Come la foglia trascinata da un invisibile vortice di vento, Clawly volava nella grigia aurora, sostenuto dall’energia subtronica, verso i livelli superiori della Blue Lorraine. Le stelle più luminose, e Marte, stavano spegnendosi nel cielo. L’aria mossa, infilandosi nel suo abito di volo, provocava un brivido di eccitazione al quale però il suo sangue non riusciva a rispondere. Avrebbe potuto essere a casa, per riprendere le forze dopo la sconfitta, per preparare nuovi schemi di attacco. Avrebbe dovuto lasciare che i fumi della stanchezza si dissolvessero normalmente, con un buon sonno ristoratore, e non per mezzo di stimolanti artificiali. Avrebbe dovuto riordinare le idee. O magari, avrebbe dovuto lasciarsi trascinare dalla preoccupazione, e iniziare una frenetica ricerca di Thorn. Ma una paura ben più grande lo trascinava, e fino a quando non avesse fatto una certa cosa, sarebbe stato incapace di pensare a interessi personali, o di riposarsi.
Dopo la scomparsa di Thorn, il voto negativo del Consiglio era diventato un cupo ostacolo insormontabile, che diventava a ogni istante più grande. E Clawly si disse che erano ugualmente fortunati: i fondi per le loro ricerche non erano stati diminuiti… e malgrado non fossero stati aumentati, malgrado non fosse stato concesso un numero maggiore di assistenti, né l’accesso ai documenti riservati, né una ricerca sistematica sui cittadini… erano stati fortunati. Perché ben difficilmente una civiltà di tempi più antichi avrebbe permesso loro di continuare. Anzi, avrebbe proibito ogni ricerca, considerandola una minaccia alla stabilità mentale della popolazione. Soltanto un rispetto quasi feticistico per la libertà dell’individuo e per l’inviolabilità della volontà del singolo lo aveva salvato.
La decisione contraria del Consiglio aveva scosso anche le sue convinzioni personali. Clawly si sentiva un uomo solo e minuscolo, pieno d’incertezze e di dubbi, assolutamente incapace di proteggere il mondo da una minaccia così vaga, grande e imperscrutabile, misteriosa e remota come l’oscuro territorio disabitato che si trovava sotto di lui.
Perché mai Thorn aveva abbandonato a quel modo la riunione, creando un’impressione sfavorevole? Non poteva certo essere rimasto vittima di un impulso ipnotico… fra tutti, Thorn sarebbe stato l’individuo più resistente. Eppure, nella sua andatura c’era stata quella sgradevole impressione di sonnambulismo… un’espressione che nella mente di Clawly ingigantiva a ogni istante. E Thorn era uno strano individuo. Dopo tanti anni, Clawly lo trovava ancora imprevedibile. Thorn aveva un’immensa irrequietezza spirituale, aveva la necessità di scandagliare le profondità più recondite della mente. E l’impresa, soprattutto ora, poteva presentare grandi pericoli. Clawly se ne accorgeva anche in quel momento… una vaga e sgradevole impressione aleggiava ai margini dell’inconscio, il ricordo di un secondo Clawly, contro cui doveva mantenersi continuamente in guardia.
Se qualcosa era accaduto a Thorn, senza che lui se ne fosse accorto…
Una variazione nel campo magnetico terrestre, alla quale non reagì con sufficiente prontezza, gli fece compiere una brusca giravolta in aria, e lo costrinse a concentrare l’attenzione sul suo volo.
Si domandò se era riuscito ad andarsene di nascosto, come aveva cercato di fare. Alcuni membri del Consiglio avevano voluto prendere la parola. Firemoor, che aveva votato a favore e aveva sostenuto le teorie di Clawly con eccessivo vigore, era stato particolarmente insistente. Ma lui era riuscito a sbarazzarsene. Eppure, se lo avessero seguito? Certo, l’accenno fatto da Conjerly ai “veggenti” era stato del tutto casuale, sebbene avesse avuto molta efficacia. Ma se Conjerly e Tempelmar avessero scoperto dove lui si stava dirigendo ora… quale arma avrebbero ottenuto contro di lui!
Sarebbe stato più saggio abbandonare l’intera faccenda, almeno per un certo periodo.
Inutile. Il difetto della cosa… se di difetto si doveva parlare… era nel suo sangue. La Blue Lorraine lo attirava come una calamita attira il ferro.
Una schiera di immagini prese possesso della sua mente stanca, mentre lui si immergeva nell’ovattata profondità di un banco di nuvole. Puntini neri sulla Carta Planetaria. Le tinte verdi e blu dell’Yggdrasil… in quale mondo d’incubo aveva trovato l’ispirazione, Hoderson? Il disegno azzurro che uno dei soggetti intervistati da Thorn sconvolto dal dolore gli apparve improvvisamente. E poi le espressioni di Conjerly e Tempelmar… la vaga impressione che aveva avuto di trovarsi di fronte a stranieri ostili. E quell’oscura presenza straniera che aleggiava in agguato ai confini del suo subcosciente.
La Blue Lorraine diventò gigantesca, torreggiante come una montagna, con i pinnacoli bianchi di brina, sebbene in basso, al livello del suolo, la temperatura fosse estiva. C’erano già i segni dell’inizio di un nuovo giorno. Qua e là vagoni merci aderivano alla parete, come neri scarafaggi, e caricavano o scaricavano il loro carico quotidiano attraverso aperture invisibili. A diversi metri di distanza, in basso, una lunga teoria di vettovaglie, in parte inscatolate, in parte no, stava entrando dalle grandi porte delle cucine sostenute da una corrente subtronica. Più in là, un sorvegliante guidava un piccolo gruppo di scolari in arrivo, che erano le prime avvisaglie dei grandi sciami che si sarebbero presentati più tardi.
Clawly si posò su una piattaforma di atterraggio, dopo essere rimasto sospeso nell’aria su di essa, come un uccello, per un istante. Nella saletta interna, lui e un altro viaggiatore appena arrivato si aiutarono vicendevolmente a togliersi gli abiti di volo.
Clawly ansimava, le orecchie gli fischiavano e aveva la vista confusa. Si strofinò le mani gelate. Non avrebbe dovuto compiere un’ascensione così rapida nelle sue condizioni. Sarebbe stato meglio atterrare più in basso, e servirsi del levitatore per arrivare a destinazione. Ma la sua impazienza gli aveva imposto di scegliere quella strada. E poi, facendo così aveva corso un rischio minore. Sarebbe stato molto più difficile essere scoperto. Chiunque lo avesse seguito, avrebbe dovuto possedere il dono dell’invisibilità.
Una corrente subtronica lo portò dolcemente per circa quattrocento metri, lungo un corridoio di smistamento, verso la sezione degli psicologi. Arrivato nella sezione, proseguì a piedi.
Si guardò intorno, a disagio. Solo in quel momento fu colpito da un vero e proprio dubbio. E se Conjerly avesse avuto ragione? Se veramente lui non avesse fatto altro che riesumare antiche superstizioni, affidandole a un gruppo di esperti troppo specializzati, incluso Thorn? Se veramente la minaccia cosmica che aveva tentato di presentare al Consiglio Mondiale non fosse stata che il frutto di una fantasia morbosa, suffragata da un elaborato edificio di prove male interpretate? E se la parte più oscura, contorta e morbosa della sua mente avesse preso il sopravvento su quella più razionale, a sua insaputa? Provò la spiacevole sensazione di essere un ciarlatano, un buffone, un amante dell’orrido e del morboso. Era una faccenda pazzesca, dalle origini assai dubbie, che non aveva osato rivelare neppure a Thorn, al quale aveva rivelato tutto il resto. Sarebbe stato meglio finire a quel punto, senza cercare di evocare altri fantasmi oscuri.
Ma l’altro impulso che lo spingeva era irresistibile. Doveva sapere certe cose, in qualsiasi modo.
Riprendendo il controllo di se stesso, cercò di ripetere il ragionamento di Conjerly: «Se le prove sembrano condurre in quella direzione, se la sicurezza dell’umanità sembra richiedere questo, allora io abbandonerò il materialismo, e andrò a chiedere i consigli degli indovini!»
Si fermò. C’era una porta, di fronte a lui. Di colpo, essa si aprì. Entrò, si avvicinò alla scrivania e alla figura immobile e vestita di nero che si trovava dietro a essa.
Come sempre, il volto di Oktav dava una soverchiante sensazione di antichità… antichità e non vecchiaia, non perlomeno, la vecchiaia suggerita dai bianchi capelli serici, dalle guance incavate, dalla pelle grinzosa e dalle vene bluastre in evidenza. I pensieri di Clawly, involontariamente, ritornarono all’Alba della Civiltà, coi suoi cavalieri rivestiti di armature e con i suoi aerei muniti di ali come gli uccelli, i suoi racconti sussurrati di bocca in bocca a proposito di un filtro della vita eterna… e a quella voce insistente, inestinguibile e assurda, che parlava di uomini vestiti degli antichi abiti del Tardo Medio Evo dell’Alba della Civiltà, i quali apparivano di quando in quando sulla Terra, per brevi periodi e in luoghi remoti.
L’abito di Oktav, in ogni modo, era assolutamente normale. Ma i suoi occhi sembravano brillare speranze e paure e terrori di secoli e secoli. Non seguirono Clawly, mentre si accomodava su una sedia.
— Vedo ansia e contrarietà — intonò improvvisamente il veggente. — Per tutta la notte esse ti hanno circondato. Riguardano quella faccenda della quale abbiamo parlato all’Yggdrasil. Vedo molti dubbiosi, e tu che cerchi di persuaderli. Vedo due, in particolare, che ti contrastano ferocemente, ma non riesco a vedere i loro ragionamenti e i loro scopi. Vedo che tu alla fine perdi la partita, in particolare per l’abbandono di un amico, e te ne vai sconfitto.
“Certo” pensò Clawly “può avere saputo tutto questo in molte maniere”.
Eppure la cosa lo impressionò, come era sempre successo dal primo momento, quando Clawly aveva incontrato per caso… ma si era trattato davvero di un caso?… il vecchio, credendolo un semplice psicologo.
Senza guardare il veggente, con un senso di timore che non provava per alcuno, Clawly domandò: — Cosa vedi nel futuro del mondo?
Nella voce cantilenante del veggente si udì uno strano pulsare.
— Solo l’infittirsi dei sogni, molti altri spiriti stranieri che si infiltrano nel mondo sotto maschere umane, l’avvicinarsi del disastro, lunghi artigli che si preparano a colpire… ma dove e quando, non lo so; so solo che il tuo recente sforzo di convincere gli altri del pericolo ha portato il pericolo più vicino.
Clawly rabbrividì. Poi si mosse sulla sedia. Senza più timore, aggirò la domanda su Thorn che gli premeva alle labbra, e disse: — Senti, Oktav, devo sapere qualcosa di più. Vedo benissimo che mi nascondi qualcosa. Se io cerco di sfruttare nel modo migliore le tracce che mi offri, e poi mi dici che io ho sbagliato, mi leghi le mani. Per il bene dell’umanità, devi descrivermi il pericolo imminente in maniera più chiara.
— E devo attirare su di noi forze che ci distruggeranno entrambi? — Gli occhi del veggente lo fissarono. — Ci sono mondi all’interno dei mondi, e ruote all’interno delle grandi ruote cosmiche. Ti ho già detto troppo, e noi siamo in pericolo. Inoltre, ci sono cose che, onestamente, io non so, cose celate perfino ai Grandi Sperimentatori… e le mie ipotesi possono essere meno valide delle tue.
Irrigidito da una sensazione di irrealtà, la mente di Clawly cominciò a meditare. Che cos’era Oktav… cosa si nascondeva dietro quella maschera decrepita? Tutti i volti non erano che maschere? Cosa si nascondeva dietro il volto di Conjerly e di Tempelmar? Dietro quello di Thorn? Dietro il suo? La sua mente poteva dunque essere una maschera, eretta per nascondere qualcosa che si annidava nell’inconscio? Cos’era il mondo… quella fuggevole sfilata di maschere, eventi inesplicabili che spuntavano come lampi dal passato per spegnersi immediatamente nel futuro?
— Ma allora, che devo fare, Oktav? — domandò con voce stanca.
Il veggente replicò:
— Te l’ho già detto. Prepara il tuo mondo a qualsiasi eventualità. Armalo. Mobilitalo. Non lasciarlo in attesa quiesciente del cacciatore.
— Ma come, Oktav? È stata bocciata una mia richiesta di un semplice programma di ricerca. Come posso chiedere al mondo di armarsi… senza ragione?
Il veggente tacque. Quando finalmente rispose, nella sua voce pulsò, più forte che mai, l’amara saggezza di secoli e secoli di storia.
— Dunque, devi fornire una ragione. I governi hanno sempre inventato ragioni accettabili da parte della maggioranza della popolazione celando quelle autentiche, troppo drammatiche o troppo fantastiche Devi inventare un pericolo che possa essere compreso dalle loro menti ristrette. Fammi pensare, adesso… Marte…
Si udì un suono soffocato. Il veggente si voltò di scatto, con rapidità fulminea, e infilò una mano in tasca. Cercò disperatamente qualcosa, e quando ritrasse la mano di tasca, vuota, un’espressione di immensa costernazione si dipinse sul suo volto.
Gli occhi di Clawly abbandonarono il corpo del vecchio e si fissarono sulla porta che dava sull’interno dell’appartamento.
La figura del nuovo venuto rimase là, immobile, intenta a scrutare Oktav, solo per un istante. Poi, con un movimento del capo perentorio e impaziente, si voltò e scomparve alla vista. Ma la mente spaventata di Clawly poté ricordarla anche nei minimi particolari.
La cosa più impressionante era stato il senso di antichità… molto più evidente che in Oktav, sebbene, (o forse era quello il motivo) a differenza del vecchio, il corpo dell’uomo era quello di un giovane, dai capelli neri e dal volto vigoroso e giovanile. Ma gli occhi, e l’espressione di quel volto… conservavano l’esperienza di innumerevoli secoli. Si trattava di un’esperienza priva di saggezza, o magari con un simulacro di saggezza ristretto, puritano, limitato e detestabile. Un miscuglio sgradevole di ignoranza inconscia e di consapevolezza della propria forza. L’animale-uomo diventato dio, senza trasfigurazione.
E l’impressione più penetrante, addirittura ripugnante, gli fu data dagli abiti dello sconosciuto. Indumenti scomodi, stretti e non funzionali, che coprivano la parte superiore e inferiore del corpo, ed erano fatti di pelo animale compresso, lavorato e modificato, ed erano tenuti assieme da pezzi di osso o di corno. L’indumento che copriva la parte superiore del corpo aveva, sotto di esso, un duplicato di fibra vegetale di qualità sconosciuta, munito sul collo di due oggetti… il primo, una striscia annodata strettamente, dai colori violenti; il secondo, un colletto alto e rigido e bianco, della stessa sostanza che componeva la camicia, forse plastificato in maniera primitiva.
Fu dopo un breve periodo di tempo che Clawly comprese che gli indumenti del diciannovesimo e del ventesimo secolo, dei quali aveva visto delle immagini nei libri di storia, avrebbero avuto esattamente quell’aspetto, se fossero stati preparati seguendo gli antichi procedimenti, e fossero stati indossati da un essere umano.
Senza spiegazioni, Oktav si alzò e si diresse verso la porta interna Infilò nuovamente la mano in tasca e continuò a cercare, ma si trattò di una semplice ripetizione meccanica del gesto precedente. Quando Clawly vide il suo volto per l’ultima volta, poté leggere su di esso costernazione, uno sforzo di memoria disperato, e la gelida maschera che appare sul volto di un uomo intelligente la cui mente sta cercando di sfuggire a una trappola mortale.
Oktav oltrepassò la soglia.
Non si udì alcun rumore.
Clawly attese.
Passarono i minuti. Clawly cambiò posizione, si trattenne, tossì, attese, tossì ancora, si alzò, si diresse verso la porta interna, tornò indietro e sedette di nuovo.
C’era tempo, troppo tempo. Tempo per ripensare a quella strana superstizione che parlava di uomini vestiti di abiti dell’Alba della Civiltà i quali apparivano a volte nel mondo. Tempo per fare le supposizioni più pazzesche sull’età evidente negli occhi di Oktav e dell’altro.
Finalmente, si alzò e si diresse verso la porta interna.
Al di là di essa si trovava una piccola stanza priva di mobili, senza finestre o altre porte, il tipico complemento di appartamenti-uffici del genere. Le pareti erano spoglie e prive di fessure.
E non c’era nessuno.