato, in termini di angoscia extrasensoriale, il suo trasferimento lì. Lui da solo era già abbastanza tremendo da sopportare, ma la doppia identità, quello era troppo, troppo, tutta quella pressione telepatica, la testa le si spaccava.
E diventava peggio di giorno in giorno. Si accumulava. Di nuovo il vecchio impulso a nascondersi dall’intera razza umana. Non è colpa tua, Paul, lo so, non è colpa tua, ti ho chiesto io di avere pietà di me e di aiutarmi, ma così stanno le cose. Anche quando non sei qui, sento te e Hamlin che mi assediate. Mi premete contro le tempie.
Come un inquinamento dell’aria: Macy comprese che lei avvertiva i residui lasciati dal sudore dei loro io che lottavano, che ammorbavano e avvolgevano l’appartamento, molecole unte di coscienze incorporee che aleggiavano nelle stanze, risucchiate nei suoi polmoni a ogni respiro. Un avvelenamento quotidiano. Così alla fine aveva dovuto uscire per snebbiarsi la testa. Era partita alle cinque, una lunga passeggiata verso il centro, ora dopo ora, meccanicamente muovendo un piede dopo l’altro. Alla fine, verso sera, era arrivata vicino alla 116 Strada Ovest. Una triste esplorazione notturna fra le rovine della vecchia università.
Lui la fissò allarmato. Davvero sei andata laggiù? Quei gusci di edifici bruciati erano il paradiso degli stupratori, il rifugio dei rapinatori, si diceva. Era un suicidio andare in un posto simile di notte. E lei gli aveva rivolto una strana occhiata sfuggente, vagamente di colpa. Cosa aveva fatto quella sera? La sua immaginazione gli fornì una possibile risposta… o era Hamlin a suggerirgli quel pensiero? Oppure gli era venuto da lei, filtrando attraverso il contatto mentale. Una figura confusa nell’ombra, che la seguiva attraverso il campus in rovina. Ma Lissa follemente senza paura, forse ansiosa di corteggiare la morte o la mutilazione, una sfida, voltandosi verso lo sconosciuto inseguitore, facendogli l’occhiolino, sollevandosi la tunica, ancheggiando. Forza, dacci dentro, che mi importa? Bang, bang, bang, su un mucchio di detriti. Dopo, l’uomo che le lanciava un’occhiata perplessa. Devi essere proprio matta, tu. Ed era corso via, lasciandola a proseguire la sua solitaria passeggiata. Era successo davvero? I suoi vestiti non erano spiegazzati né sporchi.
Macy si disse che era tutta una sua fantasia perversa; lei era andata semplicemente a fare una passeggiata, non aveva allargato le gambe a uno sconosciuto, non si era liberata la testa dagli echi cercando lo stupro. Vai avanti, le disse. Hai camminato fra le rovine, e poi? Ho pensato molto, disse lei. Chiedendomi se dovevo tornare a casa mia e restarci. O tornare qui da te. O magari ammazzarmi. La cosa più facile. Qualunque cosa faccia, una tragedia; non è uno scherzo, vedi. E alla fine aveva cominciato a sentire la stanchezza, a pentirsi della sua lunga spedizione notturna, a preoccuparsi che lui si preoccupasse della sua scomparsa. Aveva raggiunto una fermata del tubo, era tornata. Giunta sulla porta, si era resa conto del subdolo attacco in corso. Entrata. Salvataggio all’ultimo istante. Squilli di trombe!
— Perché sei tornata? — chiese lui.
Un’alzata di spalle. Con tono vago: — Non so. Forse perché mi sentivo sola. Forse ho avuto la premonizione che tu fossi in pericolo. Non ci ho pensato. Sono venuta e basta.
— Vuoi andartene per sempre?
— Non so. Vorrei poter restare con te, Paul. Se solo. Il dolore. Smettesse. — Si stava allontanando di nuovo da lui. La voce sognante, a scatti. — Un fiume di fango nella testa — mormorò. Si gettò sul letto, il viso fra le mani. Macy andò da lei per confortarla. Per quel che poteva. Accarezzandola teneramente, malgrado il dolore dietro gli occhi. Ancora una volta si era verificato quel curioso flusso di forza, a quanto pareva. Da lei a lui. Quella bizzarra, improvvisa inversione dei ruoli, chi aveva confortato veniva confortato. Dieci minuti prima lei aveva lottato per rimetterlo insieme, adesso era crollata, afflosciata. E Hamlin pensa che questa ragazza sia distruttiva. Povero mostro penoso.
Lei disse indistintamente, senza alzare la testa. — Il tuo Centro Riab ha ritelefonato questa mattina. Un dottore con un nome spagnolo.
— Gomez.
— Sì, Gomez, mi pare.
— E allora?
Pausa. — Gli ho raccontato tutto. È rimasto molto turbato.
— Cosa ha detto?
— Voleva vederti subito. Ho detto di no, che era impossibile, Hamlin ti avrebbe attaccato se ti avvicinavi al Centro Riab. Non aveva l’aria di crederci. Credo di averlo convinto, dopo un po’.
— E poi?
— Alla fine ha detto che doveva discutere della cosa con i suoi colleghi, e che avrebbe richiamato fra un giorno o due. E che dovevo telefonargli se c’erano degli sviluppi nuovi.
Macy considerò la possibilità di chiamarlo subito. Svegliare il bastardo dal suo letto di rose. Poteva arrivare al Centro Riab per l’una, l’una e mezzo di mattina. Magari potevano fargli un’iniezione di qualcosa mentre Hamlin era in letargo, e metterlo fuori combattimento una volta per sempre. Lissa si oppose all’idea. Hamlin non è così in letargo come credi, disse. È nascosto, ma non è fuori gioco. Se ne sta rintanato, raccogliendo le forze. Non si può sapere cosa farebbe se si sentisse minacciato.
Macy frugò i suoi recessi cerebrali alla ricerca di Hamlin, ma non riuscì a scovarlo. Comunque, non telefonò a Gomez. Il rischio era troppo elevato. Lissa aveva probabilmente ragione: Hamlin manteneva ancora la sorveglianza, laggiù, ed era capace di prendere provvedimenti drastici, e magari mutuamente fatali se veniva compiuto qualche tentativo di raggiungere il Centro. Paul non osava vedere il suo bluff.
Si prepararono ad andare a letto. Carne contro carne, ma nessun gesto copulatorio. Lui aveva sulle spalle un fardello troppo pesante per pensare di montare in quel momento una Lissa forse non troppo disposta. Ed era ancora ossessionato dall’immagine dello conosciuto che la scopava fra le rovine dell’università. Domani è un altro giorno, allegria! Mentre Macy stava per addormentarsi, la sentì dire: — Gomez non vuole che stia più con te. Pensa che io sia pericolosa per te.
— Perché hai risvegliato Hamlin?
— No, questo non gliel’ho detto. Non gli ho detto niente del mio… dono.
— Allora perché?
— Perché vengo dalla tua altra vita. Non dovresti mai rivedere i personaggi di Nat Hamlin, ricordi? Ti hanno condizionato per questo.
— Sapeva chi eri?
— Gli ho detto che facevo la modella per Nat. E del nostro incontro per strada. Praticamente mi ha ordinato di andarmene.
— È per questo che sei uscita?
— Cosa ne so io? — disse con petulanza. Si rannicchiò vicino a lui. I capezzoli che gli sfioravano la schiena. Voltarsi e farsela? No. Non quella sera. Quel fottuto impiccione di Gomez. Mi piacerebbe dirgli una cosa o due. Se solo potessi. Se solo. Che casino. Ma domani è un altro giorno. E poi sta già russando. Lasciamola riposare. Magari potrei dormire anch’io. Dormire. Forse sognare.
Tre giorni di relativa tranquillità. Venerdì, sabato, domenica. Il suo primo fine settimana con Lissa. Nessuna notizia da Hamlin, a parte qualche occasionale rutto e brontolio psichico. Evidentemente la botta che gli aveva dato Lissa l’aveva lasciato molto debole. Nessuna notizia neppure da Gomez. Un tranquillo fine settimana insieme. Dove andiamo, cosa facciamo? Il primo assaggio di caldo estivo sulla città. Stiamo a letto fino a tardi. Scopiamo con la musica di Mozart. Dee-dum-dee-dum-dee-dum-dum, diddy-dum diddy-dum diddy-dum. Le gambe di Lissa sulle sue spalle, in maniera piacevolmente lasciva. Gli occhi di lei che brillavano, dopo, sotto la doccia. Scherzosa come una gattina. Gli insapona l’uccello, cercando di farlo rinvenire, e ci riesce. Per un uomo maturo sono piuttosto virile, eh? Risate. Colazione. Le notizie del mattino che escono dalla fessura.
Poi uscirono. L’umore di lei già in discesa. Si accorse che diventava cupa, cominciava a ritrarsi. Sembrava una cosa impossibile mantenerla felice per più di due ore di seguito. Cercò di ignorare il suo umore nero, sperando che svanisse. Una giornata così bella. La luce dorata del sole che si riversava dal Bronx.
— Dove vuoi andare, Lissa? — Lei non rispose. Sembrava quasi che non l’avesse sentito. Chiese ancora.
— Voci — mormorò lei. — Queste fottute voci. Sono una Giovanna d’Arco nella merda. — Lissa? Lissa? Voltandosi verso di lui, il tormento negli occhi colore oceano. — Un fiume di fango — disse. — Spesso fango marrone che si accumula sulla mia testa. Presto mi uscirà dalle orecchie. Un delta da ciascuna parte.
— È una giornata così bella, Lissa. Tutta la città è nostra.
— Andiamo dove vuoi tu — disse lei.
Dietro suo suggerimento, andarono allo zoo del Bronx. Passeggiarono mano nella mano accanto ai vari habitat, abilmente simulati. Era difficile credere che quei leoni davvero non avessero modo di saltare il fossato. E cosa impediva a quegli uccelli di volare via dalla loro cupola? Era completamente aperta da una parte, Cristo! Ma naturalmente, c’erano dei sistemi per controllare la pressione dell’aria e il flusso ionico. Lo zoo era affollato. Famiglie, amanti, ragazzini. La maggior parte aveva un aspetto più buffo della popolazione al di là dei fossati. Le grida roche degli animali. Nasi umidi che si torcevano, occhi tristi.
Una gabbia su tre circa era segnata con una stella nera, che indicava come la specie fosse estinta allo stato naturale. Rinoceronte bianco. Ippopotamo pigmeo. Giraffa reticolata. Bisonte europeo. Rinoceronte nero. Tapiro sudamericano. Wombat. Orice arabico. Tigre del Caspio. Canguro rosso. Bandicut. Bue muschiato. Orso grigio. Tante specie sparite. Altri cento anni, e resteranno solo cani, gatti, pecore e mucche. Ma naturalmente gli africani avevano avuto bisogno di carne durante gli anni della carestia, prima della Correzione Demografica. E i sudamericani, e gli asiatici. Tutti quei bambini, tutte quelle bocche affamate, e alla fine non era servito a niente, erano arrivati a mangiarsi fra loro dopo che gli animali erano spariti. Adesso gli zoo erano l’ultimo rifugio. E per alcuni era troppo tardi.
Macy ricordava una gita con suo padre, quando aveva dieci o dodici anni, allo zoo di San Diego, a vedere il panda gigante. "Questo è l’ultimo che esista al mondo, figliolo. Portato via clandestinamente dalla Cina comunista prima dell’esplosione." Un grosso orsacchiotto a due colori, seduto nella gabbia. Non esistevano più panda giganti da nessuna parte, adesso. Qualcuno imbalsamato, come ricordo. Suo padre? Lo zoo di San Diego? Avevano davvero un panda gigante laggiù, allora? Le oscillazioni della memoria. Senza dubbio non era mai accaduto. Forse non era mai esistito un animale del genere.
Lissa disse: — Posso sentire le loro menti. Degli animali.
— Davvero?
— Non mi ero mai accorta di riuscirci. Non ero mai stata allo zoo prima.
Lui era sul chi vive, pronto a portarla di corsa alla fermata del tubo se l’impatto fosse stato troppo forte. Non fu necessario. Lissa era piena di gioia, estatica, nello spiazzo accanto alla vasca delle foche, mentre assorbiva i muggiti i belati i latrati gli ululati di cento specie. — Forse posso trasmetterti qualcosa di quello che ricevo — disse, e gli prese le mani nelle sue, aggrottò la fronte, lo fissò negli occhi, tanto che i passanti annuirono e sorrisero alla vista del vero amore che si esprimeva in mezzo alle foche e alle tigri, ma lui non riuscì a cogliere nemmeno un brandello di quello che Lissa gli trasmetteva.
Così lei glielo descrisse, a momenti alterni, ogni volta che poteva dedicargli un momento dalle sue contemplazioni. I pensieri alti, striduli e gutturali della giraffa. Il cupo rimuginare del rinoceronte. Le emissioni complesse, tetre e amare, dell’elefante africano, quello dalle grandi orecchie, un Kierkegaard della zoologia. Il cinguettio scintillante degli scimpanzé. Le impertinenti esplosioni mentali del procione lavatore. Le tartarughe delle Galapagos meditavano sull’eternità; l’orso bruno era sorprendentemente sensuale; i pinguini facevano sogni ghiacciati.
— Ti stai inventando tutto? — le chiese, e lei gli rise in faccia, come un S. Tommaso d’Aquino accusato di inventarsi la trinità. Un’ora dopo, si era completamente spenta. Pranzarono con alga-burger e Lenin soda, e presero il marciapiede mobile fino all’uscita, Lissa che ridacchiava, stupidamente, ubriaca per le sue bestie. — L’orangutan — disse — potrei dirti esattamente come voterebbe alle prossime elezioni. E se solo potessi farti sentire lo gnu! Oh, cazzo, lo gnu!
Ma prima di sera era tornata di umore nero. Il pomeriggio andarono a Manhattan, girando intorno agli edifici bruciati, raggiungendo poi i nuovi eleganti quartieri residenziali, e lui cercò di interessarla ai saloni di divertimento, alle fumerie, alle piscine eccetera; ma lei era indifferente, lontana. Cenarono in un ristorante cinese su un molo dell’Hudson, e lei piluccò il cibo svogliatamente, lasciandone buona parte nel piatto, il cameriere che ridacchiava. Una serata tranquilla a casa. Non abbiamo amici, si rese conto Macy. Suonarono Bach e fumarono molto.
Appena prima di andare a letto, Hamlin parve stiracchiarsi e sbadigliare dentro di lui. O era solo un’illusione? Un pessimo rapporto sessuale, quella sera: Lissa era alquanto giù, lui non molto meglio, tutti e due goffi e non troppo convinti mentre si abbracciavano nel letto. Cercò di penetrarla, e lei era secca. Perseverò, sa solo Dio perché. Finalmente un po’ di lubrificazione. Ma non molto entusiasmo, da parte di lei. Come scopare un robot; fu tentato di piantare lì a metà, ma pensò che sarebbe stato poco educato, e si costrinse a un orgasmo solitario e insoddisfacente. In seguito, fece alcuni brutti sogni, ma niente che non avesse già avuto.
Sabato fu un fallimento. Lissa vuota, assente. Una giornata che non finiva mai. Domenica molto meglio. Gli si gettò addosso al sorgere del sole, cavalcandolo, abbassandosi fino a farsi penetrare. Buon giorno! Buon giorno! Buon giorno! Su e giù, su e giù. Seni che dondolavano sopra di lui. Le dita sorprese di Macy che circondavano i globi lisci e freddi del suo sedere. Dopo di che, lei preparò una abbondante colazione. Allegra e saltellante come un’adolescente; forse una finzione: cercando con tutte le sue forze di essere una buona compagna, sospettò lui. Dopo quella giornata schifosa che mi ha fatto passare ieri. Uno a uno.
— Dove andiamo? — chiese lei.
— Al Museo di Arte Moderna — suggerì Macy. — Ci sono degli Hamlin, no?
— Sì, cinque o sei. Ma credi davvero che sia una cosa saggia da fare? È rimasto molto tranquillo negli ultimi due giorni, ma la vista delle sue opere potrebbe risvegliarlo.
— È esattamente quello che voglio scoprire — le disse.
Andarono. Il museo, si scoprì, aveva sette Hamlin: due pezzi grandi, quasi impressionanti come l’Antigone, e cinque più piccoli. Erano esposti tutti nella stessa sala: quattro raggruppati in un angolo, e tre contro la parete opposta, il che diede a Macy l’occasione di una prova critica: la presenza di tante opere di Nat Hamlin avrebbe risvegliato l’artista in letargo, mediante qualche sorta di leva psichica?
Coraggiosamente, Macy si piazzò fra i due gruppi, dove sarebbe stato esposto al massimo di influenza. Bene, Hamlin? Dove sei? Ma benché avvertisse qualche confuso contorcimento subliminale, non c’era nient’altro che indicasse la presenza di Hamlin dentro di lui. Studiò attentamente le sculture. Il conoscitore che faceva le sue superiori osservazioni.
Soltanto poche settimane prima, nell’ufficio di Harold Griswold, la vista del pezzo di Hamlin l’aveva tramortito, mentre adesso ascoltava con orecchio critico le risonanze, osservava il lieve mutare dei contorni, insomma faceva tutti i suoi apprezzamenti con grande disinvoltura.
Alcuni ragazzi nella sala, forse occupati in una ricerca su Hamlin. Apparentemente lo riconobbero. Guardarono la sua faccia, poi il distintivo Riab, poi ancora la sua faccia, poi le sculture, poi sussurrarono fra di loro. Neanche questo lo disturbò: essere scoperto come zombie ambulante del grande artista. I ragazzi non osarono avvicinarsi a lui. Macy rivolse loro un sorriso benevolo. Se volete vi faccio un autografo. Questi capolavori furono creati con queste stesse mani, sapete.
Rimase sorpreso per la sua nuova elasticità. Venire lì, affrontare le opere di Hamlin, il tutto con grande calma. Scoprì che la vista di quelle opere risvegliava a poco a poco in lui quella triste e deprimente nostalgia di avere accesso al passato in cui quel corpo aveva dato la luce a quelle sculture. Il suo vero passato. Come stava cominciando a considerarlo. Come se anche lui fosse giunto a concordare con Hamlin di essere una mera finzione, una aberrante e mostruosa nonrealtà appiccicata alla vera vita di Nathaniel Hamlin. Perciò anelava a conoscere quell’altro tempo. Chi ero quando ero lui? Come ho creato queste opere? Cosa significava essere Hamlin? Un brutto momento. La sottile e corrosiva influenza di Hamlin dentro di me, che mi mina anche quando lui è silenzioso. Così sono arrivato a dubitare di me stesso. Ho cominciato a disprezzare me stesso. E a desiderare di essere lui. Questa è la strada che conduce alla resa; torniamo indietro.
Anche Lissa parve disturbata dal gruppo di Hamlin. Forse ricordava un passato più felice. I bei giorni del primo amore. La tremenda sensazione di essere stata scelta da Nathaniel Hamlin per il suo letto. Tutte le strade aperte. Ed essere arrivata a quello. Che capovolgimento. Macy poté vedere la tristezza sul suo volto. Era stato un errore infliggerle l’arte di Hamlin? O forse si sentiva semplicemente oppressa dalla folla domenicale del museo. Adesso è ora di andare.
Mattina di lunedì, Macy al lavoro. Griswold gli aveva appena assegnato un nuovo argomento. Le statistiche preliminari del livello di carisma per le elezioni del 2012 erano uscite la sera prima, tardi; facciamo un profilo di tutti i candidati, con i diagrammi delle pulsazioni, il conteggio degli ormoni, il profilo di riconoscibilità, tutto quanto lo schema multivalente, d’accordo? D’accordo. E così al lavoro. Assistenti che correvano di qua e di là. Le tette rosa che ballonzolavano. Pile di documenti. Fredericks che si fermava per offrirgli suggerimenti inutili. Loftus che arrivava con le braccia cariche di simulazioni e di lucidi a colori per essere approvati da lui. Le ore che scorrevano veloci; la mente interamente occupata da un’attività significativa.
Poi un’interruzione imprevista. C’è una persona che desidera parlare con lei, signor Macy. Nessun appuntamento. Un visitatore per me? Chi? Immagine di Lissa in disordine, ossessionata, che dava i numeri nel salone d’ingresso. Vi prego, devo vederlo, è questione di vita o di morte, sto per andare a pezzi, sto per esplodere, lasciatemi andare da lui! Una scena penosa. Solo che il suo visitatore non era Lissa. Il suo visitatore era il dottor Gomez.
Panico. Gomez qui? Hamlin mi ucciderà!
Dopo il primo momento di paura, una rapida riflessione. Hamlin l’aveva avvertito di non andare al Centro Riab, e di non telefonare ai dottori. Ma era stato il dottore a venire da lui, questo era coperto dalle minacce? Un punto opinabile. In ogni modo, Hamlin sembrava non volesse sollevare obiezioni. Macy aspettò qualche momento, preoccupato, in attesa di un segnale dall’interno, una stretta al cuore, una contrazione dei nervi, qualche avvertimento intimidatorio. Niente. Avvertiva la presenza di Hamlin come un peso massiccio e sordo nelle viscere, ma non ricevette nessuna istruzione specifica circa Gomez. Forse Hamlin vuole scoprire cosa dirà Gomez. Forse si sta ancora riprendendo dal colpo che gli ha dato Lissa. Sia come sia. Dica al dottor Gomez che può salire.
Gomez, fuori dal suo contesto, sembrava diverso. Al Centro Riab, circondato dalle sue falangi di computer e dalla sua farmacopea elettronica, Gomez era dinamico, formidabile, aggressivo, indomabile, volgare e sicuro di sé. Entrando nell’elegante ufficio di Macy, era quasi mite. Senza scettro e trono, un re non è altro che un ravanello biforcuto. Gomez entrò esitando attraverso la porta scorrevole. Vestito con un abito d’affari eccessivamente contemporaneo, verde e rosso, troppo giovanile per lui, in luogo del suo abituale camice da laboratorio monocromatico. Sembrava più piccolo e grassoccio che nel suo dominio. I folti baffi cadenti in disordine, bisognosi di un taglio. Il mento sfuggente che per qualche ragione in quel luogo assumeva un’importanza maggiore. Tre metri di distanza. I loro occhi si incontrarono. Gomez si inumidì le labbra. Che strano vederlo sulla difensiva.
Macy disse: — Suppongo che abbiate deciso di credermi, alla fine.
— Abbiamo discusso il suo caso senza interruzione per tre giorni — disse Gomez con voce roca. — Ma devo avere dati di prima mano. E dal momento che non voleva venire da noi…
— Non potevo.
— Non poteva. — Gomez annuì. Aggrottò la fronte. Non a Macy, ma a se stesso. Il suo disagio era evidente. Essere venuto fin lì era un gesto molto inconsueto. Il dottore vanitoso che si copre il capo di cenere. Con voce aspra disse: — Non volevo rischiare di telefonarle. Nel caso fornisse al suo precedente ego il tempo per mettere in atto reazioni negative. La mia presenza qui sta causando delle ripercussioni?
— Non fino a questo momento.
— Se dovesse succedere, me lo dica subito, e io me ne vado. Non voglio metterla in pericolo.
— Non si preoccupi, Gomez, glielo dirò immediatamente se sento qualcosa. — Controllò se Hamlin dava segni di vita. Tutto calmo. — Hamlin non si è fatto sentire da martedì sera.
— Ma è ancora lì?
— Sicuro che c’è. Malgrado tutte le vostre assicurazioni che non poteva tornare.
— Tutti facciamo errori, Macy.
— Quello è stato un errore fottutamente grosso. Le avevo chiesto di farmi un EEG e lei ha detto di no, che avevo le allucinazioni, che erano tutte fantasie, che non c’era nessunissima possibilità che Hamlin fosse intatto e attivo. E poi ha detto…
— Va bene. Lasciamo perdere questo argomento. — Sì asciugò la fronte sudata. — Quello che mi interessa adesso è trovare una terapia. Non dare la colpa a qualcuno. Quando è cominciato?
— Il giorno in cui sono uscito dal Centro, quando ho incontrato la ragazza, l’ex modella e amante di Hamlin, quella con cui ha parlato al telefono.
— La signorina Moore.
— Sì. Le sono andato a sbattere addosso, letteralmente, per strada. Questo gliel’ho già raccontato. Continuava a chiamarmi Nat, ignorando il distintivo… ricorda?
— Ricordo.
— L’ho rivista lunedì scorso. Ha detto che era nei guai e voleva che l’aiutassi. Io non volevo restare coinvolto e ho fatto per andarmene. Mi ha colpito con un pugno telepatico. Che l’ha svegliato definitivamente, completando il processo che era iniziato quando…
— Telepatia?
— ESP. Comunicazione fra menti. Mi capisce?
— Capisco. Questa ragazza è telepatica?
— È quello che sto cercando di dirle.
— Lei sapeva che era telepatica, che era una persona appartenente al passato di Hamlin, e che come tale non doveva vedere, e malgrado questo ha fatto in modo da incontrarla e…
— Io non sapevo che fosse telepatica. Finché non è stato troppo tardi. E in ogni caso non avrei avuto ragioni particolari di evitarla per questa ragione. Nessuno mi ha mai detto niente sulla telepatia, Gomez. Non sapevo neanche che esistessero i telepati, voglio dire quelli veri, che se ne vanno in giro per New York City.
Gomez chiuse gli occhi. — D’accordo. Comincio a capire. Quello che è successo è apparentemente un caso di ristabilimento indotto di personalità sotto stimolo telepatico. Fra tutte le puttanate… Una minima possibilità teorica, ma chi pensava di imbattersi in un vero caso di… Non esiste neppure una letteratura sul fottuto argomento… nessun test, nessun dato, nessun punto di riferimento…
— Un giorno potrà scrivere su di me un meraviglioso articolo — disse Macy amaramente.
— Mi risparmi le stronzate. Crede che la cosa mi renda felice? — E in verità i lineamenti carnosi di Gomez mostravano un’angoscia genuina. — Okay, dunque la ragazza ha risvegliato Hamlin. E questo che conseguenze ha avuto? Mi fornisca la sintomatologia.
— Mi parla.
— A alta voce?
— Nella testa. Una voce silenziosa, ma si sente. Per due volte ha cercato di impadronirsi dei miei centri vocali. Ma riesce solo a pronunciare suoni senza senso, e l’ho scacciato. Una volta ha anche preso il controllo dei muscoli del lato destro della faccia. L’ho costretto a mollare. Due o tre volte mi ha dato una scossa fisica, mi ha tramortito. Lunedì scorso, mentre mi recavo al Centro Riab ha messo in scena un piccolo attacco di cuore, dicendo che me ne avrebbe procurato uno più serio, se insistevo ad andare al Centro. Non è una maledetta allucinazione, Gomez. Ho avuto delle conversazioni con lui, lunghe conversazioni razionali. Ha delle idee molto ambiziose. Mi ha invitato a sloggiare, in maniera da riavere il suo corpo.
— Evidentemente non possiamo permetterlo.
— Evidentemente non c’è una sola fottuta cosa che voi possiate fare. Se vi permettessi di fare una qualsiasi mossa ostile contro di lui, mi ucciderebbe. È come se portassi dentro di me una bomba.
— È un bluff.
— Come fa a esserne così sicuro?
— Se il suo corpo muore, muore anche lui. Qualunque cosa sia non può sopravvivere al decadimento delle cellule cerebrali.
— Non può sopravvivere neppure a un altro trattamento al Centro Riab. Perciò è disposto a fare qualsiasi cosa per impedirmi di andarci, compreso ammazzarci entrambi. Se vengo da voi, muore. Tanto vale farmi fare la stessa fine. O almeno minacciarlo, sapendo che mi convincerà a non andare al Centro.
Gomez ci pensò su. Non sembrò arrivare ad alcuna conclusione immediata.
Macy disse: — Glielo dico io cosa succederà. Una di queste due cose: lui mi metterà fuori combattimento e si impadronirà del corpo, oppure io troverò qualche sistema per farlo fuori e impedirgli di danneggiarmi.
— Sta scherzando con il fuoco, Macy. Venga al Centro. Conosco Hamlin meglio di lei: non porterà fino in fondo la sua minaccia, non farà niente di definitivo che possa danneggiarla. Ucciderla significherebbe il disfacimento e la rovina del suo io fisico, l’ultima vestigia legittima di Nat Hamlin al mondo. Non lo farà. È sempre stato orgoglioso del suo corpo.
— Balle. Non mi piace fare scommesse. Ha detto di stare lontani da voi, e lo farò.
— Non possiamo permetterle di andare in giro con l’ego di un pericoloso criminale che controlla parzialmente il suo cervello — disse Gomez.
— E cosa vuole fare allora? Farmi arrestare? Mi ucciderebbe. Gli credo quando lo dice. Vuole correre il rischio? Non è in ballo la sua vita, Gomez. Si è già sbagliato una volta.
Contrazioni delle punte dei baffi. La lingua che si muoveva di continuo fra le labbra e i denti. Gomez sulle spine. Macy che lo guardava dall’altra parte della scrivania. Sentiva il cuore battergli forte. Era Hamlin che si risvegliava? O soltanto l’eccitazione, l’adrenalina?
Alla fine Gomez disse: — Dovremo metterla sotto sorveglianza, Macy. I problemi legali, la presenza di un criminale potenzialmente pericoloso dentro di lei. Ma ci terremo a distanza. Non la metteremo in pericolo.
— Come farete a sapere se mi state mettendo in pericolo?
— Un segnale — suggerì Gomez. — Aspetti. — Aggrottò la fronte. — Diciamo che quando Hamlin la minaccia, lei batte la mano destra sulla spalla sinistra. Così.
— Così.
— Questo ci avvertirà di stare lontani, per non provocarlo. E quando vorrà che ci allontaniamo del tutto, cioè quando pensa di essere in grande pericolo, batta anche la mano sinistra sulla spalla destra. Così.
— Così. — Che idiozie. — Cosa ne dice di una parola d’ordine, anche?
— Sto cercando di aiutarla, Macy. Non faccia lo spiritoso.
— C’è qualcos’altro che vuole dirmi, o posso tornare al mio lavoro?
— Un altro segnale, se non le spiace.
— Quello per chiedere il permesso di andare a cagare?
— Quello per dirci che Hamlin è addormentato e che possiamo venire a prenderla con sicurezza. È d’accordo che una situazione del genere potrebbe presentarsi? Bene, allora. Quella sarebbe l’occasione buona per prenderla in consegna e cercare di esorcizzarlo una volta per tutte. Ma solo se ci darà il segnale.
— Che sarebbe?
Gomez pensò un momento. Profonda concentrazione. Tutta quella roba da boy scout doveva mettere a dura prova la sua mente. Alla fine: — Le mani intrecciate dietro la testa, così.
— Così — disse Macy, imitandolo. — E se per caso i suoi sicari confondono i segnali?
— Lei cerchi di ricordarseli bene, e al resto ci pensiamo noi — disse Gomez. Si avviò verso la porta. Voltandosi, scosse la testa. — Un caso di possessione demoniaca, ecco cos’è. Cazzo. Il ritorno del diciassettesimo secolo! Ma risolveremo la faccenda, Macy. Le dobbiamo una vita normale, una vita senza tutti questi casini. — Si fermò sulla soglia. — Se vuole che le dia un consiglio per il suo bene, la smetta di vedere la signorina Moore. Abitate insieme, vero?
— Più o meno.
— Era stato caldamente consigliato di non avere relazioni con persone collegate alla precedente identità del suo corpo. Con particolare riferimento all’ex amante di Nat Hamlin, telepatica o no.
— Dovrei darle un calcio e buttarla fuori? È un essere umano. Ha dei problemi. Ha bisogno di aiuto.
— È anche la causa di tutti i suoi problemi, Macy. Dieci a uno che non si ritroverebbe Hamlin fra i piedi se non si fosse lasciato coinvolgere da una relazione con lei.
— Facile a dirsi, adesso. Ma io Hamlin ce l’ho fra i piedi, e sento anche una responsabilità verso di lei. È distrutta. Ha bisogno di un’ancora, Gomez, qualcuno che le impedisca di andare alla deriva.
— Qual è il suo problema?
— L’ESP. La sta facendo impazzire. Riceve delle voci… per metà del tempo non sa neppure chi è… deve nascondersi dalla gente, ripararsi. La telepatia va e viene senza che possa controllarla. È come una maledizione.
— E lei vuole aiutarla, Macy? — chiese Gomez. — È un individuo talmente stabile da poter stare insieme a una carica di dinamite come questa?
— Non è stata un’idea mia, mi creda. Ma adesso che ci sono dentro, non intendo abbandonarla. Voglio aiutarla.
— Come?
— Forse c’è qualche sistema per spegnere questa sua ESP. Le sta bruciando la mente. Cosa ne dice, Gomez? Si può fare.
— Non so assolutamente niente di ESP. Sono uno specialista in Riabilitazione.
— Chi può saperlo?
— Posso informarmi se ci sono degli ospedali nella zona metropolitana con esperienze in questo campo. Qualche reparto neuropsichiatrico deve essere immischiato con l’ESP. Se le procura tanti guai, perché non è andata a farsi esaminare?
— Ha paura. Non vuole che qualcuno le frughi nella mente. Ha paura di perdere la sua intera personalità, se cercano di strapparle la telepatia.
— Merda. Mi dice che vuole aiutarla, e due secondi dopo mi dice che lei ha paura di essere aiutata. È folle. Quella ragazza è veleno. La porti in un ospedale.
— Mi dica dove mandarla — disse Macy. — Vedrò se voglio farlo. E se lo vuole lei. — Rivolse a Gomez un sogghigno improvviso, e colpì con la mano destra la spalla sinistra. Un momento dopo colpì con la sinistra la spalla destra. Gomez lo fissò sbattendo le palpebre, senza muoversi. — Be’, si svegli! — disse Macy. — Ha dimenticato i suoi segnali? Questo è quello per la ritirata.
— Hamlin ha cominciato a minacciarla?
— Non se ne stia lì a fare domande stupide. Ha avuto il segnale. Via. Via. Ho del lavoro da fare. Mi lasci solo, Gomez.
— Povero bastardo — disse Gomez. — Che maledetto casino. Per tutti noi. — E uscì. Macy si prese la testa fra le mani. Dolore dietro ciascuna orecchia. Dolore dietro la fronte, come se il cervello si fosse gonfiato e premesse contro l’osso. Esercitati coi segnali. Mano sinistra a spalla destra. Mano destra a spalla sinistra. Intreccia le mani dietro il collo. Sorveglianza. Il Centro Riab che mi dà la caccia anche lui. Gesù. Gesù. Gesù. Gli parve di poter sentire la risata da fantasma di Nat Hamlin riverberare attraverso gli interstizi della sua mente spossata. Ehi, Nat, sei sveglio? Hai ascoltato quello che diceva Gomez? Ascolti adesso? Vogliono prenderti, Nat. Gomez è sulle tue tracce. Per finire il lavoro che non ha fatto a dovere la prima volta. Hai paura, Nat? Non ti nascondo che io ne ho. Perché solo uno di noi ne uscirà intero, alla fine. Se va bene. Se va bene, uno solo di noi.